Anime & Manga > Pandora Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Shichan    02/08/2009    4 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ricordi il mio nome

Ricordi il mio nome?

 

«...Oz?» lo chiamò, l'espressione stupita.

Per contro, Oz non ne aveva una meno sorpresa, malgrado fosse perfettamente a conoscenza del fatto che Gilbert era lì a Latowidge.

Alzò la mano, come a fargli segno che lo aveva visto e riconosciuto, il sorriso leggero sulle labbra.

«Il mio servo è venduto.» sentì commentare ad Alice, grato alla schiettezza dell'altra che lo aveva appena riscosso dalla matassa informe e fin troppo intricata dei propri pensieri.

Rise, avvicinandosi di qualche passo: «Scusami, scusami Alice!» canticchiò andando in suo soccorso - o fingendo di farlo, visto che non ce ne era reale bisogno.

Lei, imbronciata e con le braccia incrociate al petto, voltò il viso dall'altra parte ostentando una certa offesa. Oz ridacchiò appena, sentendosi addosso lo sguardo di Gilbert.

Alzò il proprio, dunque, per cercare di capire cosa ci fosse di strano in lui: poteva spiegarsi la sorpresa iniziale, ma Gilbert sembrava di fronte al suo peggiore incubo - certo, da piccolo ammetteva di avere un tantino esagerato quando giocavano insieme, ma...

«Tutto ok, Gil?» chiese, il diminutivo che gli sfuggì fra le labbra prima che potesse ragionarci o fermarsi. Era così istintivo e suonava così familiare che, realizzò, anche sforzandosi non avrebbe saputo chiamarlo in nessun altro modo.

Fin dai suoi primi ricordi Gilbert era sempre "Gil".

Lo vide abbozzare un sorriso leggero: «E' tutto a posto, solo... è davvero una sorpresa.» ammise.

Gilbert sembrava qualcuno che non era tanto stupito dalla presenza dell'altro in quanto studente di Latowidge, ma una persona perplessa che non trovava proponibile il fatto stesso che fosse lì. Pur formulando questo pensiero, Oz scosse la testa: se c'era qualcuno a cui non voleva fare un torto attribuendogli pensieri certamente non suoi, era proprio l'altro ragazzo che ora stava nuovamente discutendo con Alice.

«Comunque il discorso è chiuso.» sentì dire alla ragazza, mentre Gilbert assumeva di nuovo l'aria seccata e irritata di prima: «Intanto smetti di chiamarlo "servo".»

«Non vedo perché non dovrei chiamarlo con il suo nome, tsk!»

«Perché è persino parte di una famiglia più importante della nostra e della tua, quindi non credo proprio dovresti, mocciosa viziata!»

«Ma sta zitto, Monnalisa!»

Oz, in tutto quello, si sentì picchiettare su una spalla; voltandosi, vide Noah che gli faceva cenno di allontanarsi e seguirlo, dirigendosi verso Marcus poco distante.

Incerto, alternò lo sguardo fra Noah e Gilbert ancora vicino ad Alice. Lui - probabilmente avendo visto la manovra del compagno del biondo - annuì impercettibilmente mentre Alice tentava ben poco elegantemente di piazzargli un calcio negli stinchi.

Oz ridacchiò appena, annuendo di rimando e seguendo quindi Noah. Raggiunsero insieme Marcus, in disparte e poggiato contro la parete. Quando li notò avvicinarsi, posò lo sguardo chiaro su Noah - Oz notò che sembrava seguirne i movimenti in ogni istante e con estrema naturalezza, come se fosse un compito assolto per tanto tempo e che, semplicemente, proseguiva anche in quel momento.

Poi, come se avesse constatato che era tutto nella norma, lo spostò inaspettatamente su Oz; il biondo soppesò la sensazione che gli dava. Non era esattamente a suo agio, ma nemmeno quel tipo di soggezione rivolta ad una persona più grande o che inquieta particolarmente.

D'altra parte, non era da lui pensare così tanto solo per rivolgere la parola a qualcuno. Tese la mano, con più naturalezza possibile: «Ciao, l'altra sera eri un po' di fretta, perciò... Oz Bezarius.» si presentò.

Marcus parve studiarne la mano con aria neutra; non strinse quella del biondo, ma rispose con un atono: «Marcus Wellesday-Keynes.»

Pareva una prassi di cui non gli interessava granché.

Noah stroncò sul nascere il silenzio imbarazzato che minacciava di crearsi da subito: «Mamma mia che casino eh? Scusa se t'ho tirato via, Oz, ma meglio che non ti conoscano tutti come quello che fa il servo di Lewis sai?» ironizzò, prendendolo bonariamente in giro.

Oz annuì divertito, mentre Noah si rivolgeva a Marcus, pur mantenendo ancora lo sguardo sulla scena: «Certo che oggi era pure più movimentato del solito, eh Marcus?»

«Quando mai i Nightray non fanno casino.» commentò, facendo ridere il fratellastro di gusto: «Però i tipi come Alice dovrebbero piacerti, no?»

«Convinto tu.» replicò laconico. Oz notò che Marcus, malgrado il linguaggio più adatto ad uno stalliere che non ad un figlio di buona famiglia, sembrava utilizzarlo solo quando proprio era furioso, come la sera prima.

Altro aspetto curioso, era che non importava quante parolacce dispensasse al mondo: Noah sembrava sempre scambiarli per complimenti - come facesse era un mistero.

Proprio il compagno di stanza, ora, batteva una pacca sulla spalla del fratellastro: «Un modo carino di dire che ti sta simpatica, stai migliorando sai?» lo prese bonariamente in giro, l'aria spensierata come se non avesse un solo problema al mondo.

Marcus non replicò nulla, lasciandolo alle sue convinzioni. L'altro, quindi, si rivolse ad Oz con un che di soddisfatto nel sorriso che gli rivolse: «Possiamo abbandonarti con la certezza che non ti ficchi nei guai, Oz?» chiese divertito.

Il biondo finse di pensarci su: «Mah, non lo so... e se mi annoio? Qualcosa dovrò pur fare per occupare il tempo.» finse di osservare casualmente, gli occhi chiari sull'amico. Noah gli fece l'occhiolino con aria complice: «Impara, Oz. Si fa casino davvero solo quando il capo dormitorio non c'è. E probabilmente è già tornato anche lui come il tuo amico.» gli fece notare, voltandosi e incamminandosi per il corridoio, levando solo la mano in aria e agitandola appena come saluto.

Marcus si era avviato quasi subito dietro di lui senza una parola.

Sospirò, stiracchiandosi: era presto per rientrare già in dormitorio, e supponeva che non fosse una grande idea andare a cercare Alice o Gilbert al momento. Ada l’aveva persa di vista nella confusione, invece.

«Oz Bezarius?» sentì chiamare, voltandosi sorpreso verso la voce alle proprie spalle.

La figura che vide era sconosciuta: si trattava di uno studente, palesemente più grande. E, Oz ne fu subito certo, di un altro Paese date le diverse peculiarità dell’aspetto.

I capelli erano chiari, identici a quelli di Xerxes Break tanto che, se solo i lineamenti non fossero stati totalmente diversi, avrebbe potuto facilmente pensare ad un parente dato il colore raro. Leggermente lunghi sia per quanto riguardava la frangia che la nuca, erano completamente lisci. Gli occhi, appena coperti da qualche ciuffo, erano dorati e dall’espressione di serio distacco.

In parte, l’aria che aveva gli ricordava proprio Marcus: un’eleganza innata in qualsiasi gesto, anche il più semplice come muovere qualche passo verso di lui.

Indossava la divisa del collegio in perfetto ordine e il nastro nero che si intravedeva sotto il colletto della camicia lo identificava come uno studente del quinto anno.

Anche se Oz aveva istintivamente annuito, comunque, nel passargli accanto quel ragazzo – parecchio più alto di lui, dal fisico slanciato e ben allenato – pronunciò un leggero: «Scusami un momento.» passando oltre.

Poco dopo fu chiaro che si stesse dirigendo proprio verso l’atrio; Oz lo seguì, indietro di qualche passo. Osservò i primi studenti notarlo e farsi più calmi, spostandosi appena. Quando il ragazzo più grande fu vicino al centro, occhieggiò Alice e Gilbert: «Nightray e Lewis, non è questo il luogo per dei litigi. Tornate nei vostri dormitori con calma, per favore.» disse, il tono che non era di rimprovero o con inflessioni particolari, ma possedeva quella naturale autorità che – seppure non palesava gli ordini come tali – ti impediva di ribattere comunque.

Il biondo, dalla sua posizione, intravide sia Gilbert che Alice annuire. Il ragazzo annuì appena rivolgendosi al resto degli studenti: «E voi, tornate pure alle vostre attività.» disse in aggiunta, mentre già alcuni scemavano in diverse direzioni.

Dopo qualche istante speso a controllare che la tranquillità fosse stata ripristinata, Oz lo vide dirigersi nuovamente verso di lui, fino a raggiungerlo.

«Scusami l’attesa.» disse solamente, lo sguardo fermo su di lui. Oz scosse la testa, una sensazione strana nei suoi confronti a cui non sapeva dare un nome preciso. L’altro non parve notarlo, e se lo aveva fatto non lo dava comunque a vedere. Tese la mano verso il più piccolo.

«Sirjan Kolstoj. Sono il capo dormitorio.» si presentò, tono cortese ma non eccessivamente coinvolto.

Dal nome, non fu difficile confermare la deduzione avuta: certamente quel ragazzo era straniero. Ad ogni modo, Oz gli strinse prontamente la mano, seppure leggermente impacciato: «Piacere, Oz Bezarius.» disse.

Sirjan annuì appena: «Aedan ha avuto l’impressione che non sapessi quando fosse più opportuno incontrarci. Ho pensato di venire io direttamente.» rivelò.

Prima che Oz potesse aggiungere qualcosa, Sirjan gli indicò l’uscita dell’edificio centrale, ormai quasi del tutto sgombra, con un gesto elegante della mano: «Vogliamo uscire e parlare con calma?» chiese, ma Oz aveva la sensazione, mentre lo seguiva, che anche volendo non avrebbe potuto o saputo rifiutare.

 

 

«E quindi ti ha praticamente rapito.» osservò tranquillamente Noah, mentre cercava di dare un senso all’accoppiata “fascia” e “capelli”. Lotta personale che – come aveva detto ad Oz – affrontava eroicamente ogni mattina. In quel momento, mentre si guardava con aria critica, parlava ad un Oz in bagno che presumibilmente si stava lavando i denti.

Almeno a giudicare dall’incomprensibile: “e Fihrian mi fa riahompanato in dormithohio”, che Noah con prontezza di spirito aveva tradotto in un “e Sirjan mi ha riaccompagnato in dormitorio”, pregando Oz di parlare solo quando capire cosa diceva non avrebbe comportato la conoscenza di lingue morte.

Quando finalmente Oz fu uscito dal bagno, Noah stava finendo di trafficare con i libri della scrivania del biondo. Quest’ultimo lo guardò senza capite, mentre l’altro gli metteva praticamente in mano una borsa.

«E questa?» chiese Oz, muovendo qualche passo per seguire l’altro già alla porta; aprendola, Noah gli rivolse un sorriso furbo: «La borsa con i libri che ti servono per oggi. Ma vedi di non abituarti a questo trattamento, eh?» lo prese in giro uscendo.

Mentre avanzavano per i corridoi, Noah aveva insistito per non dire nulla sulla prima lezione della giornata. Anche a mensa, dove avevano mangiato al tavolo con sua sorella Ada, Alice e Marcus, Noah aveva fatto in modo che nessuno dicesse nulla – convincendo Ada ed Alice. Quanto a Marcus, lui aveva mangiato senza parlare molto.

Alla fine, Oz si era dovuto arrendere al fatto che sarebbe stata una lezione a sorpresa: l’unica cosa che Noah gli aveva concesso era stato dirgli la materia poco prima che lui, Oz ed Alice raggiungessero l’aula. Il compagno infatti, aveva ridacchiato con un: «Spero che ti piaccia la matematica, Oz!» aveva esclamato, varcando la soglia.

L’unico motivo per il quale Oz non lo aveva seguito subito, era stato che Alice lo aveva trattenuto tirandolo appena per la manica; voltandosi, le aveva sorriso istintivamente: «Cosa c’è?» chiese, incuriosito dal gesto più che altro.

«I miei cugini.» esordì lei: «Li conosci tutti?» domandò a bruciapelo.

Anche se perplesso, Oz scosse la testa: «No, soltanto Gil.» assicurò. Non seppe dirlo con certezza, ma l’espressione di Alice a seguito della sua risposta era stata un misto tra il seccato e il… sollevato, sì.

«Bene.» aveva decretato, raggiungendo a sua volta l’ingresso dell’aula: «Gilbert è tonto, quindi mi sta bene. Ma stai lontano da Vincent!» decise. Oz fece per ribattere, ma lei puntò il dito contro di lui, quasi con fare accusatorio.

«Guarda che è un ordine, eh?!» ribadì, per poi entrare in classe, lasciando Oz poco distante dalla porta e abbastanza confuso. Non era la prima a dargli l’idea che Vincent Nightray – che lui non aveva presente neanche visivamente oltretutto – fosse uno dal quale bisognasse stare lontani.

O quantomeno, sembrava che per lui – Oz – dovesse essere quasi una regola in aggiunta alle altre della scuola che valevano per tutti. Comunque, si limitò a liquidare il tutto con un sospiro leggero ed una scrollata di spalle, entrando finalmente anche lui in aula.

Ampia e con i banchi doppi perfettamente allineati, la stanza era… oh sì, non c’era altra spiegazione. Quella era sicuramente, senza alcun dubbio, la sala di ritrovo di una setta o qualcosa di simile.

L’aria di adorazione che si elevava quasi al soffitto – e dire che bassissimo non era – sembrava esattamente quella che un branco di adepti della tal religione potrebbe riservare al suo solo ed unico Dio.

Ebbene: sostituiamo le studentesse di sesso femminile – escluse un paio, forse, tra le quali militava Alice – ai fedeli adepti e un uomo che mangia un lecca lecca seduto sulla cattedra con le gambe accavallate al presunto dio.

Perfetto.

«Benvenuto alla prima di tante lezioni del professor Xerxes.» sentì mormorare da Noah, che notò seduto poco distante. Con la mano gli indicava il posto vuoto accanto a sé, che Oz velocemente occupò. Il professor Xerxes – altresì conosciuto come “il lancia palline” – sembrava completamente a suo agio, nonché abituato a quella scena.

«Ti avevo vagamente accennato quanto questi fan club dei vari docenti fossero strabilianti, amico mio?» sentì osservare a Noah in un modo che ricordava un vecchietto che parla dei bei tempi andati e di quanto le nuove generazioni siano cambiate.

Non poté non ridere, Oz, mentre il docente riportava la classe all’ordine – no. Non è una battuta.

«Bene, bene, abbiamo anche un nuovo arrivo che Keynes si è preoccupato di rapire di già!» canticchiò allegro. Noah alzò il pugno in aria, non certo per segnalare al docente la sua collocazione nell’aula, quanto più come un gesto di esultanza: «Ovvio, prof, tutti i migliori passano da me!» scherzò su, nel tono la consapevolezza di poterselo permettere con Break.

Quello infatti non lo richiamò, né altro: scese con un gesto suo malgrado elegante dalla cattedra, aggirandola per raggiungere la lavagna dove scrisse con caratteri enormi “Insiemi”.

Noah sbuffò divertito.

Una voce nell’aula, alla loro sinistra e avanti di qualche banco richiamò quasi annoiata: «Quello è il programma del primo, signore.» mentre urlettini di sottofondo che pronunciavano qualcosa come “awww, ha sbagliato di nuovo” arrivavano dai primissimi banchi.

Oz pensò che fosse meglio – o più salutare? – concentrarsi sulla persona che aveva parlato, ma qualcosa lo distrasse nuovamente dal suo intento. Al richiamo del compagno – la voce gli era parsa palesemente maschile – il docente aveva cancellato la lavagna fischiettando ed ora sulla superficie scura il gesso recitava “Funzioni”.

E un oggetto non identificato, che poi si rivelò essere un astuccio o simili, era volato contro Break.

Accompagnato dalla soave voce che era stato impossibile non riconoscere come quella di Alice: «Imbecille di uno pseudo professore quello è il programma di terzo, non farci perdere tempo!» aveva sbottato seccata e irritata per quella che, probabilmente, era una scena che si ripeteva ogni mattina.

Mentre un coro di voci offese per tale oltraggio si levava dai primi banchi, Oz si era voltato verso Noah: «Fa sempre così?» chiese.

«Oh, non ha ancora dato nemmeno un decimo del meglio di sé, ti assicuro.» disse l’altro senza riuscire a smettere di ridacchiare sommessamente.

Oz fece appena in tempo a voltarsi per portare lo sguardo sul docente, per vedere che sì. La bambolina di dubbio gusto ed origine che dal primo incontro con Break era stata sulla spalla dell’uomo, parlava.

Oh, se parlava.

E sembrava avere un repertorio non indifferente di prese per i fondelli oltretutto.

Proprio ora, infatti, aveva un interessante botta e risposta con il docente: «La piccola Alice si è arrabbiata di nuovo.» aveva osservato quello casualmente, nemmeno fosse una novità.

«Alice è sgraziata, sgraziata, sgraziataaaa! Resterà senza marito, Break?» chiese impertinente la bambolina.

Vide il docente assumere un’aria quasi scioccata – ma l’ombra del sorrisetto che persino Oz riusciva a scorgere, gli suggerì che no. Non era scioccato per nulla.

«Suvvia, Emily.» si rivolse alla bambola con aria di rimprovero: «Non sta bene distruggere le illusioni di una giovane fanciulla quando è quasi in età da marito.» le fece presente.

Osservò Alice.

Tornò su Emily.

Sorrise: «Oh beh, magari quando sono proprio dei casi tanto disperati…» ammise, lo stesso tono casuale mentre Alice già inveiva e faceva per raggiungere la cattedra per mettergli le mani addosso – e no. Non per chissà quali intenti osceni da quartiere a luci rosse.

«Eeeh, mi sa che pure oggi facciamo poco e niente!» sentì gongolare Noah al suo fianco.

Se tutte le nozioni erano su quel genere sia in quanto a difficoltà che a mole di lavoro, Oz supponeva di cominciare ad intravedere i tanto decantati lati positivi di Latowidge.

 

 

Alla lezione – potevano davvero definirla tale? – del professore Xerxes, ne erano seguite altre due: Chimica, a cura del docente Daniel Wayne, e Filosofia affidata ad Alexis Coleman.

Mai Oz aveva visto due persone tanto diverse l’una dall’altra a distanza di sole due ore: Daniel Wayne era stato – nel suo sostituirsi a Break per le proprie ore di lezione – come essere colpiti in pieno da un cubetto di grandine particolarmente grande. Oppure, avere uno scontro frontale con un iceberg; sì, il secondo esempio calzava di più.

Indubbiamente di bell’aspetto: capelli scuri, neri, dal taglio corto e scalato, appena disordinato forse. Occhi grigi come il cielo in tempesta, l’espressione più cortese che riservavano era l’arroganza di chi si astiene dal dire “tu, comune mortale, non osare respirare la mia stessa aria”, solamente perché il docente sapeva che sarebbe stato preso per matto.

Anche lui munito del suo stuolo di fan, il primo “aww” che era volato era stato liquidato con un gelido: «Un altro verso di dubbia origine e chi lo ha fatto arriverà ad odiare le reazioni chimiche grazie al sottoscritto.»

Estremamente giovane, era stato un ex studente prodigio, ed ecco spiegato perché a soli ventiquattro anni fosse già professore di un istituto come Latowidge.

Dopo le due ore di chimica dove nemmeno Noah aveva fatto casino, Alexis Coleman aveva dato il cambio al collega. Capelli biondi e sguardo ceruleo capace di far sciogliere anche la neve in pieno inverno, era entrato canticchiando una canzoncina tragicamente simile al famoso motivetto: “London bridge is fallin’ down”, ma con parole diverse tra le quali Oz aveva sentito più o meno distintamente “pallina”, “vola e va” e “Rufus”.

Il che, aveva osservato, lasciava supporre che la canzoncina in questione parlasse dell’episodio a cui aveva assistito alla colazione del giorno prima.

Dirigendosi a mensa per la pausa pranzo, Noah aveva insistito col non volergli rivelare nulla degli altri docenti: «Che gusto c’è se ti rovino la sorpresa?» aveva obiettato al broncio del biondo.

Così avevano mangiato tutti insieme – lui, Noah, Marcus e Ada. Alice, invece, chissà dov’era finita – e nel pomeriggio molti avevano deviato verso la biblioteca, come Noah. Ada, invece, aveva assicurato di avere del tempo e di non avere urgenza di studiare, essendosi avvantaggiata in vista dell’arrivo del fratello lì a scuola.

Così, si erano attardati in mensa, preferendo non uscire in giardino – le nuvole grigie, aumentate già nella tarda mattinata, minacciavano ora pioggia.

«Ti trovi bene, fratellino?» chiese Ada con tono pacato, una vena di dolcezza nella voce. Oz, che picchiettava distrattamente con un dito sul tavolo, annuì sorridente.

«Sì, sì. Noah fa da guida, con la differenza che rispetto a chi lo fa per mestiere, lui è molto più divertente quando racconta le cose.» assicurò. Ada rise, una risata allegra.

«Noah è sempre stato così anche quando Karin me lo ha presentato la prima volta, l’anno scorso.» raccontò, catturando quasi nell’immediato l’attenzione del fratello: «Noah è qui dal primo anno?» chiese infatti Oz.

La sorella annuì: «Sì. È arrivato qui l’anno scorso, regolarmente. Ha sempre avuto l’atteggiamento spensierato di adesso. È una persona che sa metterti facilmente a tuo agio. Io non l’ho mai visto giù di morale.» ammise, rallegrandosene.

Oz sorrise come un genitore orgoglioso del proprio figlio e dei suoi risultati. La sorella proseguì: «Però non ho saputo subito che Marcus fosse il fratello. Sembra che Noah lo presenti come tale solo quando la conversazione lo rende necessario.» osservò, pensierosa. Oz tacque qualche istante, l’espressione simile a quella della sorella.

«Forse,» azzardò: «è perché non sono proprio fratelli. A me ha detto che è il fratellastro, e che i genitori non sono ancora sposati.» ammise.

Ada annuì: «Già, magari è per questo. Non lo sapevo, quindi mi sembrava strano, ma così ha più senso.» aggiunse con un sorriso. Il fratello, in ogni caso, preferì non fare altre domande riguardo il compagno di stanza.

Noah non aveva mai accennato a nessun problema riguardo l’unione di suo padre e la madre di Marcus; e, ora che ci faceva caso, non aveva nemmeno fatto domande ad Oz sulla propria famiglia.

Era stato come se l’unica informazione utile ed interessante fosse che aveva una sorella e che, sapendolo già , non ci fosse stato bisogno di fargli altre domande.

Forse, si era detto, non c’è davvero un motivo per cui non lo presenta subito come fratello.

Se anche c’era, comunque, sentiva che forzarlo a spiegarglielo con domande pressanti era un torto che per nessuno motivo avrebbe voluto rivolgere a qualcuno. Men che meno a Noah.

 

«Fratello?» sentì la voce di Ada, appena ovattata.

Cercava quasi di allontanarsene ma, al tempo stesso, qualcosa gli diceva di tendere a quella voce. Tuttavia, le sue gambe non davano cenno di volersi muovere.

Né le sue braccia.

Né alcuna parte del corpo che sentiva intorpidito.

«Gli dia tempo, signorina. I… stanno ancora…»

Cosa? Chi stava facendo ancora cosa?

«Oz?»

Era Ada, sì. Senza alcun dubbio.

«Oz…?»

Piangeva?

«Oz?! Fratello!»

Perché non riusciva ad alzarsi da lì?

Perché Ada…

 

Si sentì scuotere, anche abbastanza forte.

Intontito dalla classica e familiare sensazione di torpore del primo risveglio, Oz sbatté un paio di volte le palpebre, mettendo a fuoco l’anonima superficie in legno di un tavolo.

Il viso, prima poggiato alle braccia incrociate sul suddetto ripiano, si alzò appena cercando di focalizzare dove si trovasse.

Ma, anziché trovare il resto di una stanza – qualunque essa fosse – incontrò un altro viso dall’aria preoccupata. Non ci volle molto perché lo identificasse con quello di Gilbert.

Quasi riscosso dal sonno solo in quel momento, sbatté nuovamente le palpebre come se lo avesse accarezzato il dubbio che l’altro fosse qualcosa di molto simile ad un miraggio.

Quando fu ormai ovvio che non era così, poté lasciare spazio alla sorpresa: «Gil?» chiamò, il tono leggermente basso e arrochito per il sonnellino fuori programma che aveva fatto.

L’altro, sospirò palesemente sollevato: «Come pensavo stavi solo dormendo.» mormorò, la preoccupazione che sfumava velocemente in quell’unica frase. Oz lo osservò interrogativamente.

Aveva pensato che instaurare un discorso con Gilbert sarebbe stato molto più complicato, in qualche modo: invece sembrava che, da casa Bezarius, l’altro non se ne fosse mai andato.

Sorrise con la sua solita indole spensierata – a volte anche piuttosto fuori luogo, come non mancavano di ricordargli: «È successo qualcosa?» chiese, inclinando il capo lateralmente, di poco.

Gilbert lo osservò come chi è fortemente combattuto tra il prenderti a sberle e mettersi lì con la santa pazienza a spiegare un concetto affrontato almeno dieci volte: «Ho incrociato Ada entrando in mensa, che mi ha detto che ti eri addormentato al tavolo. Ha detto di non volerti svegliare e mi ha chiesto se potevo farlo io quando fossi andato via.» spiegò sbrigativo.

Oz lo osservava senza cogliere il motivo di quella preoccupazione e Gilbert parve leggergli nel pensiero.

«Ti agitavi nel sonno. Parecchio.» chiarì in un borbottio burbero.

Oz, l’espressione inizialmente sorpresa, sorrise apertamente: «Gil si è preoccupato per me!» canticchiò, allegro. Vedere Gilbert che arrossiva e mutava la sua espressione da burbera ad agitata, gli suggerì che in fondo, era sempre lo stesso.

Anche se il cognome era un altro, e non viveva più con loro.

Sorrise – istintivamente – con una certa nostalgia a quella considerazione ora così evidente davanti ai suoi occhi. Decise di essere magnanimo e cavarlo d’impaccio: ma solo in occasione dell’essersi ritrovati. Poi poteva tornare a divertirsi con le sue reazioni esagerate – chissà se vedendo i gatti piangeva ancora!

«Ti ringrazio. Non ricordo benissimo il sogno, ma…» lasciò in sospeso.

Vecchio vizio, vecchia abitudine.

Di nuovo bugie.

Istintive, naturali.

«Non lo ricordi?» lo interrogò quasi sospettoso Gilbert.

Scosse la testa con un sorriso allegro: «Molto vagamente.»

Mezza verità.

«Solo le sensazioni, forse.»

Verità; come il sentirsi soffocare, il sentirsi impossibilitati a muoversi.

Fermi per l’ennesima volta ad un punto di non ritorno; forse, non voleva tornare indietro. Probabilmente – ma cosa gliene dava la certezza, poi? – sapeva cosa ci avrebbe trovato, indietro.

Sicuramente non gli sarebbe piaciuto.

Sicuramente, non gli piaceva già ora.

«Sai, sono rimasto un po’ sorpreso, Gil.» ammise, dondolando appena le gambe nell’ormai solito gesto meccanico. Se indicasse nervosismo o l’incapacità di stare fermo, non era dato saperlo.

«Per cosa? Per Alice?» chiese automaticamente l’altro. Oz scosse la testa ridendo: «No, non proprio, anche se non pensavo ora avessi tanti parenti!» ammise palesemente divertito.

Ed era quasi certo di aver intravisto Gilbert imbronciarsi, anche se solo per un attimo.

«Comunque no, non proprio per Alice.» aggiunse, riprendendo il discorso. Toccò a Gilbert guardarlo confuso, stavolta.

«Allora cosa?» lo incalzò infatti.

«Gil, tu… ricordavi ancora il mio nome?» chiese, quasi ingenuamente, lo sguardo sincero – e Dio solo sapeva se questo non era raro. Non guardava Gilbert, vergognandosi di quella domanda e della debolezza che, con essa, si era concesso. Proprio lui che cercava di non mostrarne: almeno non dove Ada potesse vederle, e preoccuparsene.

Ma Gilbert, che chissà perché e in quale modo aveva sempre avuto la risposta adatta quando ancora viveva a casa Bezarius, non fece domande. Né si mostrò perplesso da una richiesta oggettivamente così stupida, o di poca importanza.

Sorrise semplicemente: «Certamente. Anche tu ricordavi il mio, no?» replicò come se fosse la cosa più ovvia del mondo, una delle rare promesse che fai da bambino e riesci a ricordare, mentre tutte le altre cadono inesorabilmente nel dimenticatoio.

Ridacchiò, il fare impacciato nascosto dietro la risata leggera.

«Oh, Bezarius junior.» sentì dire, poco distante da sé senza aspettarselo affatto. Motivo per il quale il sussulto, seppur lievissimo, c’era stato.

Voltandosi appena, incrociò una figura poggiata al muro e vicina al loro tavolo: chissà da quanto era lì, poi. Lo osservò come se cercasse nel registro della memoria dove lo aveva già visto.

Capelli biondi, lunghi e tenuti comunque sciolti, malgrado forse non fosse granché pratico: la frangia, leggermente lunga, sfiorava gli occhi senza tuttavia coprirli.

Fu impossibile non concentrarsi su di essi: dissimili, di diverso colore. Dorato uno, carminio l’altro.

La sorpresa che si dipinse sul volto di Oz fu sincera davvero, stavolta, mentre l’altro si avvicinava fino a giungere alle spalle di Gilbert. Poggiò una mano sul tavolo, con eleganza, sorridendo proprio al biondo.

Non gli porse l’altra, tuttavia.

«Vincent Nightray. Non ti spiacerà se ti rubo mio fratello, vero?»

 

 

 

 

Note e ringraziamenti

Note particolari non ne ho, se non che forse ci sarà qualche errore non corretto.

Ho voluto lasciarvi il terzo capitolo perché domani vado in vacanza (finalmente) e non tornerò prima del 9 agosto ^^

Passiamo ora ai ringraziamenti.

 

Makotochan: drogata! XD come già ti accennai, il rapporto che lega Noah e Oz per ora (o sospetto, tragicamente, anche in futuro) è la stupidità intrinseca. Non escludo che possa unirli qualcos’altro in futuro, ma… Marcus è amabile, lo so, ringraziamo tutti Yoko per averlo creato <3 *ama*

Eccoti accontentata, comunque: Vince è apparso! XD

 

Doremichan: non abituatevi alla velocità di postaggio, è un incantesimo che non so quanto durerà! XD *anche se questo, forse, non dovrebbe dirlo l’autrice* Carissima, è sempre un piacere leggerti fra le recensioni <3

Sei il mio personale riscontro sull’IC, che ho sempre il dubbio di non mantenere del tutto, o non mantenere affatto. Come Alice, che devo dire è stata istintiva, più che studiata XP

Per quanto riguarda la fama di Vincent, come anche il perché Oz debba essere tenuto sotto controllo, verranno spiegate ma penso non nei prossimi capitoli. Ma chissà, magari mi prende la follia XD

 

LitaChan: ti ringrazio dei complimenti <3 Come ho già detto, per Marcus ringraziamo Yoko. Quando a Noah, continuo a stupirmi del suo successo XD *fa un metaforico pat pat a Noah* In virtù di questo, però, ho accarezzato l’idea di dargli un ruolo che non sia la semplice guida/compagno di stanza di Oz.

Quindi chissà, vedremo ^-^

 

ShAiW: santo cielo creo dipendenza XD

Spero seriamente che il capitolo sia stato abbastanza interessante anche se, da autrice cattiva, non ho approfondito molto questo loro primo incontro XP

Quanto a Noah e Oz, sì, decisamente solo da amici: in caso contrario, temo Oz morirebbe presto per mano di terze persone XD

Ti prego, non unirti al Docenti Fan Club di questo capitolo: sono odiose! Magari creane un altro ù.ù

 

Yoko891: Questo capitolo deve averti ispirata particolarmente <- sinceramente parlando: manco un po’ XD

Sarà che ci sto facendo attenzione (se questo terzo sarà uno scatafascio, sai in quali condizioni versavo mentre scrivevo e correggevo XD). Sono contenta che Alice sia in un buon IC <3

Per gli autografi, suvvia: lo sai che per te ho sempre tempo u.u

 

Un ringraziamento speciale, infine, a quella santa donna della mia docente di giapponese.

Sensei, se non ci fossi tu a farmi lezione in facoltà con la marionetta, come avrei mai potuto giostrarmi Emily a lezione? <33

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pandora Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Shichan