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Autore: Ariel_ioscriviana    09/05/2005    1 recensioni
Una ragazza che diventa giudice. Una ragazza che ha una missione. Migliorare il mondo e combattere la mafia,sulle orme dei grandi uomini che si sono sacrificati per la Sicilia e per l'Italia,e per la libertà.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Quando era diventata giudice, aveva ricevuto le congratulazioni di tutti.
Parenti, amici, conoscenti che erano scomparsi da sempre e adesso si rifacevano miracolosamente vivi.
Sulla sincerità dei primi e dei secondi, non aveva dubbi. Su quella dei conoscenti prima dimenticati, aveva più di una riserva.
Era ben consapevole del fatto che quelle persone puntavano in realtà a qualche sorta di protezione.

Quando lei non era nessuno, nulla più che una ragazzetta universitaria piena di sogni che forse neanche avrebbe realizzato, un pò idealista, nessuno di loro la considerava. Adesso, era un giudice.
"Nel caso in cui avessi bisogno, non so, può sempre capitare, meglio tenersela buona questa qui" era probabilmente il ragionamento che tanti avevano fatto. Ma Marina aveva fatto una promessa, e loro non lo sapevano. E anche se lo avessero saputo, probabilmente sarebbero rimasti fermi nella loro posizione, certi che basta poco per far cambiare opinione alla gente. Ma con Marina no. Marina sapeva, aveva sempre saputo, che nel suo cammino avrebbe trovato tanti poco di buono che avrebbero tentato di farla deviare dalla strada tracciata dalla sua onestà, che avrebbero provato a sedurla con le promesse del dio denaro. E lei giurò a sè stessa e a loro che mai avrebbe ceduto a quelle lusinghe, mai sarebbe scesa a patti con i suoi valori, mai avrebbe calpestato la sua dignità e i suoi ideali, avesse dovuto significare perdere tutto, perdere la vita.
E se la portava addosso questa promessa, Marina, cucita sul suo cuore, la portava come un distintivo, questa promessa e la fedeltà ai suoi principi.

Dunque, tutti erano fieri di lei quando divenne giudice.
Suo padre, però, no.
Soleva ripetere che quello del giudice "non è un mestiere da donna", è un lavoro rischioso, e sua figlia non era fatta per sporcarsi le mani con i delinquenti, per stabilire le pene da assegnare a questo e a quello sfiorando sempre il pericolo della ritorsione.
Glielo diceva anche quando Marina nutriva il sogno di diventare poliziotta, "Sei pazza,è un lavoro troppo rischioso,pericoloso,è sporcarsi le mani con i deliquenti, e tu non sei fatta per questo, per maneggiare le pistole col rischio di spararti in fronte,ma sei pazza,Marì?"
In realtà, il buon vecchio signor Siculiano, era soltanto preoccupato per quella figlia che vedeva così convinta dei suoi ideali che per essi avrebbe pure dato la vita -ed era pure possessivo,diciamolo- tutto questo lo portava ad agire così.
Quando vide che la convinzione della figlia nel diventare giudice s'accresceva, però, iniziò ad essere brusco e minacciò anche di tagliare per sempre i ponti con lei, cosicchè, quando Marina vinse il concorso, le telefonò soltanto e le disse "Congratulazioni, e stà attenta", in un tono che era un rimprovero pregno di malinconia, quasi l'avesse persa per sempre, la figlia.
La mamma di Marina, dal canto suo, non era meno preoccupata per la figlia, ma ne era comunque orgogliosa, di lei e della sua missione, e non poteva che assecondare le sue ambizioni e incoraggiarla.
Cosicchè, alla festa per il concorso, con Marina c'erano tutti meno che il padre, che era rimasto a casa da solo a fumare nervosamente un sigaro dietro l'altro, mentre pensava alla figlia, alle sue filippiche anti-mafia e ai suoi elogi di Borsellino e Falcone, e al suo voler diventare non un normale giudice, che era già rischioso, ma un giudice anti-mafia, "per poter estirpare per quanto posso questo cancro da questa terra e dalla mia patria", diceva.

A Marina questa situazione, inutile negarlo, pesava. Aveva tentato di recuperare il rapporto con il padre, ma non poteva mettere a tacere i suoi sogni.
Sapeva che in fondo lui era soltanto preoccupato per lei e sperava che un giorno si sarebbe reso conto di star sbagliando.
Pensava anche a questo, Marina, mentre nella sua casa a Palermo, rilassata sul divano, il balcone aperto a far entrare il sole e l'aria, sorseggiava un the e dava un'occhiata al Codice Penale e a manuali di diritto. Il tramonto inondava la stanza, rendendo tutto d'un arancio acceso e disegnando arabeschi rossi sui muri, e i capelli di Marina appena mossi dal vento sembravano fili d'oro. Amava l'immobilità del tramonto, quella sua capacità d'infonderti una sensazione tanto dolce e tanto intensa insieme semplicemente lasciandotelo scivolare addosso, lasciandotelo entrare dentro,negli occhi, nei capelli e in ogni parte di te.
Così si alzò in piedi, posò il codice e i manuali sul tavolino, e camminando svelta, come guidata da quella luce, uscì sul balcone. E ammirò la città tinteggiata da quelle tinte calde, il mare luccicante d'oro, le cime delle colline brillanti come diamanti, il sole un'arancia nel cielo.
E sentito il richiamo del tramonto, il richiamo della vita, poggiò dolcemente la sua schiena alla ringhiera, chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal vento e risucchiare dal tramonto.
E la sua figura sembrava un'esplosione di vita e d'immobilità insieme, come il tramonto.
  
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