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Autore: WhiteLight Girl    15/07/2019    3 recensioni
A Yokohama sembra una notte come tante, fino al momento in cui uno strano blackout lascia al buio Akira e i suoi amici. Ma assieme alla maggior parte delle luci della città sono scomparse anche centinaia di persone e quindi Akira, Ryuichi ed i loro Digimon iniziano a cercare chi è rimasto e poi, soprattutto, a tentare di capire cosa sia successo.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VIRUS
1
SPARIZIONI PER LE STRADE DI YOKOHAMA





Due giorni prima del blackout:

Una volta entrati nel negozio di videogiochi, Akira rimane in disparte e si preme contro lo scaffale a destra della cassa per permettere a Ryuichi di avvicinarsi al bancone. Il ragazzo di turno, alto e con i capelli scuri, inizialmente non alza neanche lo sguardo verso di lui, ma Ryuichi non sembra farci caso, perché si sporge verso di lui e pianta i palmi sul legno lucido.

«Prima che tu lo chieda, no. Non è ancora arrivato.» gli dice il ragazzo dietro il bancone.

Ryuichi richiude la bocca e serra le labbra, Akira ha quasi l’impressione che una vena sulla sua fronte si stia gonfiando e per un momento immagina esplodere la testa dell’amico, ma si trattiene e, invece, raddrizza la pila di bigliettini da visita che sta tra loro per tenersi impegnato.

Il ragazzo dietro il bancone gli fa un cenno con la testa, Akira ricambia il saluto allo stesso modo, poi solleva una mano in un gesto rapido e, prima di sentirsi troppo stupido, la porta di nuovo giù.

Nel brusio concitato del centro commerciale il silenzio tra Ryuichi ed il ragazzo appare per lui ben più che chiassoso; l’amico lo fissa dritto negli occhi.

«È previsto lo sconto, per il ritardo?» domanda Ryuichi con uno schiocco di lingua tanto irriverente che Akira già immagina il commesso che li sbatte entrambi fuori dal negozio bandendoli a vita.

«Se lo fosse saremmo in bancarotta da un pezzo.» risponde invece il l’altro piegandosi sul computer. Scrive qualcosa sulla tastiera e scruta lo schermo, quando si rimette dritto sorride, è allora che afferra una bustina di carte di Digimon dall’espositore lì accanto e la porge ad Akira.

«Questo te lo regalo io come premio per il fatto che riesci a sopportarlo.» spiega, facendo un cenno verso Ryuichi.

Akira sorride e ringrazia, lo sguardo gli cade sul cartellino del commesso, dove a caratteri dorati sono scritti il suo nome ed il cognome. Si chiama Tadao e, solo dopo un paio di secondi, Akira si rende conto che il suo cognome è lo stesso di Ryuichi. L’illuminazione arriva con tanto impeto che deve trattenersi dallo sbattersi il palmo sulla fronte per rimettere in moto il cervello, anche perché adesso la somiglianza del ragazzo con il suo compagno di classe gli appare più che palese.

«Oh, grazie!» dice, sperando che nessuno abbia notato lo scatto che la sua mano ha fatto prima che se ne accorgesse.

Ryuichi sbuffa e fa una smorfia.

«Un giorno troverò un negozio di videogiochi più efficiente.» minaccia.

Tadao gli sorride e scuote la testa. «Quel giorno mi sarò finalmente sbarazzato di te almeno al lavoro.» ribatte, poi lancia un’occhiata ad Akira e si china verso di lui per sussurrargli:

«È dal giorno in cui sono nato che lo sopporto.»

Ryuichi non ribatte e afferra il fratello per la manica, lo tira verso di sé con uno scatto. È un movimento così brusco che la testa di Tadao ondeggia leggermente sul collo.

«Posso avere uno sconto, però? Tu hai diritto allo sconto dipendenti, posso sfruttare quello.» dice Ryuichi. Sembra un incrocio tra un ordine, una lamentela e una supplica.

Tadao non si scompone, scivola via dalla presa di Ryuichi e si sistema la maglia con i palmi, Akira osserva Ryuichi incrociare le braccia.

«Potresti, ma non ho voglia di farti un favore.» gli risponde.

«Gentile come sempre.» borbotta l’amico.

Tadao stringe il pugno e gli mostra le nocche sorridendo. «Avrei potuto darti un pugno sul naso, ma non l’ho fatto.»

«Solo perché sai che avrei ricambiato e il mio destro è migliore del tuo.» ribatte Ryuichi.

Passano alcuni secondi in cui Akira inizia a temere che abbiano intenzione di picchiarsi per davvero, si chiede se debba dire qualcosa o distrarli in qualche modo, ma finisce per restare nel dubbio fino al momento in cui Tadao sospira e sbuffa sollevando gli occhi al cielo.

«Va bene, hai vinto. Ma te lo porto a casa io quando arriva.»

E quando Ryuichi gli sorride Akira riesce a scorgere la somiglianza tra i due. Solleva un sopracciglio perplesso e si domanda se davvero è tanto sbadato da non aver notato subito il fatto che, a parte il taglio di capelli ed il pochi centimetri in più di Tadao, i due siano quasi identici.

Subito dopo, visto che c’è, si trova a chiedersi perché fino a quel giorno non avesse saputo il nome del commesso con cui aveva chiacchierato di più negli ultimi mesi.

«Allora, Taninozawa, cosa posso fare per te?» gli domanda Tadao.

Akira sussulta, stupito dal fatto che conosca il suo cognome, ma gli fa un sorriso tremolante e gli risponde: «The last of us.» Lo vede tornare a digitare al pc ed aspetta in silenzio, si trattiene dal proporre di raggiungerlo dietro il bancone per aiutarlo a cercare, come ha fatto altre volte per giochi meno conosciuti, ed aspetta il responso.

Quando Tadao scivola giù dallo sgabello Akira sa già cosa significa, strofina le mani una contro l’altra e si prepara a seguirlo, attende che lui li raggiunga dall’alta parte del bancone e poi lo segue lungo i corridoi, con Ryuichi che li segue in silenzio.

«Un giorno mi farai il conto di tutti i giochi di zombie che hai a casa.» gli raccomanda Tadao.

«Sicuro.»

Ryuichi fa una smorfia; «Io non credo che tu ne abbia di meno.» lo stuzzica.

«Io ho un po’ più di varietà.» ribatte Tadao. Si ferma appena dietro la vetrina, Akira intravede la folla di persone che passeggiano nel centro commerciale attraverso i giochi in esposizione, perdendosi alla ricerca di volti conosciuti, poi Tadao gli spinge la confezione tra le braccia, lui la stringe forte a sé e sorride.





Blackout:

Inoltrarsi nel boschetto a tarda sera per restare lontani da occhi indiscreti era ormai diventata un’abitudine, lì nessuno si sarebbe preoccupato della presenza di due Digimon finché non li avessero notati e Ryuichi poteva approfittare per fumare un po’. Ogni tanto qualcuno si inoltrava fin lì, ma ci restava solo quel tanto che bastava per rendersi conto della loro presenza. Quello era il momento più divertente; quando per poco non soffocavano nella loro stessa saliva interrompendo una frase a metà e, mentre l’espressione seria veniva sostituita da occhi sgranati e labbra dischiuse, chiedevano scusa per averli disturbati. Subito dopo, di solito, correvano via prima che potessero dire loro qualunque cosa.

Allora tornavano ad essere solo lui, Ryuichi, Gottsu e Ryu, in compagnia di grilli e lucciole

Quella, per Akira e gli altri tre, era una serata tipica. Anche la sera in cui cominciò tutto avrebbe potuto esserlo.

Akira tratteneva il fiato ogni volta che una folata di vento portava il fumo nella sua direzione, la sigaretta di Ryuichi era quasi a metà mentre lui prendeva la boccata successiva. Poco dopo il fumo si disperse verso il cielo.

Con la coda dell'occhio controllava i due Digimon che erano con loro, un po’ perso mentre attendeva che l’altro dicesse qualcosa.

Pochi minuti dopo Ryuichi lasciò cadere il mozzicone per terra e premette la suola della scarpa su esso. Osservava le lucciole silenzioso, in un momento in cui chiunque altro sarebbe probabilmente rimasto ad osservare Gottsu. Due Digimon intenti a giocare, in chi non li temeva, generavano di solito un moto di tenerezza incredibile. Gottsu sarebbe stato uno di quelli, probabilmente, se non avesse avuto quegli occhi sgranati mentre era chino con la mano tesa e il palmo in su, pronto ad acchiappare e stritolare la prima lucciola temeraria che avesse provato ad avvicinarlo. Ne aveva prese già molte, Akira non ne era mai stato particolarmente entusiasta ma non ne aveva mai detto nulla e, visto che Ryuichi non aveva mai detto nulla al riguardo, continuava a tacere e distogliere lo sguardo quando lo sterminio iniziava.

Gottsu non era un Gottsumon cattivo, lo sapevano sia Akira che Ryu, che avevano capito da tempo che quello per lui era un gioco e che probabilmente non sapeva che fossero vive, probabilmente si chiedeva solo perché brillassero al buio e voleva capire come funzionassero, non spettava a loro fermarlo. A volte Gottsu faticava a capire le cose, ma non era colpa sua.

Akira guardò Ryuichi, ora era intento ad osservare il Digimon con sguardo mesto e capo chino, gli occhi affilati in quell’espressione indecifrabile che riservava solo ad alcuni atteggiamenti strambi di lui.

Un botto in lontananza li fece sussultare, Akira si domandò cosa avesse causato quell’unico rumore proveniente dalla città, così distante dall’ultimo suono di clacson che aveva sentito che si chiese se non si fossero fermati tutti all’improvviso.

Ryuichi, al suo fianco, era silenzioso. Non si era mosso di un centimetro, ma ora il suo sguardo era perso mentre spingeva le mani nel fondo delle tasche della giacca.

Solo allora Akira si accorse che il rumore delle foglie scricchiolanti sotto il peso della scarpa erano l'unico suono rimasto nel sottobosco. Perfino Grilli e cicale sembravano essersi zittiti all'improvviso. Probabilmente, pensò, era colpa del Gottsumon di Ryuichi e dei suoi grugniti; quegli spezzoni di parole incomprensibili e gli scatti improvvisi dovevano aver spaventato ben più di qualche insetto. Eppure da un Digimon di roccia come lui non si sarebbe aspettato nulla di diverso.

Si stava chiedendo cosa avrebbe potuto dire, quando Ryuichi si riscosse e si voltò a guardarlo. «Davvero non vuoi tornare in quel locale?» gli domandò senza preamboli.

Akira sbuffò, strofinò un piede per terra e smosse un mucchietto di foglie secche ed umide che si era accumulato sotto l’albero a cui era appoggiato. Non era la prima volta che Ryuichi glielo chiedeva, il discorso usciva sempre fuori all'improvviso.

«Sento già abbastanza il chiasso della mia testa, non me ne serve altro.» rispose. Ripensò all’aria viziata ed al tepore di quella specie di discoteca in cui l’amico l’aveva portato il mese precedente e storse il naso al pensiero della musica ad alto volume.

«Alcune cose non fanno per me, il chiasso e la gente sono una di quelle.» rispose.

Ryuichi mugugnò e batté la mano su una radice, Gottsumon si voltò verso di lui ma, dopo essere rimasto a fissarlo per un po’ con la testa inclinata, distolse lo sguardo e calpestò qualcosa nella sterpaglia.

«Al comics però ci sei andato.» si lamentò Ryuichi. Sollevò un sopracciglio e tese il collo, che schioccò con un sonoro “tac”.

Akira scrollò le spalle, improvvisamente travolto dalla voglia di sgranchirsi le dita, così spinse le nocche della mano contro il fianco finché non schioccarono tutte.

«Quello è un tipo di chiasso diverso. È un chiasso più piacevole.» rispose, pur sapendo di non poter esprimere a parole quello che pensava al riguardo se prima non avesse avuto davanti carta, penna ed almeno un paio d’ore per poter pensare a come esporre il tutto al meglio.

Ripensò a quelle enormi sale ricolme di persone in costume, agli incontri con gli autori ed alle anteprime dei videogiochi; c’era qualcosa in quel mondo che gli impediva di essere davvero disturbato da quel chiasso, poiché tutto diventava un brusio di sottofondo mentre lui chi era con lui vivevano un’avventura.

Ryuichi interruppe il flusso dei suoi pensieri tirandogli un leggero pugno sul braccio. «Hai già pensato al prossimo cosplay?» gli domandò.

Akira era grato del fatto che non insistesse mai troppo sul portarlo in posti che non gli piacevano, così come lo era del fatto che lui si fosse detto disponibile, seppure controvoglia, ad accompagnarlo ai suoi comics.

«Ovvio.» Rispose.

Davanti a loro i due Digimon sguazzavano nella semioscurità e perfino nella penombra i due non potevano risultare più diversi; il loro modo di approcciarsi e muoversi nell’ambiente dava l’impressione che fossero un ragazzino alle prime armi ed un adulto responsabile costretto a tenerlo d’occhio.

Gottsu seguì una lucciola con sguardo perso, mentre Ryu lo guardava corrucciato, forse in attesa di vedere cosa avesse in mente.

«Facciamo gruppo?» chiese ancora Ryuichi.

Akira non riuscì a trattenere un sorriso e lo guardò distrattamente. «Non mi dispiacerebbe.» gli rispose, poi vide Gottsu accovacciarsi e strizzare gli occhi per lo sforzo. Si domandò cosa gli fosse preso, ma Ryuichi precedette ogni sua azione alzando la voce.

«Ehi! Gottsu!» gridò.

Lui si allungò, incespicò e ruzzolò in avanti nel maldestro tentativo di spiccare un salto, per poi finire con il muso per terra. Sollevò la testa subito dopo e lo guardò con una smorfia. «Ehi! Ryuichi!»

Il ragazzo sospirò. «Attento a non farti male.» si raccomandò.

Gottsu guardò in alto e fece un giro su sé stesso, seguì senza sbattere le palpebre qualcosa che forse si stava muovendo sopra di lui.

«Credi che ti darà retta?» domandò Akira a Ryuichi. Non riusciva a staccare gli occhi da quel bizzarro Digimon dall’aria svampita. Gottsu tese la mano e chiuse il pugno come per afferrare qualcosa, poi la portò davanti al volto e la riaprì lentamente. Da dov’era, Akira non riusciva a vedere se fosse riuscito a prendere qualche insetto.

Ryuichi scrollò le spalle. «Lo spero»

Akira lo guardò, ma lui scrutava ancora i due Digimon che scivolavano sull’erba umida. La luce della luna si era spenta da un po’ e si rese conto solo in quel momento di quanto buio fosse diventato. Sollevò gli occhi per controllare che le nuvole non portassero pioggia, ma attraverso le fronde dell’albero il cielo appariva come una superficie uniforme ed incolore tendente al nero. Riportò lo sguardo su Ryuichi, che inspirò forte e poi si rilassò, stiracchiandosi.

«Credo che se avesse tutte le rotelle a posto non riuscirei a sopportarlo ventiquattr'ore su ventiquattro, comunque. Vedo com’è Ryu con te, non reggerei un Digimon così saccente.»

Akira gonfiò il petto e si imbronciò. Incrociò le braccia e, con un’occhiata che sperava essere abbastanza ammonente, gli disse:

«È comodo, quando devo fare i compiti a casa.»

La curiosità e la saggezza erano sempre stati il tratto caratterizzante di Ryu ed era risultato chiaro fin dal momento in cui l’aveva conosciuto, ormai non si stupiva più di quanto fosse riuscito ad imparare sul Mondo Reale da quando ci era arrivato. Talvolta qualcuno scherzava sul fatto che sembrava la versione Digimon del Detective Conan, per via dei suoi costanti “L’ho visto in un documentario in tv.” o “L’ho letto su una rivista scientifica.” ed Akira non poteva negare che a volte aveva la sensazione di essere sotto osservazione e che Ryu fosse pronto a sgridarlo per ogni bambinata. Purtroppo per lui, di bambinate finiva per commetterne parecchie e le lavate di capo arrivavano puntuali prima che potesse rifugiarsi in un angolo a leccarsi le ferite.

Ryuichi rise così forte che si piegò all’indietro e finì quasi per sbattere la testa contro la corteccia. «Facciamo che vengo a studiare da te, per il compito della prossima settimana.» propose. Si sfiorò la punta del naso con il pollice e tese l’altro braccio. Il gomito schioccò ed Akira rabbrividì. Sembrava che l’amico avesse sempre qualche parte del corpo da schioccare.

Gottsu gemette, attirando la loro attenzione, agitò le braccia per restare in equilibrio e poi cadde all’indietro muovendo le gambette rocciose.

Ryuichi ebbe un sussulto ed emise un gemito strozzato, le spalle cadenti ed il capo chino, Akira pensò che se avesse dovuto tracciare la rassegnazione di un personaggio in una delle sue storie l’avrebbe descritto esattamente in quella maniera.

«Bella botta.»

«Spero che sia ancora intero.» commentò Akira.

L’amico si avvicinò al Gottsumon e lo afferrò di peso per rimetterlo dritto, quasi come un padre avrebbe fatto con il figlioletto che è appena scivolato giocando, poi aspettò di assicurarsi che riuscisse a reggersi sui suoi piedi prima di lasciarlo andare.

Ryu, dall’altra parte, lo sorresse con le grosse zampe pelose, i suoi occhioni severi tradivano una certa preoccupazione sotto l’elmo lucido. «Magari gli sono tornate le rotelle a posto, ammesso che ci siano mai state.» disse.

Akira dovette coprirsi una mano per trattenere una risata, Ryuichi si voltò riprenderlo. «Non ridere.» poi tornò a prestare attenzione a Gottsu. «Qual è il problema?» gli chiese. Anche se Gottsumon cadeva spesso Ryuichi non aveva perso l’abitudine di chiederglielo, anche se il più delle volte non otteneva alcuna risposta.

Il Digimon fece girare la testa in cerchio, quasi come se facesse fatica a mantenerla ferma sopra al piccolo collo. «Puzza.» disse.

   
 
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