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Autore: LeanhaunSidhe    21/09/2019    6 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Ho provato a sistemare il capitolo ma, davvero, meglio di così non viene. Per me la stesura definitiva resta questa. Sarà noioso perché manca il solito intermezzo per spezzare un po’ ma, a questo punto, non riuscivo proprio ad inserirlo. Mi stonava e basta.

Immagino ci saranno dei punti oscuri sulle anime dell’aria. Se volete la spiegazione prima, correte subito alle note a fine capitolo. Le ho messe dopo perché mi sembrava di mantenere un po’ più … l’atmosfera, gusti. Spero i vari cambi di soggetto e situazioni non rendano pesante o poco comprensibile la prosa. Nel caso, a chi chiede, spiegherò.


 

Dicono che sia il giorno della morte a dare alla vita il suo valore. Per qualcuno contano anche le lacrime ed i sorrisi che ci lasciamo dietro


Haldir aveva alzato il braccio con un movimento verticale, scindendo in due metà perfette il guerriero che gli piombava davanti. Attendeva il secondo esatto in cui quello si sarebbe ricomposto, ricucendo con subdoli tentacoli scuri le parti putrescenti in cui era stato ridotto. Contava fremente uno ad uno gli attimi sospesi in cui non accadeva nulla. Spalancò le palpebre, finalmente consapevole. Trattenne il respiro fino a quando non assistette allo spettacolo del cadavere maciullato che scompariva in polvere, mentre una fiamma tenue, lieve e sinistra, si librava da quelle spoglie definitivamente morte. Aveva abbassato lentamente la spada, prima di esplodere in un grido inaspettato che i più vicini non sapevano minimamente interpretare, se fosse semplice ferocia, follia o altro. Aveva afferrato l’elmo bianco sfilandoselo con foga da sopra la testa, gettandolo con uno scatto a terra. Si era passato la mano artigliata tra i capelli chiari, come se gli impedissero la visuale e tremava leggermente, per le spalle, mentre i suoi occhi erano calamitati verso il terreno. Imuen, non sapendo dare un senso alla sua reazione, gli si era avvicinato lentamente, preoccupato. Era certo che, prima o poi, il suo gemello sarebbe impazzito. Era nell’aria da generazioni. Mai, però, si sarebbe aspettato che succedesse al culminare di una battaglia. Gli era arrivato a meno di un metro di distanza, quando fu agguantato dal braccio possente dell’altro. Haldir lo obbligava, piegato, trattenendogli il collo sotto al gomito. Lo costrinse a girarsi, fino a scorgere il punto che lui stesso stava fissando.

Usò la mano libera per la seconda spada, a tagliare ancora uno dei perduti e costringere Imuen ad aspettare.

“Guarda!”

Aveva detto ed il domatore dei morti lo vide, strabiliato: il fuoco fatuo che si librava dal petto squarciato. Lo obbligò a lasciarlo, soffiando, richiamando la luce verde e scintillante nella trappola delle sue dita, portarsele vicino alle palpebre, a rischiarare le sue guance pallide, e capire, realizzare che stava per compiersi tutto quanto.

Solo allora Imuen si arrese a crederci. Sul suo viso millenario si accese la meraviglia. Haldir non tremava di follia o rabbia: stava ridendo.

“Ci sono riusciti.”

Aveva spiegato il gigante bianco, mentre le catene della condanna atroce che torturava lui ed i suoi figli perduti stavano iniziando a sgretolarsi. Era come sentirne il metallo pesante scricchiolare ed iniziare a cedere. Si avvicinava il momento esatto in cui farle saltare. Haldir aveva riso più forte, per poi tornare apparentemente calmo: le anime dell’aria iniziavano a volare in maniera meno caotica. Le anime dell’acqua si placavano. Gorgogliavano meno ed i loro sguardi erano meno furtivi.

Descriveva accorato tutto ciò al gemello che, per l’ennesima volta, gli ricordava che per lui erano parole senza senso, dal momento che non poteva né vedere né sentire, neppure accorgersi di quelle creature.

“Pensi ancora che sono matto?”

Gli aveva poi chiesto, ironico, quando ormai era chiaro che il suo piano assurdo era riuscito. Allora, aveva espanso maggiormente la propria aura, pronto a spiccare il volo nella forma animale. Come al suo solito, se ne andava senza spiegare il fine delle proprie azioni.

“Dove accidenti vai, ora?”

Gli aveva rinfacciato, sfinito più da lui che dalla lotta, il gemello.

“A recuperare i cuccioli. Sono messi male.”

Haldir aveva risposto con una nota nuova, di un calore acceso, nella voce. Era poi sparito all’improvviso, come un fulmine bianco.

Impugnando saldo la falce, invece, Imuen s’era portato alle spalle del cavaliere d’Ariete, facendolo sussultare. Lo avvertiva di tenersi pronto. Ormai era questione di poco tempo. Dovevano prepararsi ad uscire da quel posto. Non era detto che il cavaliere d’Altare tornasse abbastanza in forze da supportarlo, in quel compito.

Il domatore dei morti si era poi allontanato dal gruppo, ricoprendo la postazione che era stata del gemello, sul punto più esposto del crepaccio naturale. Tutti quelli che abbattevano, ormai, si stavano trasformando in una miriade di fuochi fatui che rischiaravano l’aria con la loro luce verde, mentre l’atmosfera diventava via via più respirabile. Tra tutti i guerrieri serpeggiava l’entusiasmo per la fine prossima dello scontro.

A Death Mask, tuttavia, qualche conto non tornava. Aveva raggiunto Imuen, falciando con una freddezza che non gli apparteneva più da tempo i disgraziati che incontrava lungo la strada, con fretta e disprezzo. Un’urgenza violenta lo spingeva a voler sapere, perché quel ragazzo a cui si era promesso di non affezionarsi troppo era invece diventato tremendamente importante e non avrebbe retto alla reazione della madre, se glielo avesse riportato indietro con qualche pezzo in meno rispetto a come era partito, pure se con un guerriero certi rischi bisognava metterli in conto.

Aveva arpionato Imuen, che lo ricambiò apparentemente seccato. Non gli importava nulla se, quella volta, lo aveva scambiato davvero per una nullità.

“Come sta il mio ragazzo?”

Aveva osservato ogni singola espressione del suo interlocutore, che aveva sussurrato in modo che solo lui udisse.

“Tuo figlio è l’unico che probabilmente tornerà senza aiuti sulle sue gambe.”

Non gli era sfuggita l’occhiata fugace al cavaliere d’Ariete.

“A posto tuo, ringrazierei la tua Athena di non trovarmi invece nei panni di quel poveraccio: se Haldir non fa in tempo dovrà portare fuori tutti voi vivi ed i cadaveri di suo fratello e della ragazzina di Asgard.”

Sbalordito, il cavaliere aveva continuato ad ammazzare il maggior numero possibile dei perduti che restavano.

“Quei due iniziano a puzzare di morte.”

Aveva ribadito, torvo, il gigante nero.

****************

Seleina aveva gettato lo sguardo verso Zalaia. Lo vedeva trafiggere e distruggere con inaudita ferocia chiunque cercasse di penetrare la sua fragile barriera d’acqua, solo per dare a Kiki e lei un po’ di respiro. Di tanto in tanto, attraverso il muro trasparente che perdeva spessore, riuscivano ad infilarsi braccia artigliate che tentavano disperatamente di ghermirli o corpi deformi che vi impattavano proprio contro, nella confusa e rabbiosa corsa in cerca di una salvezza che non ci sarebbe stata. Era stanca. La mano col pugnale pulsava per spasmi che non riusciva a controllare. La teneva salda nell’altra, incrociate davanti al collo di Kiki: il cavaliere restava seduto perché impossibilitato a camminare, per via della gamba ormai inutilizzabile. Seleina si ripeteva come un mantra che c’era la protezione di Sire Haldir per suo fratello sopra quell’arma e non poteva abbandonarla assolutamente. Poiché lei non riusciva più ad attaccare, cercava almeno di lenire a lui il dolore alla gamba. Doveva essere stata una mossa saggia dal momento che il cavaliere aveva già aiutato Zalaia un paio di volte nel difendere tutti e tre con la telecinesi. Era forte Kiki, tanto da far tremare le stelle. Seleina sorrise al pensiero, anche se le scendevano le lacrime. Si strinse più forte alla sua schiena che, oltre alla propria vicinanza, presto, non avrebbe potuto dare altro. Sapeva fin da bambina che la sua vita sarebbe terminata presto. Era uno dei tanti segreti che Haldir le aveva rivelato. Per quel motivo aveva sempre cercato disperatamente di concentrare il maggior numero di esperienze possibili nel poco tempo a disposizione, alla ricerca forsennata di un senso da lasciare alle persone che amava, quando non ci sarebbe più stata. Per un istante, aveva alzato gli occhi al cielo. Li spalancò appena, rendendosi conto di quanto le era dato vedere. Era da quando era piccola che non ne scorgeva più una: le anime dell’aria avevano cominciato ad apparire con le ali del loro colore naturale. Ce n’erano poche che volavano via, farfalle dalle ali blu e dorate. Ricordò quando, piccolissima, Haldir aveva iniziato a raccontarle cosa fossero, la prima volta, mentre i perduti ancora dormivano assopiti dai sigilli e la natura di Asgard era bella e selvaggia, come avrebbe dovuto essere sempre. Il sapore del sangue che iniziava ad ammassarsi in bocca le parve meno ferrigno mentre l’aria diventava leggermente più respirabile ed il cielo confinato dell’abisso assumeva quelle rare tracce di luce. Non aveva bisogno di concentrarsi per percepire le catene che imbrigliavano il suo signore sciogliersi. I poteri che le derivavano da Haldir stavano aumentando, anche se ciò avrebbe significato che il suo corpo umano avrebbe ceduto più velocemente..

“Seleina, che succede?”

Kiki, nonostante la concentrazione e la battaglia, era riuscito a scorgere qualcosa in lei. Si era voltato e l’aveva vista negare, fissare il soffitto, persa in ricordi e considerazioni che lei non gli svelava mai completamente e la rendevano speciale.

Gli sembrava che, da qualche minuto, respirare stesse diventando meno gravoso. Fissò anche lui il punto che sembrava aver interessato prima l’amica. Qualche sprazzo di luce sembrava rischiarare il nero del soffitto che inghiottiva la vista.

“Niente.”

Seleina si era inumidita le labbra, guardando Zalaia continuare ad attaccare, ostinato.

“Temo solo che ci saranno delle promesse a due persone importanti che non riuscirò a mantenere.”

Kiki l’aveva osservata ancora, intuendo stavolta in parte i suoi pensieri.

“Stai per cedere, vero?”

Il silenzio sorpreso e colpevole era stato una risposta sufficiente, le mani intrecciate sul suo torace avevano esitato. La ricambiò mesto: poteva solo concederle la sicurezza che non l’avrebbe abbandonata mai.

“Anche io.”

Una lacrima di lei, a quel punto impossibile da trattenere, gli era scivolata sulla spalla. Nonostante l’armatura, l’aveva percepita.

“Bel servizio ti ho reso, riportando in vita Mu e coinvolgendoti in questa storia.”

Le aveva stretto nella propria le mani con cui ancora lo stringeva, prima di ammirare anche lui l’ostinata freddezza del figlio di Cancer, che combatteva come un titano, alla disperata ricerca di una speranza. Magari, per lui ancora c’era.

Non ebbe bisogno di chiedere nulla a Seleina: avevano avuto lo stesso pensiero. Almeno per lui, avrebbero continuato a resistere. Quel tanto che fosse bastato, fino a che qualcuno non avesse aperto una via. A differenza loro, non era per Zalaia finire in quello scontro. La sopravvivenza di quel giovane sarebbe stato il loro lascito.

Come richiamato dai loro pensieri, lui si era voltato verso di loro, a chiedere come se la cavassero.

“Sta tranquillo. Resistiamo.”

Gli aveva urlato allora l’Altare, rincuorandolo. Per fortuna, era riuscito nel compito di nascondere il loro reale stato: Seleina non ne sarebbe mai stata capace di ingannarlo. Kiki aveva accettato il ringraziamento sussurrato di lei per averla sottratta a quel compito. Si stupì di quanto una come la sua sorellina adottiva fosse riuscita a legarsi a quel ragazzo, dopo così poco tempo, lei che lesinava il suo cuore a poche persone fidate, dopo tanto, troppo tempo. Quanto era gravoso, per lei, andarsene con la certezza di doverlo abbandonare così presto?

Doveva aver pensato troppo forte perché lei aveva sorriso ancora, ad abbracciare con lo sguardo quel mezzosangue caparbio vestito di nero, in quello che, chiaramente, aveva il sapore di un addio. C’era però pure dell’altro in lei, una tristezza che non riuscì subito ad identificare. Per qualcosa o per qualcuno. Se c’era stata, tuttavia, lei l’aveva scacciata in fretta. Kiki, fra tutti, avrebbe voluto naturalmente salutare suo fratello. Se non altro, nel breve tempo che avevano nuovamente trascorso insieme, si erano ritrovati.

Dopotutto, la morte era facile da incontrare per chi percorre la via della guerra. Faceva parte del gioco che lui e Seleina avevano accettato. Le strinse ancora più forte le mani, diverse per carnagione, per quegli artigli. Poi, espanse il cosmo. Nell’ultima impresa, avrebbero davvero lottato come se fossero stati due fratelli. Il muro di cristallo rinvigorì la barriera d’acqua. Fin quando avrebbero avuto respiro, insieme.

****************

Haldir distruggeva con le fauci spalancate quanti gli si parassero davanti. Le anime dell’aria, dominate dai perduti, apparivano come farfalle dalle ali bruciacchiate e scure, dietro al cui volo si perdeva la nebbia malata che bloccava respiro e vista. Il loro volo incessante e caotico diveniva però più lineare ed ordinato, come doveva essere fuori dall’abisso. I suoi figli perduti avevano iniziato ad allontanarsi al suo passaggio come un cielo squarciato a metà da una saetta, consci che la loro esistenza stava per volgere finalmente al termine. Il loro potere sulle anime della terra, di acqua ed aria, scemava velocemente: presto, quell’anfratto naturale sarebbe crollato, restituendo la libertà a tutte le anime della natura costrette all’interno, quale che fosse stato l'elemento di cui erano composte. Le anime dell’acqua e dell’aria non tolleravano più di essere soggiogate, ora che il potere dei domatori perduti non era sufficiente a possederle. Quelle della terra iniziavano a svegliarsi, attirate dal loro richiamo: l’equilibrio naturale stava per ristabilirsi. L’avrebbe fatto con un terremoto violento, coperto di lava e pietra. Non sarebbe rimasto nulla degli artefici di quel miracolo, se lui non avesse fatto in fretta. Haldir doveva raggiungerli subito, riprendersi la propria energia racchiusa nel pugnale, per salvarli.

La prima cosa che Haldir vide fu la falce di Zalaia che saettava peggio della folgore e distruggeva quasi quanto quella del suo maestro. Era potente quel ragazzo. Sarebbe stato il degno successore di Imuen, se qualcosa fosse andato storto. Grande e fiero combattente ma così giovane ed ingenuo, facile da ingannare. Non aveva capito nulla del proposito degli altri due.

Quando si rese conto di lui, infatti, il ragazzo si era girato verso i compagni trionfante. Non appena li vide però bianchi come petali appassiti, completamente immobili, il suo volto sporco di guerra era divenuto improvvisamente pallido, il manico della falce posato a terra lentamente. Le lacrime erano esplose dalle sue ciglia con un grido di rabbia mentre ignorava del tutto il gigante bianco e lo superava quasi spingendolo via, a correre da chi lo aveva ingannato per salvargli la vita, a bestemmiare il nome di entrambi. Si era buttato in ginocchio accanto a loro, all’inizio senza sapere cosa fare, le mani alzate in una muta preghiera, che si svegliassero da quell’incubo o qualcuno gli svelasse cosa fare. Aveva battuto i pugni sulle ginocchia piegate mentre le lacrime precipitavano rabbiose lungo le guance

Li aveva scossi violento, senza avere il coraggio di sciogliere però l’abbraccio che ancora li univa. Aveva visto la morte tante volte ma mai di chi aveva amato così tanto. Dei sentimenti verso Seleina, Zalaia era perfettamente consapevole ma anche quel lemuriano aveva imparato a chiamarlo amico durante il corso di quella battaglia, lui che, di amici fidati, non ne mai aveva avuti davvero.

“Spostati, ragazzo.”

Toccandogli la spalla, Haldir l’aveva sanata in un attimo.

“Spostati, finché il loro cuore, seppur debole, batte ancora. Io posso agire solo finché c’è vita.”

Abituato solo alla morte, Zalaia non si era arreso subito a comprendere il senso lampante di quelle parole. Con la voce esitante di chi non crede, lo aveva supplicato di riportarli indietro, implorandolo come se fosse davvero un dio. Tutti avevano un prezzo per non impazzire. Quelle vite erano il suo.

Zalaia si era seduto al fianco di Haldir, immobile, con un tonfo sordo, di sacco afflosciato, mentre il domatore delle anime viventi sottraeva il pugnale dalle dita troppo fredde di Seleina e lo distruggeva per riappropriarsi di ciò che gli apparteneva. La lama sparì in una bolla dorata. Seleina riprendeva le sembianze proprie della sua razza mentre fasci di tendini, muscoli ed ossa ricoprivano la gamba maciullata dell’ateniese, fino ad avvolgere nuovamente l’arto con la pelle sana.

Haldir aveva ringhiato mentre la corazza si dissolveva dal suo corpo, per restituirlo con la semplice maglia di cotta. Egli ne aveva rovinate tante di cose sacre nella sua lunga esistenza. Non esitò nel separare l’abbraccio di quei due. Caricandosi in spalla l’Altare, ordinò a Zalaia di seguirlo.

Il ragazzo aveva preso in braccio Seleina lentamente, come se temesse di farle male, seppur addormentata. Di nuovo Dunedain pure lui, doveva percepire il battito cardiaco debolissimo, di entrambi.

“Non sono ancora salvi, vero?”

Il gemello del suo maestro non era mai stato capace di tante raccomandazioni. Lo avvertì che doveva tenersi anche pronto a perdere entrambi, se quello sarebbe stato il loro fato.

“Ora tocca a Taka e tua madre. L’unica cosa che puoi fare è portarli da loro in fretta.”

****************

Mu aveva alzato la fronte alle stalattiti che li circondavano. Era stato attirato da fugaci apparizioni luminose della cui esistenza tramite la vista non poteva essere certo. Tuttavia, gli sembrò qualcosa di tremendamente reale. Aveva passato in rassegna tutti i suoi compagni, prima di soffermarsi su Imuen e gli spadaccini in particolare. I loro colpi, lentamente ma inesorabilmente, si erano fatti più efficaci. Mano a mano che i minuti scivolavano via dopo la partenza di Kiki e Zalaia prima, di Seleina poi, era sicuramente accaduto qualcosa di prodigioso. Aveva osservato la valchiria, che Aldebaran aveva supportato in un paio di frangenti, sussurrare qualcosa al resto dei figli di Haldir. Nelle sue labbra carnose e rosse aveva svelato di terra e di fuoco. Le scosse di terremoto erano iniziate subito dopo, prima come tenui e rade onde sussultorie che infastidivano leggermente i piedi. Poi, piccoli granelli di roccia avevano cozzato con l’oro degli elmi di alcuni di loro, rivelando che il soffitto iniziava a cedere.

Aveva visto Death Mask confabulare qualcosa con Imuen. L’attenzione che gli rivolsero gli gelò la spina dorsale. I suoi piedi si mossero verso di loro senza che se ne rendesse conto. Doveva sincerarsi che quel sospetto tremendo non fosse realtà. Fino a quando il rumore di un metallo sconosciuto non urtò contro il suo calzare e si arrese a prendere in mano un elmo che non apparteneva a qualcuno che conoscesse. Il suo bracciò saettò a distruggere qualcuno che lo attaccava. Non si rese conto che i resti del cadavere non si rianimavano. Era interessato a quel pezzo di metallo che sembrava argento e non lo era. Le incisioni sopra, sicuramente, lo classificavano quale copricapo di Haldir. Lo strinse con forza con entrambe le mani, mentre le dita annichilivano tremanti. L’urlo rabbioso e disperato di Zalaia gli graffiò i timpani, mentre l’immagine dei visi bianchi ed immoti di Kiki e Seleina gli riempirono la vista. Rimase immobile pochi istanti, riuscendo a respirare solo dopo. All’improvviso l’elmo gli scomparì tra le dita, privandolo della conoscenza su quanto stesse realmente accadendo dall’altra parte.

Un fascio di luce dorata distrusse però un nuovo nemico che puntava alla sua testa. Avvicinandosi, apparentemente minaccioso, Death Mask gli chiese se si fosse addormentato, che rimaneva imbambolato li in mezzo. Il cavaliere del Cancro lo aveva squadrato ombroso e non si allontanava. Lo difese ancora, in attesa che si svegliasse sul serio.

Certo che l’Ariete avesse ormai compreso come se la passavano dall’altra parte, convinto che solo uno peggio di una carogna avrebbe avuto il fegato di abbandonarlo, lo trattenne per la spalla. Occhieggiò verso lo spadaccino magro che aveva litigato sia con lui che Aphrodite.

“Quello scemo ha detto che comunque Zalaia e gli altri ci sono riusciti. Haldir sta tentando qualche diavoleria per salvare tuo fratello e la principessina.”

Poi lo aveva strattonato appena, non troppo forte.

“Finché c’è anche solo un briciolo di speranza, bisogna continuare a combattere.”

Si allontanò, persuaso di essere riuscito a sollevare uno dei cavalieri d’oro che, fino a pochi anni prima, lo aveva voluto personalmente morto. Lo controllò mentre sembrava ricominciare a difendersi da sé. Continuò a camminare fino a riavvicinarsi ad Aphrodite.

Intanto, il terreno si costellava di crepe fini e tortuose. Sotto, il fumo iniziava a sbuffare adagio. Annunciava lava dal colore del sangue.

 

Note: Qui ho introdotto le anime dell’aria. Hanno la forma di farfalle. Finché sono state libere avevano ali blu dai riflessi dorati. Appaiono per pochi secondi per poi scomparire, mentre volano. Poiché la maggior parte dei perduti erano figli di Haldir, potevano essere dominate da questi ultimi. In quel caso, le ali delle farfalle diventano scure, come bruciate. Il loro volo è caotico, mentre allo stato normale si presenta lineare ed ordinato. Sotto il dominio dei perduti, le anime dell’aria creano la nebbia e rendono l’aria meno respirabile. In questo capitolo, ho immaginato che Kiki e Mu non riuscissero a vederle, quanto a percepirle come piccoli lampi di luce.

   
 
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