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Autore: LeanhaunSidhe    29/07/2019    7 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Note: Premesso che non so un piffero di tattiche belliche ma sono una scema che ci prova lo stesso, se avete pietà e voglia di dare una possibilità, ciò che segue è quanto ho immaginato di sana pianta. Magari ha anche una sua logica...

Se volete chiarimenti, chiedete.

 

Nonostante fosse gelida, l'aria bruciava i polmoni. Respirare era doloroso. I cavalieri d'oro, abituandosi a vedere nella penombra di quell'ambiente, riuscirono a distinguere le fattezze del domatore delle anime dei vivi. Aveva il viso immobile, una mano aperta, il braccio teso innanzi a sè. Controllava qualcosa. Ampliando lo sguardo, una immensa voragine si apriva davanti a loro. Una stele di pietra affondava la base nella roccia profonda, parecchi metri sotto ai loro piedi, quasi ci fosse stata conficcata a forza dalla mano di un titano. Svettava poi fino al soffitto di quella grotta scavata che li aveva fagocitati come il ventre di una belva. In alto, l'occhio si perdeva nel profilo di stalattiti scure ed irregolari, simili ai denti marci e sbeccati di giganti dalla bocca spalancata. In lontananza, ruggiva ancora il rumore dell'acqua, insieme a quello del vento, come se una tempesta fosse trattenuta nel profondo della terra. Haldir mosse le labbra senza degnarli di uno sguardo. Pochi attimi dopo, al suo comando, i cristalli di ghiaccio che vorticavano si erano placati leggermente, l'aria diventava più respirabile. Concendendo ossigeno ai polmoni, i cavalieri del Grande Tempio riuscirono a captare di non essere soli, almeno quattro persone li circondavano. Erano vestiti in uniformi chiare, poco più che tute da addestramento. Calzari leggeri abbracciavano i piedi coi legacci fino al ginocchio. Casacche senza maniche nascondevano muscoli scolpiti ma non la miriade di cicatrici. Riconobbero i due seguaci di Haldir dalla coppia di spade legate ai fianchi. Se almeno uno aveva un'espressione rilassata, a tratti simile a quella del cavaliere della vergine, l'altro, meno alto, dal fisico scattante e nervoso, sembrava avere una scintilla nello sguardo acceso. Gona e Tabe furono i primi ad emergere dall'ombra. Si mossero in sincrono, uno a destra e l'altro a sinistra. Gli sfregi speculari sulle braccia opposte, uno che iniziava dove finiva l'altro, testimoniavano battaglie vissute fianco a fianco, quasi fossero stati un unico guerriero a vestire la stessa corazza. Poi, Gona, più alto, aveva girato il viso verso la loro amazzone statuaria dai capelli fulvi che li scrutava altera e carezzava il manico corto della sua ascia, gli occhi castani che li fissavano lontani senza davvero capirli, rivolti al suo signore, ad altri pensieri. Brunilde li degnò di attenzione per pochi istanti.

Lo spadaccino più magro, invece, curioso ed attento, li aveva passati in rassegna uno per uno. Un attimo in più i lemuriani, Mu in particolare, prima di strizzare appena gli occhi e cercare l'ultimo membro del branco. Seleina era emersa lentamente. Il tatuaggio al braccio il primo segno che chiunque avrebbe notato sulla pelle diafana, al fianco una spada sola. Non li aveva ringraziati per essere arrivati li ma c'era qualcosa nella sua espressione che mostrava chiaramente quanto fosse riconoscente, pur senza esprimere, neppure lei, una sola parola. Tutti, però, notarono che a Mu e Kiki avrebbe voluto dire qualcosa in più, di diverso. Invece, anche lei in attesa, rivolse il viso al suo signore, più avanti, sul pennacolo più proteso ed impervio di quel crepaccio naturale che accerchiava l'immensa stele nera, costretto a consumare ogni stilla dell'energia restante.

Shaka della Vergine aveva notato la pietra scura e scheggiata di quella specie di mausoleo, che doveva essere naturale fino ad un certo punto. C'era una moltitudine di anime racchiuse dentro. Gli sembrava che volti ed arti, braccia e gambe, emergessero per poi essere nuovamente risucchiate nella roccia. Il vento che li aveva quasi soffocati prima doveva provenire da li. Tra le mani artigliate che ogni tanto sfuggivano semitrasparenti alla pietra riuscì a riconoscere anche dita e teste chiaramente umane. Il sibilo che in rari momenti si alzava come uno stridio penetrante aveva l'eco di un ringhio soffuso.

Imuen gli si era avvicinato, interrompendo la sua analisi della situazione. Il nero scintillante della sua corazza si sostituì al grigio della pietra, impedendogli la visuale. Gli aveva spiegato di aver ben compreso la realtà dei fatti. Quelli che loro chiamavano perduti erano intrappolati esattamente li dentro. Ogni volta che li sconfiggevano non riuscivano mai a distruggerli, solo a sigillarli li un altro poco. La forma di demoni rabbiosi in cui gli dei li avevano confinati era praticamente impossibile da annientare. Il pugnale di Haldir aveva proprio quello scopo: ucciderli davvero, creando la possibilità di restituire la pace di una morte completa a tutte quelle anime tormentate.

Al prossimo cenno di Haldir la stele sarebbe crollata, liberando tutti insieme coloro che intrappolava. I cavalieri d'oro avrebbero dovuto cercare di bloccarne il maggior numero possibile mentre venivano esattamente verso di loro. Alcuni dei Dunedain avrebbero bucato la formazione con un colpo solo.

Si trattava di raggiungerne il centro dello schieramento avversario, per dare la possibilità a Kiki e Zalaia di buttarcisi in mezzo, con lo scopo di individuare il capo e piantargli quel pugnale nel petto. Era una questione di potenza e velocità: potenza perchè c'era bisogno di una quantità spropositata di cosmo per attivare il pugnale, di velocità perchè, sferrato il colpo, bisognava immediatamente fuggire. Caduto il comandante, gli altri avrebbero iniziato a fuggire alla rinfusa, come qualsiasi esercito indisciplinato privato del suo capo. A quel punto, bisognava solo fermare chi scappava e la dipartita di quegli esseri, allora, sarebbe stata definitiva. Li sarebbe stato compito di Imuen ed Haldir personalmente. A quel punto, tutti gli altri avrebbero dovuto già essersi fatti da parte, fuori da quella grotta.

Svelando i segreti del pugnale che avevano forgiato, Imuen si era concentrato soprattutto su Kiki.

"Estrai il pugnale dallo scrigno solo quando sarete al centro. Se lo facessi ora, i nostri guerrieri ne sarebbero annientati e voi vi ritrovreste da soli ad affrontare all'improvviso tutto. Non avreste scampo."

Aveva raccomandato, catturando l'attenzione generale.

"Aspetta un attimo."

Era intervenuto, a quel punto, Aphrodite.

"Appena quella stele sarà distrutta noi ci troveremo di fronte ad una moltitudine di nemici, in questa grotta scavata che, per quanto grande, non ha vie di fuga? Saremo come topi in trappola."

Il gigante in armatura nera l'aveva allora degnato di uno sguardo. Gli aveva confermato che quell'ambiente, per quanto grande, era comunque privo di aperture verso l'esterno. Loro, durante l'inizio dello scontro, sarebbero comunque stati protetti dalle barriere dei guerrieri di Haldir. Aveva accennato a Tabe e Seleina.

"Se qualcosa va storto, potrete fuggire sfruttando il teletrasporto dei vostri compagni psicocineti. La
protezione sul pugnale del mio gemello permetterà loro di usare i propri poteri. Avrete una via sicura fino al vostro Santuario."

Quell'avvertimento, per Kiki ebbe anche un suono sinistro. Ricordò che, allora, tutti loro avrebbero potuto seguirli fino ad Athene, senza problemi. Per lui e Mu, senza contare anche Cancer, capace di teletrasportarsi, poche persone in più non sarebbero stata una gran difficoltà. Però, dopo l'attimo di silenzio di Imuen, che gli aveva consigliato di non preoccuparsi per loro, ma solo per sè ed i suoi compagni, il presentimento si fece certezza. Cercò lo sguardo di Seleina, a chiedere conferma. L'amica, allora, gli aveva ricordato che i Dunedain non potevano avvicinarsi a quel pugnale in nessun modo. Loro avrebbero dovuto servirsi delle loro vie.

 

Prima che si scaldassero però gli animi, Cancer in particolare, che si stava riscoprendo padre nel momento peggiore, Imuen le poggiò la mano sulla spalla. Guardò lei, che lo fissava confusa, così simile nell'incertezza alle espressioni del suo gemello, poi di nuovo il cavaliere d'Altare.

"In realtà, un altro modo ci sarebbe."

Sfidò il ragazzo del Jamir con un ghigno.

"Se tu che sei il custode, accetti di distruggere quel pugnale, dopo che lo avrai usato, anche noi possiamo essere teletrasportati senza problemi. Dovrai però rinunciare a tutto il potere che è racchiuso in esso, la tua dea con te."

Kiki, per nulla sedotto da deliri di potenza, scrutò l'espressione dell'amica, che sembrava pendere dalle sue labbra. In quel momento, evitò accuratamente di valutare l'evenienza di porre fine più facilemente alle future guerre sacre. Gli sembrò che Seleina lo supplicasse di accettare. Disse di sì. Al sospiro di sollievo dell'amica, capì di aver compiuto la giusta scelta. Lesse chiaramente il sollievo sul viso della ragazza e fu certo di aver scelto l'opzione migliore.

 

 

A quel punto, accordati i piani di fuga, dovevano rifinire quelli di attacco.

Gettando una veloce occhiata alle condizioni del gemello, che sembrava amcora resistere, Imuen aveva ripreso.

"A sferrare il colpo capace di penetrare la formazione penseremo io, Haldir e Gona."

Aveva indicato lo spadaccino più alto e pacato.

"Dovrete sfruttare il passaggio che creeremo. Dentro vi troverete come nell'occhio di un ciclone. Li, Zalaia individuerà il tuo bersaglio. Libera il cosmo nella mano, nel modo più repentino ed energico che ti riesce, vibra il fendente con forza. Poi tirati indietro portando con te l'arma. Non lasciarla conficcata nel corpo del nemico. La rimetti nello scrigno e tornate. Noi vi riapriremo una via."

Aveva atteso che Kiki ponesse domande. Visto che non ne aveva, si rivolse agli altri.

"Voi dovete supportarci quando saremo impegnati tra il passaggio da riaprire e le barriere da mantenere alzate. In caso contrario, non riusciremo mai a fermarli tutti in quei momenti. Il vostro aiuto sarà fondamentale. Dovete falciare il maggior numero possibile dei mostri che usciranno da quella stele: prima, durante e dopo l'intervento di Kiki."

Aveva osservato i cavalieri d'oro, trovandoli pronti, attenti.

Pochi attimi dopo, al richiamo di Imuen, Seleina e Tabe iniziavano a concentrarsi.

 

 

 

 

 

 

 

Erano arretrati di pochi passi rispetto al gruppo. Seleina aveva richiamato la propria arma nella mano e Tabe impugnato una delle sue spade. Entrambi muovevano le labbra e, chiaramente, recitavano qualcosa. Tuttavia, non era possibile capire se fossero le stesse parole pronunciate in sincrono o, per ognuno di loro, una sequenza completamente diversa. Il vento, attorno a loro, si era placato all'improvviso, creando un silenzio artificiale, sospeso, che ebbe il solo effetto di inquietare leggermente. Presto, ai loro piedi, comparirono poche gocce d'acqua che si riunirono in piccole pozze. Queste crebbero di dimensione, fino ad allargare di diametro per almeno un metro. Le pozze brillarono, come se ci fossero esseri scintillanti che vi si riflettessero ed un soffio invisibile che ne increspasse in piccoli smerigli la superfice.

Tabe, col sorriso malevolo di chi vuole intimorire e stupire, aveva battuto il piede al centro della pozza. Non appena aveva allontanato la scarpa, l'acqua si era alzata in una muro liquido e trasparente, cangiante, che lo sovrastava. Aveva appuntato la mano al fianco, con le sue movenze guizzanti. Con la spada aveva indicato lo spazio circostante, intorno a sè. Aveva ringhiato, come ad impartire un ordine ad un soldato recalcitrante. Pochi attimi dopo, l'acqua spariva da davanti a lui e si muoveva, come una barriera sottile che lasciasse scorgere, confuso alla vista, ciò che c'era all'sterno di tutta l'area che loro avrebbero occupato.

Esterrefatto, Kiki aveva posato lo sguardo sull'amica. Lei non aveva ripetuto le stesse movenze dello spadaccino ma l'effetto si stava dimostrando simile. La prima colonna d'acqua che aveva richiamato lei aveva però una forma allungata e dai contorni vagamente umani. Era rimasta pochi sencondi davanti a lei, come in ascolto dei suoi comandi, prima di staccare dal resto del corpo un braccio e porgere ciò che sembrava una mano. A quel punto, l'espressione tranquilla di Seleina era cambiata, mostrandosi arrabbiata e decisa. Aveva schioccato le dita guantate nella sua arma ed il rumore del metallo aveva avuto l'eco di una minaccia per l'essere incorporeo che aveva davanti. Silenziosa, pure lei aveva impartito un comando spalancando il braccio ad abbracciare lo spazio circostante. La barriera già esistente era diventata più solida.

 

 

Fu in quel momento che Kiki la ricordò piccola, quando si ostinava a seguirlo dappertutto quando Cristal la portava con sè al Grande Tempio.

Seleina trotterellava fin quasi a correre per mantenere la sua andatura, che pure se camminava lentamente era molto più alto di lei e due delle sue falcate erano troppi dei passi di lei. La sua testa era rivolta solo agli allenamenti per diventare sempre più forte, quella di Seleina persa tra fate e folletti, esseri nati nella natura ma che dimoravano solo nella sua mente di bambina. Lei glieli raccontava e li apprendeva chissà dove o, forse, li immaginava solamente.

All'epoca, non ci aveva fatto caso. Pensava parlasse degli spiriti della natura. Qualche cavaliere di Asgard ci comunicava, se ne serviva in battaglia. Qualcosa doveva averle risposto.

Allora, lei, aveva saltellato battendo le mani. Gli aveva spiegato che no, non c'entrava niente. Lei vedeva altre fate ed altri folletti, non quelli degli uomini: quelli che il gigante bianco poteva domare. Perchè tra la famiglia della sua mamma ed il gigante bianco c'era un patto antico che non si poteva svelare fuori da Asgard, che il gigante bianco era stato costretto a concedere ad alcuni di loro un dono: di poter vedere ciò che lui vedeva.

Quella volta, Kiki s'era bloccato. L'aveva guardata, inquieto, per la prima volta sfiorato dal dubbio che quelle di Seleina non fossero solo fantasie di bambina. Lei, piccola, aveva capito. Si era portata le mani a tappare la bocca, spalancando gli occhi azzurri, come se così avesse potuto tornare indietro e rimangiarsi le parole appena pronunciate. Perchè il gigante bianco l'avrebbe sgridata, se avesse saputo che aveva parlato. Allora, rivolta a lui, che ancora la fissava stupito, aveva portato l'indice davanti al naso e alla bocca, facendo cenno di dover mantenere un segreto: il primo ed unico che gli avrebbe mai svelato. Lui, un po' per celia un po' perchè sapeva che la piccola era bizzarra e diversi la prendevano in giro per la caratteristica, le aveva regalato uno dei suoi rari sorrisi di allora. Aveva detto sì, sicuro che s'era sbagliato, era uno scherzo o solo fantasie. Poi l'aveva presa in braccio per tornare alla prima, altrimenti ci si sarebbero rimasti tutto il giorno, su quelle scale.

 

 

Guardò ancora Seleina. Finalmente poteva vedere anche lui le fantasie di quando era piccola, che avevano preso forma ore prima in poche gocce d'acqua sugli scalini della prima casa e consistenza, in quel momento, davanti a lui.

Si diede ancora dello sciocco perchè lui, tra tutti, era forse il solo a sapere qualcosa di più e se ne era completamente dimenticato.

"Perchè queste cose divertenti non le mostrate mai al campo, voi tre?"

Aveva a quel punto chiesto Zalaia allo spadaccino più alto, che li guidava, separandosi per un momento dal gruppo dei cavalieri.

"E' pericoloso per quelli che non si difendono: le anime dell'acqua e dell'aria sono infide. Possono sfuggire al controllo dei domatori."

Kiki, che non aveva staccato per un attimo gli occhi dall'amica, finalmente conscio di quanto il cambiamento, in lei, fosse stato grande, chiese a quel figlio di Haldir se fosse per quello che Seleina e Tabe brandissero le armi: per difendersi. Alla conferma, iniziò a rendersi conto del pericolo che lei corresse.

"E che succede ai vostri domatori se quelle anime sfuggono al loro controllo?"

Il capobranco l'aveva esaminato con attenzione.

"Gli umani come te normalmente non possono neanche vedere queste anime dell'acqua e dell'aria, che sono diverse da quelle che voi chiamate spiriti della natura. Ci riuscite, ora, solo perchè siete qui e noi vogliamo che ne siate coscienti. Quindi non hai bisogno di sapere cosa accade ai miei simili, se falliscono."

Le spiegazioni non gli erano piaciute per niente. Ripensò a poche ore prima, quando l'amica aveva accennato qualcosa sul fatto che ad Haldir non piacesse qualcosa delle sue tecniche. Il sospetto che fosse in pericolo usandole lo mise in guardia. Si girò verso Zalaia: l'unico che, forse, tenesse davvero a lei, tanto da aiutarla in caso di bisogno e si sarebbe allontanato con lui. Cercò allora il supporto del fratello, raccomandandogli telepaticamente di cercare di darle una mano, se ce ne fosse stato bisogno. Vide Mu accennare leggermente un sì, che poteva stare tranquillo, anche se era certo che chiunque dei suoi compagni sarebbe stato utile in quel ruolo.

 

 

 

Ormai la barriera composta da quelle mura d'acqua era solida. Imuen richiamò l'attenzione di tutti. Avvertì che Haldir stava per lasciare la presa sui sigilli. Iniziò ad espandere la sua aura. La luce, nera, potente, lo avvolse. Il mantello alle sue spalle si torceva in repentine volute, simile ad una preda vittima di un veleno mortifero che ne bruciasse le carni dall'interno. Raccomandò a tutti di tenersi pronti, impugnando saldo la falce e gridando verso il fratello, la sua voce quella di una belva. Il cosmo dei custodi dorati aveva brillato all'improvviso, come un piccolo sole, in quell'antro oscuro. Haldir puntò lo sguardo verso di loro. Chiuse la mano. Gridò lo stesso urlo di guerra, rispondendo al richiamo del suo gemello. Aveva impugnato le sue armi. Mentre la terra iniziava a tremare e schegge di roccia a staccarsi dall'alto, con un unico balzo, dando le spalle alla stele, raggiunse i suoi. Beffardo, fu lui a servirsi della telepatia, verso il cavaliere che aveva scelto di eleggere a suo aiutante.

"Io non lascio nessuno dei miei figli a morire, Seleina compresa."

La sua voce, come già altre volte, risuonò nella testa di Kiki, mentre si portava al suo fianco e, in quella concentrazione di pura luce, la stele alle loro spalle si sgretolava in un'esplosione di schegge, simili a stelle cadenti nere su un cielo così bianco da accecare. I gemelli, più massicci tra i presenti, si erano portati davanti a tutti. Quando la polvere iniziò a chetarsi, l'oscurità del crepaccio fu rischiarata da una moltitudine di fiammelle. I contorni, via via più definiti, tracciavano figure umane a tratti evanescenti, a tratti corporee. Ogni viso nemico si alzò, all'instante, verso di loro.

   
 
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