Ricordi
il mio nome?
«...Oz?» lo chiamò,
l'espressione stupita.
Per contro, Oz non ne aveva
una meno sorpresa, malgrado fosse perfettamente a conoscenza del fatto che
Gilbert era lì a Latowidge.
Alzò la mano, come a fargli
segno che lo aveva visto e riconosciuto, il sorriso leggero sulle labbra.
«Il mio servo è venduto.»
sentì commentare ad Alice, grato alla schiettezza dell'altra che lo aveva
appena riscosso dalla matassa informe e fin troppo intricata dei propri
pensieri.
Rise, avvicinandosi di
qualche passo: «Scusami, scusami Alice!» canticchiò andando in suo soccorso - o
fingendo di farlo, visto che non ce ne era reale bisogno.
Lei, imbronciata e con le
braccia incrociate al petto, voltò il viso dall'altra parte ostentando una
certa offesa. Oz ridacchiò appena, sentendosi addosso lo sguardo di Gilbert.
Alzò il proprio, dunque,
per cercare di capire cosa ci fosse di strano in lui: poteva spiegarsi la
sorpresa iniziale, ma Gilbert sembrava di fronte al suo peggiore incubo -
certo, da piccolo ammetteva di avere un tantino esagerato quando
giocavano insieme, ma...
«Tutto ok, Gil?» chiese, il
diminutivo che gli sfuggì fra le labbra prima che potesse ragionarci o
fermarsi. Era così istintivo e suonava così familiare che, realizzò, anche
sforzandosi non avrebbe saputo chiamarlo in nessun altro modo.
Fin dai suoi primi ricordi
Gilbert era sempre "Gil".
Lo vide abbozzare un
sorriso leggero: «E' tutto a posto, solo... è davvero una sorpresa.» ammise.
Gilbert sembrava qualcuno
che non era tanto stupito dalla presenza dell'altro in quanto studente di
Latowidge, ma una persona perplessa che non trovava proponibile il fatto stesso
che fosse lì. Pur formulando questo pensiero, Oz scosse la testa: se c'era
qualcuno a cui non voleva fare un torto attribuendogli pensieri certamente non
suoi, era proprio l'altro ragazzo che ora stava nuovamente discutendo con
Alice.
«Comunque il discorso è
chiuso.» sentì dire alla ragazza, mentre Gilbert assumeva di nuovo l'aria
seccata e irritata di prima: «Intanto smetti di chiamarlo "servo".»
«Non vedo perché non dovrei
chiamarlo con il suo nome, tsk!»
«Perché è persino parte di
una famiglia più importante della nostra e della tua, quindi non credo proprio
dovresti, mocciosa viziata!»
«Ma sta zitto, Monnalisa!»
Oz, in tutto quello, si
sentì picchiettare su una spalla; voltandosi, vide Noah che gli faceva cenno di
allontanarsi e seguirlo, dirigendosi verso Marcus poco distante.
Incerto, alternò lo sguardo
fra Noah e Gilbert ancora vicino ad Alice. Lui - probabilmente avendo visto la
manovra del compagno del biondo - annuì impercettibilmente mentre Alice tentava
ben poco elegantemente di piazzargli un calcio negli stinchi.
Oz ridacchiò appena,
annuendo di rimando e seguendo quindi Noah. Raggiunsero insieme Marcus, in
disparte e poggiato contro la parete. Quando li notò avvicinarsi, posò lo
sguardo chiaro su Noah - Oz notò che sembrava seguirne i movimenti in ogni
istante e con estrema naturalezza, come se fosse un compito assolto per tanto
tempo e che, semplicemente, proseguiva anche in quel momento.
Poi, come se avesse
constatato che era tutto nella norma, lo spostò inaspettatamente su Oz; il
biondo soppesò la sensazione che gli dava. Non era esattamente a suo agio, ma
nemmeno quel tipo di soggezione rivolta ad una persona più grande o che inquieta
particolarmente.
D'altra parte, non era da
lui pensare così tanto solo per rivolgere la parola a qualcuno. Tese la mano,
con più naturalezza possibile: «Ciao, l'altra sera eri un po' di fretta,
perciò... Oz Bezarius.» si presentò.
Marcus parve studiarne la
mano con aria neutra; non strinse quella del biondo, ma rispose con un atono:
«Marcus Wellesday-Keynes.»
Pareva una prassi di cui
non gli interessava granché.
Noah stroncò sul nascere il
silenzio imbarazzato che minacciava di crearsi da subito: «Mamma mia che casino
eh? Scusa se t'ho tirato via, Oz, ma meglio che non ti conoscano tutti come
quello che fa il servo di Lewis sai?» ironizzò, prendendolo bonariamente in
giro.
Oz annuì divertito, mentre
Noah si rivolgeva a Marcus, pur mantenendo ancora lo sguardo sulla scena:
«Certo che oggi era pure più movimentato del solito, eh Marcus?»
«Quando mai i Nightray non
fanno casino.» commentò, facendo ridere il fratellastro di gusto: «Però i tipi
come Alice dovrebbero piacerti, no?»
«Convinto tu.» replicò
laconico. Oz notò che Marcus, malgrado il linguaggio più adatto ad uno
stalliere che non ad un figlio di buona famiglia, sembrava utilizzarlo solo
quando proprio era furioso, come la sera prima.
Altro aspetto curioso, era
che non importava quante parolacce dispensasse al mondo: Noah sembrava sempre
scambiarli per complimenti - come facesse era un mistero.
Proprio il compagno di
stanza, ora, batteva una pacca sulla spalla del fratellastro: «Un modo carino
di dire che ti sta simpatica, stai migliorando sai?» lo prese bonariamente in
giro, l'aria spensierata come se non avesse un solo problema al mondo.
Marcus non replicò nulla,
lasciandolo alle sue convinzioni. L'altro, quindi, si rivolse ad Oz con un che
di soddisfatto nel sorriso che gli rivolse: «Possiamo abbandonarti con la
certezza che non ti ficchi nei guai, Oz?» chiese divertito.
Il biondo finse di pensarci
su: «Mah, non lo so... e se mi annoio? Qualcosa dovrò pur fare per occupare il
tempo.» finse di osservare casualmente, gli occhi chiari sull'amico. Noah gli
fece l'occhiolino con aria complice: «Impara, Oz. Si fa casino davvero solo
quando il capo dormitorio non c'è. E probabilmente è già tornato anche lui come
il tuo amico.» gli fece notare, voltandosi e incamminandosi per il corridoio,
levando solo la mano in aria e agitandola appena come saluto.
Marcus si era avviato quasi
subito dietro di lui senza una parola.
Sospirò, stiracchiandosi:
era presto per rientrare già in dormitorio, e supponeva che non fosse una
grande idea andare a cercare Alice o Gilbert al momento. Ada l’aveva persa di
vista nella confusione, invece.
«Oz Bezarius?» sentì
chiamare, voltandosi sorpreso verso la voce alle proprie spalle.
La figura che vide era
sconosciuta: si trattava di uno studente, palesemente più grande. E, Oz ne fu
subito certo, di un altro Paese date le diverse peculiarità dell’aspetto.
I capelli erano chiari,
identici a quelli di Xerxes Break tanto che, se solo i lineamenti non fossero
stati totalmente diversi, avrebbe potuto facilmente pensare ad un parente dato
il colore raro. Leggermente lunghi sia per quanto riguardava la frangia che la
nuca, erano completamente lisci. Gli occhi, appena coperti da qualche ciuffo,
erano dorati e dall’espressione di serio distacco.
In parte, l’aria che aveva
gli ricordava proprio Marcus: un’eleganza innata in qualsiasi gesto, anche il
più semplice come muovere qualche passo verso di lui.
Indossava la divisa del
collegio in perfetto ordine e il nastro nero che si intravedeva sotto il
colletto della camicia lo identificava come uno studente del quinto anno.
Anche se Oz aveva
istintivamente annuito, comunque, nel passargli accanto quel ragazzo –
parecchio più alto di lui, dal fisico slanciato e ben allenato – pronunciò un
leggero: «Scusami un momento.» passando oltre.
Poco dopo fu chiaro che si
stesse dirigendo proprio verso l’atrio; Oz lo seguì, indietro di qualche passo.
Osservò i primi studenti notarlo e farsi più calmi, spostandosi appena. Quando
il ragazzo più grande fu vicino al centro, occhieggiò Alice e Gilbert:
«Nightray e Lewis, non è questo il luogo per dei litigi. Tornate nei vostri
dormitori con calma, per favore.» disse, il tono che non era di rimprovero o
con inflessioni particolari, ma possedeva quella naturale autorità che –
seppure non palesava gli ordini come tali – ti impediva di ribattere comunque.
Il biondo, dalla sua
posizione, intravide sia Gilbert che Alice annuire. Il ragazzo annuì appena
rivolgendosi al resto degli studenti: «E voi, tornate pure alle vostre
attività.» disse in aggiunta, mentre già alcuni scemavano in diverse direzioni.
Dopo qualche istante speso
a controllare che la tranquillità fosse stata ripristinata, Oz lo vide
dirigersi nuovamente verso di lui, fino a raggiungerlo.
«Scusami l’attesa.» disse
solamente, lo sguardo fermo su di lui. Oz scosse la testa, una sensazione
strana nei suoi confronti a cui non sapeva dare un nome preciso. L’altro non
parve notarlo, e se lo aveva fatto non lo dava comunque a vedere. Tese la mano
verso il più piccolo.
«Sirjan Kolstoj. Sono il
capo dormitorio.» si presentò, tono cortese ma non eccessivamente coinvolto.
Dal nome, non fu difficile
confermare la deduzione avuta: certamente quel ragazzo era straniero. Ad ogni
modo, Oz gli strinse prontamente la mano, seppure leggermente impacciato:
«Piacere, Oz Bezarius.» disse.
Sirjan annuì appena: «Aedan
ha avuto l’impressione che non sapessi quando fosse più opportuno incontrarci.
Ho pensato di venire io direttamente.» rivelò.
Prima che Oz potesse
aggiungere qualcosa, Sirjan gli indicò l’uscita dell’edificio centrale, ormai
quasi del tutto sgombra, con un gesto elegante della mano: «Vogliamo uscire e
parlare con calma?» chiese, ma Oz aveva la sensazione, mentre lo seguiva, che
anche volendo non avrebbe potuto o saputo rifiutare.
«E quindi ti ha
praticamente rapito.» osservò tranquillamente Noah, mentre cercava di dare un
senso all’accoppiata “fascia” e “capelli”. Lotta personale che – come aveva
detto ad Oz – affrontava eroicamente ogni mattina. In quel momento, mentre si
guardava con aria critica, parlava ad un Oz in bagno che presumibilmente si
stava lavando i denti.
Almeno a giudicare
dall’incomprensibile: “e Fihrian mi fa riahompanato in dormithohio”, che Noah
con prontezza di spirito aveva tradotto in un “e Sirjan mi ha riaccompagnato in
dormitorio”, pregando Oz di parlare solo quando capire cosa diceva non avrebbe
comportato la conoscenza di lingue morte.
Quando finalmente Oz fu
uscito dal bagno, Noah stava finendo di trafficare con i libri della scrivania
del biondo. Quest’ultimo lo guardò senza capite, mentre l’altro gli metteva
praticamente in mano una borsa.
«E questa?» chiese Oz,
muovendo qualche passo per seguire l’altro già alla porta; aprendola, Noah gli
rivolse un sorriso furbo: «La borsa con i libri che ti servono per oggi. Ma
vedi di non abituarti a questo trattamento, eh?» lo prese in giro uscendo.
Mentre avanzavano per i
corridoi, Noah aveva insistito per non dire nulla sulla prima lezione della
giornata. Anche a mensa, dove avevano mangiato al tavolo con sua sorella Ada,
Alice e Marcus, Noah aveva fatto in modo che nessuno dicesse nulla –
convincendo Ada ed Alice. Quanto a Marcus, lui aveva mangiato senza parlare
molto.
Alla fine, Oz si era dovuto
arrendere al fatto che sarebbe stata una lezione a sorpresa: l’unica cosa che
Noah gli aveva concesso era stato dirgli la materia poco prima che lui, Oz ed
Alice raggiungessero l’aula. Il compagno infatti, aveva ridacchiato con un:
«Spero che ti piaccia la matematica, Oz!» aveva esclamato, varcando la soglia.
L’unico motivo per il quale
Oz non lo aveva seguito subito, era stato che Alice lo aveva trattenuto
tirandolo appena per la manica; voltandosi, le aveva sorriso istintivamente:
«Cosa c’è?» chiese, incuriosito dal gesto più che altro.
«I miei cugini.» esordì
lei: «Li conosci tutti?» domandò a bruciapelo.
Anche se perplesso, Oz
scosse la testa: «No, soltanto Gil.» assicurò. Non seppe dirlo con certezza, ma
l’espressione di Alice a seguito della sua risposta era stata un misto tra il
seccato e il… sollevato, sì.
«Bene.» aveva decretato,
raggiungendo a sua volta l’ingresso dell’aula: «Gilbert è tonto, quindi mi sta
bene. Ma stai lontano da Vincent!» decise. Oz fece per ribattere, ma lei puntò
il dito contro di lui, quasi con fare accusatorio.
«Guarda che è un ordine,
eh?!» ribadì, per poi entrare in classe, lasciando Oz poco distante dalla porta
e abbastanza confuso. Non era la prima a dargli l’idea che Vincent Nightray –
che lui non aveva presente neanche visivamente oltretutto – fosse uno dal quale
bisognasse stare lontani.
O quantomeno, sembrava che
per lui – Oz – dovesse essere quasi una regola in aggiunta alle altre della
scuola che valevano per tutti. Comunque, si limitò a liquidare il tutto con un
sospiro leggero ed una scrollata di spalle, entrando finalmente anche lui in
aula.
Ampia e con i banchi doppi
perfettamente allineati, la stanza era… oh sì, non c’era altra spiegazione.
Quella era sicuramente, senza alcun dubbio, la sala di ritrovo di una setta o
qualcosa di simile.
L’aria di adorazione che si
elevava quasi al soffitto – e dire che bassissimo non era – sembrava esattamente
quella che un branco di adepti della tal religione potrebbe riservare al suo
solo ed unico Dio.
Ebbene: sostituiamo le
studentesse di sesso femminile – escluse un paio, forse, tra le quali militava
Alice – ai fedeli adepti e un uomo che mangia un lecca lecca seduto sulla
cattedra con le gambe accavallate al presunto dio.
Perfetto.
«Benvenuto alla prima di
tante lezioni del professor Xerxes.» sentì mormorare da Noah, che notò seduto
poco distante. Con la mano gli indicava il posto vuoto accanto a sé, che Oz
velocemente occupò. Il professor Xerxes – altresì conosciuto come “il lancia
palline” – sembrava completamente a suo agio, nonché abituato a quella scena.
«Ti avevo vagamente
accennato quanto questi fan club dei vari docenti fossero strabilianti, amico
mio?» sentì osservare a Noah in un modo che ricordava un vecchietto che parla
dei bei tempi andati e di quanto le nuove generazioni siano cambiate.
Non poté non ridere, Oz,
mentre il docente riportava la classe all’ordine – no. Non è una battuta.
«Bene, bene, abbiamo anche
un nuovo arrivo che Keynes si è preoccupato di rapire di già!» canticchiò
allegro. Noah alzò il pugno in aria, non certo per segnalare al docente la sua
collocazione nell’aula, quanto più come un gesto di esultanza: «Ovvio, prof,
tutti i migliori passano da me!» scherzò su, nel tono la consapevolezza di
poterselo permettere con Break.
Quello infatti non lo
richiamò, né altro: scese con un gesto suo malgrado elegante dalla cattedra,
aggirandola per raggiungere la lavagna dove scrisse con caratteri enormi
“Insiemi”.
Noah sbuffò divertito.
Una voce nell’aula, alla
loro sinistra e avanti di qualche banco richiamò quasi annoiata: «Quello è il
programma del primo, signore.» mentre urlettini di sottofondo che pronunciavano
qualcosa come “awww, ha sbagliato di nuovo” arrivavano dai primissimi banchi.
Oz pensò che fosse meglio –
o più salutare? – concentrarsi sulla persona che aveva parlato, ma qualcosa lo
distrasse nuovamente dal suo intento. Al richiamo del compagno – la voce gli
era parsa palesemente maschile – il docente aveva cancellato la lavagna
fischiettando ed ora sulla superficie scura il gesso recitava “Funzioni”.
E un oggetto non
identificato, che poi si rivelò essere un astuccio o simili, era volato contro
Break.
Accompagnato dalla soave
voce che era stato impossibile non riconoscere come quella di Alice: «Imbecille
di uno pseudo professore quello è il programma di terzo, non farci perdere
tempo!» aveva sbottato seccata e irritata per quella che, probabilmente, era
una scena che si ripeteva ogni mattina.
Mentre un coro di voci
offese per tale oltraggio si levava dai primi banchi, Oz si era voltato verso
Noah: «Fa sempre così?» chiese.
«Oh, non ha ancora dato
nemmeno un decimo del meglio di sé, ti assicuro.» disse l’altro senza riuscire
a smettere di ridacchiare sommessamente.
Oz fece appena in tempo a
voltarsi per portare lo sguardo sul docente, per vedere che sì. La bambolina di
dubbio gusto ed origine che dal primo incontro con Break era stata sulla spalla
dell’uomo, parlava.
Oh, se parlava.
E sembrava avere un
repertorio non indifferente di prese per i fondelli oltretutto.
Proprio ora, infatti, aveva
un interessante botta e risposta con il docente: «La piccola Alice si è
arrabbiata di nuovo.» aveva osservato quello casualmente, nemmeno fosse una
novità.
«Alice è sgraziata,
sgraziata, sgraziataaaa! Resterà senza marito, Break?» chiese impertinente la
bambolina.
Vide il docente assumere
un’aria quasi scioccata – ma l’ombra del sorrisetto che persino Oz riusciva a
scorgere, gli suggerì che no. Non era scioccato per nulla.
«Suvvia, Emily.» si rivolse
alla bambola con aria di rimprovero: «Non sta bene distruggere le illusioni di
una giovane fanciulla quando è quasi in età da marito.» le fece presente.
Osservò Alice.
Tornò su Emily.
Sorrise: «Oh beh, magari
quando sono proprio dei casi tanto disperati…» ammise, lo stesso tono casuale
mentre Alice già inveiva e faceva per raggiungere la cattedra per mettergli le
mani addosso – e no. Non per chissà quali intenti osceni da quartiere a luci rosse.
«Eeeh, mi sa che pure oggi
facciamo poco e niente!» sentì gongolare Noah al suo fianco.
Se tutte le nozioni erano
su quel genere sia in quanto a difficoltà che a mole di lavoro, Oz supponeva di
cominciare ad intravedere i tanto decantati lati positivi di Latowidge.
Alla lezione – potevano
davvero definirla tale? – del professore Xerxes, ne erano seguite altre due:
Chimica, a cura del docente Daniel Wayne, e Filosofia affidata ad Alexis
Coleman.
Mai Oz aveva visto due
persone tanto diverse l’una dall’altra a distanza di sole due ore: Daniel Wayne
era stato – nel suo sostituirsi a Break per le proprie ore di lezione – come
essere colpiti in pieno da un cubetto di grandine particolarmente grande.
Oppure, avere uno scontro frontale con un iceberg; sì, il secondo esempio
calzava di più.
Indubbiamente di
bell’aspetto: capelli scuri, neri, dal taglio corto e scalato, appena
disordinato forse. Occhi grigi come il cielo in tempesta, l’espressione più
cortese che riservavano era l’arroganza di chi si astiene dal dire “tu, comune
mortale, non osare respirare la mia stessa aria”, solamente perché il docente
sapeva che sarebbe stato preso per matto.
Anche lui munito del suo
stuolo di fan, il primo “aww” che era volato era stato liquidato con un gelido:
«Un altro verso di dubbia origine e chi lo ha fatto arriverà ad odiare le
reazioni chimiche grazie al sottoscritto.»
Estremamente giovane, era
stato un ex studente prodigio, ed ecco spiegato perché a soli ventiquattro anni
fosse già professore di un istituto come Latowidge.
Dopo le due ore di chimica
dove nemmeno Noah aveva fatto casino, Alexis Coleman aveva dato il cambio al
collega. Capelli biondi e sguardo ceruleo capace di far sciogliere anche la
neve in pieno inverno, era entrato canticchiando una canzoncina tragicamente
simile al famoso motivetto: “London bridge is fallin’ down”, ma con parole
diverse tra le quali Oz aveva sentito più o meno distintamente “pallina”, “vola
e va” e “Rufus”.
Il che, aveva osservato,
lasciava supporre che la canzoncina in questione parlasse dell’episodio a cui
aveva assistito alla colazione del giorno prima.
Dirigendosi a mensa per la
pausa pranzo, Noah aveva insistito col non volergli rivelare nulla degli altri
docenti: «Che gusto c’è se ti rovino la sorpresa?» aveva obiettato al broncio
del biondo.
Così avevano mangiato tutti
insieme – lui, Noah, Marcus e Ada. Alice, invece, chissà dov’era finita – e nel
pomeriggio molti avevano deviato verso la biblioteca, come Noah. Ada, invece,
aveva assicurato di avere del tempo e di non avere urgenza di studiare,
essendosi avvantaggiata in vista dell’arrivo del fratello lì a scuola.
Così, si erano attardati in
mensa, preferendo non uscire in giardino – le nuvole grigie, aumentate già
nella tarda mattinata, minacciavano ora pioggia.
«Ti trovi bene, fratellino?»
chiese Ada con tono pacato, una vena di dolcezza nella voce. Oz, che
picchiettava distrattamente con un dito sul tavolo, annuì sorridente.
«Sì, sì. Noah fa da guida,
con la differenza che rispetto a chi lo fa per mestiere, lui è molto più divertente
quando racconta le cose.» assicurò. Ada rise, una risata allegra.
«Noah è sempre stato così
anche quando Karin me lo ha presentato la prima volta, l’anno scorso.»
raccontò, catturando quasi nell’immediato l’attenzione del fratello: «Noah è
qui dal primo anno?» chiese infatti Oz.
La sorella annuì: «Sì. È
arrivato qui l’anno scorso, regolarmente. Ha sempre avuto l’atteggiamento
spensierato di adesso. È una persona che sa metterti facilmente a tuo agio. Io
non l’ho mai visto giù di morale.» ammise, rallegrandosene.
Oz sorrise come un genitore
orgoglioso del proprio figlio e dei suoi risultati. La sorella proseguì: «Però
non ho saputo subito che Marcus fosse il fratello. Sembra che Noah lo presenti
come tale solo quando la conversazione lo rende necessario.» osservò,
pensierosa. Oz tacque qualche istante, l’espressione simile a quella della
sorella.
«Forse,» azzardò: «è perché
non sono proprio fratelli. A me ha detto che è il fratellastro, e che i
genitori non sono ancora sposati.» ammise.
Ada annuì: «Già, magari è
per questo. Non lo sapevo, quindi mi sembrava strano, ma così ha più senso.»
aggiunse con un sorriso. Il fratello, in ogni caso, preferì non fare altre
domande riguardo il compagno di stanza.
Noah non aveva mai
accennato a nessun problema riguardo l’unione di suo padre e la madre di
Marcus; e, ora che ci faceva caso, non aveva nemmeno fatto domande ad Oz sulla
propria famiglia.
Era stato come se l’unica
informazione utile ed interessante fosse che aveva una sorella e che, sapendolo
già , non ci fosse stato bisogno di fargli altre domande.
Forse, si era detto, non
c’è davvero un motivo per cui non lo presenta subito come fratello.
Se anche c’era, comunque,
sentiva che forzarlo a spiegarglielo con domande pressanti era un torto che per
nessuno motivo avrebbe voluto rivolgere a qualcuno. Men che meno a Noah.
«Fratello?» sentì la
voce di Ada, appena ovattata.
Cercava quasi di
allontanarsene ma, al tempo stesso, qualcosa gli diceva di tendere a quella
voce. Tuttavia, le sue gambe non davano cenno di volersi muovere.
Né le sue braccia.
Né alcuna parte del
corpo che sentiva intorpidito.
«Gli dia tempo,
signorina. I… stanno ancora…»
Cosa? Chi stava facendo
ancora cosa?
«Oz?»
Era Ada, sì. Senza alcun
dubbio.
«Oz…?»
Piangeva?
«Oz?! Fratello!»
Perché non riusciva ad
alzarsi da lì?
Perché Ada…
Si sentì scuotere, anche
abbastanza forte.
Intontito dalla classica e
familiare sensazione di torpore del primo risveglio, Oz sbatté un paio di volte
le palpebre, mettendo a fuoco l’anonima superficie in legno di un tavolo.
Il viso, prima poggiato
alle braccia incrociate sul suddetto ripiano, si alzò appena cercando di
focalizzare dove si trovasse.
Ma, anziché trovare il
resto di una stanza – qualunque essa fosse – incontrò un altro viso dall’aria
preoccupata. Non ci volle molto perché lo identificasse con quello di Gilbert.
Quasi riscosso dal sonno
solo in quel momento, sbatté nuovamente le palpebre come se lo avesse
accarezzato il dubbio che l’altro fosse qualcosa di molto simile ad un
miraggio.
Quando fu ormai ovvio che non
era così, poté lasciare spazio alla sorpresa: «Gil?» chiamò, il tono
leggermente basso e arrochito per il sonnellino fuori programma che aveva
fatto.
L’altro, sospirò
palesemente sollevato: «Come pensavo stavi solo dormendo.» mormorò, la
preoccupazione che sfumava velocemente in quell’unica frase. Oz lo osservò
interrogativamente.
Aveva pensato che
instaurare un discorso con Gilbert sarebbe stato molto più complicato, in
qualche modo: invece sembrava che, da casa Bezarius, l’altro non se ne fosse
mai andato.
Sorrise con la sua solita
indole spensierata – a volte anche piuttosto fuori luogo, come non mancavano di
ricordargli: «È successo qualcosa?» chiese, inclinando il capo lateralmente, di
poco.
Gilbert lo osservò come chi
è fortemente combattuto tra il prenderti a sberle e mettersi lì con la santa
pazienza a spiegare un concetto affrontato almeno dieci volte: «Ho incrociato
Ada entrando in mensa, che mi ha detto che ti eri addormentato al tavolo. Ha
detto di non volerti svegliare e mi ha chiesto se potevo farlo io quando fossi
andato via.» spiegò sbrigativo.
Oz lo osservava senza
cogliere il motivo di quella preoccupazione e Gilbert parve leggergli nel
pensiero.
«Ti agitavi nel sonno.
Parecchio.» chiarì in un borbottio burbero.
Oz, l’espressione inizialmente
sorpresa, sorrise apertamente: «Gil si è preoccupato per me!» canticchiò,
allegro. Vedere Gilbert che arrossiva e mutava la sua espressione da burbera ad
agitata, gli suggerì che in fondo, era sempre lo stesso.
Anche se il cognome era un
altro, e non viveva più con loro.
Sorrise – istintivamente –
con una certa nostalgia a quella considerazione ora così evidente davanti ai
suoi occhi. Decise di essere magnanimo e cavarlo d’impaccio: ma solo in
occasione dell’essersi ritrovati. Poi poteva tornare a divertirsi con le sue
reazioni esagerate – chissà se vedendo i gatti piangeva ancora!
«Ti ringrazio. Non ricordo
benissimo il sogno, ma…» lasciò in sospeso.
Vecchio vizio, vecchia
abitudine.
Di nuovo bugie.
Istintive, naturali.
«Non lo ricordi?» lo
interrogò quasi sospettoso Gilbert.
Scosse la testa con un
sorriso allegro: «Molto vagamente.»
Mezza verità.
«Solo le sensazioni,
forse.»
Verità; come il sentirsi
soffocare, il sentirsi impossibilitati a muoversi.
Fermi per l’ennesima volta
ad un punto di non ritorno; forse, non voleva tornare indietro. Probabilmente –
ma cosa gliene dava la certezza, poi? – sapeva cosa ci avrebbe trovato, indietro.
Sicuramente non gli sarebbe
piaciuto.
Sicuramente, non gli
piaceva già ora.
«Sai, sono rimasto un po’
sorpreso, Gil.» ammise, dondolando appena le gambe nell’ormai solito gesto
meccanico. Se indicasse nervosismo o l’incapacità di stare fermo, non era dato
saperlo.
«Per cosa? Per Alice?»
chiese automaticamente l’altro. Oz scosse la testa ridendo: «No, non proprio,
anche se non pensavo ora avessi tanti parenti!» ammise palesemente divertito.
Ed era quasi certo di aver
intravisto Gilbert imbronciarsi, anche se solo per un attimo.
«Comunque no, non proprio
per Alice.» aggiunse, riprendendo il discorso. Toccò a Gilbert guardarlo
confuso, stavolta.
«Allora cosa?» lo incalzò
infatti.
«Gil, tu… ricordavi ancora
il mio nome?» chiese, quasi ingenuamente, lo sguardo sincero – e Dio solo
sapeva se questo non era raro. Non guardava Gilbert, vergognandosi di quella
domanda e della debolezza che, con essa, si era concesso. Proprio lui che
cercava di non mostrarne: almeno non dove Ada potesse vederle, e
preoccuparsene.
Ma Gilbert, che chissà
perché e in quale modo aveva sempre avuto la risposta adatta quando ancora
viveva a casa Bezarius, non fece domande. Né si mostrò perplesso da una richiesta
oggettivamente così stupida, o di poca importanza.
Sorrise semplicemente:
«Certamente. Anche tu ricordavi il mio, no?» replicò come se fosse la cosa più
ovvia del mondo, una delle rare promesse che fai da bambino e riesci a
ricordare, mentre tutte le altre cadono inesorabilmente nel dimenticatoio.
Ridacchiò, il fare
impacciato nascosto dietro la risata leggera.
«Oh, Bezarius junior.»
sentì dire, poco distante da sé senza aspettarselo affatto. Motivo per il quale
il sussulto, seppur lievissimo, c’era stato.
Voltandosi appena, incrociò
una figura poggiata al muro e vicina al loro tavolo: chissà da quanto era lì,
poi. Lo osservò come se cercasse nel registro della memoria dove lo aveva già
visto.
Capelli biondi, lunghi e
tenuti comunque sciolti, malgrado forse non fosse granché pratico: la frangia,
leggermente lunga, sfiorava gli occhi senza tuttavia coprirli.
Fu impossibile non
concentrarsi su di essi: dissimili, di diverso colore. Dorato uno, carminio
l’altro.
La sorpresa che si dipinse
sul volto di Oz fu sincera davvero, stavolta, mentre l’altro si avvicinava fino
a giungere alle spalle di Gilbert. Poggiò una mano sul tavolo, con eleganza,
sorridendo proprio al biondo.
Non gli porse l’altra,
tuttavia.
«Vincent Nightray. Non ti
spiacerà se ti rubo mio fratello, vero?»
Note e ringraziamenti
Note particolari non ne ho,
se non che forse ci sarà qualche errore non corretto.
Ho voluto lasciarvi il
terzo capitolo perché domani vado in vacanza (finalmente) e non tornerò prima
del 9 agosto ^^
Passiamo ora ai
ringraziamenti.
Makotochan: drogata! XD come già ti accennai, il rapporto che lega
Noah e Oz per ora (o sospetto, tragicamente, anche in futuro) è la stupidità
intrinseca. Non escludo che possa unirli qualcos’altro in futuro, ma… Marcus è
amabile, lo so, ringraziamo tutti Yoko per averlo creato <3 *ama*
Eccoti accontentata,
comunque: Vince è apparso! XD
Doremichan: non abituatevi alla velocità di postaggio, è un
incantesimo che non so quanto durerà! XD *anche se questo, forse, non dovrebbe
dirlo l’autrice* Carissima, è sempre un piacere leggerti fra le recensioni
<3
Sei il mio personale
riscontro sull’IC, che ho sempre il dubbio di non mantenere del tutto, o non
mantenere affatto. Come Alice, che devo dire è stata istintiva, più che studiata
XP
Per quanto riguarda la fama
di Vincent, come anche il perché Oz debba essere tenuto sotto controllo,
verranno spiegate ma penso non nei prossimi capitoli. Ma chissà, magari mi
prende la follia XD
LitaChan: ti ringrazio dei complimenti <3 Come ho già detto,
per Marcus ringraziamo Yoko. Quando a Noah, continuo a stupirmi del suo
successo XD *fa un metaforico pat pat a Noah* In virtù di questo, però, ho
accarezzato l’idea di dargli un ruolo che non sia la semplice guida/compagno di
stanza di Oz.
Quindi chissà, vedremo ^-^
ShAiW: santo cielo creo dipendenza XD
Spero seriamente che il
capitolo sia stato abbastanza interessante anche se, da autrice cattiva, non ho
approfondito molto questo loro primo incontro XP
Quanto a Noah e Oz, sì,
decisamente solo da amici: in caso contrario, temo Oz morirebbe presto per mano
di terze persone XD
Ti prego, non unirti al
Docenti Fan Club di questo capitolo: sono odiose! Magari creane un altro ù.ù
Yoko891: Questo capitolo deve averti ispirata particolarmente
<- sinceramente parlando: manco un po’ XD
Sarà che ci sto facendo
attenzione (se questo terzo sarà uno scatafascio, sai in quali condizioni
versavo mentre scrivevo e correggevo XD). Sono contenta che Alice sia in un
buon IC <3
Per gli autografi, suvvia:
lo sai che per te ho sempre tempo u.u
Un ringraziamento speciale,
infine, a quella santa donna della mia docente di giapponese.
Sensei, se non ci fossi tu
a farmi lezione in facoltà con la marionetta, come avrei mai potuto giostrarmi
Emily a lezione? <33