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Autore: Viola Banner    03/03/2020    0 recensioni
Fanfiction ispirata all'avventura ludica "Harry Potter Hogwarts Mystery". Contiene spoiler della saga originale e del gioco.
Julia Lee non ha nessuna aspettativa riguardo al suo futuro, perciò, quando riceve la sua lettera per Hogwarts non può fare a meno di chiedersi chi le abbia tirato quell'orribile scherzo. Suo fratello Jacob è scappato di casa pochi anni addietro, sedotto da una potente quanto pericolosa promessa di un futuro grandioso e abbandonando Julia al suo destino. E sarà proprio quel subdolo destino a portarla a ripercorrere gli stessi passi compiuti da suo fratello in quella scuola avvolta dal mistero. Cosa si nasconde veramente ad Hogwarts? Perchè tutti sembrano conoscere un altro lato di Jacob di cui Julia era all'oscuro? E chi sta impedendo a Julia di scoprire la verità?
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bill Weasley, Charlie Weasley, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Serpeverde
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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CAPITOLO PRIMO
«Julia Lee».

Due mani si aggrapparono al mio braccio e mi scossero con energia strappandomi al sogno ad occhi aperti, se così si poteva chiamare, in cui mi stavo letteralmente immergendo minuto dopo minuto. Una sorta di dissociazione mente-corpo nel bel mezzo dello Smistamento in una delle scuole migliori del mondo della magia. Chi come me non avrebbe fatto i salti di gioia udendo il suo nome e raggiungendo con ansia il Cappello Parlante che lo avrebbe finalmente smistato in una delle Quattro Case storiche? Risposta: qualcuno che non ero io. Avevo sentito dire da mia madre qualcosa a proposito di giovani figli di maghi che però non erano stati ammessi alla scuola per qualche ragione legata alla discendenza. Ad ogni modo, stavo per andare incontro al mio destino, un destino che si prospettava ricco di opportunità, e avevo l’entusiasmo di un lombrico.

«JULIA LEE!».

«Vai!». Mi sibilò la ragazza del treno, la stessa che mi aveva strattonato e che mi ero trascinata dietro per tutta Diagon Alley. R qualcosa si chiamava. Vedendo che non mi muovevo mi assestò una gomitata nelle costole e barcollai da un lato per la sorpresa, urtando contro una ragazza dai capelli biondi. Rischiando di inciampare andai verso la donna che si era presentata come la vicepreside un istante prima che varcassimo la soglia di quella gigantesca stanza. Minerva Mc…Mc…Il suo sguardo si posò su di me e una ruga sottile comparve tra le sopracciglia sottili. Avevo sentito dire che non era di una simpatia disarmante eppure c’era qualcosa di rassicurante nei suoi modi. Rigidi ma mirati. Almeno non avrebbe piazzato brutti voti senza motivo. Mi fece cenno di sedermi con un movimento secco della testa. Mi accomodai sullo sgabello rendendomi conto di quanto effettivamente fossi alta. Dovevo distendere le gambe per rimanere seduta e la cosa mi trasmise una punta di preoccupazione. Quanto ancora sarei cresciuta in sette anni? R mi superava in altezza ed era molto magra. Forse avrebbero preso di mira prima lei di me.

Contrassi le dita in attesa del verdetto. Avvertii su di me decine di sguardi, una gamma di emozioni che andava dalla sorpresa alla noia. Cercai di sorridere sebbene mi sentissi i denti calcificati.
Poi, finalmente, il cappello gridò.

«Serpeverde!».

Dal tavolo con lo stemma verde argento si levarono applausi, tuttavia fui accolta con meno entusiasmo rispetto a chi mi aveva preceduta.. Mi accomodai tra di loro, inseguita da un incessante brusio. Il preside, il professor Silente, mi seguì con lo sguardo e quando incrociai il suo ammiccò. Vennero smistate altre dieci persone tra cui la ragazza del treno, R, che raggiunse il nostro tavolo saltellando e si accomodò con un movimento fluido accanto a me.

«Siamo Serpeverde!». Esclamò neanche ci trovassimo alla fine dell’anno, in attesa di ricevere la Coppa delle Case. Non sapevo cosa dire, Jacob non mi aveva munita di un riassunto esaustivo sulle Quattro Case e quello che sapevo non era sufficiente a farmi un’idea o lo avevo dimenticato.
La vicepreside portò via il Cappello Parlante e Silente finalmente fece il suo discorso che durò un’eternità. Quando fu certo che ci fossero abbastanza stomaci sofferenti battè le mani e i tavoli si riempirono di leccornie. Io ed R ci fiondammo su una faraona alla griglia dimenticandoci dell’estenuante viaggio e del fatto che avessimo fatto fuori tre quarti della scorta di dolci disponibili a bordo del treno.
Ad ogni boccone mi chiedevo se tutto ciò era vero, se veramente mi trovavo lì e non nella mia stanza a fissare la campagna. Avrei scritto a mia madre quanto prima. L’avrei resa entusiasta almeno per un po’.

Dopo la cena ci fu detto di seguire il Prefetto della nostra Casa che ci avrebbe scortati nel nostro Dormitorio. L’idea non era male; crollavo dal sonno e mi era venuta una leggera nausea. Ciondolai fuori dalla Sala Grande e incrociai per caso lo sguardo della ragazza bionda che avevo urtato mentre raggiungevo il Cappello. Mi sorrideva. Era molto graziosa.

La voce di R mi entrò fastidiosamente nelle orecchie.
«Il nostro fondatore è Salazar Serpeverde, si narrano parecchie storie brutte su di lui ma io sono sicura che in fondo era molto più determinato degli altri».
«Ah sì?». Risposi mentre cercavo con lo sguardo un punto in cui sgattaiolare per raggiungere il resto del gruppo che ci stava rapidamente distanziando.
«Oh, non credo fosse così crudele. Sapeva parlare con i serpenti e non andava molto d’accordo coi suoi compagni. E, ma questo è un parere personale, penso che fosse un gran bell’uomo».
Oh cielo, ci credeva veramente? Però almeno lei sapeva qualcosa sulla storia della nostra scuola. Io…

R smise immediatamente di cianciare non appena le luci attorno a noi, quelle calde e accoglienti del castello, diminuirono lasciando spazio a lievi bagliori smeraldini. Anche le voci dei miei compagni diminuirono di volume. Ci stavamo avvicinando al nostro dormitorio e io avevo lasciato il mio golfino nella valigia.
Il Prefetto, un ragazzo che mi ricordava un Chihuahua stizzito, si fermò poco dopo una stretta curva scavata direttamente nella roccia. Scorsi un quadro. Una donna impomatata che reggeva una specie di brocca su sfondo nero. Sperai di non doverci mai intrattenere una conversazione.

«Buonasera Felix». Salutò in tono mieloso.
R accanto a me sussultò e applaudì con energia. Le pestai un piede.
«Buonasera Isolda». Rispose lui.
«Non direi proprio. Parola d’ordine».
«Ingiustizia».

Isolda piegò le labbra in un sorrisetto deluso e si fece da parte rivelando un passaggio oltre il quadro.
Con mia sorpresa nessuno gridò o si entusiasmò come aveva fatto R, tutti entrarono rivolgendo sommessi saluti a Isolda.
Spinsi R in avanti e le andai dietro mentre il Prefetto si soffiava il naso nella divisa.
«Tu».
Mi fermai un istante, certa che Isolda volesse sgridare il Prefetto ma con sorpresa la vidi guardare nella mia direzione. O meglio, rivolgermi quel tipo di occhiata che avevo visto sul volto di mia madre una sola volta ed era in circostanze tutt’altro che piacevoli.
«So chi sei». Disse Isolda in tono lapidario.
«E io, so chi sei tu!». Non mi ero accorta che R era tornata indietro di proposito ed ora fissava il quadro con ammirazione infantile.
Mi schiarii la gola ricorrendo al tono di voce gentile che di solito usavo quando non volevo che mamma mi sentisse arrabbiarmi con Jacob.
«Ehm…».
«Tu sei Isolda Caracciolo, figlia di Seymour Caracciolo e di Christine LaBeouf!». Gli occhi di R per poco non uscivano da dietro le lenti degli spessi occhiali da vista.
Se non fosse perché si trovava dentro a un quadro Isolda sarebbe arrossita di piacere.
«Vedo che la fama mi precede, giovane studentessa».
«Ho letto tutta la storia della tua famiglia. Tuo padre era un pittore eccezionale. Nella mia tenuta ho cinque quadri autografati da lui! Oh che emozione!».
«Mente acuta in un corpicino tanto gracile, povera stella ti aspetta un destino molto arduo qui dentro, per non dire ignobile». Rispose Isolda arricciando le labbra.
«Oh so di essere solo una magra e timida undicenne ma ti prometto che…».
«Sì va bene, va bene, però adesso andiamo eh? Ho sonno».

Spinsi R davanti a me e feci per seguirla ma Isolda mi richiamò.
«Non ho ancora finito con te!».
«Isolda, questa sera sei più simpatica del solito. Sir Cadogan ha ancora parlato male delle discendenze di tua nonna?». Domandò Felix affiancandola.
Ma Isolda per qualche strana ragione aveva occhi solo per me.
«Quella ragazza». Abbaiò indicandomi. «Come si chiama?».
Gli occhi di Felix si posarono su di me per la prima volta. Non era esteticamente il tipo di ragazzo capace di farti sentire a tuo agio con la sua semplice presenza. Non che mi piacessero i tipi come lui. A dire il vero il solo pensiero di innamorami mi dava il voltastomaco.
«Julia Lee».
Chissà perché mi tornò in mente che lui era stato tra quelli che non aveva applaudito quando ero stata sorteggiata.
«Ecco dove l’avevo vista!». Esclamò Isolda trionfante.
«Sei la sorella di Jacob Lee». Le parole di Felix suonarono come più una sentenza accusatoria che come una semplice constatazione. Ma che gli avevo fatto di male?

Ma certo. Come potevo non averci pensato prima? Loro vedevano lui, non me.

«Non gli somigli molto, però». Proseguì Isolda, studiandomi.
«Ma qualcosa mi dice che ce la troveremo tra i piedi nel momento sbagliato e non una volta sola. Spero solo che il professor Piton le dia una strigliata quanto prima».
E quello avrebbe dovuto essere il mio Prefetto? Colui a cui avrei riferito ogni problematica, con cui mi sarei confidata e che avrei dovuto sostenere durante quegli anni a scuola?
E poi, chi diamine era il professor Piton?

Poi, così come era iniziata, la discussione finì. Felix e la donna del quadro ripresero a chiacchierare come due vecchi amici ed io ne approfittai per svignarmela nel mio dormitorio.
Era una sensazione piacevole e fastidiosa, l’essere la sorella di qualcuno. Specialmente se quel qualcuno tutti avevano in mente chi era a parte me. Chissà cosa aveva toccato Jacob quando andava a scuola. E chissà con chi aveva parlato, com’erano i suo voti e chi erano i suoi amici. Sebbene fossero passati anni lo spettro di mio fratello maggiore aleggiava sopra le nostre teste.

 
Ignorai R nelle vesti di esperta di quadri nella Sala Comune e finalmente raggiunsi il dormitorio femminile. Un’accogliente stufa diffondeva un piacevole tepore nella stanza circolare. Ero l’unica lì dentro ma la cosa non mi dispiaceva per niente. Aprii la valigia ed estrassi il pigiama. Il mio letto si trovava nella zona più in ombra e cullata dal silenzio più totale mi addormentai.
*
Venni svegliata da R, incapace di rimanere a letto tanta era la gioia che le scorreva dentro.
«La nostra prima lezione ad Hogwarts! Non ho fatto che rigirarmi nel letto!».
«Va’al diavolo».
Mi rigirai da un lato ma la mia intrepida compagna mi strappò le lenzuola di dosso. Rabbrividii. La stufa era spenta ma nessuno a parte me sembrava preoccupato. Di colpo l’idea di farmi un giro al caldo non parve così brutta.
Mezzo addormentata e stordita dalle grida di gioia della mia compagna-ombra scesi in sala di ritrovo.
Non c’era nessuno a parte un fantasma conciato nella maniera più inquietante che avessi mai visto. Nonostante fosse incorporeo aveva macchie di sangue sparse sugli abiti. La sua parrucca in stile Luigi XIV ondeggiò sinistramente quando ci vide arrivare. Non ci disse nulla ma mi augurai di non trovarlo lì al mio ritorno.
Mi venne in mente di usare R come distrazione nel caso Isolda avesse intenzione di iniziare un’altra piacevole chiacchierata, e la cosa funzionò.

Nella Sala Grande si respirava aria soporifera. Prendemmo posto a metà del lunghissimo tavolo. Non avevo fame. Odiavo mangiare appena sveglia. R invece ingurgitò di tutto salutando chiunque le passasse accanto come se fossero amici da una vita. Poco ci mancò che mi facesse un bagno col caffèlatte alla vista di una sagoma vestita di nero che scivolava verso il tavolo degli insegnanti.
«Oh oh!».
«Che c’è? Che vuoi?».
R indicò la sagoma che si rivelò essere un uomo dai lunghi capelli neri e il naso adunco.
«E quindi?». Dissi infastidita.
R aveva di nuovo gli occhi fuori dalle orbite.
«Non sai chi è quello?». Disse, scandendo ogni parola con enfasi.
Scrollai le spalle.
«Un docente? Ora ti siedi per piacere? Mi dai sui nervi».
«Quello è Severus Piton!».
«Un amico di famiglia? Si può sapere che ti prende?».
R si sedette continuando a guardare quell’uomo come se fosse una divinità. Mi chiesi se quel suo atteggiamento incostante avrebbe potuto recarmi problemi seri in futuro.
«Lui è il capo della nostra Casa. La professoressa McGranitt è la vicepreside e capa di Grifondoro, la Spite di Tassorosso e Vitious di Corvonero».
«E…?».
R fece schioccare la lingua impaziente.
«Lui insegna Pozioni. È un docente incredibile anche se ho sentito dire che è piuttosto severo».
«Uhm…». Affondai il cucchiaio nello yoghurt cercando con lo sguardo la simpatica ragazza dai capelli biondi. Della nostra Casa eravamo in cinque seduti a tavola. Se solo avessi dormito un altro po’…
«Oh eccovi qui!».
Felix procedeva verso di noi e non aveva perso nemmeno l’ombra del suo sguardo stizzito. Lasciò cadere davanti a noi le pergamene con su scritti gli orari delle lezioni e proseguì.
R guardò il suo orario come se il nostro Prefetto le avesse consegnato la chiave di accesso alla sua camera blindata nella Gringott.
«Programma interessante, molto interessante!».
«Sto crollando dal sonno…».
«Oh alla prima ora abbiamo incantesimi! Dobbiamo prendere i posti migliori, forza muoviti!».
R mi afferrò per un braccio e per poco non finii a terra.

Ci imbattemmo nella ragazza dai capelli biondi che faceva il suo ingresso in Sala Grande proprio in quel momento, insieme a una tizia dai capelli rosa e un’altra grassottella.
Mi rivolse un sorriso smagliante.
«Ehi, ci incontriamo di nuovo! Io sono Penny Haywood. Carino il tuo taglio di capelli».
«Grazie. Mi chiamo Julia e…eeehi piano!».
R non mi lasciò nemmeno il tempo di finire che mi trovai catapultata per i corridoi attaccata al suo braccio e con la testa che girava.

La spina nel fianco in carne ed ossa si fermò finalmente davanti a una porta molto alta che si trovava all’inizio di un lungo corridoio. La spinse trascinando dentro anche me.
Dentro l’aula non c’erano sedie ma lunghe panche dietro ad alti banchi tutti uniti e disposti in scala, due file da una parte e due dall’altra. C’era anche un caminetto. In testa a tutti, in piedi su una pila di libri c’era un ometto dai capelli corti e un buffo paio di occhiali.
«Quello è il professor…».
«Sì ho visto, andiamoci a sedere».
Riuscii a spingere R in una delle file accanto al professore.
Eravamo assieme ai Grifondoro.
«Psst!».
Un dito mi toccò la spalla. Apparteneva a un ragazzo biondo dall’aria sorniona che sembrava incapace di stare seduto. Non faceva che armeggiare con la bacchetta passandosela da una mano all’altra e batteva i piedi per terra ripetutamente.
«Tu come te la cavi con gli incantesimi?». Mi domandò con apprensione.
Ma faceva sul serio?
«Scusa, non ho capito, in che senso come me la cavo?».
Lui non ebbe il tempo di rispondere, lui, perché R si intromise di nuovo ed io ne approfittai per aprire il mio libro. Non avevamo molti tomi scolastici ma qualcosa mi diceva che quella sarebbe stata una materia piuttosto impegnativa.

Il primo incantesimo che ci fu chiesto di praticare fu Lumos, l’incantesimo di accensione. Il professor Vitious era un uomo di poche parole e per fortuna non ci furono discorsi estenuanti ad anticipare l’esercitazione. Avremmo semplicemente dovuto accendere una luce sulla sommità della nostra bacchetta. Come si fa con una candela o con un interruttore. Mi chiesi quando avremmo iniziato a schiantarci a vicenda da una parte all’altra dell’aula.
Il movimento del polso per evocare l’incantesimo era abbastanza facile da memorizzare ma dopo due o tre volte che provai ne avevo abbastanza.
«Lumos!». Sulla sommità della bacchetta di Vitious comparve un tenue bagliore che andò via via ingrandendosi.
Dai banchi si levarono ovazioni. Il biondo dietro di me singhiozzò.
«Forza ragazzi, ora provate voi. Mi raccomando, movimenti secchi e brevi. E su con la voce, orgoglio voi del Grifondoro! Copper, quella bacchetta non si muove da sola, servono i muscoli. Oh, ottimo signorina Khanna, davvero ottimo! Vi prego di ammirare la vostra compagna che in meno di cinque minuti ha saputo riprodurre perfettamente il nostro Lumos!».
Mi unii al mesto applauso che accolse l’entusiasmante esibizione di R. Se non altro ci guadagnammo 10 punti. Quando terminammo di agitare le bacchette non attesi R che era rimasta a parlottare con alcune ragazze di Grifondoro e imboccai l’uscita.
«Signorina Lee?».
Vitious era sceso dalla pila di libri e stava riordinando alcuni volumi su uno stretto scaffale. Mi rivolse un sorriso amichevole.
«Come sono andata?». Chiesi.
«Oltre ogni mia previsione. Ma non avevo dubbi, del resto Jacob era molto portato nella mia materia».
Mi chiesi quanto sarebbe ancora durato il paragone tra me e mio fratello ma capii che Vitious non aveva parlato per ferirmi o per crearmi disagio. Pensai che fosse gentile da parte sua come gesto ma ancora non me la sentivo di concedergli tanta fiducia.
«Grazie». Risposi.
Vitious si pulì gli occhiali in un gesto lento e li inforcò con decisione.
«Alcuni miei colleghi erano restii ad ammetterla in questo castello. Per quanto riguarda me lei può rimanere nella mia aula ed esercitarsi quanto vuole, purchè rispetti le regole. Non sono ammesse rock star in questa scuola, tantomeno nella mia aula. Perciò confido nel suo giudizio e nella sua intelligenza».
«Non creerò alcun problema a meno che qualcuno non ne crei a me». Risposi.
Lui annuì e mi rivolse un sorrisetto.
«Non avevo dubbi. Sagace sotto tutti i punti di vista. Serpeverde fino al midollo, eh?».

La lezione successiva era Pozioni.
Fortunatamente l’aula non si trovava molto lontano dal nostro dormitorio. Iniziavo ad avere un certo mal di testa e una sensazione sgradevole. Non avevo mangiato a sufficienza a colazione e le energie stavano scemando con rapidità. Se non altro, avrei avuto una valida scusa per non parlare con R a pranzo.
«Che mi prenda un colpo!».
Mi fermai a metà del corridoio e adocchiai un fantasma appena uscito da dietro una parete. Trovavo alquanto fuori luogo quella dichiarazione e lì per lì non mi fu chiaro il perché l’avesse pronunciata. Ma fu solo quando mi ebbe superato che notai la figura distante qualche metro da me, appoggiata a una colonna. Una ragazza dai capelli corti e gli occhi appesantiti dal kajal. A differenza delle altre allieve alla sua divisa aveva apportato alcune modifiche. Al posto dei calzettoni indossava un paio di calze a rete sottili e pesanti stivali neri da motociclista.
«Ti senti male? Vuoi che ti accompagni in infermeria?». Le chiesi. Continuava a fissarmi con insistenza e la cosa non mi piacque.
«Mi chiedevo quando avremmo avuto modo di parlare io e te». Disse lei.
«Se è per stamattina ti chiedo scusa, R…la mia compagna di banco, ha dei modi molto strani di porsi. Spero non ti abbia svegliato».
Lei venne verso di me. Sebbene sorridesse i suoi occhi mandavano lampi.
«Tu». Mi puntò il dito contro il petto sollevandosi appena sulle punte per arrivare alla mia altezza.
«Mi. Hai. Rovinato. L’esistenza!».
La sua voce aumentava di un paio di decibel ad ogni parola fino a diventare rauca ma lei non parve farci caso.
«Io cos…?».
«Ero quasi convinta di aver ottenuto la gioia più grande della mia vita, una soddisfazione che nemmeno puoi immaginare e poi sei arrivata tu! Ti ho vista, sai? Con quell’aria da innocentella! Per tutta la serata non si è parlato che di te!».
Aumentai la distanza tra di noi ed istintivamente portai la mano alla bacchetta nella tasca. Non sapevo evocare ancora niente di offensivo ma tutto ciò che sapevo era che la rabbia e la paura erano emozioni capaci di partorire gli incantesimi più tremendi. Bastava solo volerlo.
«E tu saresti?».
Lei si aggiustò il mantello e alzò il mento.
«Merula Snyde».
«Beh, Merula Snyde, deduco che tu abbia avuto una brutta giornata. Perché non vai a riposarti? Dico io al professor Piton che non ti senti bene…».
Le guance di Merula divennero color porpora. Buttò fuori l’aria dalla bocca e sulle labbra le si disegnò di nuovo un sorrisetto.
«Mi rendo conto che mi sono lasciata un po’ andare alle maniere…hem…poco diplomatiche e siccome tu ed io siamo nella stessa Casa non sarebbe molto…hem…giusto non andare d’accordo».
«Continua».
Il sorriso di Merula si allargò maggiormente.
«Perciò che ne dici di rimanere vicine durante la lezione di Pozioni?».
La domanda in sé non aveva nulla di sospetto, se non per il fatto che chi me l’aveva posta era esplosa in una sfilza di insulti gratuiti e immotivati pochi secondi prima. Ma non c’erano problemi, del resto a Pozioni si imparava a lavorare anche con estratti di piante e magari qualche goccia di valeriana avrebbe reso Merula più mansueta. Avevo sentito dire che quell’erba faceva miracoli.

Entrai nell’aula, che aula non era. Era ricavata in un sotterraneo e comprendeva tre grandi aree munite di tavoli e scaffali colmi di boccette più una dispensa. Su ogni tavolo c’erano almeno tre o quattro calderoni di peltro.
Occupai quello meno in vista e Merula si sedette accanto a me con un entusiasmo che mi fece venire la pelle d’oca. Poco dopo ci raggiunse anche R.
«Oh, eccola qui, la nostra sveglia personale!». Esclamò Merula riservandole un sorrisetto acido.
«Non vedo l’ora di cominciare, voi che pensate si imparerà oggi?». R si sporse verso di noi rivolgendoci un sorriso a trentadue denti.
«Un decotto contro l’ansia?». Azzardai.
Merula accanto a me si irrigidii e io fui invasa nuovamente dalla sgradevole sensazione di poco prima. Era entrato il professor Piton. Vidi dipingersi sulle facce di alcuni miei compagni il terrore.
Grifondoro. Di nuovo.
«Mi scuserete se non vi accolgo a braccia aperte ma ho mal di schiena». Esordì Piton degnandoci rapidamente di uno sguardo tutt’altro che rassicurante.
«Prendete i libri e non fate quelle facce perché se solo sapeste cos’ha in serbo per voi questo programma mi bacereste i piedi e ballereste dalla gioia come degli orrendi troll. Al lavoro!».
Ubbidimmo senza farcelo ripetere due volte.

«Dati gli ultimi sviluppi ho chiesto a Madama Chips di tirare fuori delle pomate contro le ustioni che quelli del primo anno hanno imparato ad adorare. Cercate di non cospargervi di piaghe, non avete idea di quanto siano costosi certi infusi e quanto sia difficile procurarseli. Ora raggiungetemi attorno a quel calderone e smettetela di guardarmi in quel modo. Vi faccio vedere come si prepara una Pozione Curabolle. Dopo non voglio domande di alcun tipo, è già molto che vi abbia messo in guardia da certi rischi».
Credevo che preparare una pozione fosse un po’ come mi aveva mostrato mamma: schiaccia, trita, bolli. A casa usavamo molte erbe. A Hogwarts mi resi conto che avrei dovuto dimenticare ciò che sapevo, o che credevo di sapere. Denti di bestie sconosciute, artigli di uccelli, budella di qua e di là. R sembrava ottimista ma nemmeno lei riusciva a cavarsela benissimo con tutta quella roba. La sua pozione fu appena migliore della mia.
«Levati quel sorrisetto dalle labbra Khanna perché è solo grazie a Snyde che non tolgo punti alla mia Casa. Oh, cos’abbiamo qui…».
Avvertii il suo sguardo su di me ma tenni gli occhi sul calderone. La mia pozione aveva una consistenza abbastanza liquida e sulla superficie erano comparse delle bollicine.
«Non dovrebbe bollire in quel modo, giusto?». R aprì il suo manuale e lo sfogliò con energia per poi guardare nel mio calderone.
«E non dovrebbe nemmeno avere quel colore».
«La tua è verde come la mia». Le feci notare.
Lei assottigliò le palpebre e di colpo spalancò gli occhi.
«Oh no! Oh no no no no no no no!».

PAF!

Un getto di liquido verde colpì il soffitto a volta e ricadde sul tavolo schizzando da tutte le parti. Mi scansai all’indietro mentre le macchie di pozione sulla mia divisa sfrigolavano.
«Una bellissima esibizione, Lee. Credevo che le capacità di tuo fratello rasentassero l’impossibile».
«Non ho idea di cosa sia successo e in tal caso non è colpa mia».
Piton storse la bocca.
«Davvero non capisco come tu sia finita in questa Casa. Dipendesse da me una risposta del genere sarebbe il tuo biglietto di ritorno a casa ma purtroppo…». E si rivolse al resto della classe. «Siccome io sono il professore cattivo niente di ciò che vi infliggerò vi costerà l’espulsione. Più o meno. Ma non accetto che nella mia classe ci si prenda gioco di me. Dieci punti in meno a Serpeverde».
Ero incredula. Dieci punti in meno? Per che cosa?
Ignorai R che scuoteva la testa come per suggerirmi di tacere e mi alzai in piedi.
«Professor Piton, chiedo scusa se non ho intenzione di prendermi la colpa per errori che non ho commesso. Mentre preparavamo la pozione la signorina Snyde qui presente mi ha passato questa…». E gli mostrai la boccetta colma di una polvere rossastra. «Sono l’unica a cui è esploso il calderone».
«Che cosa stai insinuando, Lee?». Si difese Merula ma senza troppa convinzione.
Lo sguardo di Piton andò da lei a me. Stava riflettendo, me lo sentivo. Stava per arrivare qualcosa di grosso.
«Tuo fratello era molto furbo, Lee e aveva l’assurda capacità di tacere quando conveniva. Tu non ti fai scrupoli ad incolpare una compagna senza motivazione alcuna. Se non vuoi che ti tolga altri punti ti suggerisco di chiudere quella bocca e di lasciare quest’aula senza fare storie».
«Suo fratello era un folle, ho sentito dire. Si comincia così, con le voci, le allucinazioni e poi puf! Al San Mungo».
Ignorai il commento di Merula e mi concentrai su Piton che aveva perso interesse per me ed era andato a tormentare qualcun altro.
«Andiamo. Non è colpa tua». Disse R poggiando una mano sulla mia spalla.

Non era colpa mia, certo. E non ero nemmeno così certa che Jacob avrebbe tenuto la bocca chiusa in quelle circostanze. Non avevo intenzione di scatenare liti al mio primo giorno di scuola e pensai che senza ombra di dubbio Merula aveva qualche problema di autostima. E se Piton l’appoggiava non era più cretino di lei. Ma non mi sarei lasciata coinvolgere da sciocchezze e distrazioni superflue. Ero lì per capire cos’aveva portato mio fratello ad uscire dalla porta di casa e non tornare più. L’immagine di lui, borsa alla mano e un sorriso sulle labbra, tormentava i miei pensieri ogni volta che mi distraevo. Dovevo cancellarla e sostituirla con un’immagine più nitida. Io, lui e mamma. Ero certa che qualcuno mi avrebbe aiutato oppure avrei trovato le risposte da sola. E allora Jacob Lee sarebbe stato solo un ragazzo che era tornato a casa dopo un colpo di testa.

Io ed R avevamo appena messo piede fuori dall’aula che una ragazza dai capelli castani riccissimi e un paio di grandi occhiali rotondi ci venne incontro.
«Julia Lee? Il nostro Prefetto Felix mi ha mandata a cercarti. Vuole vederti immediatamente».
 
   
 
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