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Autore: WhiteLight Girl    30/07/2019    3 recensioni
A Yokohama sembra una notte come tante, fino al momento in cui uno strano blackout lascia al buio Akira e i suoi amici. Ma assieme alla maggior parte delle luci della città sono scomparse anche centinaia di persone e quindi Akira, Ryuichi ed i loro Digimon iniziano a cercare chi è rimasto e poi, soprattutto, a tentare di capire cosa sia successo.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Akira dovette coprirsi una mano per trattenere una risata, Ryuichi si voltò riprenderlo. «Non ridere.» poi tornò a prestare attenzione a Gottsu. «Qual è il problema?» gli chiese. Anche se Gottsumon cadeva spesso Ryuichi non aveva perso l’abitudine di chiederglielo, anche se il più delle volte non otteneva alcuna risposta.

Il Digimon fece girare la testa in cerchio, quasi come se facesse fatica a mantenerla ferma sopra al piccolo collo. «Puzza.» disse.




VIRUS
2
SPARIZIONI PER LE STRADE DI YOKOHAMA (p.2)





Tutte le volte che Akira aveva visto Gottsumon fare così c’era stato un Digimon di mezzo. Era come se qualcosa nella sua testa scattasse ed avesse bisogno di comunicare a chi era con lui che non erano più soli e, forse, anche che non era certo se fosse amico o nemico. Quando accadeva si agitava finché il Digimon avvertito non si palesava e dimostrava le sue intenzioni.

Akira portò una mano alla cintura e premette le dita sul Digivice, un’abitudine che con il tempo ognuno di loro aveva preso e che non riuscivano a togliersi, data dalla sicurezza che in caso di attacco sarebbero stati pronti a difendersi. Ryuichi, al suo fianco, fece la stessa cosa.

Si strinsero l’uno all’altro, anche restare uniti era un riflesso comune, sapevano bene che non essere soli era un vantaggio, e Ryu inclinò il capo e tese la zampa verso Gottsu.

«Cosa puzza?» gli domandò.

Gottsu non rispose.

«Cosa puzza?» chiese ancora Ryu.

Akira percepì Ryuichi irrigidirsi al suo fianco, poi tendersi verso il proprio Digimon, che afferrò Ryu per le zampe e lo scosse. «Quello che puzza!» esclamò Gottsu.

Akira non aveva idea di come fargli comprendere il fatto che questo non spiegava assolutamente nulla. Guardò Ryu, che aveva il muso sollevato ed annusava forte l’aria. Lo imitò, scoprendo di non sentire né la puzza di cui Gottsu parlava, né tantomeno il profumo frizzante caratteristico del parco di notte.

Lui e Ryu si scambiarono uno sguardo, il Digimon scosse la testa e Akira scrollò le spalle in risposta, fu allora che vide entrambi i Digimon scattare di colpo sull’attenti e mettersi all’erta. La mano era ancora stretta attorno al Digivice.

«Non sento nessuna puzza. Sento dei rumori, però.» disse Ryu. Akira gonfiò le guance e tese le orecchie, certo che c’erano dei rumori, visto che si trovavano in un parco nel centro della città; grilli e cicale innanzitutto, poi non si poteva sfuggire ai suoni della città, alla musica dei locali, ai rombi del motore delle auto, alle sirene della polizia. Solo che quei rumori erano assenti, non c’era neppure il fischio del vento.

C’erano dei mugugni, dei sospiri, dei singulti strozzati e dei ticchettii tanto lievi quanto vicini a dove si trovavano loro, ma erano gli unici suoni che Akira riuscisse a sentire nella notte. Si diede dello stupido per non avere notato nulla di tutto ciò fino a quel momento, persino i loro respiri erano rumorosi come lo scoppio di un cannone.

Ryu si rizzò sul posto, gli occhi fissi verso il limitare del boschetto, dove i cespugli nascondevano loro da chi passeggiava per il parco ed il viottolo ai loro occhi.

«Vado a controllare» disse. Akira si affrettò a seguirlo, tese il braccio per fermarlo, ma il Digimon lo precedeva già di qualche metro.

«Ryu, stai attento.» si raccomandò.

Lui ribatté senza voltarsi: «Lo sono sempre.»

Si fecero largo a bracciate tra la sterpaglia, Akira rischiò un paio di volte di inciampare sulle radici e scivolare sul muschio fresco, Ryuichi li accompagnò senza esitazione, stringendo il braccio di Gottsu per tenerlo in equilibrio e non perderlo.

Le foglie e l’erba secca scricchiolarono sotto i loro piedi; si erano allontanati dal viale quel tanto che bastava per non essere visti, ma la strada per uscire dal boschetto gli parve ancor più breve. Seguirono i grugniti fino al piazzale e, prima di poggiare i piedi sul sentiero, scorsero il gruppo di Digimon ammucchiati alcuni metri più in là.

Nonostante la luce del lampione li colpisse in pieno Akira fece fatica a distinguerli gli uni dagli altri, perché loro si spingevano a vicenda, si aggrappavano e graffiavano facendo scattare le mascelle come molle per azzannare qualcosa che era intrappolato nel mezzo. Akira non riusciva a capire di cosa si trattasse, i Digimon erano un unico grumo confuso, i loro corpi si contraevano ed i loro muscoli guizzavano mentre loro si tendevano in avanti.

Fu solo quando dal centro del gruppo si liberò un grido di dolore che riuscì a intravedere la figura intrappolata nel mezzo, troppo oscurata dagli altri per essere riconosciuta.

Akira storse il naso e strizzò gli occhi, una sensazione di inquietudine gli montò dentro e gli fece tremare le ginocchia. «Ehi!» gridò, ma i Digimon parvero non sentirlo, allora Ryu corse loro incontro e ne spinse via due, Akira allontanò gli altri con due calci ben assestati.

Una volta libero, il Gabumon che fino ad allora era rimasto rannicchiato tra gli aggressori non sembrò poi così piccolo; aveva tracce di morsi sulle braccia e sul muso, segni dei denti marcati dove la pelle si dissolveva a tratti per poi ricomporsi.

Finalmente Akira riuscì a vedere che Digimon fossero gli altri, i cinque Agumon ringhiavano con lo sguardo spento; due di loro si accucciarono e si tesero verso Ryu, Gottsumon prese una rincorsa e spinse via uno di loro con una testata, lo sbatté contro uno degli altri e li gettò entrambi a terra. Gli altri tre continuavano a guardare il Gabumon, allora Akira strinse i pugni pronto a difenderlo, ma Ryuichi lo precedette colpendone uno alla testa con un ramo.

«Si può sapere che cazzo vi prende?» domandò, ma loro lo ignorarono.

Akira li guardò ad occhi sgranati mentre loro cercavano di aggirare Ryuchi per raggiungere Gabumon, allora lo afferrò e lo trascinò via da loro, verso il punto da cui erano sbucati appena pochi secondi prima, e lo adagiò sull’erba. Il Digimon gemette tra le sue braccia e dischiuse il muso rantolando.

Ryuichi agitò il bastone per tenere lontani altri due Agumon, poco distante Gottsu e Ryu cercavano di non farsi mordere dagli altri, che schiudevano le mascelle e tendevano i musi verso di loro di continuo.

Akira corse da loro, afferrò uno degli Agumon alle spalle, lo immobilizzò per le braccia e si voltò verso Ryu, lo strinse forte per non farlo scivolare dalla sua presa ed impedirgli di azzannare Ryu, ma quello continuava imperterrito a provare, come se a muoverlo fosse solo il puro istinto di azzannarlo.

Parte della mente di Akira, quella più ragionevole, si diceva che doveva esserci una spiegazione perfettamente razionale per ciò che stava vivendo, l’altra continuava a ripetergli “Zombie” all’infinito proprio nell’orecchio, cancellando ogni altra ipotesi.

«Colpiscilo.» disse a Ryu, ma lui esitò.

«Non voglio fare male ad un Digimon innocente.» rispose lui. Akira strinse la presa, scrollò l’Agumon e insisté: «Ti pare innocente?»

Ryu fece per rispondere, ma Gottsu si frappose fra lui e il Digimon e caricò un pugno.

«Hardest Punch!» gridò. Colpì il Digimon in pieno petto, la forza del contraccolpo scagliò lui e Akira per terra facendoli scivolare sul lastricato. Il Digimon si dissolse tra le braccia del ragazzo, lasciandolo steso sul selciato, dolorante e a mani vuote.

«Ow.» gemette Akira. Rotolò sulla pancia e premette una mano sui ciottoli per spingersi in piedi, vide Ryu ringhiare contro Gottsu.

«Ehi! Quello è il mio domatore!» disse Ryu. Aveva i denti scoperti, il pelo ritto sulle zampe mentre era chino in avanti in posizione d’attacco.

Gottsu, invece, parve non avvertire la sua rabbia.

«Mio domatore!» ripeté.

Guardò Ryuichi senza degnare Akira neanche di uno sguardo, poi passò oltre e si scagliò contro il più vicino degli altri Agumon, questo diede ad Akira il tempo di scambiare un’occhiata con Ryu, che sbuffò. L’altro Agumon gli si stava avvicinando piano, le zampe tese, pronto ad artigliargli le spalle, Ryu si voltò e lo colpì forte, bastò quello a distruggerlo, poi Gottsu eliminò gli altri tre con altrettanta facilità.

Rimasero fermi nel piazzale per qualche secondo, a riprendere fiato ed a godere del silenzio e della pace ritrovati, i cuori che battevano forte pompando il sangue nelle orecchie. Erano stanchi, carichi di adrenalina ed incapaci di riordinare il flusso dei pensieri che scorrevano in pieno caos nelle loro teste. Si lanciarono attorno diverse occhiate, il timore che qualcos’altro potesse spuntare dall’ombra era latente e poi c’era quello strano silenzio, quella oscurità che, oltre la piccola oasi in cui si trovavano, pareva avere ingoiato la città.

Il Gabumon gemette sofferente, riportandoli inevitabilmente alla realtà, Akira si inginocchiò al suo fianco e gli strinse la zampa, tutti aspettarono che riuscisse a dire qualcosa. Lo videro stringere denti e palpebre e cercare di rannicchiarsi su sé stesso, incapace di gestire il dolore. Non sembrava avere la forza per continuare ad esistere e Akira lo percepì perdere consistenza sotto la sua stretta. Spinse i palmi contro la sua pelliccia ruvida per fargli sentire la sua presenza, come se questo potesse aiutarlo a non crollare, Gottsu gli posò una mano sul capo, Ryu scivolò più vicino e Ryuichi strinse i pugni. Akira avrebbe voluto scusarsi per non essere arrivati prima a salvarlo, per non essere riusciti a percepire prima il pericolo, ma sapeva che non avrebbe avuto senso. Vide i dati di lui oscillargli attorno al corpo, la sua forma dissolversi a tratti per poi ricomporsi, lo vide strizzare gli occhi per lo sforzo di non cedere e stringere la mascella in preda al dolore.

Forse, pensò per un momento, non si dissolverà.

Il Gabumon ebbe un fremito, riaprì gli occhi e li guardò, ma in quel momento il suo fu lo stesso sguardo degli Agumon che avevano affrontato poco prima. Si sporse in avanti per mordere Gottsu, Ryuichi scattò in piedi ed arretrò trascinandosi dietro il suo Digimon, Ryu lo colpì prima che Akira potesse rendersi conto di quello che era accaduto. I dati del Gabumon si dispersero davanti agli occhi sgranati del ragazzo mentre il cuore tornava a battergli in gola ancora più forte di prima.

Ryuichi rimase fermo al suo fianco, tremante, stringeva il suo Gottsumon tenendolo sollevato da terra, lui non protestava.

«Che cazzo è successo?» domandò

Akira deglutì, ciò che aveva visto era come impresso nella sua mente, rivide quelle immagini sovrapposte a ciò che aveva davanti in quel momento, risentiva quei gemiti e quei grugniti mentre il suo cervello ne riportava altri alla memoria.

«Io non vorrei dire qualcosa di stupido, ma…» iniziò. Non concluse quel pensiero, non ce n’era bisogno, aveva visto decine, se non centinaia di film dell’orrore in cui troppo tardi si riusciva a capire cosa esattamente stesse succedendo. Non erano in uno di quei film, pensarci sembrava folle, essere arrivati subito a quella conclusione avrebbe potuto essere la ragione più grande per accantonarla.

«Non dirlo. Non dirlo neanche per scherzo.» disse Ryuichi, ma la testa di Akira continuava a ripetere “Zombie” ancora più forte di prima.

Fu Ryu a riportarlo alla realtà con una pacca sulla spalla.

«Togliamoci da qui.» disse.

Ryuichi annuì, pallido in volto, e mise giù Gottsu. «Andiamo a casa mia.» propose.

Akira seguì lui e Gottsu fuori dal parco, in strada non trovarono nessuno. La mancanza di sangue e cadaveri lo costrinse a trattenere la fantasia; senza alcuna traccia di zombie e morte di certo la risposta a ciò che stava accadendo doveva essere un’altra. Eppure, solitamente, quella era una strada trafficata, c’erano sempre decine di auto parcheggiate accanto al marciapiede, più i motorini dei ragazzi che si appartavano nel parco o nei dintorni. Era tutto svanito, o almeno così sembrava mentre i quattro camminavano fianco a fianco ben attenti a non lasciarsi sfuggire il minimo rumore. E presto fu sicuro che non c’era alcun respiro a parte i loro, nessun passo di un piede o una zampa fuori dal loro gruppo, nessuna luce che provenisse dalle case e dai locali più vicini a loro o da quelli più lontani.

Nonostante passassero la maggior parte delle loro serate lì nei dintorni, non si erano mai addentrati nei locali che circondavano il parco, quasi non ne conoscevano neppure la posizione.

Camminando, Ryu si sporse per scrutare dietro ogni angolo, la città sembrava spaventosa e opprimente.

Si tennero distanti dall’ombra delle fronde, per timore che qualcosa potesse saltar fuori ed aggredirli, le stelle nel cielo sembravano essersi spente, non c’era più traccia della luna o delle nuvole e la solitudine di quel paesaggio familiare così diverso dal solito sembrava quasi irreale, ma per fortuna il cielo si era schiarito rendendo visibile la strada davanti a loro in quella che altrimenti sarebbe stata un’oscurità totale. Era come se il sole stesse sorgendo, o forse come se fosse appena tramontato, tingendo tutto di quel blu chiaro che in una giornata normale avrebbe lasciato presto il posto alla notte.

«Credi che dovremmo vedere se le persone in giro stanno bene?» chiese Akira. Ripensò a suo fratello, ai propri genitori, a tutte le persone che conosceva e che forse in quel momento si trovavano nella sua stessa situazione, sole e sperdute, senza la minima idea di cosa stesse accadendo a Yokohama.

Gottsu gli lanciò un’occhiata confusa. «Quali persone?»

Fermandosi sul marciapiede, Akira deglutì e guardò, solo per abitudine, a destra e sinistra prima di attraversare, poi corse dall’altra parte della strada. E picchiò forte sulla porta del primo locale che si trovò davanti. Nessuno gli rispose e quando cercò di aprirne la porta quella rimase bloccata come se fosse incollata alla parete.

Ryuichi provò nel tabacchino accanto, l’unico posto in cui, una volta, era riuscito a trascinare Akira per acquistare un pacco di sigarette. Restarono tutti e quattro in silenzio mentre dischiudevano la porta e sbirciavano all’interno.

Rimasero sorpresi nello scoprire che le luci erano accese e gli scaffali carichi di merce anche se nessuno era dietro il bancone per venderla.

«Vuoi vedere il retro?» domandò Akira a Ryu.

Lui scosse il capo e annusò l’aria. «Qui non c’è nessuno, è come se non ci fosse mai stato. Non sento nessun odore.»

Akira vide Ryuichi grattarsi il mento, confuso quanto lui. Per un momento ebbe la tentazione di alzare la voce per chiamare qualcuno, chiunque potesse rispondere, solo per vedere se avrebbe avuto risposta. Un’idea simile, in un film, non avrebbe funzionato nel modo sperato.

«Togliamoci dalla strada.» disse Ryuichi.

Ad Akira parve subito una buona idea, annuì e prese fiato mentre realizzava che l’unica volta che era entrato in quel posto era rimasto colpito dal miscuglio di profumi di caramelle e tabacco che ora sembrava totalmente scomparso.

Seguì Ryuichi di nuovo in strada e sia lui che i due Digimon dovettero alzare il passo per stargli dietro.

«Dovremmo aspettare domani, per muoverci.» disse Ryu.

Ryuichi lo ignorò, non era mai stato bravo ad accettare ed ascoltare i consigli. Si spostarono nella corsia centrale, visto che nessuno sembrava essere lì per investirli, e camminare vicino a porte e finestre dietro cui avrebbe potuto nascondersi qualunque cosa non sembrava la migliore delle idee.

«Hai mai visto quel film in cui tutti spariscono e restano solo quei pochi che erano illuminati durante il blackout?» chiese Akira. Passò una mano tra i capelli e tossicchiò. «Cioè, mi sono spiegato da schifo, comunque hai capito di quale parlo, vero?» Ryuichi annuì a capo chino.

«Le luci sono accese.» gli rispose.

«Sì, ma la gente è sparita comunque.» gli fece notare Akira.

Ryuichi fece schioccare la lingua, così Akira si sforzò di restare in silenzio e sfilò il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni. Tentò di sbloccarlo, ma lo schermo rimase nero e non diede segni di vita.

«Morto.» concluse.

Ryuichi afferrò il suo e lo controllò. «Anche il mio.»

Akira non era mai stato a casa di Ryuichi, quindi dovette seguirlo senza fare domande fino a quando abbandonarono le strade principali per infilarsi in uno dei quartieri di villette indipendenti. La strada si strinse e la luce dei lampioni iniziò a proiettare a tratti le loro ombre sull’asfalto. Tutte le luci delle case che avevano davanti erano spente, a parte quelle di una. Distava diverse decine di metri, era quasi prima dello svincolo, Ryuichi puntò dritto verso quella, alzando il passo e quasi rischiando di seminarli.

Akira lo seguì, con Ryu e Gottsu alle calcagna, e Ryuichi dischiuse il cancelletto ed attraversò il vialetto con la chiave in mano. Una volta che ebbe aperto la porta principale, Akira e gli altri l’avevano raggiunto.

Come accadeva spesso, nella testa di Akira si avvicendarono gli scenari più assurdi, nella maggior parte di quelli venivano aggrediti appena varcata la soglia da un mostro nascosto nell’armadio accanto all’ingresso.

«Troppo comodo che sia l’unica casa accesa, giusto?» domandò a Ryuichi. Appena varcata la soglia guardò immediatamente nella direzione in cui aveva immaginato essere l’armadio, trovandovi solo uno specchio ed un portaombrelli in cui avrebbe potuto nascondersi solo un gattino.

Mi faccio davvero troppi filmini mentali. Si disse. Ma il pensiero di un ipotetico gattino mannaro rimase impiantato nella sua testa come un seme in attesa di germogliare. Magari ci scrivo una storia, ma ora non è il momento di pensarci. Mise da parte l’idea, trovandola immediatamente e totalmente fuori luogo.

Il corridoio che avevano davanti portava alla scala per il piano superiore e voltava a sinistra subito dopo una porta chiusa.

«Qui c’è qualcuno» gli disse Ryu.

Ryuichi, che stringeva ancora il ramo con una mano, lo sollevò e lo strinse avanzando e tendendo le dita per afferrare il pomello ed aprirlo, ma appena prima che riuscisse a sfiorarlo la porta si spalancò e lui urlò, calando il ramo per colpire qualunque cosa ci fosse dall’altra parte.

Akira percepì il movimento rapido, indietreggiò e registrò l’immagine che aveva davanti con qualche frammento di secondo di ritardo, quando riconobbe Tadao ebbe il dubbio che Ryuichi l’avesse colpito, ma poi realizzò che lui aveva strappato dalla mano del fratello il ramo con un gesto stizzito. Ora li guardava perplesso.

«Che cavolo t’è preso?» gli chiese. Aveva gli occhi arricciati e tratteneva malamente una risata. «Pensavi che ci fossero entrati i ladri in casa?»

Ryuichi gli diede uno spintone, lo afferrò per il colletto e lo strattonò.

«Stavo per ammazzarti.» gli disse.

Poi Tadao colpì Ryuichi alla testa con una manata. «T’ammazzo io se non mi dici che t’è preso.» ribatté.

Akira inspirò forte, non era ancora successo nulla di irreparabile, a parte la morte del povero Gabumon e ciò che era successo agli Agumon, e trovare qualcun altro, anche se si trattava di una sola persona, lo faceva sentire meglio ed anche un po’ stupido, per via dei pensieri che aveva avuto.

Davanti a lui, Ryuichi batté il piede per terra e spalancò le braccia come a dire “Ecco! Succede tutto! Non vedi?”.

«Non hai visto fuori che cavolo sta succedendo?» domandò. Tadao lo fissò. «Visto cosa? Giocavo ai videogiochi in camera mia, prima che mi si sfasciasse tutto.»

Guardò Akira ed inclinò il capo, poi spiegò pazientemente: «Pensavo se ne fosse andata la corrente e sono andato a controllare, ma le luci si sono accese.»

Ryu guardò Akira di sottecchi. «Solo in questa casa.»

Tadao incrociò le braccia, scettico.

«Davvero?» chiese.

Akira annuì, ma lasciò che fosse Ryuichi a finire di spiegare.

«Ecco la novità, genio, la luce non se n’è andata, ma le persone sì!»

«Se ne sono andate?» domandò Tadao.

Akira non poteva negare che potesse sembrare tutto uno scherzo, ma l’aveva visto con i suoi occhi.

«Sai il negozio vicino al parco? È deserto, tutto acceso ma senza nessuno all’interno.» spiegò.

«Come nel film Vanished.» concluse Tadao, ma sorrideva quasi come se la cosa lo eccitasse.

«È quello che ho detto io!» ribatté Akira. Non riusciva ad esserne entusiasta, perché sapeva che trovarcisi all’interno non sarebbe stato per nulla piacevole. Eppure sorrise, felice di non essere l’ultimo essere umano a parte Ryuichi, perché per quanto fossero diventati amici negli ultimi mesi non era certo di poterlo sopportare solo lui per il resto della sua vita. Deglutì, al pensiero che potessero esserci altre persone rimaste da sole nell’oscurità.

Fu Tadao ad esprimere per primo quella preoccupazione che su Akira non aveva ancora fatto presa, a dire: «Aspetta. Mamma e papà erano a casa e ora non ci sono più.»

«Sei la prima persona che incontriamo da quando abbiamo lasciato il parco.» gli confessò Ryuichi.

Akira si morse il labbro, strinse tra le mani il cellulare e cercò di accenderlo, ma non vi riuscì. Lo scosse violentemente e lo sollevò in aria senza staccare gli occhi dallo schermo nero.

«Credevo che aveste già appurato che non funziona.» disse Ryu, si arrampicò sul bracciolo e si sedette sulla spalliera del divano per arrivare alla sua altezza, sporgendosi per scrutare lo schermo.

Akira mise via il telefono e prese il Digivice. «Speravo che il problema si fosse risolto.»

Attivò il localizzatore del Digivice, aspettando che quello inquadrasse la zona e visualizzasse le strade attorno alla casa.

«Non visualizza la mappa della zona.» disse con un rantolo. Scosse il Digivice come se questo potesse risolvere tutto.

Tadao lo guardò e sospirò. «Calmati, se qualcuno ci si avvicinerà lo sapremo.»

Akira agitò il capo, non poteva rintracciare i suoi genitori, suo fratello ed i suoi nonni perché la linea telefonica sembrava non esistere più, ma avrebbe potuto provare a raggiungere le altre persone che conosceva e sapeva avessero un Digivice, se solo il suo glielo avesse permesso.

«Non sono preoccupato per quello.» ribatté Akira.

Ryu saltò giù dal divano, Akira capì che anche lui aveva avuto lo stesso pensiero, che probabilmente ci era arrivato prima di lui e di sicuro aveva già avuto tutto il tempo per rassicurarsi del fatto che sarebbe andato tutto bene. Akira, invece, era ancora in pieno panico dubitava che gli sarebbe passato tanto presto. «Dobbiamo trovare Ayano e Fiamma, possiamo individuarle grazie al localizzatore.» disse. Si diresse verso la porta, non controllò neanche se Ryu lo stesse seguendo, ma Ryuichi lo afferrò per il braccio e lo bloccò. Intanto, Tadao sembrava ripiombato nella confusione più totale.

«La sua amica ed il suo Digimon.», spiegò Ryuichi, poi tornò a rivolgersi ad Akira. «Non sai neanche se è ancora qui, potrebbe essere sparita come gli altri.»

Akira strinse i pugni. «Il pensiero che possa essere stata presa dagli alieni non mi tranquillizza affatto.»

Ryuichi sbuffò, un lieve sorriso gli increspò le labbra. «Nessuno ha parlato di alieni.» disse. «Sul serio, su che pianeta vivi?»

«Su quello dove sono apparsi Digimon Zombie ed è sparita la maggior parte della popolazione.» gli ricordò.

Non sapeva se ad innervosirlo fosse più il fatto di non sapere cosa fosse successo oppure l’atteggiamento di Ryuichi, ma per un momento ebbe voglia di prenderlo a pugni solo per sfogarsi.

Tadao poggiò un braccio sulle spalle di entrambi e sorrise, quel tocco fu tanto leggero da far morire la discussione ed attirare l’attenzione di entrambi, mentre Gottsu rimaneva ancora in disparte e si nascondeva dietro Ryu.

«Ascoltatemi, io ho una teoria, ma per confermarla dobbiamo cercare altri esseri umani e Digimon, quindi possiamo cominciare da lei.» propose. Scambiò un’occhiata eloquente con Akira, che per un attimo sentì il peso sul petto allentarsi solo per essere sostituito da un tipo d’ansia diversa.

Che faccio se non le trovo? Se lei e Fiamma non ci sono?

«Prendo la giacca.» disse Tadao. Gli batté una mano sulla schiena per confortarlo, ma non funzionò. «McQueen dovrebbe essere di sopra.» disse a Ryuichi.

Akira lasciò che Tadao sparisse di nuovo in salotto, poi Ryu lo scrollò e gli indicò le scale. Seduto sul gradino più alto, a fissarli assorto con un sorriso sghembo, stava un Elecmon dall’aria divertita.

«È svampitello per essere un domatore, sei sicuro che non vuoi rispedirlo indietro come difettoso?» domandò a Ryu.

   
 
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