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Autore: WhiteLight Girl    12/08/2019    1 recensioni
A Yokohama sembra una notte come tante, fino al momento in cui uno strano blackout lascia al buio Akira e i suoi amici. Ma assieme alla maggior parte delle luci della città sono scomparse anche centinaia di persone e quindi Akira, Ryuichi ed i loro Digimon iniziano a cercare chi è rimasto e poi, soprattutto, a tentare di capire cosa sia successo.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IL CORRIDORE DEL LABIRINTO (p.1)


Sei mesi prima del Blackout:

Mentre si infila quatto tra le sterpaglie, Yukiteru non ha idea del perché Pitt abbia deciso di allontanarsi dal parco giochi, visto quanto sembrava che si stesse divertendo fino a pochi minuti prima.

Quando lo ritrova, silenzioso, immobile e accucciato come un gatto sul ramo un albero, Yukiteru quasi inciampa su una roccia. Le ali del Digimon si agitano contro le foglie, creando una leggera brezza che smuove le fronde attorno a lui; non ha davvero bisogno di sbatterle per mantenersi in equilibrio, ma attraverso esse Yukiteru riesce a leggere tutto lo sconforto dell’amico.

La macchina fotografica oscilla appesa al suo collo, è ancora accesa dopo l’ultima foto scattata, la spegne osservando Pitt che fissa il cielo senza sapere cosa dirgli.

Prende fiato, tende una mano per raggiungerlo e si aggrappa ad un pezzo di corteccia, ma Pitt lo precede, chinandosi e sporgendosi verso di lui prima che possa issarsi su.

«Era diventato tutto troppo chiassoso.» dice Pitt. Si lascia cadere giù dal ramo evitando il suo sguardo ed atterra sull’erba con grazia. Yukiteru riesce a leggere facilmente il velo di tristezza trasparire dai suoi occhi, è abituato a quel comportamento. Non è la prima volta che lo vede chiudersi a riccio, preferire abbandonare il suo angolo sicuro invece che permettere a qualcuno di invaderlo e sedersi accanto a lui per confortarlo.

«Hai finito? Andiamo a casa?» gli domanda Pitt.

Yukiteru gli sorride.

«Certo.» risponde.

Vorrebbe parlargli, domandargli cosa stia pensando e costringerlo a farsi dire tutto, ma non lo fa. Ripensa a quando, fino a pochi minuti prima, stava giocando con quei bambini nel cortile della scuola, a come gli era sembrato felice. Finché quell’insegnante aveva rivelato le sue preoccupazioni alla sua collega su quanto pericolosi ed inquietanti fossero alcuni Digimon. Yukiteru è sicuro che Pitt l’abbia sentita.

Pitt sospira.

«Bah.» borbotta. È una cosa che fa spesso, esclamare “Bah”, a volte anche senza una ragione apparente. Lo dice per sfogarsi, quando vuole dire qualcosa ma non è sicuro di cosa o come, o ancora quando è incerto o vorrebbe solo che qualcuno lo capisse ma non è capace di spiegarsi. Yukiteru ha imparato a rispettare i suoi tempi ed a leggere tra le righe, quindi lo accompagna in silenzio fuori dalla boscaglia ed entrambi si fermano ancora davanti al cancello dell’asilo in cui erano stati poco prima.

I bambini li notano subito, quelli tra loro che hanno già dimostrato simpatia nei confronti di Pitt, poiché abituati alla presenza dei Digimon grazie a cugini, amici o fratelli maggiori, corrono loro incontro, mentre gli altri, più diffidenti e succubi delle paure degli adulti, rimangono in disparte ad osservare.



«Tornerete a trovarci?» chiede una bambina ondeggiando su un piede, mentre regala a Pitt un sorriso candido.

Un altro ragazzino si aggrappa alla ringhiera e si sporge in avanti: «Come faccio ad avere un Digimon tutto mio?» domanda.

Yukiteru scambia un’occhiata con Pitt e nota con sollievo che la malinconia è stata accantonata, almeno per un po’. Guarda i bambini e sorride.

«Chissà.» dice soltanto, rispondendo con una la stessa parola ad entrambe le domande, perché in fondo sa che il futuro è tutto da scrivere e non si sa mai cosa possa succedere.

Vede la maestra accorrere ed il sorriso gli si spegne, guarda Pitt con la coda dell’occhio e si accorge che anche lui è tornato serio.

«Sono sicura che il signor Ando ed il suo Digimon abbiano da fare, adesso. Non importunateli.» dice la donna ai bambini.

Lo sguardo afflitto che Yukiteru vede sul volto di Pitt all’occhiata diffidente della donna rimane nella sua mente per giorni.




Nove ore dopo il Blackout:

Yukiteru corse in strada, lasciando dietro di sé una casa inusualmente vuota ed una porta che sbatté forte rimbombando nel silenzio. Era solo, davanti a lui c’erano il suo Petermon ed il Devimon che, sbucato dal nulla alcuni minuti prima, tentava di trascinarlo via.

«Pitt!» gridò Yukiteru. Il cuore gli martellava nel petto e il sangue gli pulsava nelle orecchie, vedeva il suo Digimon gridare, ma non capiva ciò che lui stava dicendo.

«Attaccalo, Pitt!» supplicò.

Li rincorse, si aggrappò al palo di uno stop per voltare l’angolo e scivolò con foga nella traversa.

Pitt si dibatteva, tentava di liberarsi dalla presa del Devimon, ma lui lo stringeva forte e prendeva quota ad ogni momento.

Yukiteru iniziò a temere che presto sarebbero finiti entrambi fuori dalla sua portata, che sarebbero volati via ed avrebbe perso il suo amico senza avere la possibilità di salvarlo. Strinse i pugni e accelerò. Li seguì fino ad una delle strade principali, tenne lo sguardo incollato sui due, vide Pitt cercare di aggrapparsi ad un semaforo e tentare di spingere Devimon contro un palo della luce.

Yukiteru tagliò per un parcheggio, abbassò lo sguardo quel tanto che bastava per essere certo di non inciampare da qualche parte e poi lo riportò sui due, ma una volta arrivato dall’altro lato della strada loro erano già scomparsi dietro uno degli edifici più alti.

Superò negozietti e marciapiedi, corse alla cieca nonostante i polpacci doloranti ed i polmoni che parevano quasi esplodere nel petto, girò attorno al grattacielo che gli sbarrava la strada e, solo quando gli fu chiaro che non aveva assolutamente idea della direzione in cui erano andati, si permise di fermarsi a prendere fiato con un gemito di frustrazione.

«Pitt!» urlò ancora, ma non udì alcuna risposta.

Si guardò attorno, cercò un segno, chiamò di nuovo e di ancora nessuno rispose. Riusciva a sentire il battito del proprio cuore, il respiro che entrava ed usciva dalle sue narici, ogni singolo fruscio dei vestiti che aveva addosso, ma per la prima volta da quando era uscito di casa si rese conto che dal mondo attorno a lui non proveniva un solo scricchiolio. Solo allora realizzò che in quel parcheggio non c’erano auto e che per strada non aveva incrociato nessuno. Fece un giro su sé stesso per guardarsi attorno, affondò una mano tra i capelli e tirò indietro le ciocche più ribelli per scoprirsi il viso, inspirò forte e si morse il labbro mentre il panico saliva diventando una morsa tanto violenta da bloccargli il fiato.

Sollevando lo sguardo verso destra poteva vedere, come un enorme e squadrato alveare, il complesso di appartamenti che si affacciava sulla strada con suoi piccoli balconcini sporgenti e nudi e, sotto la cappa grigio smorto del cielo, si ritrovò, incredulo, ad urlare:

«Ehi! C’è nessuno?»

L’eco delle sue parole riempì l’aria, Yukiteru attese una risposta che non arrivò ed abbandonò le mani contro la vita.

«Che diavolo» sbottò.

Chiuse gli occhi e storse il naso, le foglie degli alberi nelle aiuole erano talmente immobili da sembrare dipinte.

Riprese a camminare, abbandonò il parcheggio ed attraversò la strada; questa volta si guardò attorno più attentamente, sbirciò attraverso le serrande spalancate dei negozi familiari, negli ingressi dei locali pubblici di cui conosceva proprietari e frequentatori, verso gli scivoli che conducevano ai parcheggi sotterranei ora vuoti. Era come se parte del mondo, ciò che rendeva viva la città, fosse stato cancellato; il quartiere che gli era sempre stato familiare gli sembrò per la prima volta totalmente estraneo.

Sfilò dalla tasca il Digivice e proseguì a testa bassa, attivando il localizzatore. La mappa si materializzò a pochi centimetri dal suo naso con i suoi edifici in 3D sfarfallanti e le strade che sfumavano incerte contro gli edifici in miniatura, tutto ciò che rimaneva della sua sicurezza e della possibilità di ritrovare Pitt in quel modo svanì insieme alle strade non segnate.

Yukiteru osservò con un gemito la via di casa sulla mappa, percorse con gli occhi il viale che attraversava tutti i giorni per andare a scuola, quello che conduceva al parco ed il piccolo quartiere in cui si trovavano l’asilo e la scuola elementare. Il suo mondo era lì, segnato in modo approssimativo e distorto ma, realizzò con rammarico, tutta la parte a lui sconosciuta era stata in qualche modo cancellata. Non si era mai preoccupato di studiare i quartieri che erano fuori dalla sua zona di confort ed ora se ne pentiva amaramente.

Anche il puntino verde che, sulla mappa, avrebbe dovuto rappresentare Pitt, era sparito. Il suo cuore si fermò, perdendosi nel pensiero di ciò che avrebbe potuto significare.

«Pitt, no.» gemette.

Rimase fermo in mezzo alla strada, mentre veniva avvolto da un freddo che non aveva nulla a che vedere con la temperatura esterna. Era solo ed aveva perso il suo Digimon, una situazione che non aveva mai immaginato neanche nei suoi incubi peggiori. Si lasciò cadere in ginocchio e si mise a gambe incrociate, domandandosi se qualche Digimon sarebbe tornato a prendere anche lui o se sarebbe rimasto lì come ultimo della sua specie fino al suo ultimo respiro.

Stette ad aspettare in silenzio anche se non sapeva bene cosa, senza riuscire a vedere davvero ciò che lo circondava e con la mente persa tra mille pensieri che si accavallavano. Cosa avrebbe fatto, ora? Stava succedendo davvero? Pitt sarebbe stato bene?

In fondo l’asfalto su cui era seduto non era poi così freddo come si sarebbe aspettato dovesse essere a quell’ora del mattino, l’aria non era frizzante e pungente come l’aveva sempre trovata mentre andava a scuola. E le sue mani erano forse sensibili come sempre? Il suo corpo meno reale? C’era qualcosa che potesse assicurargli di non essere semplicemente immerso in uno strano sogno troppo vivido?

Premette i polpastrelli sui sassolini che emergevano dall’asfalto per sentire la loro consistenza sulla pelle, ma l’ultima volta che li aveva toccati era stato troppi anni prima, forse dopo una caduta dalla bicicletta, e non ricordava affatto se la sensazione fosse la stessa. Sospirò, disegnò dei cerchi sulla propria gamba in attesa che il senso di smarrimento svanisse e gli lasciasse spazio per pensare e decidere cosa fare, ma non era abituato a fare piani, a trovarsi in difficoltà e a dover cercare un modo per uscirne.

Lui e Pitt erano sempre stati poco inclini a cercare gli scontri, ma per quanto questo avesse giovato alla loro tranquillità non era certo stato utile a renderli rapidi a reagire alle situazioni. Per la prima volta nella sua vita, mentre piegava le ginocchia al petto e vi premeva sopra la fronte, Yukiteru desiderò l’esperienza di chi aveva affrontato una situazione di pericolo e sapeva come affrontarla. Desiderò che Pitt fosse con lui, di avere la forza di ritrovarlo, di non essere più solo. Fu come se qualcuno avesse sentito i suoi pensieri, il rumore dei passi fu chiaro, l’unica cosa più rumorosa del suono della sua lingua che schioccava contro il palato

Yukiteru si alzò in piedi e si voltò ad occhi sgranati, vide il ragazzo ed il Digimon, gli parve di riconoscere il primo, ma non seppe dire dove lo aveva già visto.

«Chi siete?» domandò loro.

Era diviso tra il sollievo di non essere più solo ed il timore di non potersi fidare, ma gli avevano già portato via Pitt, cosa gli era rimasto che potessero rubargli? Se anche avessero trascinato via anche lui forse avrebbe ritrovato l’amico.

Il Tailmon lo squadrò, poi guardò il suo compagno e gli fece cenno di camminare, solo allora gli si avvicinarono entrambi. Attraversarono la strada, ma non superarono l’ultimo paio di metri che li separava. Sorrisero lievemente, poi il ragazzo gli tese la mano, quasi aspettandosi che fosse lui a fare il passo successivo, e si presentò: «Toshiaki Kitagawa e lui è il mio Digimon, Kat.»

Yukiteru sbatté gli occhi, l’ultimo respiro bloccato nei polmoni, gli ci volle un’occhiata perplessa di Toshiaki per convincersi a stringergli la mano e, poco dopo averlo fatto, la ritirò immediatamente e la nascose in tasca, incassando la testa tra le spalle.

Kat, il Digimon, accennò un inchino. «Ho cercato di convincerlo a venire a parlarti da quando hai voltato l’angolo, ma Toshi-kun non si fidava.» gli spiegò agitando la coda.

Toshiaki si fece pallido in volto.

«Kat.» disse. «Ma ti pare il modo?»

Yukiteru sospirò e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa, qualcuno o di tracce di Pitt.

«Non ti preoccupare,» disse «probabilmente avrei fatto lo stesso. Sono Ando, Yukiteru Ando.»

Se non avesse visto Pitt che veniva trascinato via ed avuto così tanta paura di perderlo, di certo non sarebbe corso in mezzo alla strada con così tanta fretta, non si sarebbe esposto in quel modo, non avrebbe fatto qualcosa che in un giorno normale avrebbe attirato l’attenzione. Realizzò che tutto ciò che aveva fatto dopo essere uscito di corsa di casa lo aveva messa in pericolo, anche se non se ne era reso subito conto.

Si morse il labbro, scrutò i due e si fermò a riflettere. Osservando i capelli scuri del ragazzo e la linea del suo, non poteva fare a meno di pensare che gli sembrasse un volto familiare. I posti in cui era probabile che lo avesse incontrato non erano molti, anzi si contavano sul palmo delle dita e Yukiteru provò ad immaginare la sua figura passargli davanti in ognuno degli ambienti in cui era stato, dal club di fotografia a scuola fino al supermercato dietro casa.

Lo visualizzò in treno, seduto sulla poltrona poco lontano da lui mentre leggeva un libro di cui non aveva mai letto il titolo, o più probabilmente molti libri diversi. Yukiteru fu all’improvviso dolorosamente consapevole che quello sconosciuto era stato suo compagno di viaggio ogni mattina da quando aveva iniziato le superiori e non si erano mai scambiati una sola parola nonostante fossero entrambi Tamers.

Comunque, quella consapevolezza, bastò a calmarlo e a permettergli di fidarsi di lui.

«Vorrei tanto capire cosa sta succedendo, piuttosto.» aggiunse allora. Toshiaki scrollò le spalle, non diede segno di essersi offeso per la distanza che aveva mantenuto, Yukiteru si domandò se anche lui si ricordasse del fatto che si erano già incrociati, ma non disse nulla al riguardo.

«Ti unisci a noi?» gli domandò Toshiaki. Il suo sguardo correva tutto attorno a loro, all’erta, probabilmente alla ricerca di eventuali pericoli, doveva aver visto anche lui il Digimon che aveva portato via Pitt, forse anche lui si stava domandando se sarebbe tornato per loro.

Yukiteru deglutì e scosse la testa, consapevole di stare perdendo tempo prezioso. Non restare da solo gli sarebbe piaciuto, ma non aveva idea di quali fossero i piani di Toshiaki e Kat e Pitt restava la sua priorità.

«Scusatemi, un Devimon ha rapito il mio Digimon, ho bisogno di ritrovarlo.» disse, arretrando per aggirarli.

Toshiaki annuì, Kat inclinò il capo.

«Ti diamo una mano, allora.» dichiarò, agitando la coda. Poi guardò il suo Tamer e batté le palpebre. «Possiamo?», domandò.

«Possiamo.» gli rispose Toshiaki.

Yukiteru sorrise. «Una mano mi servirebbe davvero.»

Non era abituato ad avere compagnia, non aveva permesso a molti altri di avvicinarsi, sempre troppo timoroso che non accettassero Pitt ed il legame che aveva con lui. Essere cresciuto con un Digimon era stato come essere cresciuto con un tatuaggio che diceva “Alla larga” proprio sulla fronte. Ma Toshiaki era come lui, aveva la stessa identica scritta sulla sua fronte, non avrebbe giudicato né l’avrebbe guardato con diffidenza, probabilmente sapeva ciò che aveva provato e passato.

«Grazie, davvero. Non potrò mai esprimervi quanto vi sono grato.» disse a lui ed al suo Digimon, poi fece strada, camminando nella direzione in cui pensava che il Devimon e Pitt fossero andati.

Se riuscirò a trovare Pitt, giuro che farò amicizia con ogni singolo Tamer della città, decise. Sapeva che ce n’erano altri, ne aveva visti alcuni al parco, nei vicoli che combattevano con i loro compagni contro Digimon appena bioemersi, un paio erano addirittura iscritti alla sua stessa scuola. Loro si conoscevano, si frequentavano, condividevano esperienze e merende mentre lui rimaneva in disparte, troppo poco socievole per riuscire a farsi avanti e fare amicizia.

Farò amicizia con loro e li costringerò a fare amicizia l’uno con l’altro, se non si conoscono già, così ci potremo aiutare a vicenda se dovesse accadere qualcosa. Attraversò con Toshiaki e Kat l’intero isolato, camminando a faccia in su nella città fantasma e senza parlare, almeno fino a quando la curiosità non ebbe la meglio su di lui e non riuscì più a trattenere la domanda che più gli rodeva in quel momento. «Avete visto qualcuno a parte me?»

Toshiaki non soppesò la risposta, ma sospirò prima di parlare. «No, sembra che siano svaniti. Appena sveglio mi sono sentito come in un numero di Dylan Dog. Genitori scomparsi, telefoni inservibili, televisori senza segnale. Ho provato a cercare degli amici ma non sono riuscito a rintracciare nessuno. Stavo tornando a casa quando ho deciso di approfittare per fare compere.» Sfilò la mano dalla tasca, mostrandogli con orgoglio il lettore mp3 nuovo, ancora confezionato.

Yukiteru cercò di nascondere la perplessità, più che altro per timore di offenderlo e di dare l’impressione di giudicarlo, nonostante avesse voglia di sgridarlo per aver pensato al taccheggio.

«Hai provato ad usare il lettore mp3 con tutto quello che è successo?» gli domandò

«Lo stavo usando quando è successo il qualunque cosa sia successo, più che altro. È stato in quel momento che mi sono accorto che qualcosa non andava.» spiegò Toshiaki. «Solo dopo mi sono chiesto se non si è fuso anche questo.»

Ora che finalmente avrebbe potuto avere delle risposte, per quanto fossero spiacevoli, Yukiteru non si lasciò scappare l’occasione. «Quindi quando è successo, esattamente?»

«Ieri sera, verso le dieci.» gli rispose Kat, con un saltello. «Non te n’eri accorto?»

Yukiteru ripensò al giorno precedente, a quando aveva quasi dovuto forzarsi per alzarsi dalla scrivania e mettersi il pigiama per potersi stendere a letto dopo aver passato tutto il pomeriggio in palestra. «Ho avuto una giornata pesante ed ho dormito presto, non ho notato nulla fino a questa mattina, quando Pitt è stato trascinato via.»

La voce gli si ruppe sull’ultima parte della frase, abbandonò le braccia contro i fianchi, nonostante i suoi due nuovi amici si sentiva solo, senza Pitt ad accompagnarlo. Si fermò proprio nel mezzo delle strisce pedonali, Toshiaki gli si affiancò e gli poggiò una mano sulla spalla come per confortarlo.

«Faremo di tutto per trovarlo, te lo prometto.» gli disse.

Yukiteru gli fu immensamente grato per essere con lui, per la zampa di Kat che gli sfiorava la gamba e, nonostante le distanze ed il fatto che fossero estranei sparpagliati, che i ragazzi con un Digimon non si negassero mai aiuto a vicenda. Almeno da quel poco che aveva visto.

   
 
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