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Autore: LeanhaunSidhe    20/02/2020    7 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Note: premetto che questo capitolo sarà davvero uno degli ultimi di passaggio. Ho provato a spiegare la vera origine del legame tra Seleina ed Haldir. E' qualcosa che affonda le radici nel passato, che non sono sicura di essere riuscita a chiarire perfettamente. Poi, ci sarà davvero l'azione finale. Avevo promesso altri due capitoli. Non so se riuscirò a restare in questo limite, per cui evito nuove promesse. Diciamo che comunque siamo alla fine. Ecco, posso riassumere il concetto così: tenterò.

La prima parte è un flash back. Quella che segue poco dopo, coi dialoghi in corsivo, spero si capisca che è una sorta di dialogo a due. Qualcosa che riguarda Seleina e Taka.

Se ci fossero punti oscuri, a chi chiede, spiegherò.

Senza grandi pretese...

 

❄️❄️❄️


Così, alla fine sei riuscita a rendermi tuo schiavo.”

Haldir aveva riso amaramente, incrociando il viso nel suo. Il muro trasparente che lo bloccava non impediva la vista attraverso. Ci aveva poggiato le dita sopra e tenui riflessi di luce avevano riverberato sulla superficie cangiante. Lei era bella anche con le lacrime e gli occhi segnati da profonde occhiaie, fiera e solenne, eppure effimera.

Conoscevi i miei intenti. Ti sei lasciato ingannare.”

La frase le era morta sulle labbra, impastata sulla lingua. Haldir aveva scioccato le dita, mentre il muro di cristallo che li separava crollava via come un castello di carte per uno sbuffo di vento. Non aveva risposto. Non era da lui sprecare fiato in vane parole. La verità era che aveva avuto bisogno di illudersi e fidarsi ancora di qualcuno: di lei. Era debole anche lui da quando era stato privato dell’appoggio di suo fratello. Cercava il ristoro di un’altra persona, un posto dove poter essere se stesso. Lui era il bagatto che tentava le mille possibilità e desideri, sempre inquieto. Disposto a ferirsi pure a morte, a fermarsi mai. Era come la vita e la vita non ammette di restare immobile, mentre il tempo scivola via. Non importava quante volte avesse potuto fallire, quanto devastante il contraccolpo.

Ti consumerai. Il potere che viene da me è troppo per un corpo umano. Morirai presto e soffrendo, tu (1) e tutte le tue discendenti che risponderanno al patto.”

Aveva intrecciato le dita alle onde ribelli dei suoi capelli, risalendo dalla spalla alla nuca, tirandoli,obbligandola a mescolare lo sguardo col suo. Due sfumature diverse di blu, neppure troppo distanti.

Per gli esseri umani sono deleteri i vincoli coi Dunedain.”

Sollevata sulle punte, le mani esitanti di fanciulla erano arrivate alle sue spalle, mentre smetteva di piangere ed univa le labbra alle sue.

La più dolorosa delle morti è comunque più vera della prigione dorata a cui costringono quelle come me, per tutta una futile ed interminabile vita.”

Loro erano due anime orgogliose, incapaci di chiedere aiuto, schiacciati lui dal senso di colpa per i suoi figli perduti e lei da una società oppressiva che la obbligava ad essere qualcos’altro e di meno, perché nata donna. Erano due sciocchi, disillusi dallo stesso miraggio: la libertà di poter diventare ciò che si desidera.

 

❄️❄️❄️

 

Le anime del fuoco avevano la forma di giganti liquidi di puro magma, ammassati gli uni sugli altri, addormentati nella lava che vorticava nel ventre dei vulcani. I corpi poderosi e dalla vaga forma umanoide diventavano distinguibili solo le rare volte che uscivano all’aria, durante le eruzioni. Erano entità potenti, preposte alla purificazione ed alla rinascita. Haldir se ne era servito ad ogni epoca per mantenere attivi i sigilli dei perduti. Le anime del fuoco erano vendicative e non tolleravano più di essere dominate aspramente ed a lungo, come aveva osato lui. Ad ogni epoca le sentiva gorgogliare più insofferenti, volitive e rabbiose. Sapeva che non avrebbe mai dovuto abbassare la guardia, che quegli esseri avrebbero tentato in ogni modo di pareggiare il conto. Lo sapeva ed aveva fallito.

Era bastato un attimo: aveva spalancato gli occhi, sorpreso dalla sua stessa debolezza ed il nemico ne aveva approfittato per strapparlo via, ghermirlo lontano. Aveva avuto la salvezza vicina, a pochi centimetri dalle dita e se l’era lasciata rubare per un solo ed insulso istante di esitazione.

Appena aveva visto il fuoco circondarlo si era girato verso il gemello, a gridargli di scappare via. L’istinto di sopravvivenza era esploso dopo, nella sua barriera di ghiaccio e vento ad opporsi alla lava, quando questa l’aveva accerchiato con la volontà di ucciderlo, portandolo con sé sotto la superfice dell’abisso.

La barriera di cui si circondava continuava a cedere, erosa millimetro per millimetro dalla lava tutta intorno.

La cotta di maglia, a contatto coi muscoli, scottava. Il metallo sembrava incandescente, tanto era caldo.

Iniziava a segnare la carne. Il gigante bianco si decise a privarsene, prima di scottarsi. Che la sua agonia fosse prolungata di una manciata di minuti ancora.

Aveva abbassato il viso, le ciocche chiare appiccicate per il sudore alla fronte ed alle guance. I capelli sgualciti sul viso segnato. Ansimante, aveva iniziato a rannicchiarsi su se stesso. Persino mantenere la barriera estesa su uno spazio maggiore diventava gravoso. Era vero. Ormai la sua mente era libera. Non c’era più nessuno a ricordargli della sua colpa. Sorrise. Nonostante tutto non sarebbe mai riuscito a perdonare se stesso. Allungò un braccio, liberando le dita dalla presa della spada, perché si disperdesse per prima nel rosso che, poi, presto, sarebbe stato il turno del legittimo proprietario. Pochi istanti di dolore atroce, prima di estinguersi del tutto.

Ogni piano, tuttavia, era stato realizzato. Tutte le persone a cui teneva erano salve. Poteva abbandonare quel mondo privo di rimpianti. Con Gona sarebbe proseguita tutta la stirpe. Si preparava a raggiungere i figli a cui aveva concesso la pace poco prima, abbandonando persino la seconda arma.

Cominciò a pensare di disfare la barriera. Si sarebbe sciolto nel rosso anche lui, come le sue armi. Nella mente preannunciò il dolore lancinante nel fuoco e la quiete, per accettarli. Non aveva mai avuto paura di sfidare faccia a faccia i propri demoni interiori. Non l’avrebbe fatto neppure con la morte. Chiuse gli occhi, pronto a soffrire per l’ultima volta, rassegnato e sconfitto. Costretto, li riaprì di scatto: nel buio, qualcuno lo chiamava.

❄️❄️❄️

Perché il mio signore non risponde alla mia voce?”

C’era il fuoco nella sua mente ed il protestare di creature che non riusciva ad inquadrare, rosso, semovente, scuro… vivo.

Perché il mio signore non risponde alla mia voce?”

Seleina aveva sussurrato più forte, nella penombra accogliente dell’infermeria. Frasi apparentemente sconnesse e prive di senso iniziavano ad attirare l’interesse di qualcuno. Non era semplice delirio dovuto alla febbre. Taka aveva girato su di lei il viso rugoso.

Il nostro signore non risponde alla tua voce perché non può, bambina”

Seleina aveva dischiuso a malapena le palpebre. Una goccia di sudore era colata dalla fronte imperlata. Quella risposta distorta di donna arrivava ai suoi orecchi quasi graffiandoli. Non sapeva neppure se fosse stata reale o no.

Sciocchezze. Lui ha sempre risposto e continuerà a farlo. Così è da generazioni: è il patto. Ancora non è giunto il momento di scioglierlo.”

Aveva ansimato, cercando di alzarsi ma il corpo non le rispondeva: era un macigno, trattenuto supino da una forza opprimente di cui non riusciva ad avere ragione.

Lasciami andare, chiunque tu sia. Non senti che il mio signore grida nel fuoco? Se non può venire lui, devo essere io a raggiungerlo.”

La voce dell’anziana, pietosa, aveva riso amaramente, poi negato.

Cosa mai potresti fare tu, per lui, bambina?”

Seleina si era divincolata, prima di ricadere con un tonfo su quel letto improvvisato, impotente. Non voleva dormire. Non ci riusciva. Non sarebbe bastata a placarla la malia di una sconosciuta. Haldir lottava tra le fiamme, lo sentiva urlare, mentre il calore saliva di intensità. Non c’era più la terra sotto di lui ma era ancora vivo. Sarebbe bastato dargli il comando, affinché la sua forza si scatenasse davvero, ruggisse un’ultima volta. Forse, quella era per lui anche l’unica possibilità di salvarsi. Erano poche parole che dovevano uscire dalla sua bocca. Un bisbiglio, poco più. Raccolse le energie, stremata. Cercò disperatamente di parlare, dalle sue labbra, però, solo silenzio. Provò a muoversi ancora, invano.

Sarebbe più semplice se tu ti arrendessi al sonno, bambina. Da sveglia, saresti solo partecipe della sua dipartita. Non infliggerti e non infliggergli anche questo dolore. Concedi a te stessa riposo e ad Haldir una morte serena.”

La ragazza aveva percepito discorsi dei cavalieri alleati ed i loro cosmi, le aure rassicuranti dei compagni Dunedain, decisa al risveglio. L’energia del gigante bianco scemava: ormai solo un lumicino. Aveva negato, non seppe se col capo o con la bocca. Ecco, finalmente riusciva a contrastare quell’azione che detestava.

Taka, però, tento l’ultima carta che aveva: la verità.

Non senti che Sire Imuen torna disperato e solo? Se ha accettato lui, devi anche tu.”

Vide la ragazza negare ancora e, a quella ostinazione, fu lei, sfiorata dal dubbio e mossa a compassione, ad arrendersi e chiedere.

Così tanto gli vuoi bene, bambina…”

Le sfiorò la fronte, scostando i capelli bagnati. Tra quella ragazzina ed Haldir il legame era potente. Si cercavano in un modo che trascendeva carne e sangue. Erano padre e figlia, fratello e sorella, maestro ed allieva.

Allora, parla: cosa vorresti mai tentare?”

Taka, finalmente, allentò la presa su di lei, concedendole requie ed un libero respiro. Lesse in lei e scoprì i termini esatti di quel patto che Haldir, con tanto impegno, aveva sempre celato. Apprese che esisteva una parola, concessa solo alle primogenite dei Polaris, che serviva a scatenarlo, come una bestia priva di senno. Un essere senza volontà, se non quella di uccidere. Forse, però, quando non c’erano più vittime, poteva anche significare concedergli la spinta per salvarsi davvero, poiché gli era venuta a mancare la forza per riuscirci da sé.


 

❄️❄️❄️


 

Haldir comprese che qualcuno aveva ancora la cocciutaggine per richiamarlo indietro, a mostrargli un senso, lottare per esso.

Il nome di Seleina gli sfuggì dalle labbra. Mentalmente, aveva supplicato Taka di zittirla, separarla da lui, almeno per quegli ultimi attimi. Sapeva che la ragazzina sarebbe sopravvissuta. Doveva assolutamente. Imprecò mentalmente contro quella vecchia compagna incapace che doveva riuscire a strapparla da lui. Taka aveva sempre avuto l’ostinazione necessaria per riuscire a proteggere tutti i cuccioli del clan, anche se non era mai stata una guerriera. Era o non era per quello che da ere puntava il dito artigliato contro ogni straniero, avvertendolo di non torcere neppure un capello a nessuno dei suoi adorati cuccioli? A quelli che vanno protetti. Come chiamava, con quel suo modo eccentrico, tutti i piccoli che le si facevano incontro. Quello che non poteva in arte bellica lo compensava in tranelli e magie. Se aveva fallito nel bloccare Seleina, era perché quella sua allieva ostinata l’aveva mossa a pietà. Forse, neppure Taka voleva arrendersi a lasciarlo morire in santa pace. L’avevano già invocato insieme quante volte: una, due… tre? A ripetere il suo nome, quello più antico, con cui le primogenite dei Polaris lo obbligavano ad arrivare, come un fedele servitore o un cane da guardia. Seleina, però, aveva fatto male i conti, quella volta: suo padre non era un Asgardiano di nascita. Per lei, l’efficacia del patto era dimezzata. Ormai, quelle due stavano per terminare la serie di inviti a destarsi da quel torpore. Se la immaginava, Taka, a carezzare la fronte di quella sua nuova bambina e a berciare contro di lui, che era un idiota. La conosceva: per risparmiare sofferenza a lei, dove Seleina non sarebbe arrivata da sola, le avrebbe concesso i suoi poteri, per obbligarlo. Quella vecchia maledetta aveva i suoi personalissimi modi per strappargli i segreti che custodiva senza mai chiederglieli apertamente, figurarsi i dettagli del patto da una ragazzina delirante.

Le loro voci, una dolce, d’invito, una gracchiante, che aveva la presunzione del comando, erano fuse insieme, a ripetere le stesse parole, come una nenia, una malia. Haldir sentiva la mente annebbiarsi; il torpore farsi strada lungo vene e muscoli. Quelle due ci stavano riuscendo per merito di quella bastarda, a strappargli coscienza e senno. Haldir strinse le palpebre. Le sue mani stavano per mutare in zampe. Si sarebbe addormentato nel fuoco. Annientando la sua volontà, volevano ad ogni costo concedergli una possibilità di salvarsi, una bambina ed una vecchia decrepita. Imuen era stato messo al guinzaglio da una femmina umana dagli oscuri natali che gli aveva donato un figlio. Lui da una che puzzava di latte e da un’altra che, con un solo calcio, sarebbe potuta scivolare in un attimo nella fossa. Due femmine insulse che, nonostante tutto, lottavano accanite per urlargli di perdonarsi e tornare: non era solo.

“Chi devo sbranare, per te, padrona?”

Domandò beffardo. Sapeva che a gestire il gioco, a quel punto, era solo Taka.

“Distruggi chiunque ostacoli il tuo ritorno da noi, mio signore. ”

Si sbagliava. L’ultima battuta era stata di Seleina. Dopotutto, la piccola non era venuta meno alla sua promessa: fino alla fine non lo aveva chiamato servo ma signore.

(1) Cap 37: Lo scontro – Parte 2. Si tratta di un particolare che credo sia passato inosservato. Seleina aveva svelato qui a Zalaia che una sua antenata aveva stretto un patto con Haldir. In pratica, in questo flash back è presente una sua antenata... L'effetto del patto sarà invece svelato nel prossimo capitolo, almeno ciò che esso comporta per Seleina...

   
 
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