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Autore: Asami_Ryuzaki    29/07/2019    5 recensioni
[STORIA A OC] - ISCRIZIONI APERTE
In Scozia, a circa 50 km a Nord-ovest di Edimburgo, è situato il campus universitario di Stirling. Ogni estate vengono organizzate tre settimane di vacanza-studio per ragazzi provenienti da tutto il mondo.
Quest'anno anche alcuni dei nostri cari inazumiani hanno pensato di partecipare. Come si troveranno nella terra del fish and chips e dei castelli? E come si relazioneranno con i nostri fantastici Oc?
Genere: Comico, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FINALMENTE EDIMBURGO

 
«Mamoru-kun, cerca di stare calmo» disse piano Kidou a mo’ di rimprovero verso un Endou che sembrava stesse morendo dal bisogno di muoversi. Nemmeno 5 ore di aereo erano servite a fargli perdere l’energia e il ragazzo seduto accanto a lui sentiva di essere prossimo a una crisi di nervi.
«Lo so, solo che…» Endou strinse i pugni cercando di tenere bassa la voce. «Tra meno di mezz’ora saremo arrivati a Edimburgo! Chissà quanta gente nuova incontreremo!».
«Lo sappiamo, Mamoru-kun» sospirò Someoka, incrociando le braccia.
«È la quindicesima volta che lo ripeti» aggiunse Fubuki staccando solo per un attimo lo sguardo dal finestrino.
«Non pensi di dover dare il buon esempio alla tua squadra, capitano?» domandò sarcastico Fudou, con un sopracciglio alzato e un’espressione impertinente dipinta sul volto.
Un paio di file dietro si levò una voce beffarda. «Io e Fuusuke allora siamo salvi».
Kazemaru si voltò a guardare male Haruya. «Ma dovevi proprio venire anche tu?» domandò innervosito, poi si voltò verso il ragazzo che aveva affianco. «Suzuno-san, ma come diavolo fai a sopportarlo?».
Fuusuke alzò le spalle e rispose: «Penso sia questione di abitudine, anche se capisco che a tratti faccia davvero innervosire».
«A tratti?» domando ironico Ryuuji, facendo ridacchiare Hiroto che era seduto accanto a lui.
Natsumi sbuffò infastidita. «Piantatela di fare rumore. Solo perché non possono buttarvi di sotto non è il caso di dare spettacolo» sibila ai ragazzi seduti alcuni posti dietro di lei.
«Natsumi-chan, non stanno facendo così tanta confusione» tentò di calmarla Aki, le mani a riattaccare l’orribile cappellino rosso del Victoria.
«Oh andiamo, sono maschi, dopotutto! Sono stati tranquilli per fin troppo tempo, a parer mio» controbatte Haruna, mentre, seduta accanto a Fuyuka, si guardava con l’amica gli ultimi episodi di Stranger Things.
«Avete un’ottima opinione di noi, vedo» considerò Gouenji, smettendo per un attimo di ascoltare la musica dal cellulare.
Il tempo passò più rapido di quanto si sarebbero aspettati. Dopo 5 ore di volo su un aereo intercontinentale, quei 35 minuti non erano sembrate molto più di un quarto d’ora.
Le hostess passarono tra i sedili appena venne ordinato ai passeggeri di mettere le cinture di sicurezza. L’atterraggio fu liscio come l’olio sulla bellissima città di Edimburgo.
Presero i loro bagagli dal nastro trasportatore e attesero tranquillamente che arrivassero tutti. Ma, quando fu videro la valigia di Endou, il mondo parve cadere in testa al giovane portiere dell’Inazuma Japan.
La valigia era aperta e i vestiti del ragazzo erano sparsi in giro.
Mentre Endou, Kidou, Kazemaru e Gouenji cercavano di raccogliere più oggetti possibili, Fubuki aveva recuperato il bagaglio aperto.
«Mamoru-kun, la valigia è piena per circa ¾» lo avvertì Shirou.
Diversi minuti dopo, tutti i ragazzi, salvo Nagumo, stavano cercando di richiudere la valigia, praticamente saltandovi sopra.
«Scusatemi» la voce di una ragazza allontanò la mente di tutti da quella situazione. «Anche voi siete del gruppo Victoria, non è così?».
Una giovane, stretta nel suo abito color bianco di zinco, li guardava con due grandi occhi castani e un sorriso gentile le incorniciava il bel volto.
Natsumi incrociò le braccia al petto e le lanciò uno sguardo sottile. «Sì, siamo diretti all’università di Stirling.
«Splendido!» disse lei, spostandosi con una mano una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. «Allora spero di poter procedere insieme a voi».
«Certo, ma potresti dirci chi saresti, per cortesia?» le chiese Aki.
«Perdonatemi, non mi sono presentata. Mi chiamo Aurora Parisi, è un piacere» rispose lei.
Nello stesso momento si udì un «Fatto!». Mark aveva finalmente chiuso la sua valigia.
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«E quindi hai due fratellini?» chiese Amora, mentre la voce era leggermente incrinata dallo sforzo impiegato per sollevare la sua valigia.
Letizia annuì, sorridendo con aria abbastanza nostalgica. «Stasera chiamo i miei genitori, così chiacchiero anche con loro».
Allontanandosi dal nastro trasportatore parlarono di tutto quello che veniva loro in mente. Era stata una bella fortuna trovarsi l’una accanto all’altra sull’aereo proveniente da Madrid. Non appena Letizia aveva notato il cappello rosso attaccato alla borsa di Amora avevano preso a chiacchierare, rendendo quelle due ore di volo decisamente più sopportabile per entrambe.
«L’uscita dei bus è di qua» disse Amora, indicando il cartello che si trovava sopra una grande porta a vetri.
«Beh, allora sbrighiamoci!» esclamò Letizia, cominciando a correre verso l’uscita.
Amora, che stava cercando di non lasciare la mano attaccata al suo enorme bagaglio nel tentativo di seguirla per lo meno a passo spedito, le urlò dietro qualcosa che l’altra ragazza non sentì.
«Che cosa?» domandò Letizia girandosi senza smettere di correre.
L’altra mollò la valigia e mise le mani a cono davanti alle labbra, per poi dire all’amica, il suono amplificato dai palmi: «Guarda dove-…».
PAM!
«…Vai» sospirò Amora, per poi andare verso Letizia.
«Scusami, scusami, scusami, scusami, scusami…» Letizia era finita addosso a una ragazza, ed ora erano entrambe a terra. La prima continuava a scusarsi mentre Amora raccoglieva le valige di una e dell’altra.
«Non fa nulla, tranquilla» la liquidò la ragazza con un forte accento francese, sistemandosi i lunghi capelli biondi. «Vedi di fare attenzione la prossima volta».
«Sì, scusami tantissimo ancora!» disse Letizia, tendendo la mano alla francese per aiutarla ad alzarsi.
«Mille, eccoti!» un’altra voce, proveniente da un corridoio a sinistra. «Qi, Lèa! Ho trovato Camille!».
Una ragazza con i capelli color latte e gli occhi verdi smeraldo si era messa a correre verso le tre.
«Non correre Katharine» gridò una giovane dai capelli grigi e i tratti orientali. «Ti fai del male!»
Katharine non le diede retta e raggiunse Camille in meno di un paio di secondi.
«Anche voi del Victoria?» chiese Amora, indicando il berretto da baseball che la quarta ragazza aveva appeso alla borsa che portava a tracolla.
Katharine annuì contenta. «Quindi dobbiamo andare tutte nello stesso posto! Grandi! Io mi chiamo Katharine Floros e vengo da Atene» si presentò.
«Io sono Jie Qiong Zhou Sanders» disse la giovane orientale sorridendo allegra. Dovette trattenere una risata agli sguardi confusi delle due spagnole. «Chiamatemi solo Qi. Vivo in America ma sono nata in Cina».
La bionda che Letizia aveva fatto cadere fece un passo avanti con le mani sui fianchi. «Il mio nome è Camille, Camille Clement. Sono francese».
«Léa Dubois, vengo dalla Svizzera italiana». La ragazza soffriva di un forte rotacismo, che rendeva, in un qualche modo, ancora più altezzoso il suo tono di voce.
Le due spagnole si guardarono e sorrisero.
«Io sono Letizia Garcìa, ma chiamatemi Leti» disse una.
«Io, invece, mi chiamo Amora Reyes» aggiunse poi l’altra.
«Siamo entrambe di Madrid» specificò la prima.
Katharine batté le mani attirando l’attenzione di tutte. «Beh, presentazioni fatte» esclamò allegra. «Ora andiamo a cercare il bus!»
Camille, camminando al seguito delle altre, si ritrovò a sbuffare. All’inizio aveva apprezzato l’entusiasmo di Katharine, soprattutto, e di tutte le ragazze -beh, quasi tutte- ma non ora lo trovava quasi irritante. Mentre faceva da coda a quella fila rumorosa e disordinata, non poteva fare a meno di chiedersi se sarebbe mai diventata amica di una di loro.
Un alito di vento le attraversò la maglietta nera senza provocarle il minimo brivido. Le grigie nuvole parevano un lenzuolo adagiato su tutta la Scozia, facendo apparire l’aeroporto ancora più freddo di quello che non fosse veramente.
Anche Léa non stava partecipando all’animata conversazione. Trasportava in silenzio i suoi bagagli, osservando le persone che affiancavano lei e le altre ragazze. Praticamente tutti gli individui che incrociavano il suo sguardo si trovavano a distogliere gli occhi, trafitti da quelle severe iridi di ghiaccio.
«Va tutto bene?» una voce distolse Léa dal suo silenzio.
Amora l’aveva affiancata e sul suo viso si era dipinta un’espressione preoccupata.
«Certamente» rispose Léa, voltandosi verso l’altra ragazza, la quale aveva rallentato per cambiare la mano con cui tenere la sua valigia. «Perché?».
«Nulla, solo… Boh, mi sembravi arrabbiata, ecco tutto» rispose Amora, scostando gli occhi da quelli della giovane svizzera e puntandogli verso i pullman, come se ne volesse davvero scegliere uno.
«Tranquilla» la liquidò Léa, accennando un sorriso. «Non sono arrabbiata e non volevo impensierirti».
Amora stava per dire qualcosa, ma una ragazza che le stava raggiungendo di corsa glielo fece dimenticare.
Poteva avere sui 25 anni, non di più. I suoi capelli erano tagliati a caschetto, di un biondo ramato, e un ciuffo ribelle le attraversava il viso. Sfoggiava un sorriso allegro come pochi ne esistevano al mondo e indossava una maglietta rossa brillante.
«Ragazze, siete del gruppo Victoria, non è così?» domandò tutta contenta. Il suo forte accento scozzese rese difficile alle ragazze capire le sue parole.
«Sì, siamo dirette a Stirling» rispose Camille per tutte.
«Perfetto!» esclamò la ragazza. «Io sono Holly, e sarò una delle vostre accompagnatrici. È una bella fortuna vedervi tutte qui riunite» e fece alle altre segno di seguirla.
Camminarono per poco, in quanto superarono non più di una decina di pullman prima di fermarsi a pochi metri di distanza da un gruppo di circa una quindicina di ragazzi.
Holly raccolse tutti i giovani in un gruppo disordinato e riuscì ad attirare la loro attenzione.
«Molto bene, ragazzi!» enunciò. «Benvenuti in Scozia! Qui passerete tre settimane all’università di Stirling, ma questo lo sapete bene. Ora ci recheremo lì, ma prima», prese dal bus una cartelletta e l’aprì, «devo fare un rapido appello per verificare la presenza di tutti. Quando chiamerò il vostro nome, alzate la mano e dite qualcosa, in maniera non letterale, possibilmente».
Alcuni si lanciarono sguardi divertiti e qualcuno sbuffò. Si erano chiaramente divisi tra chi avrebbe urlato tutto convinto “QUALCOSA!”, e chi avrebbe fatto l’essere umano normale.
«Bene, Clement Camille» iniziò Holly.
«Qui» rispose Camille, mentre una ventina di paia di occhi si voltava a guardarla. Si sistemò i lunghi capelli biondi, rendendo ancora più visibili i riflessi rosa fragola.
«Dubois Léa».
«Eccomi». Scacciò tutti gli sguardi delle persone che la stavano squadrando in un secondo, infastidita. Ci mise poco ad accorgersi che qualcuno ancora la guardava. Gli lanciò una delle occhiate più fredde che era mai stata in grado realizzare, ma niente. Ponendo ghiaccio contro ghiaccio, evidentemente l’efficacia veniva persa da entrambe le parti, visto che nessuno dei due sembrava avere intenzione di voltarsi.
«Floros Katharine».
«Eccomi qui!» esclamò Katharine, sorridendo a tutti quelli che si erano voltati verso di lei. Sembrava che quelle attenzioni le facessero piacere, dopotutto.
«Fubuki Shirou».
«Eccomi». Shirou aveva i capelli grigi-bianchi, occhi grigio-celeste, sopracciglia folte e la carnagione molto chiara. Aveva un bel viso, adornato da un sorriso dolce.
«Fudou Akio».
«Presente». Aiko aveva una cresta marrone con riflessi bianchi, mentre il resto della testa era completamente rasata. Aveva gli occhi tra il verde e il blu metallico. Sfoggiava un sorriso strafottente che faceva venire il bisogno di mollargli un cazzotto sul naso.
«Garcìa Letizia».
La ragazza, però, non sembrò sentirla. Giocherellava con i capelli e teneva lo sguardo perso il qualcosa, o… forse qualcuno. Amora le mollò una gomitata nel tentativo di riscuoterla. «Oh? E-eccomi!» balbettò, e praticamente tutti quanti ridacchiarono. Amora le mise una mano sulla spalla, vedendo che Letizia abbassava la testa, in modo che la frangia coprisse i suoi occhi ambrati.
«Gouenji Shuuya».
«Sono qui». Shuuya portava capelli biondo chiaro fissati verso l’alto in un’acconciatura abbastanza appariscente e aggressiva, aveva occhi a mandorla scuri e la carnagione olivastra. Il suo sguardo serio passava lentamente da una persona all’altra, soffermandosi su una in particolare, per poi mettere le mani in tasca con un sorriso.
«Kazemaru Ichirouta».
«Eccomi». I suoi capelli erano lunghi e di un colore fra il grigio e l'azzurro, li portava legati con un codino rosso. «Okay, è troppo figo» aveva sussurrato Katharine, rendendo possibile solo alle poche ragazze che la circondavano e facendole ridacchiare.
«Kidou Yuuto».
«Sono qui». Era un ragazzo con capelli marroni chiaro rasta, legati dietro la testa. I suoi occhi erano nascosti da un paio di occhiali da aviatore.
«Kino Aki».
«Qui». Aki sorrise, sistemando la molletta che le teneva su il ciuffo di capelli verde scuro.
«Kiyama Hiroto».
«Eccomi». Aveva occhi di un colore simile al verde-azzurro e a mandorla, i capelli color rosso acceso davano una grande vitalità al suo volto gentile.
«Kudou Fuyuka».
«Presente». Era una ragazza con i lunghi capelli viola e due grandi occhi azzurri e blu, con un sorriso gentile sulle labbra.
«Endou Mamoru». Mentre pronunciava questo nome, il sorriso di Holly si allargò.
«Presente!» esclamò un ragazzo con capelli castani coperti da una fascia arancione. Aveva gli occhi tra il nero e il castano.
«Midorikawa Ryuuji».
Il ragazzo accanto a Hiroto alzò la mano. I suoi occhi erano scuri e a mandorla e portava i capelli verde pistacchio raccolti in una coda alta.
«Nagumo Haruya».
«Sono qui» disse una voce annoiata. Era un ragazzo con folti capelli rossi che prendevano la forma di uno pseudo-tulipano, e occhi gialli. Come Aiko, anche lui sfoggiava un ghigno da schiaffi in faccia.
«Otonashi Haruna».
«Qui». Portava i capelli corti e di colore blu, i suoi occhi erano color grigio, non coperti dagli occhiali che erano, invece che sul naso, sulla fronte.
«Aurora Parisi».
Ad alzare la mano era una ragazza veramente bella. Aveva capelli sono di un castano molto chiaro, quasi tendente al biondo, e i tratti del viso molto dolci. I suoi occhi scuri sembravano brillare, mentre, con l’angolo destro della bocca leggermente sollevato, tutti la guardavano. Se Katharine era contenta delle attenzioni, lei pareva crogiolarvisi.
«Raimon Natsumi».
«Eccomi». Era una ragazza dagli occhi arancioni e lunghi capelli marroni ondulati con la riga al centro che le arrivavano a metà schiena.
«Reyes Amora».
«Qui» rispose Amora. Cercò di abbozzare un sorriso mentre gli altri la guardarono, sentendosi, però, veramente a disagio.
«Sanders Jie Qiong».
«Eccomi qui». Qi, guardando gli alti dal basso all’alto, non si sentiva minimamente assoggettata dalla situazione. «Chiamatemi Qi».
«Someoka Ryuugo».
«Qua». Era un ragazzo alto e di pelle scura. Aveva i capelli rosa corti e un neo sotto l'occhio sinistro.
«Suzuno Fuusuke».
«Sono io». Era un giovane alto e snello, con una folta chioma di capelli bianco-grigi mossi. I suoi occhi erano azzurro ghiaccio e sembravano aver iniziato una guerra con Léa.
«Molto bene» esclamò Holly, chiudendo la cartelletta. «Ci siete tutti. Ora tutti sul bus, ma…» e fece un sorrisetto tra il malvagio e il divertito. «Sarò io ad assegnare i posti».
Pochi minuti dopo erano tutti ai propri posti sul pullman, tranne una persona.
«Scusa Nagumo-san, potrei mettermi io accanto al finestrino?».
Lo sguardo divertito che Haruya lanciò ad Aurora fu seguito da un grande errore: «Ma certamente, principessa.» e si alzò. «Vuoi anche un tappeto rosso per fare la sfilata?».
«”Principessa”? Tua di certo, mio caro» rispose a tono, prendendo un’espressione sarcastica e infastidita, e si sedette. «Cerca solo di stare in silenzio, non mi hanno mai attirata i belati delle pecore».
Il grido molto da Thug life che si alzò dagli altri, fu seguito da una sincera risata.
«Ragazzi, ragazzi!». Holly richiamò la calma con un bel po’ di fatica. «Cercate di rimanere seduti, se qualcuno di voi sta male ditemelo e… Basta. Ah, sì, poca confusione, se riuscite».
 
 
Angolo mio! (Ragazzi, questo manco lo barro. Se mi sono dimenticata qualcuno ditemelo, perché ci scommetto che è successo.)
Allora, questo capitolo doveva uscire ieri l’altro, ma il Wi-Fi ha smesso di funzionare in casa mia tipo mezz’ora prima che io finissi di scrivere il capitolo. Ora, non è un capitolo chilometrico, ma ho scoperto parecchio recentemente che il mio modo di scrivere è ESTREMAMENTE sintetico, quindi… Avete capito.
Allora, parlando delle Oc che mi avete mandato:
Ringrazio tantissimo tutte quante per la partecipazione. Ma ora, non so se ho dato la giusta idea riguardo a loro.
Come capitolo introduttivo dei personaggi (che poi anche il prossimo servirà a quello, ma sarà un po’ più approfondito) è abbastanza semplice, ma il capitolo 3 servirà a quello (ecco, appunto).
Ora vi lascio, anche perché altrimenti questo capitolo non esce più.
Alla prossima.
∼Alix
   
 
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