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Autore: sissi MIKA    03/08/2019    0 recensioni
“Rimani come sei. Insegui il tuo destino perché tutto il dolore che hai dentro non potrà mai cancellare il tuo cammino”
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Regina Mills, Robin Hood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Allora Dottore! Il bambino è forte?” dissi con non poca preoccupazione. Dopo aver sorriso il dottor Stranamore, come mi piaceva chiamarlo, mi disse che il frugoletto era forte e sano come un pesce. “Fantastico, quando ci rivedremo?”. “Credo che tra tre settimane ci possiamo rivedere. Poi, comunque, ci aggiorneremo meglio più avanti.” mi rispose il dottor Smith. Lo ringraziai e feci per andaremene, ma mi blocco afferrandomi per il braccio, mi fece girare e mi disse con un sorriso imbarazzato “Non dimenticarti le chiavi di casa, Silvia”. Afferrai le chiavi e risposi “Non dimentico la testa perché ce l’ho attaccata al collo”. Contenta uscì dalla clinica per dirigermi a casa. 
La strada verso casa non era molto lunga, tuttavia ci misi mezz’ora perché continuavo a guardarmi in giro. Era primavera e il vento che mi scompigliava i capelli era una sensazione alquanto piacevole. Dopo tanto tempo ero finalmente rilassata, sorridevo e mi sento leggera - non che il mio pancione di cinque mesi mi aiutasse - però ero felice. Mi fermai addirittura a prendere un gelato, rigorosamente pistacchio e cioccolato, per placare un po’ le mie voglie. 
Appena messo piede in casa mi tolsi immediatamente i tacchi e mi misi qualcosa di più comodo. Vestirmi elegantemente era una cosa che avevo ereditato dalla mia madre adottiva Regina. Si! Sono figlia adottiva di Regina Mills e Emma Swan, nonché sindaco e sceriffo di Storybrooke, nonché la Regina Cattiva e la Salvatrice. Mi hanno adottato quando avevo poco più di qualche mese, i miei genitori biologici mi avevano abbandonato davanti al cancello di un orfanotrofio e immagino, o almeno è quello che penso sempre, che siano partiti per Las Vegas o Montecarlo a cercare un po’ di fortuna e magari finendo le serate ubriachi vomitando in qualche squallido hotel. Sono pur sempre uno scorpione, la vendetta la ho nel sangue. 
Dopo essermi cambiata, mi stendo un po’ sul divano e prendo in mano un libro, meglio dire il libro: Cime Tempestose, il mio preferito. Accendo anche lo stereo mettendo un po’ di musica di sottofondo e inizio a leggere. Il pomeriggio passa velocemente. Alle 7:30 di sera decido di alzarmi e mi dirigo in cucina per vedere cosa posso preparare per cena. Non avendo nulla in casa a causa del mio lavoro da assistente alla regia, decido di ordinare una pizza. Fortunatamente il quartiere italiano Little Italy di New York dista 15 minuti in macchina da casa. Alle 8:15 sono seduta ancora sul divano e sto guardando una commedia mangiando pizza. La serata si prospetta bene. 
Dovendo andare a lavorare il giorno dopo, alle 10:30 ero già stesa nel letto con addosso la mia camicia di seta. Prima di addormentarmi pensai alla mia vita: la felicità che la mia famiglia mi ha dato durante i miei 25 anni; la scelta di inseguire il sogno della mia vita - diventare regista - che mi ha portata fino a New York per seguire la produzione di un film. Solo un anno prima mi trovavo a Storybrooke; un giorno inaspettato mia madre Regina mi aveva chiamato tutta emozionata e mi aveva annunciato che mi avevano preso come assistente alla regia per seguire il lavoro di un vero regista. Emozionata era partita per New York e ora eccomi qui, in una casa piccola ma accogliente con il lavoro della vita tra le mani e ancora mille sogni da inseguire. E cosa più importante, un piccolo esserino sta crescendo dentro di me. 

Alle 5:30 giunge alle mie orecchie la canzone “I’ll be there for you”, sveglia perfetta per ricordami l’infanzia che ho passato stesa sul divano a guardare Friends. Mi alzo velocemente perché sono veramente felice, mi vesto con qualcosa di comodo ma non troppo causal, sono pur sempre una Swan-Mills, anche se qui a NY a nessuno interessa. Mando un messaggio alle mie madri avvisandole di non chiamare perché non avrei risposto. Non avendo voglia di prepararmi un caffè, prendo la borsa ed esco di casa per dirigermi prima da Starbucks per il mio Caffè Mocha e poi direttamente sul set. 
La mattinata passa piacevolmente tra riprese e consigli dati agli attori, finché non decido di dirigermi alla mensa per pranzare e lo vedo. È seduto da solo a un tavolo in mezzo alla sala a mangiare il cibo della mensa e per i miei gusti è troppo pensieroso. Vedo anche August, il mio migliore amico, così mi dirigo da lui, lo prendo sottobraccio e faccio per andare dalla parte opposta di dove è seduto Lui. Poso il mio vassoio e faccio in modo che con lo sguardo possa vederlo, ma che sia comunque nascosta dalle spalle larghe dello scenografo davanti a me. Si esatto, August è uno scenografo della serie tv che stiamo girando. È in grado di costruire un scenografia pazzesca solo con l’ausilio delle sue magiche mani - avrà preso sicuramente da suo padre Geppetto. 
Dopo solo 15 minuti abbiamo finito di pranzare tra chiacchiere, risate e occhiate oltre le spalle del mio amico, così decidiamo di alzarci e ci dirigiamo sul set. Il pomeriggio prosegue molto più lentamente di quanto mi aspettassi. Sono costretta a interagire con Lui, poiché cameraman di punta dello show. Ci limitiamo a scambiarci giusto qualche battuta, lo stretto necessario per andare avanti con il lavoro. Infondo dobbiamo essere professionali per fare bella figura con il regista e soprattutto avere maggiore credito per ambire al ruolo di regista e non semplice assistente per me. 
Una volta finite le riprese, faccio per andare, ma mi ferma prendendomi la mano. Un brivido percorre la mia schiena a quel contatto e maledico il mio corpo traditore per reagire così ogni volta che il suo corpo tocca il mio. Il contatto mi fa congelare il sangue nelle vene e dopo un secondo, a mio parere fin troppo lungo, mi costringe a guardarlo, occhi verdi negli occhi azzurri, facendomi girare. Mi guarda fin troppo a lungo con quello sguardo che da molto tempo mi ha fatto perdere il senno e mi chiede semplicemente come sto. Capisco che mi sta chiedendo come sta il bambino, essendo lui il padre, e che non è molto interessato a come sto io o come sta procedendo la gravidanza. Così gli rispondo con le esatte parole che mi ha detto il dottore il giorno prima e faccio per andarmene. Ma mi rigiro e gli dico con una voce che non lascia trasparire il mio stato alterato “ah, e comunque sto bene anche io”. Mi giro e me ne vado, lasciandolo a bocca aperta. Silvia 1 - Andrew 0. 
Una volta tornata a casa, controllo il telefono che non ho guardato per tutto il giorno e tristemente non vedo nemmeno un messaggio da parte della mia famiglia. Decido di chiamare le mie mamme ma nulla. Scatta immediatamente la segreteria. Mille domande iniziano ad affollarmi la mente: possibile che abbiano spento il telefono per fare altro? Magari sono in un posto dove la linea telefonica non prende? Possibile che sia successo qualcosa? Infondo si tratta di Storybrooke, il pericolo è dietro l’angolo. Mi ricordo anche che le mie madri, nell’ultima videochiamata che abbiamo fatto risalente a quattro giorni fa, si comportavano stranamente ma non ci ho dato molto peso, semplicemente pensavo che erano preoccupate per la loro unica figlia, sola, in una città immensa come la Grande Mela. 
Scaccio via quei pensieri, sentendo il mio stomaco brontolare, così mi dirigo in cucina e decido di mangiare qualcosa di salutare: insalata con pollo alla griglia, pomodorini e scaglie di grana. Cena che farà bene non solo a me ma anche al bambino, o almeno credo. Ovviamente non posso concedermi il solito bicchiere di vino, così decido per un bicchiere di Coca Cola, rigorosamente Zero. 
Finito di cenare, faccio per andare a fare la doccia, ma il suono del campanello mi costringe a dirigermi alla porta. Una volta aperta la figura che appare davanti ai miei occhi è l’unica persona sulla terra che non mi sarei aspettata di vedere. Andrew con un cappellino dei NY Yankees in testa e un viso che non lascia spazio alla preoccupazione. Non mi lascia nemmeno il tempo di essere gentile per chiedergli se voleva entrare che mi dice “dobbiamo andare. Ora”. Lo guardo spazientita perché non può permettersi di venire a casa mia e dettare legge. Non ne ha più il diritto da quando mi ha sbattuto la porta in faccia dopo che gli ho riferito di essere incinta e che in grembo portavo suo figlio, sangue del suo sangue. Lui continua aggiungendo solamente “problemi a casa”. Capisco cosa intende dire con casa e la mia mente inizia a pensare al peggio. Prendo coscienza di quello che ha detto e le mie gambe scattano, mi dirigo il più velocemente possibile nella mia camera - per quel che sia possibile a causa della mia pancia rotonda - e raccolgo alla velocità della luce le mie cose mettendole in un borsone. Dopo pochi minuti ritorno alla porta, facendogli capire che sono pronta per tornare a Storybrooke. Ci dirigiamo alla sua macchina in rigoroso silenzio e dopo un po’ - essendo il silenzio diventato assordante - chiedo se sa cosa sia successo. Mi dice che non è molto sicuro della situazione che potremmo trovare una volta arrivati ma sa per certo che si tratta di un altro sortilegio. Rifletto sulle sue parole sperando che la mia famiglia stia bene, non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa mentre non solo li a proteggerli.
  
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