Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: Mikirise    16/03/2020    1 recensioni
La verità è che per quanto possano dire, Asahi e Noya hanno vissuto esperienze simili.
Da piccoli, entrambi hanno avuto un cane. Solo che il cane di Asahi è morto, quello di Noya è vivo e vegeto e gli mangia i calzini un giorno sì e l'altro anche. Entrambi sono visti in un modo dalla famiglia e in un altro dai loro amici. Solo che se Noya è visto come silenzioso dalla sua famiglia e rumoroso fuori casa, Asahi è visto come rumoroso dentro casa e silenzioso coi suoi amici. Entrambi sanno che cosa vuol dire vivere in una casa solitaria, solo che Asahi il suo appartamento lo vuole abbandonare e Noya invece vuole custodire la sua casa paterna. Noya sembra una divinità protettrice. Asahi di divino ha davvero poco. E ha bruciato di nuovo l'omurice.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Asahi Azumane, Yuu Nishinoya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NdA: Nel nuovo capitolo, quando parlano di andare via dalla loro città, Noya taglia corto per quel che riguarda i dubbi di Asahi perché Tokyo è uno zip di distanza. Tipo: zip, sei a Tokyo. Penso che questo buttarsi sia tipico di Noya, che è veramente un bravo ragazzo, sotto questo punto di vista. Penso anche che questa versione di Noya sia più legata al suo paesino natale perché gli ho messo troppe cose sulle spalle, ad esempio la pressione della sua famiglia per farlo andare via. In pratica, Noya è uno spirito libero, ma qui ho fatto avere un'opinione su quello che deve o dovrebbe fare, motivo per cui gli ho tarpato le ali. In un certo senso, Suga mi serve per questo. Zip. È a Tokyo.


 

Parte Tre: Una nuova storia

(29. “Do you let me walk with you?” “I do.” “I do.”)


Yuu ha fatto qualcosa che non doveva fare. Yuu ha fatto qualcosa per cui prima avrebbe dovuto pensare e ragionare e adesso sta, a posteriori, entrando nel più completo panico, seduto davanti alla palestra di scuola, con Ryuu accanto che mangia il suo ghiacciolo e che non sembra capire la gravità di questa situazione. Yuu tiene le mani unite sulle labbra e guarda fisso davanti a lui. Ryuu continua a mangiare e Chikara sta discutendo di qualcosa sul rientro a scuola con Hisashi. E tutto sembra normale, se non fosse che Yuu potrebbe aver fatto una stupidaggine. Potrebbe aver spaventato Asahi-san. Potrebbe aver perso l’opportunità di spaventare Asahi-san, forse, quel tanto che basta per fargli capire che lui, Yuu, è disponibile. Più che disponibile, che quelle due settimane insieme alla casa paterna potevano essere molto di più, se avesse voluto.

Yuu non è conosciuto per la sua capacità strategica. Non è nemmeno conosciuto per il suo essere pensieroso, o premuroso o altre cose. Di solito, forse proprio perché ha sempre avuto tanto spazio per muoversi e per gridare, ha sempre fatto tutto quello che gli passava per la testa, anche se questo voleva dire farsi male, o perdersi. Ha sempre avuto Pochi dietro, comunque, motivo per cui sapeva sempre come tornare a casa. Non che questo sia il punto. Il punto è che gli hanno sempre detto di pensare ai suoi fulmini. Ai loro sentimenti. Asahi-san sembra essere una persona molto fragile e tenere in conto che cosa fare e che cosa dire, per non ferirlo è davvero più complicato di quanto pensava. E invece di pensare a che cosa stesse pensando lui, Yuu sente di aver approfittato di un momento di debolezza di Asahi-san per fare una mossa egoista. Ed eppure, nello stesso tempo, sente di non aver fatto abbastanza.

(Anche se gli è piaciuto toccare le mani morbide di Asahi-san.)(Odoravano di pesche, forse per la crema che usa per le mani.)(Sentito da così vicino, con il naturale odore di riso che ha Asahi-san, a Yuu ha ricordato il risotto alla pesca.)(Ha voglia di risotto alla pesca, adesso.)

Il fatto è che non riesce a togliersi dalla testa quell’espressione di Asahi-san e -doveva pensarci sopra. Ma come? Se lui è un tipo impulsivo, come ci si poteva aspettare che iniziasse a pensare adesso? È come se in quel momento si fosse bloccato tra lui e Asahi-san, come se avesse sentito che c’era qualcosa che lo spingeva verso di lui e qualcosa che invece lo tirava lontano da lui. E Yuu non sapeva che cosa avrebbe dovuto fare. (Ma le mani di Asahi-san, così morbide e grandi, sono forse una delle cose a cui pensa di più, adesso.)(Non c’è momento della giornata in cui non ci pensi.)(Non c’è parte del corpo su cui...)

Ryuu finisce il ghiacciolo e sospira, posando parte del peso del corpo sulle mani. “Magari non hai fatto così male?” gli chiede, giocherellando col bastoncino tra le labbra. Yuu si riscuote dai suoi pensieri e si gira a guardarlo, stropicciandosi un occhio con la mano. “Cioè, non è che ti ci sei buttato tra le braccia e non è che hai fatto chissà che cosa. Hai solo provato a consolarlo.”

“Non è proprio questo il problema?” chiede a sua volta Yuu, facendo una smorfia. “Che non ho fatto niente? Non era il momento giusto per fare qualcosa?”

C’è un momento di silenzio, in cui Yuu guarda i suoi migliori amici scambiarsi uno sguardo non molto sicuro. Kazuhito sospira, passandosi una mano sulla nuca e lancia uno sguardo a Hisashi, che, a sua volta si gira verso Chikara che incrocia le braccia e sospira. L’unico che sembra essere su un’altra lunghezza d’onda è Ryuu, che giocherella con il bastoncino del ghiacciolo e gli chiede: “Che cosa volevi fare tu?” Si gira verso di lui con l’espressione più seria che Yuu gli abbia mai visto indossare. “Dovremmo farti questa domanda?”

Chikara sospira, posando una mano sul fianco e sedendosi un gradino più in basso di loro. Appoggia il gomito sulla gamba e poi la guancia sulla mano, con mezzo sorriso, prima di chiedere. “O forse dovremmo chiedere che cosa vuole Azumane-san?” continua il ragionamento iniziato da Ryuu.

Yuu li guarda entrambi, senza riuscire a trovare una risposta, in realtà. Li osserva e non riesce proprio a capire dove vogliano andare a parare.

In quest’ultimo anno di liceo, deve pensare tantissimo a che cosa vuole continuare a fare, a che cosa invece vuole iniziare a fare. La situazione con Asahi-san non è stata la prima in cui Yuu si è bloccato. La squadra oggi ha dovuto prendere una pausa perché durante la partita di allenamento, Yuu non riusciva a concentrarsi. O almeno, è quello che diceva lui. La verità è che non riesce a prendere decisioni. Devo ricevere io? Deve ricevere Chikara? Deve tornare subito indietro? Devo rimanere qui davanti? Doveva essere guidato dal ricordo muscolare. Yuu ha ricevuto molte palle (ha protetto tante cose), e il suo corpo dovrebbe ricordare i suoi movimenti, i momenti in cui si dovrebbe muovere. Ma non lo fa. Yuu è bloccato in un corpo senza ricordi, in un mondo pieno di possibilità e di scelte.

Gli sembra come se si fosse svegliato questa mattina in un altro corpo, in un’altra vita. Non capisce che decisioni deve prendere. Sente di essere... Asahi-san ha risvegliato qualcosa che Yuu pensava di non dover più vedere, o sentire, o vivere.

“Azumane-san è troppo per Noya, non pensate anche voi?” chiede Kazuhito, con un mezzo sorriso. Yuu anche sbuffa una risata. Non lo prendono mai sul serio loro. Non sono sicuri nemmeno di come farlo, forse. Non che importi. Non che lo feriscano, così. Non ha certo un cuore di vetro, no? “Magari è questo che lo ha fermato. Ti sei reso conto che è troppo per te.”

“Beh, lo abbiamo visto tutti Azumane-san” conviene Hisashi, con un movimento della mano. “E vista da fuori, non con sembra che Noya sia un po’ come il fratellino rumoroso? Forse non ha il fatto la sua mossa per questo.”

“Ero lì” ricorda Yuu, alzando un sopracciglio. “So che non l’ho fatto perché mi potrebbe pensare come una specie di fratello minore. Credo.”

“Però sembravi avere più o meno la stessa età di quei due ragazzini che lo chiamavano fratellone, l’altra volta” risponde Kazuhito. Ha la faccia di quando vuole dire scacco matto, ma non lo fa. “Forse questo confronto ti ha fatto capire qualcosa.”

“È…” mormora Chikara, girandosi verso di loro. “Una buona teoria in effetti. Una crescita personale non indifferente. Siamo fieri di te, Noya.”

“Non è per niente quello che è successo” ribatte lui, di nuovo, ruotando gli occhi. “Quindi direi che troviamo un altro motivo o un’altra spiegazione.”

“È perché sei basso e ti si è abbassata l’autostima” suggerisce Hisashi.

Chikara ride e alza un dito, come se volesse prendere la parola. “Magari ha pensato che Azumane-san abbia di lui una bassa opinione.”

Ryuu, Kazuhito e Hisashi fanno una smorfia quasi in contemporanea, scuotendo la testa e grugnendo ancora e ancora. Yuu scoppia a ridere, dando una piccola soddisfazione a Chikara, che si passa un dito sulle sopracciglia, ridendo piano, insieme a lui.

“No, Ennoshita, no” esclama Hisashi, fermando entrambi.

“Ma era una...”

“Non ci interessano le tue citazioni” taglia corto Kazuhito. “Ci rovini i film. Ci rovinano le giornate.”

“Io sono esilarante.”

“No, non lo sei.”

“Tanaka ride sempre quando faccio delle battute. Diglielo. Tanaka. Diglielo che sono esilarante.”

“Io, credo... cioè...”

“Ci potremmo concentrare su di me?” chiede Yuu, ancora una volta, indicandosi con un dito.

Ryuu sospira e scrolla le spalle, tirando un sospiro di sollievo per non aver dovuto rispondere alla domanda di Chikara. “Beh, non è un male, no?, che tu non riesca a fare un passo con Azumane-san. Perché... tu non sai nemmeno se vuoi rimanere qui, l’anno prossimo, giusto? Forse hai pensato ad Azumane-san in questo senso.” Giocherella col bastoncino del suo ghiacciolo. “Non sarebbe bello, sai?, che lo lasci indietro anche tu.”

Yuu sbatte le palpebre, poi aggrotta le sopracciglia, guardandosi la punta delle scarpe. Troppe decisioni che non gli fanno muovere i piedi. Troppe decisioni che lo fanno sentire stupido e incapace. Lui di solito non si sente così. Lui non si perde in pensieri del genere. Deve essere questo il vero problema. Il fatto che dopo aver corso e reso e corso seguendo l’istinto, Yuu si è fermato a pensare e dee aver perso il contatto con il suo istinto. Il suo spirito combattivo. Il suo essere Yuu.

“Vuoi andare via, Noya?” chiede Hisashi, accovacciandosi davanti a loro. Sembra essere confuso. “Lasci la casa di tuo nonno?”

“Perché sei così confuso?” chiede Chikara, senza nemmeno staccare la mano dal mento. “Non è quello che fanno tutti, una volta diplomati? Andare alla ricerca del proprio destino in città?”

“Noya potrebbe avere un’opportunità per continuare a giocare professionalmente” continua Ryuu, prendendosi la caviglia con una mano. Si gira verso Yuu, tirando di lato la testa. “Se decidessi di seguire la pallavolo, non potresti rimanere qui, no? Faresti la vita di cittadino del mondo. Che invidia.”

Yuu punta i gomiti sulle cosce e scrolla le spalle. Beh. Sì. Non c’è bisogno di ripeterglielo. Lui lo sa già. Che scegliere la pallavolo o la casa paterna vuol dire abbandonare e lasciare indietro una delle due, lui lo sa già. “Già” mormora quindi, stirando in avanti le braccia e anche le dita delle mani.

“Ma quindi è una cosa a cui stai davvero pensando?” chiede Hisashi, ancora una volta. Si abbassa anche lui per poter guardare dritto negli occhi Yuu. Sembra cercare qualcosa. Sembra volergli chiedere qualcosa. E quindi Yuu inclina un po’ la testa in attesa.

“Non è che non ne abbia la capacità” continua Kazuhito. “Non sarebbe stato più strano se non avesse preso in considerazione l’idea?”

Hisashi mantiene le sopracciglia aggrottato, mentre gli parlano e poi torna a guardare verso Yuu, con un’aria così tradita da sembrare comico. “Davvero...?”

“Beh, comunque” interrompe di nuovo Ryuu, a voce altissima, per attirare l’attenzione di tutti su di lui. “Penso che prima di prendere una decisione con Azumane-san, dovresti prendere una decisione che non ha a che fare con lui.”

“O potrebbe prendere una decisione proprio per Azumane-san” scherza Chikara, con una risata bassa. “Se Azumane-san dicesse di volersi trasferire in città, ad esempio, tu lo seguiresti? Sare-...”

“Direi di sì” risponde Yuu senza pensarci troppo. Poi sorride. “Anche perché se mi dicesse di seguirlo, perché non dovrei farlo?”

Hisashi continua a guardarlo tradito, mentre Ryuu gli passa una mano sulla spalla. “Oh amico” gli dice, come se Yuu avesse detto la cosa più triste di tutto il mondo. Poi però aggiunge: “Sei davvero figo, sai?”



 




La casa è silenziosa. Asahi si passa entrambe le mani sul viso, posando la borsa accanto alla porta, e si piega per togliersi le scarpe e posarle da una parte. Ha le braccia stanche. Gli occhi gli si chiudono. Dovrebbe solo...

La casa è buia. Asahi qui è completamente solo, mentre si getta a terra, seduto, con un tonfo secco. E comunque si chiede se non fosse così anche prima. Mentre stava con Daichi e Shimizu. Era uguale. Asahi lo detesta. Strofina di nuovo le mani sul viso e detesta questa situazione. Detesta sentirsi così. Sente come se gli avessero tolto qualcosa, di nuovo, e lui non sapesse come comportarsi, di nuovo.

Non accende nemmeno la luce. Rimane seduto all’entrata, accovacciato, formando una palla col suo corpo. E ricorda una di quelle cose che forse non avrebbe voluto ricordare. Non gli piace stare da solo. Ricorda questo. Non è mai nemmeno stato bravo a farebbe amici. Ha sempre avuto troppa paura per farsene tanti. Ne bastavano tre. Bastavano Daichi e Suga e Shimizu. Ma questa casa è così silenziosa e così sola…

Palla, però, era sempre a casa, quando era piccolo. Lo salutava sempre. Faceva sempre rumore. Gli dava un motivo per accendere la luce. Gli dava anche un motivo per tornare a casa. E anche un motivo per uscire di casa senza essere troppo spaventato. Palla è stato, per molto tempo, il motivo della fiducia di Asahi. Ed era così bello vederlo correre verso di lui, scodinzolando con forza e la bocca aperta in quella che dovrebbe essere una risata, tirare le braccia intorno al suo corpo ed essere abbracciato ed abbracciare, mentre dei peli gli entravano in bocca (che importava?), ma si sentiva amato. Si sentiva così tanto amato da Palla. E lui lo amava così tanto.

È un nome così stupido, Palla. C’è stato un momento nella vita di Asahi in cui guardare una palla gli faceva venire voglia di piangere. Quando ha iniziato a giocare a pallavolo e teneva la palla tra le mani era come se qualcosa nel suo cuore gli facesse un pochino male. E adesso, di nuovo sente la sua mancanza. Nel senso, che ha scoperto come andare avanti. Lui ha amato Palla, e, dicono, Palla ha amato Asahi. E a volte basta questo. Amare le persone tanto non le riporta in vita ed è così anche per gli animali. Deve essere così. Ma a volte basta il ricordo di averle amate. E poi, grazie grazie ai suoi amici, si era sentito meno solo. Grazie alla pallavolo aveva trovato i suoi amici.

Ma quando torna a casa, non c’è nessuno che è felice di vederlo.

Asahi si gratta la nuca, con un po’ di fastidio. I capelli gli stanno finalmente crescendo. Glielo ha detto Noya, che sembravano un pochino più lunghi, se se li voleva tagliare e poi, quando Asahi gli ha risposto che a lui piacciono lunghi e che li ha tagliati per il lavoro, ma Tanaka-senpai gli ha detto che non si doveva preoccupare di piccolezze del genere per tenere il posto da aiuto-cuoco, Noya ha sorriso con una tenerezza che ha quasi fatto sciogliere, a sua volta, Asahi. Sembrava volerli toccare, i suoi capelli, ma ha solo alzato la mano, non si è avvicinato. Asahi avrebbe voluto farglieli toccare. Ma è un pensiero imbarazzante. E comunque, perché mai farglielo fare? Non dovrebbe mettersi in ridicolo così tanto.

Non capisce perché pensi a Palla adesso, dopo così tanto tempo. Asahi, forse, vorrebbe solo qualcuno che sia felice di vederlo. O forse abbracciare qualcuno.

Il fatto che Suga non sia tornato lo ha ferito. Ma non ne può parlare. Sente di non poterlo fare, perché, beh, loro sono fatti così. Fanno così tante stupidaggini, si muovono per il mondo facendo sempre i passi sbagliati, e quando si pestano i piedi, quando si danno una gomitata, senza volere, non ne parlano. Non chiedono scusa. Non dicono ad alta voce di essere stati feriti. Non riescono ad ammetterlo.

Shimizu non nomina Suga. Daichi forse lo nomina, ma così poco e a voce così bassa da far capire che è un tabù, questo. Che forse dovrebbero dimenticarlo. Non è una storia nuova, questa. Suga ha tradito i suoi amici nel momento stesso in cui ha deciso di fare un esame d’ammissione per entrare in un’un di Tokyo. Fa paura vedere che cosa può ferire le persone. Ma Suga gli ha già detto che non avrebbe chiesto scusa per qualcosa che vuole fare. E non chiederà scusa per niente a meno che non gli dicano in faccia di essere stati feriti da lui. Si comporta come un ragazzino. È infantile. Sembra una ripicca, questa, e Asahi ha deciso di non pensarci troppo

Ma non ha ferito Asahi, quando ha deciso di studiare in città. Lo ha ferito quando ha deciso che qualcosa era più importante di andarlo a trovare. E ora questa casa si sente vuota e stupida e buia. Ma non solo per colpa di Suga.

Asahi alza lo sguardo verso la porta di casa. C’è qualcosa che manca in questo appartamento, da così tanto tempo che Asahi aveva smesso di farci caso.

E ci ha pensato guardando quell’enorme casa paterna, in cui Noya vive da solo, con un nonno che dovrebbe comparire, ogni tanto, ma che non c’è mai, e con il suo cane, un adorabile vecchio cagnolino che lo segue ovunque. Noya è la sua enorme casa paterna che vuole riempire. Che ha iniziato a riempire da solo, con la sua voce, coi suoi passi, con le sue idee.

Asahi guarda con intensità la porta davanti a lui. Sono così diversi, loro due. Noya è tutto un al contrario di Asahi. In fondo, sono cresciuti entrambi in una casa silenziosa, giusto? Ma Asahi ha deciso di rimanere all’interno del suo silenzio, dopo aver perso Palla. La mamma gli ha tagliato i capelli e lo ha mandato a lavoro, ma non lo ha mai visto tornare. Non gli ha mai chiesto com’è andata, non gli ha mai augurato di tornare a casa sano e salvo, e non lo ha mai salutato, accogliendolo a casa, quando tornava. E Asahi si è così abituato a questo silenzio, da smettere di aspettarsi domande, o saluti, o qualsiasi altra parola. Ed eccolo, l’insicuro, stupido vecchio Asahi.

Tutto questo per dirsi che gli manca che qualcuno lo saluti quando torna a casa. Palla era sempre così felice di vederlo.

Pochi sembrava felice di vederlo tornare. E con Noya non si è mai separato, in quelle due settimane nella sua casa paterna, ed era bello così, perché non si è mai stufato di lui. Gli piaceva stare fianco a fianco, girarsi e trovare il sorriso di Noya, che lo guardava e sembrava brillare di luce propria. E lui era solo felice di averlo accanto. Quanto vorrebbe poter avere il permesso di stargli accanto. Ora. In questo momento. Sempre.

Ma il mondo non funziona così. Non c’è motivo per cui Noya potrebbe voler scegliere di stare con Asahi. Non c’è motivo per cui lo vorrebbe a casa con lui. Non c’è motivo per cui Asahi possa essere scelto. In nessuna situazione. In nessun momento. Per nessuna ragione.

Noya sembra solo essere un ragazzo che ha deciso, per qualche motivo di essere suo amico-nel-frattempo. Non può durare e prima o poi succederà qualcosa che lo porterà lontano da qui e lontano da Asahi e Asahi ha capito che, beh, non ha la capacità di seguire e raggiungere nessuno.

Suga non è riuscito a raggiungerlo.

Asahi sospira. Deve essere soltanto la stanchezza. Deve essere quello, sì. Non ci dovrebbe pensare così tanto. Non gli piace stare solo, è vero. Sente di essere diventato una lagna. Vorrebbe poter fermare i suoi pensieri. Spegnere la sua voce nella testa e andare a dormire. Se avesse qualcuno... no. Vuole... deve solo dormire.

Si passa di nuovo le mani sul viso, prima di cercare di alzarsi in piedi e muoversi verso la sua camera. La casa è buia e silenziosa, Asahi non ha nemmeno il bisogno di accendere la luce. Si muove con movimenti automatici. Deve dormire. Deve dormire. Deve riuscire a fermare questi pensieri che gli sono venuti.

Noya non poteva volerlo per troppo tempo a casa sua, altrimenti gli avrebbe detto di venirlo a trovare più spesso. E poi ci sono gli allenamenti della squadra di pallavolo, giusto? Sarebbe stato strano se Asahi si fosse fatto vedere lì. Noya non sarebbe stato felice.

Deve andare a dormire. Gli vengono sempre queste brutte idee, quando è stanco. E ha una strana voglia di piangere. Non vuole piangere. È così stanco di sentire la sua voce. Vorrebbe solo -silenzio. Perché deve essere così rumoroso? Perché non può essere normale? Perché i suoi pensieri sono così rumorosi?

Deve assolutamente andare a dormire. Si porta le mani sulle orecchie. Vuole dormire e non pensare.



 



Yuu tiene le mani unite, lasciando che entri un pochino di aria. Lancia un’occhiata alle sue mani, poi ad Asahi-san che sta con le spalle posate sul muro del ristorante in un angoletto buio, con uno stuzzicadenti in mano. Sono un paio di giorni che sembra essere un pochino triste. E a Yuu fa un po’ male il cuore a vederlo così triste. Sentirlo più silenzioso del solito. In una battuta un pochino troppo cattiva, Ryuu gli ha detto che forse Asahi-san non vuole parlare con così tanti liceali.

Forse si è stufato di loro.

Yuu non crede. che Asahi-san si sia stufato di loro, in realtà. Crede che deve aver a che fare con quella persona che doveva andare a prendere la settimana scorsa. Quella persona che non si è mai fatta vedere. E Noya... non gli piace una persona che fa indossare quell’espressione ad Asahi-san. Le lezioni di cucina con Saeko-neesan sono sospese per ancora qualche settimana, visto il caldo che c’è in cucina e Asahi-san ha più tempo libero. Yuu pensava di approfittarne per stargli più accanto.

Non sa se poi per supererà qualche limite, facendo qualcosa però. Asahi-san è una persona molto riservata. Non parla quasi mai della sua famiglia e anche quando ha spiegato il suo rapporto coi fratelli Sawamura è stato molto vago, mentre guardava da altre parti e evitava lo sguardo di Yuu.

Alla fine, chi è Yuu per decidere di fare qualcosa? Chi è Yuu per entrare nella vita di Asahi-san, senza nemmeno sapere cosa vuole da lui o se può rimanere? (Che, in realtà, lui sì.)(Lui vuole entrare nella vita di Asahi-san e rimanere.)(Per tutta la vita)(Per sempre.)(Sempre.)(Però...)(La sua testa ha iniziato a correre e ora non sa.)(Ha iniziato a pensare e non sa.)(Non dovrebbe essere il contrario?)(Beh.)(Non ora.) Scuote la testa. (Non è davvero il momento.)

Yuu prende un respiro profondo e, comunque, questa cavalletta l’ha presa per far sorridere Asahi-san. Quindi. Non c’è tempo per ripensamenti e non c’è tempo per fare in modo che il suo corpo possa ricordare i suoi movimenti precedenti. Deve agire. Come ha sempre fatto. Quindi si deve avvicinare ad Asahi-san. Deve fare in modo che sorrida. Vuole vederlo sorridere. Senza quella punta di tristezza.

Asahi-san quando lo vede sorride per cortesia. Non il sorriso giusto, quindi. Yuu gli mostra le mani chiuse e alza un pochino un sopracciglio, per far finta di essere un po’ più malizioso di quello che lui è.

“Noya” lo chiama piano Asahi-san, passandosi una mano sulla fronte. Sembra così stanco. Ha dei cerchi neri sotto gli occhi e i capelli sono un po’ spettinati. Yuu non ha mai visto Asahi-san con un capello fuori posto, nemmeno quando ha dormito a casa sua. “Sei venuto a trovare Ryuu-kun?”

Yuu sbatte le palpebre. “No” risponde con mezzo sorriso. “Sono venuto per vedere te.”

C’è una frazione di secondo in cui il cervello si attiva di nuovo e corre con la stessa velocità con cui una volta correvano i suoi muscoli e pensa: Ryuu ha ragione. Asahi-san deve essere stufo di avere intorno soltanto ragazzini. Certo, è più grande di solo un anno, ma è una grande differenza quando ancora vai al liceo e non vi siete conosciuti negli anni del liceo perché... che idea stupida. Però. Nel senso. Asahi-san deve essere stanco delle cose liceali. Magari Yuu è noioso.

Mai. Mai stato noioso in tutta la sua vita, lui. E adesso non riesce a non pensare di esserlo. In fondo, che cosa ha detto nelle ultime loro conversazioni che potrebbe essere visto come interessante, divertente, o anche gentile? Niente. Non gli viene in mente niente. Asahi-san deve aver pensato che questo liceale bassetto è solo un ragazzino con troppa energia che dovrebbe essere lasciato indietro il prima possibile. Forse per questo non lo ha visto sorridere negli ultimi giorni. Ha ragione Ryuu. Perfetto.

Sta sudando. Yuu se ne rende conto in questo momento, che c’è un caldo che lo mette a disagio sul lato del collo e che gli fa venire voglia di...

Sta per mettersi a piovere. Yuu si lancia una veloce occhiata alle spalle e poi al cielo. Sta per piovere. La stagione delle piogge non è proprio la sua preferita, ma gli ricordano le giornate col nonno, che gli parlava delle risaie e di come a volte, dopo queste tempeste improvvide, il cielo si rasserenasse e si potesse vedere il cielo in terra. Se riuscisse a farlo vedere anche ad Asahi-san, quello spettacolo allora, forse, lui sorriderebbe e Yuu sarebbe di nuovo la persona più felice del mondo.

Asahi-san morde lo stuzzicadenti, prima di sospirare e sorridere con una dolcezza che gli ricorda qualcosa di bello, qualcosa di caldo. Le piogge estive non sono belle e non sono leggere. Ti fanno quasi male e ti fanno sentire molto più pesante in pochissimo tempo. Yuu e Asahi-san dovrebbero entrare in casa. La pioggia estiva non porta raffreddori, non sempre, ma non è gradevole avere i calzini bagnati. Non è molto divertente. E Yuu dovrebbe dire tutto questo, ma si pere nel sorriso di Asahi-san e gli sorride a sua volta.

“Sono felice che tu sia venuto a trovarmi, allora” gli risponde, anche se non sembra credere alle parole di Yuu.

Ed eppure lui non gli ha mai mentito. Non c’è persona con cui Yuu non sia stato così sincero. Beh. Comunque. Non è questo a cui deve pensare adesso. Vuole solo vederlo sorridere. Un pochino. Per lui. A lui. Potrebbe succedere? Sì. Può diventare la sua missione quotidiana. Un piccolo sorriso da Asahi-san. (Non è bello lasciarlo indietro, giusto?)

“Guarda che cosa ho trovato” gli dice abbassando lo sguardo, per indicargli le mani chiuse.

Yuu lancia uno sguardo, poi, ad Asahi-san, che si piega un pochino in avanti, per vedere cosa lui abbia per le mani. Lo guarda, mentre si passa una mano dietro l’orecchio, per spostare i suoi capelli, un po’ spettinati, un po’ fuori posto, da davanti i suoi occhi e questo singolo gesto fa saltare un battito del cuore Yuu. Ovvio. Perché non poteva comportarsi normalmente. Certo. È successo così, per, non può farci niente, quindi, di nuovo, al punto Yuu. Non pensare troppo. Non fa per te, pensare troppo. Abbassa di nuovo lo sguardo, per concentrarsi sulle mani.

Apre piano piano le mani, per mostrare una rana, non troppo grande, di un verde perfetto, che è uscita fuori dalla sua tana per il periodo delle piogge, tra poco. La rana salta, Asahi-san salta indietro, andando a sbattere contro il muro e Yuu vorrebbe non farlo, ma scoppia a ridere ad alta voce, tirando indietro la testa.

Asahi-san si passa una mano sulla nuca e guarda come la ranocchietta salta via, lontana da loro due, prima di sbuffare una risata. È una risata appena sbuffata, che poi diventa un sorriso e poi diventa una risata vera, con la bocca aperta e tutto. Anche se ha le occhiaie e anche se è un po’ spettinato (Yuu vorrebbe pettinarglieli, i capelli.)(è una cosa che gli voleva dire, quando è andato a casa sua,)(ma non ne ha avuto il coraggio.) Asahi-san sembra essere tornato, per un pochino, qualche secondo, un po’ più sereno. E, uau, quanto piace a Noya quando Asahi-san ride per qualcosa che ha fatto lui? Quando ci sono soltanto loro due?

“Perché?” gli chiede Asahi-san, posando le mani sulle labbra.

Yuu apre le braccia. “Perché è la stagione della caccia alle rane!” grida con troppo entusiasmo. “Ora che iniziano le piogge, tutte le rane stanno uscendo perché, beh, è quello che fanno, e visto che mi è sempre piaciuto cacciare le rane, e che l’ho sempre fatto, con Pochi, mi chiedevo se un giorno di questi non volessi venire a cacciare le rane!”

Sta sudando freddo. Yuu è terrorizzato da quello che Asahi-san potrebbe rispondere, a questo punto. questo, quindi. Ha capito. Il cervello che ha iniziato a pensare con così tanta velocità non gli aveva certo detto che era questo il motivo per cui aveva iniziato a correre così. È perché ha paura, quindi. Eh. Asahi-san lo terrorizza. Eh. Ah. Capisce. Perché?

Sta sudando freddo. Asahi-san, la persona più buona e dolce e gentile in questo mondo, terrorizza a morte Yuu, eh? Ma perché? Nessun altro fulmine ha mai terrorizzato Yuu. Per nessun fulmine però, è da dire, Yuu ha mai cacciato una rana, inseguendola per più di un quarto d’ora, solo per far sorridere quella persona. Mai.

Inizia a piovere. Yuu lancia un’occhiata alle sue spalle e né lui né Asahi-san sono al coperto, motivo per cui dovrebbero muoversi in fretta ad andare via. Entrare nel ristorante. Non bagnarsi. Le piogge estive non portano malattie, di solito, ma le scarpe bagnate danno fastidio. Eppure nessuno dei due si muove.

Asahi-san sembra essere così stanco. Yuu vorrebbe che, beh, si appoggiasse a lui. Vorrebbe prendergli la mano e dirgli che gli aveva detto che lo avrebbe protetto e che gli avrebbe tenuto compagnia, quindi, perché adesso non lo lascia fare? Davvero, non si fida di lui? Yuu può sembrare piccoletto e forse non è la persona più intelligente in questo mondo, ma s proteggere le persone, sa come tirarle su quando sono cadute. Quindi... Asahi-san dovrebbe farlo. Dovrebbe un po’ usarlo così. Yuu sarebbe felice di essere usato come appoggio. Lo giura. È vero che è terrorizzato. È anche vero che potrebbe comunque appoggiare Asahi-san.

Cadono delle gocce di pioggia su tutti e due. Asahi-san, incrocia le braccia. “Devo portare il retino per cacciare le rane?” gli chiede, passandosi le mani sui pantaloni.

“No, devi soltanto venire tu e poi le prendiamo con le mani. Io sono bravissimo, se poi non ne prendi abbastanza, possiamo fare a metà.”

“Facciamo a metà con le rane?” gli chiede a bassa voce Asahi-san.

Yuu scrolla le spalle. “Il momento di liberarle è sempre quello più divertente” gli risponde, anche se non ha molto senso come risposta. Yuu si inumidisce le labbra, anche se non dovrebbe esserci il bisogno di farlo, visto che una goccia di pioggia gli cade dal naso. “Asahi-san” lo chiama con la testa un pochino inclinata. Allunga la mano per afferrare l’orlo della maglietta di Asahi-san, sotto il grembiule. Non sa che cosa gli vuole dire.

Ci sono così tante decisioni da prendere. Se Yuu decidesse di inseguire la pallavolo, allora non potrà rimanere qui. Non potrà tenere i suoi campi. È una sicurezza. Non potrà tornare alla sua casa paterna. Allo stesso tempo, però, non lo sa. Se tenesse i campi vorrebbe dire prendersi una responsabilità che durerà per tutta la sua vita. Chikara gli ha detto di stare attento alle responsabilità che si prenderà quest’anno, perché ci sono cose che non possono essere fatte a cuor leggero, come invece fa lui. Far entrare le persone nella sua vita, fare in modo che si appoggino a lui e poi scomparire... vuole farlo per davvero?

Non vuole perdere la casa paterna. Non vuole nemmeno perdere la sua libertà. E vorrebbe poter prendere tra le sue braccia Asahi-san e farlo dormire, togliergli quelle occhiaie, farlo sentire al sicuro. Ma se non sa nemmeno che cosa vuole fare da qui a qualche mese, come può pensare e dire che può davvero prendersi cura di lui?

Forse è un bene che Asahi-san abbia deciso di non appoggiarsi a lui.

Yuu stringe la mano chiusa in un pugno intorno alla maglietta. Si sta arrabbiando. Si sta davvero irritando. Asahi-san fa bene a non appoggiarsi a lui? Yuu che non fa che pensare e rovina tutte le sue opportunità? Yuu bloccato dalle paure? Non è stato cresciuto così. Non è così che vuole essere. Quando hai paura di qualcosa la devi affrontare quella cosa, devi ricordarti che sei più forte, che sei più coraggioso di così. Quando hai paura di qualcosa non pensi. Agisci. E Asahi-san è sempre abbastanza silenzioso da fare in modo che la voce e il coraggio e la forza di Yuu esca. È come se, in quel comportamento calmo e stoico di Asahi-san, Yuu un po’ riuscisse a ritrovarsi. Ed è per questo, non per altro, che decide di agire.

Si alza in punta di piedi e tira le braccia intorno alla testa di Asahi-san, spingendolo verso il basso per abbracciarlo. Lo può proteggere, vero? Può trovare una soluzione facile e veloce. Non gli importa. Lo abbraccia con tutta la forza che ha.

“Noya?” chiede Asahi-san, cercando di girarsi verso di lui, ma Yuu ha posato il naso sulla maglietta bagnata di Asahi-san e lo sta stringendo con tutta la forza che in corpo, per non farlo andare via. “Va tutto bene?”

Gli sta facendo male? Dovrebbe allentare la presa? “È che mi piace davvero tanto cacciare le rane, non posso lasciarti andare fino a che non mi prometti che verrai da me per farlo e poi le lasciamo libere” gli mente spudoratamente. “Per favore.”

Asahi-san gli passa una mano sulla testa, rispondendo all’abbraccio. “Oggi torno a casa prima e...” gli inizia a dire. Il suo abbraccio è così caldo, sembra essersi messo anche a ridere, come se gli piacessero le spalle di Yuu. Sono forti, le senti? posso farlo, se vuoi.

Yuu non ha scelto se rimanere o andare via, ancora, se salvare la casa paterna oppure continuare a giocare a pallavolo. Però è sicurissimo di voler poter abbracciare Asahi-san, così, tutti i giorni, anche tutto il giorno. E piantare insieme alberelli, raccogliere mele, giocare con Pochi. Quindi, se lui è così deciso a fare questo, perché non si può comportare di conseguenza? Perché deve avere così tanta paura?

“... credo di aver bisogno di dormire un po’, in effetti.”

“Posso cucinare io, questa volta” continua Yuu, senza lasciarlo finire. Non vuole lasciare andare Asahi-san, anche se sta sudando freddo per la paura e sono sotto la pioggia calda di fine estate e ha una paura immobilizzante. “E se vuoi puoi anche piangere e lo giuro che io non giudico e che non dirò niente e che farò di tutto per...”

Asahi-san sbuffa una risata e lo spinge con molta delicatezza indietro. “Sei un ragazzo molto gentile” gli risponde. Ha un sorriso di circostanza. Ha messo distanza tra loro senza pensarci due volte. Yuu ha fatto il passo più lungo della gamba. Lo ha spaventato. Ha rovinato tutto. “Oggi finisco prima, quindi sto andando a casa.” Gli posa le mani sulle spalle. “Non ti devi preoccupare per me, Noya.”

E se ne va.

Le dita di Yuu sono vuote, la camicia di Asahi-san scivola via velocemente, ma con abbastanza delicatezza da non farglielo capre subito. Che sta andando via. Che si sta allontanando.

Non si cambia nemmeno. Va soltanto via. Sotto la pioggia che batte con violenza sull’asfalto e la terra nuda. E Yuu non ha nemmeno il coraggio per seguirlo. Perché immagina di essere stato rifiutato, adesso. Immagina di aver fatto uno degli errori più grandi di tutta la sua vita.



 




Daichi gli punta la torcia del cellulare in faccia, ma ci mette un po’ a dire qualcosa. Prima si guarda intorno, la strada senza lampioni tutta buia fa sempre un po’ paura. E il fatto che abbia piovuto per tutto il pomeriggio non aiuta. Il terreno è un po’ cedevole e l’erba è ancora un pochino troppo bagnata, ma a loro non è mai importato nulla, motivo per cui quando Daichi si siede accanto a lui non si sorprende molto.

“Mi stai accecando” gli dice, alzando una mano per proteggersi gli occhi. “Lo metti giù?”

Daichi arriccia il naso, prima di sorridere e puntargli la torcia del cellulare ancora più vicino agli occhi. “Cosa?” gli chiede. “Cosa devo mettere giù, Asahi?”

“E dai” mormora Asahi, tirando giù il cellulare di Daichi. “Ho così tanto sonno che non riesco nemmeno ad arrabbiarmi.”

“Sei mai riuscito ad arrabbiarti?” chiede, con una mezza risata. Prende a cercare qualcosa nelle tasche della giacca che si è portato, per poi offrire ad Asahi una barretta di cioccolato, come se questo risolvesse tutti i quanti loro problemi. “Una volta ti ho fatto scivolare per le scale e non ti sei nemmeno un po’ irritato. Cioè. Voglio dire. C’è davvero un modo per farti arrabbiare? Perché io non lo conosco.”

Asahi rigira tra le dita la barretta di cioccolato che gli ha dato Daichi, senza nemmeno rispondere. Come può essere possibile che questo ragazzo, in tasca, abbia sempre qualcosa da mangiare? Lo fa di proposito? Oppure è una cosa che fa e basta, senza nemmeno rendersene conto? E perché gli viene voglia di mangiare cioccolato, adesso?

“Io sono arrabbiato, adesso, Daichi” gli dice, passandosi le mani sul pantalone ancora e ancora. “Sono davvero furioso.”

Daichi gli lancia un’occhiata nel buio. Apre la sua barretta di cioccolato e inizia a mangiare, guardando verso l’alto, un cielo così limpido da lasciar vedere tutte le stelle della sera.

La cosa buona della pioggia estiva è che arriva presto e se ne va ancora prima. E lascia quest’odore di nuovo nell’aria, una freschezza che sa di vita e di nuovo. Una volta Suga gli aveva detto che erano le puzzette dei microbi all’interno del terreno. Quell’odore che piace tanto alle persone sono puzzette. E lo divertiva il fatto che avesse lo stesso odore del terriccio. Lo sapeva perché gli piaceva piantare delle primule per dirsi che era primavera e poi le lasciava morire. C’è sempre stato qualcosa di inconsistente in Suga. Gli aveva detto che in realtà voleva che le primule continuassero a vivere, ma che non riusciva a dare loro il supporto per far sì che sopravvivessero più di una primavera.

Lo ha già detto e pensato tante volte che Suga non è cattivo. Ha solo diciannove anni, ha tante idee in testa ed è troppo egocentrico. E lo ha fatto arrabbiare, per questa sua infantilità. E Asahi non pensava di essere come le primule sul davanzale della finestra di Suga.

“Siete sempre stati più amici voi due” gli dice Daichi con la bocca piena. E Asahi alza un sopracciglio, facendo una smorfia, mentre Daichi continua a mangiare e parlare, perché lui non sa provare sentimenti, o emozioni, almeno che non siano coperte da qualche sapore. “Non è un’accusa, è solo che siete sempre stati più amici voi due, a volte capita, eh. Penso che tu lo conosca meglio di me, Suga. Quindi forse è normale che tu sia arrabbiato con lui. Mi chiedo se io abbia il diritto, invece di esserlo.”

“Non eravamo più amici di quanto siamo con te” gli risponde secco Asahi, con un movimento della mano. “E tu lo sai.”

“Voi siete diventati amici prima” ribatte Daichi, senza smettere di mangiare. “È una cosa a cui pensare, no? Un po’ di vantaggio lo avevate. Ci sono ancora delle battute che vi fate che io nemmeno capisco. E avete passato più tempo insieme perché volevate farlo e...”

“Voi due stavate sempre insieme!” esclama di nuovo Asahi. “Ma davvero...? Andavate anche in classe insieme? Pranzavate insieme? Respiravate insieme e nello stesso momento e con lo stesso ritmo e ora vieni e mi dici che ero più amico suo di quanto non... e poi cosa dovrebbe essere? Una specie di gara? Adesso, Daichi? Proprio adesso?”

Daichi ridacchia. “No, non è questo. Solo che a volte ci penso e mi dico ah, Asahi sì che si sentirà solo senza Suga nel paesino.” Continua a guardare in alto. Spezza la barretta di cioccolato e si porta un pezzo in bocca. “E lo so perché io mi sento solo, figuriamoci lui. E non è un pensare che Shimizu non è abbastanza per stare con te e tu non sei abbastanza divertente per stare con Shimizu è più un... mi manca quell’amico lì, capito?”

Asahi sospira. Sì. Lo capisce. Le persone non si possono sostituire. Lo sa. Lo capisce.

“Quindi quando pensi che ti abbiano sostituito, fa un po’ male.” Daichi deglutisce e abbassa la testa, per continuare a spezzare la barretta in pezzi ancora più piccoli e poi portarsela in bocca, pezzo per pezzo. “Che trovino cose migliori da fare, piuttosto che venirti a trovare... Non è che non capisco che tu sia arrabbiato con lui, perché lo sono anche io. Solo, mi chiedo, se ne ho il permesso.”

Asahi si posa le mani sul viso e sbuffa. “Sapevamo già che sarebbe potuto succedere.” Vorrebbe davvero mettersi a gridare, in questo momento. Non ha il coraggio di gridare. Farebbe troppo rumore. Peserebbe troppo. Emotivamente.

Gli viene in mente Noya. Noya e la sua cotta per Tanaka-senpai e il suo abbraccio pietoso. Deve avergli fatto così tanta pena. Asahi ci ha provato a non essere ridicolo e pesante e stupido. Non voleva certo che Noya lo vedesse in questo modo, e invece... stupido Suga.

“Quel ragazzo, Noya, una volta mi ha detto che uscire dalla campagna è un po’ come perdere la campagna” gli dice a bassa voce, strofinandosi ancora una volta le mani sul viso. “E quindi forse il problema è questo. Che è un po’ come andare da un’altra parte del mondo, e non riuscire più a parlarsi. Io però...” Non sa come finire la frase. Prova a muovere le mani, a fare qualche gesto con le mani, ma non sa proprio che cosa vuole dire. Motivo per cui sospira e abbassa la testa.

Daichi ha finito la sua barretta di cioccolato. “Mi dai la tua?” chiede, mostrandogli il palmo.

Asahi sbuffa una risata. “Perché continui a tornare sempre, tu?” gli chiede. “Ti manchiamo davvero così tanto?” Apre la barretta di cioccolato e la divide in due con un puro gesto di forza. Nel buio è difficile vedere dov’è Daichi, ma immagina che la mano stia qui, vicino al suo ginocchio, motivo per cui si muove per lasciargli lì la metà del cioccolato.

“Beh, sì” risponde, tornando a spezzare il cioccolato. “Mi fa paura andare troppo lontano. Non sono come lui. Suga è coraggioso, non pensi? Si muove sempre fa sempre tante cose che vuole fare. E una volta mi ricordo che gli ho chiesto come faceva ad andare di qua e di là senza avere paura e lui mi ha detto: perché quando tornerò voi non ci sarete? Come se fosse sicuro che ci incontreremo sempre di nuovo, e come e non avesse paura che noi scompariamo. Ma io, sai Asahi, penso ce ne ho un sacco di quella paura. Di prendere il treno e scoprire che tu sei andato via, o che Shimizu ha deciso di dare fuoco a tutto, non lo so.” Ride un po’, ma ha la voce rotta. “Fa paura andare via.”

È bene parlare di sera, in un posto così buio. È un po’ come parlare al vuoto. O sentire le confessioni di un vuoto. Daichi è sempre stato troppo emotivo. Ha la lacrima facile. E sta facendo venire un peso al petto anche ad Asahi, perché capisce. Perché sa quello di cui Daichi sta parlando. Stringe i pugni. Perché devono sempre far finta di non provare niente, loro tre? Perché non sistemano mai le cose insieme, o, almeno, non ne parlano mai? Perché si lasciano sempre da soli, in queste situazioni?

Perché quando qualcuno ha chiesto ad Asahi di appoggiarsi su di lui, Asahi ha pensato che parlasse per pietà e non per affetto?

Noya è un ragazzo così gentile. Perché ha dovuto pensare così male di lui? Perché ha così tanta paura di mostrargli quanto piccolo e stupido lui possa essere? Perché ha così tanta paura di farsi vedere per quello che è?

“Le persone vanno via, Daichi” mormora. “È quello che fanno. E uno non ci può fare niente.”

Daichi fa u movimento con la mano, forse per asciugarsi delle lacrime con la manica della giacca, ma di questo Asahi non può esserne sicuro al cento percento. Almeno non lo è, finché Daichi non tira un po’ su col naso e Asahi sospira, puntando i gomiti sulle ginocchia.

Le persone vanno via. Sono più persone che hanno deciso di uscire dalla vita di Asahi che quelle che hanno deciso di rimanere. E a volte non basta dire che nel tempo in cui siete stati insieme vi siete voluti bene. A volte non aiuta a sopportare meglio il dolore e a volte non aiuta a non farti sentire così abbandonato o dimenticato.

“Io penso che Suga tornerà” risponde Daichi, tirando su col naso e passandosi la mano sulle labbra. “Non perché io voglio che torni, almeno non credo che sia per questo, ma perché se qualcuno può vivere da una parte e dall’altra senza avere nemmeno una ripercussione, allora penso che quello possa essere Suga.”

“Perché?”

“Perché mi ha detto che sarebbe tornato. E di aspettarlo.”

“E perché te lo ha detto?”

Daichi non risponde subito. Lascia passare un pochino di tempo, per poi girarsi verso Asahi. Non diceva che Suga era meno suo amico di quanto lo fosse con Asahi? Questo stupido bugiardo nemmeno si rende conto di quello che dice. Che ne può sapere alla fine Daichi di quanto ci si possa sentire inutili e rimpiazzabili. È Daichi, cavolo. Che ne può sapere di quanto ci si può sentire soli?

Asahi sbuffa, grattandosi con irritazione dietro l’orecchio. Daichi ha ripreso a mangiare, nel frattempo e tiene la testa bassa, come se ci fosse il bisogno, in questo buio, nella strada senza lampioni, che è pericolosa, forse non dovrebbero stare qui, seduti, a parlare di sentimenti. Anche se forse è il luogo più privato che possano aver trovato. E ad Asahi viene da piangere. Ha un groppo alla gola. Le persone devono andare via, non c’è modo di fermare questa cosa. Qualcuno deve rimanere sempre indietro. E Asahi non vuole essere pesante. Ma è così che è successo fino a oggi. Perché le cose dovrebbero cambiare adesso?

“Gliel’ho chiesto, Asahi” gli risponde alla fine, con la voce bassa, quasi impercettibile. “Ho messo da parte l’orgoglio e la paura e gliel’ho chiesto.”

Asahi si gira verso la voce di Daichi. Glielo ha... oh. Questa è... davvero una cosa grossa. Che Daichi abbia parlato, che Daichi abbia chiesto... “Voi due state...?” Asahi non trova la parola giusta. Oh. “Beh, questo... non me lo avevate detto.” Ora sì che gli viene da piangere. Appena sbatte le palpebre gli cade una lacrima sulla guancia. Questo rende tutto solo un po’ complicato.

“Non è una cosa seria.”

“Penso sia una cosa seria” ribatte Asahi, con una voce un po’ troppo accusatoria. Deve schiarirsi la gola. Deve provare a smettere di piangere. “Cos’ha risposto lui?”

“Di aspettarlo.”

“E cosa hai risposto tu?”

“Che lo avrei fatto.”

Non cambia le cose. La situazione è la stessa di cinque minuti fa. Non cambia davvero niente. Asahi tira su le ginocchia e sospira, affondando parte del viso tra le braccia. Vorrebbe chiederli che cosa gli fa venire in mente allora che Suga sarebbe davvero tornato solo perché glielo ha promesso. Lo sanno tutti che quel ragazzo è un bugiardo. E questo fa solo sentire più solo Asahi. A questo punto, Daichi poteva pure non venire a consolarlo. Forse sarebbe stato meglio. “Lascialo” gli consiglia Asahi. “Non è venuto a trovarci quest’estate.”

“Noi non stiamo proprio insieme” risponde Daichi con una smorfia.

“Allora mettitici insieme e poi lascialo.”

“Sei diventato vendicativo?”

“Consiglierò la stessa cosa a Suga, quando gli parlerò. Perché non mi avete detto niente di questa storia. Mi avete proprio tagliato fuori. Begli amici.”

“Non è che ci sia molto da raccontare. E non avevamo nemmeno pensato in dirtelo perché visto che non stiamo insieme, non cambia niente.”

Asahi ruota gli occhi. Ora si sente anche più tradito. Lo confondono tutti così tanto... e ha così tanta voglia di prendere entrambi a pugni, adesso. Essere arrabbiati è stancante. Vorrebbe smettere di esserlo, ma Daichi sembra voler proprio litigare, adesso, e Asahi ha deciso anche di ascoltarlo, da bravo masochista.

“E a te non l’ho mai detto, perché, non lo so, credo che forse ho perso tutto il coraggio, dopo quella conversazione con Suga, ma...” Daichi tira su col naso ancora una volta. Deve aver finito la barretta di cioccolato. Meno male, pensa Asahi, altrimenti si sarebbe strozzato, perché avrebbe continuato a mangiare. “Sono davvero felice che tu non mi abbia detto di non tornare. Anche solo per scherzo, sai? Perché certo che mi manca Suga. Ma mi mancheresti anche tu se scomparissi dalla mia vita.” Posa la fronte sulla spalla di Asahi e poi gli dà un pugno leggero. “Cioè, dai, poi chi mi potrebbe preparare lo shoyu ramen?”

Adesso anche le lacrime di Asahi sono grosse quanto dita delle mani. Chiude gli occhi e invece di fermare le lacrime questo movimento le fa uscire con più velocità. “Non ho intenzione di prepararti un bel niente” gli risponde, ma ha la voce troppo rotta per poter essere preso sul serio.

“Solo, Asahi, non ti chiudere, va bene? So che fa paura, però tu non ti chiudere solo perché Suga è stupido.” Sospira, passandosi le mani trai capelli. “Beh. Quello che dico è -che a volte per farsi amare ci si dovrebbe far conoscere. O mettersi in ridicolo. Guarda che sto facendo adesso, tipo. Te lo volevo dire che ti voglio bene. Io ti conosco, con questa cosa del tuo essere lagnoso e sapevo dove venirti a cercare visto che eri giù e ti voglio bene. E pure quel deficiente di Suga ti vuole bene. Vuole bene. Al presente, okay? Io lo so. Ecco. Questo.”

Asahi si passa le mani sul viso, per asciugarsi le guance. Si lascia sfuggire un singhiozzo, appallottolandosi e portando con sé anche Daichi che sbuffa. “Piangi sempre Daichi, mamma mia” gli dice cercando di scherzare.

“Non sto piangendo” ribatte lui.

“Potremmo essere compagni di pianto.”

“Ti ho detto che non sto piangendo.”



 



L’amicizia con Hisashi è nata perché una volta ha provato a rubare i cocomeri dai campi del nonno, e Yuu lo ha trovato lì, con le mani nel sacco e gli ha detto che poteva venire a casa sua a mangiare cocomero tutte le volte che voleva. Una storia semplice così. Che poi Hisashi e Yuu siano diventati così tanto amici, beh, deve essere stato un caso, oppure deve essere stato destino. Uno dei due, comunque. E quindi Hisashi, quando è ora di iniziare a vedere i cocomeri fruttare, beh, prova a passare il più possibile per i campi di Yuu. Ed è l’unico motivo per cui adesso sta seduto nel suo giardino, con delle infradito e anche troppo sudato, mentre Yuu sta accovacciato, accanto a Pochi, che sembra volerlo proteggere. . Forse dal caldo. Forse invece dal cuore spezzato. Beh. Comunque.

Yuu non riesce a non pensare ad Asahi-san. E quindi pianta la paletta nel terreno senza nemmeno scavare. Non fa altro. Tira fuori la paletta. Conficca la paletta nel terreno. Tira fuori la paletta. Conficca la paletta nel terreno. Con che faccia si può far vedere dai Tanaka, adesso che Asahi-san lo ha rifiutato? Come può farsi vedere da Asahi-san, se ora sa quali sono i sentimenti di Yuu, se questo lo mette a disagio? Tira fuori la paletta dal terreno.

“Tu hai davvero intenzione di andare via?” gli chiede Hisashi, mangia, sputando i semi di cocomero sul giardino.

“Forse dovrei farlo” risponde, borbottando. Pochi posa il muso sulla sua testa, ma non importa. Alla fine ha deciso di morire qui, quindi che importa? Potrebbe scavare la sua tomba sotto il prezzemolo piantato insieme ad Asahi-san, così lo vedrà, ogni tanto, quando Asahi-san verrà a trovare la piantina e ricorderà di quella giornata in cui, per sbaglio, il mignolo di Yuu ha toccato il suo polso. E forse la cosa gli farà ribrezzo, o forse Yuu gli farà ancora pena, ma non importa, perché l’anima di Yuu potrà ancora vederlo, finché si ricorderà di lui.

“E lasceresti questa casa?” chiede ancora Hisashi. “Non volevi... avevi detto che volevi riempirla di persone questa casa, non abbandonarla a se stessa... cioè, io... tu avevi detto che la volevi riempire di persone. Che ti saresti preso cura d questa casa. Di chi hai invitato in questa casa. E ora parli di diventare un professionista? La pallavolo? Lo... lo vuoi per davvero? Non è... forse Ennoshita ti ha messo delle cose in testa? I tuoi zii?”

Yuu sbuffa. Detta così, questa conversazione?, è inutile e stupida e non vuole averla proprio adesso. Forse Hisashi non se n’è reso conto ma, ugh, lui starebbe soffrendo a causa di un cuore spezzato. “Pensi che non potrei diventare un professionista?” gli chiede. E, davvero, deve continuare questa conversazione? Davvero?

“Lo so che potresti, non è quello che ti sto dicendo” gli risponde Hisashi, dondolando un piede. “Ti sto chiedendo se vuoi abbandonare la casa paterna.”

“Volere” ripete Yuu a bassa voce. Torna a piantare e tirare fuori la paletta da giardino, mentre Pochi gli si accuccia accanto. “Non è una questione di volere, però. È una cosa che posso fare o che non posso fare, giusto? Quindi che importa?”

“Quindi vuoi abbandonare i campi, la casa, Pochi, perché puoi farlo?” chiede ancora Hisashi. Oggi vuole proprio parlare. Chissà che cosa vuole sul serio. “Che a me non darebbe fastidio. Io ti appoggerei anche, se non fosse che non hai mai parlato di giocare a pallavolo professionalmente. Non hai mai parlato di voler giocare oltre il diploma in squadre ufficiali, ma hai sempre parlato di questa fottuta casa e tutte le cose che volevi farci con questi cazzo di campi. E invece. Adesso stai dicendo di andare via, perché lo puoi fare? Davvero? Noya. Davvero?”

“Non m’importa.”

“Poi non potrai tornare indietro” lo avverte Hisashi. “È solo per questo te lo dico. Perché poi i tuoi zii venderanno queste terre. E questa casa? Andata. Noya. Mi senti? Non ci hai pensato?”

“Beh, sai che c’è? Magari non sono fatto per proteggere o custodire niente, per davvero, nella vita reale. Forse non sono capace di farlo” gli grida contro Yuu, girandosi verso di lui. “Magari questa casa sta meglio con qualcun altro! Magari le piante stanno meglio con qualcun altro! Magari io mica ci riesco a fare il meglio per la casa o per le risaie. Magari... lascia perdere. Ti ho già detto che non mi importa.”

“Non t’importa.”

“Cosa ne posso sapere io più di loro?” chiede, allora. “Non mi hanno mai avvero lasciato lavorare la terra. Non mi hanno mai spiegato cosa farci con quello che produciamo. Conosco i clienti locali, uau, sì, beh, non vuol dire niente. La pallavolo la conosco. So quello che devo fare in campo. So cosa devo fare per la squadra. Forse sono un miglior giocatore professionista di quanto potrò mai essere un buon... agricoltore o come cazzo si dice, va bene? Quindi. Potresti per cinque secondi, solo cinque, non chiedo di più, smettere di darmi addosso? Potresti?”

Hisahi sospira, buttando per terra con un gesto stizzito il resto del cocomero, facendo scattare sull’attenti. “Da quando sei un codardo, Noya?” gli chiede, scuotendo la testa. “Ma la cosa è che se mi avessi chiesto aiuto, magari, brutto deficiente, io ti avrei detto già di sì.” Scuote ancora una volta la testa. “Perché anche io amo la tua casa. E nessuno si aspetta che tu faccia ancora qualcosa perché tuo nonno è vivo! E hai ancora il tempo per imparare! Vuoi davvero andartene via?”

Ha sporcato il giardino.

Yuu sbuffa. “Certo che no” risponde. Conficca la paletta nel terreno e poi la riprende in mano. La conficca di nuovo, poi la tira fuori dalla terra.

“Allora comportati di conseguenza” grida esasperato Hisashi.

Yuu sospira, portandosi una mano sul viso, per chiudere gli occhi. È solo paura. Tutti la possono provare. Perché quando la prova lui sembra che tutto il mondo finisca? E comunque, quando ha preso il coraggio in mano, è andata bene? No. Quindi? È così che va a finire sempre, e allora basta. Se avesse del tempo da solo, coi suoi pensieri, se potesse rimetterli in ordine, forse adesso non starebbe così tanto nei guai, no? È così stanco. Non fanno che dirgli quello che deve fare. Hanno tutti delle opinioni e lui invece non pensa di averne. O forse ne aveva una ma adesso l’ha dimenticata. Non è una cosa carina da fare a qualcuno a cui vuoi bene, fargli dimenticare, tra tutto il rumore, la sua stessa voce.

Dovrebbe gridare di più. Dovrebbe gridare i suoi pensieri ad alta voce con più forza. Lasciaci vendere i campi. Custodisci la casa paterna. Va’ in città. Gioca a pallavolo. Viviti la vita adesso che puoi. Poi inizieranno i problemi. Sei ancora giovane. Fa questo. No, quest’altro. Se gli lasciassero scegliere quello che vuole fare...

Yuu si porta le mani sulle orecchie e prende un respiro profondo.

Basta.

Basta basta basta basta.



 



Quando Asahi trova Noya, c’è un fulmine che cade da qualche parte dietro di lui e loro due rimangono in silenzio fino a dopo i dieci secondi che ci mette il rumore del tuono ad arrivare. E solo in quel momento Asahi si risveglia dal suo torpore, lancia un’occhiata alle sue spalle e poi verso il cielo e non si era reso conto di queste enormi nuvole, venendo fino a quassù. Sembra notte. Poco fa c’era una bella luce limpida e adesso sembra essere notte. E lui ha in mano un onigiri e Noya non si è mosso di un centimetro.

Piove. Inizia a piovere in un momento così poco adatto da far quasi ruotare gli occhi ad Asahi, ma non è questa la cosa importante. È Noya che sembra essere immobilizzato, inginocchiato come quella divinità protettrice alle porte del suo tempio. E Asahi è qui per... non è nemmeno sicuro del perché.

Come ha fatto Asahi a finire qui? Era a casa sua, fino a cinque secondi fa. O almeno. Quando era cosciente, era nella sua cucina a preparare degli onigiri e adesso invece sta qui, con Noya che lo guarda, e poi lancia uno sguardo all’entrata della casa e poi di nuovo ad Asahi, prima di stropicciarsi un occhio e inginocchiarsi. “Asahi-san?” chiede, inclinando un po’ la testa, prima di muoversi verso l’interno della casa e poi tornare fuori, con un ombrello in mano e i piedi scalzi.

Sta davvero piovendo sopra di loro e Noya corre verso Asahi, apre l’ombrello (uno piccolo, con un Dragonite sopra ed è così ironica come cosa perché, beh, Dragonite è notoriamente un pokèmon semi-leggendario che salva le persone che potrebbero affogare e Noya è...) e copre la testa di Asahi, alzandosi in punta di piedi. Le gocce di pioggia cadono con violenza sull’ombrello. Le piogge estive sono così e la terra deve essere molto fredda, ma Noya non se ne lamenta, continua a osservare Asahi, si stropiccia di nuovo un occhio.

“Asahi-san, va tutto bene?”

Sembra preoccupato. Però ha anche un sorriso sulle labbra. Come se volesse dirgli di non preoccuparsi, che va davvero tutto bene. Le piogge estive, Asahi ricorda, sono un gran fastidio. Non ti rendi mai conto di quando arriveranno e poi scompaiono senza che tu abbia nemmeno il tempo di battere le ciglia. “Stavo preparando degli onigiri” risponde, con le sopracciglia aggrottate.

Noya sbatte le palpebre e poi gli prende il polso, sbuffando appena una risata, per tirarlo verso casa e quindi al coperto. “E poi cos’è successo?” gli chiede.

Asahi non può dire che è salito fino alla sua casa paterna in uno stato d’impulsività che nemmeno fa parte di lui o della sua personalità. Non è una cosa che può dire senza sembrare ridicolo, o stupido e si era detto che non voleva esserlo, davanti a Noya. Non vuole riversare i suoi sentimenti su di lui, pur sapendo che non sono corrisposti. Non vuole dargli una responsabilità così pesante. Non vuole pesare su Noya, ma -non vuole nemmeno non farlo. “Il primo onigiri” gli risponde con un fil di voce. “Dovremmo mangiarlo insieme.”

Noya gli lancia un’occhiata veloce, mentre si arrampica per potersi sedere di nuovo sulla veranda e aspetta che anche Asahi si sieda, accanto a lui. “Il primo onigiri deve essere sempre assaggiato insieme” risponde, incrociando le gambe. “Quindi sei venuto fino a quassù? Gli altri onigiri anche sono per me?”

Asahi sbuffa una risata, ma non dice molto. Si siede. Guarda piovere. E poi si ricorda che lo ha portato, questo onigiri, che lo vuole davvero condividere con Noya e che dovrebbe stare... controlla la borsa, per tirare fuori un pacchetto del pranzo un po’ vuoto. Lo posa tra loro due e poi torna a guardare Noya, che non osservava i suoi movimenti, ma lui. Lui Asahi. E questa cosa lo rende un po’ troppo nervoso, motivo per cui si gratta la fronte con le dita ancora fredde e bagnate.

“Dovrei prenderti un asciugamano” commenta Noya, con un sorriso pieno e la testa inclinata. Mostra il collo, quando sorride così. “Mi dai...?”

Asahi allunga il braccio per prendergli la mano e fermarlo dall’andare da qualsiasi altra parte. Di nuovo, non lo ha fatto perché ci ha pensato. È stato puro istinto e Noya apre la bocca sorpreso, senza riuscire a dire mezza parola. E Asahi tira indietro la mano, come se si fosse bruciato. “Scusa” mormora, tornando a guardare fuori, la pioggia. “Ma non c’è bisogno. Penso -li laverò dopo.” Si passa la mano trai capelli, e dovrebbe andare via, in realtà. Che ci fa lui qui? Non ha niente da dire. Non ha niente di interessante da raccontare. Non c’è niente di interessante in lui, in realtà. Ugh. Deve fermarsi dal nascondere il viso tra le mani.

Noya si guarda il polso e poi Asahi. “Puoi presentarti qui anche senza onigiri. È per questo che abbiamo piantato il prezzemolo” gli dice poi. Per qualche motivo sta tenendo le distanze fisiche. Si è seduto lontano da lui. “A me fa piacere che tu venga a trovarmi. Te l’ho detto. Posso preparare io da mangiare e lo sai che ho sempre il futon pronto.”

Asahi sorride e cerca di concentrarsi sull’onigiri tra loro. Lo divide in due e gliene passa la metà. Non sa nemmeno che cosa deve dire, a questo punto. È così stupido. Basta. Dovrebbe riuscire ad andare via. Non sa come, però. Gli batte il cuore a mille. È così terrorizzato da riuscire a sentire solo caldo e sudore e le orecchie bollire con così tanto ardore da potergli cadere. Deve parlare. Deve dire quello che deve dire. Deve -vuole essere sincero con Noya. Farsi vedere da Noya. Anche se questo vuol dire essere ridicolo ai suoi occhi, essere quel ragazzino debole e lagnoso. E bisognoso d’amore. Neanche fosse un cucciolo abbandonato.

Per farsi amare ci si dovrebbe far conoscere. Glielo aveva detto Daichi. Anche se non ricambia i suoi sentimenti romantici, beh, potrebbero comunque continuare a essere amici. Asahi potrebbe lo stesso avere il permesso di stargli accanto. Ha il respiro corto. Ha tanta paura. Non è mai stato un tipo troppo coraggioso.

“Ti ho messo in una brutta situazione, vero?” gli chiede Noya, prendendo l’onigiri. “Mi dispiace. Non avrei dovuto...”

“Non hai fatto niente di sbagliato” lo interrompe a voce alta Asahi, scuotendo con forza la testa. “Sono stato io che non ho fatto... non ho detto... tu sei solo sempre stato gentile e io, da stupido, invece di poter essere solo amici, credo che ho pensato... a te piace Tanaka-senpai, vero?”

Noya aggrotta le sopracciglia. “Neesan?” chiede. “Certo che le voglio bene. Ma non mi piace più di quanto mi piaccia Ryuu.” Mangia la sua metà di onigiri in due bocconi. “È diverso da quello che provo per te.”

Asahi si passa una mano sulla nuca. Ah. Quindi. Così. Bene. Quello che prova... Quello che...? “E cos’è che provi per me?” gli chiede, alzando la testa per guardarlo negli occhi.

“Io sono innamorato di te, Asahi-san” gli risponde con anche troppa leggerezza e l’espressione di qualcuno che ha appena detto qualcosa di ovvio.

“Ah. Okay.” Asahi torna a guardare il suo onigiri. Capisce. Annuisce piano. Noya è innamorato di lui. Okay. Lo capisce. Ah. Aspetta. Asahi si gira di scatto verso di lui e alza le sopracciglia con un’espressione sorpresa. “Cosa sei tu?” chiede, gridando e per un attimo sembra addirittura che smetta di piovere.

Noya sobbalza. Indossa un enorme sorriso, ma sembra essere un po’ spossato, forse spaventato dal tono di voce che Asahi ha usato. “Ho detto che sono innamorato di te” gli ripete poi, sbuffando una risata. “Non era -non penso fosse un segreto?”

“Lo era per me!”

“Io ti ho abbracciato” gli ricorda Noya. Tira su un ginocchio, continuando a guardarlo con degli occhi penetranti. L’odore di terra bagnata e la pioggia che continua a cadere riempie ogni vuoto. E Noya non sembra essere a disagio, con questa conversazione, anzi. Posa il braccio sul ginocchio. “Poteva essere un indizio.”

“Ci si abbraccia sempre tra amici!” ribatte Asahi, con la voce che sale su, in un falsetto nervoso. Si porta le mani sulle labbra. “Come avrei potuto capire che cosa provavi da un abbraccio?”

“Ti ho accompagnato anche a casa un paio di volte” continua Noya, continuando a ridere. Posa la testa sul braccio steso. “Ti ho anche dato qualche bacio sulla guancia. E ti ho fatto da cavia per i tuoi piatti. E ti ho invitato a casa mia.”

“Hai invitato i tuoi amici per tutta la tua vita a casa tua!”

“Giusto. Uhm. Beh, comunque, ora lo sai, no?” risponde ancora una volta Noya, ridendo. Poi però il suo sorriso scompare e smette di guardare Asahi. Torna a guardare la pioggia, il suo giardino. “Mio nonno ha sempre detto che se si è spaventati di solito si dovrebbe affrontare quella cosa che ti fa paura. E poi -beh, poi la paura scompare. Mi sono reso conto che in questi ultimi mesi non ho fatto che avere paura. Dovevo scegliere se rimanere nella casa paterna. Dovevo decidere se sono abbastanza bravo e coraggioso per riempire la casa paterna di persone e però ho trovato una via di scampo e ho pensato che forse era quello che dovevo fare. Anche se non ci avevo mai pensato sul serio, alla fine ci ho pensato. Ma fa più paura perderla questa casa.” Sospira, mordendosi le labbra. “Io amo i miei campi, con tutti i problemi che mi possono portare. E amo te. Sei l’unica persona che non mi ha mai detto che cosa fare.” Ha detto amo. Asahi sente il cuore battergli nelle orecchie. Ha detto... “Non che mi aspetti niente” finisce Noya.

Asahi non ha nemmeno toccato il suo onigiri. Spezza di nuovo in due la sua metà, per poi darla a Noya, che la accetta, anche se con una strana espressione sul viso. “Anche per me” gli dice, mordendo il suo quarto di onigiri. “Cioè anche io. Anche... ugh.”

Noya finisce il suo quarto di onigiri in un boccone. “Anche tu sei innamorato di te?” gli chiede con la bocca piena. “Non è una brutta cosa. Essere innamorati di se stessi.” Lo sta prendendo in giro.

“Di te. Anche io sono innamorato. Ma di te” prova a essere più chiaro. Ecco. Lo ha detto. Bene. Finito. Comunque pensava di non essere corrisposto. È una bella cosa. Questa. Sapere che qualcuno è sempre felice di vederlo. È bello. Non essere stato cacciato dalla casa paterna -è stato bello. “Volevo dire questo.”

Noya gattona verso di lui, per posare la testa sulla sua spalla. E, quando Asahi abbassa lo sguardo per vederlo, Noya alza il mento, come se lo stesse salutando, gli mostra il suo sorriso. “Quindi sono sentimenti corrisposti” gli dice, prima di alzarsi in ginocchio. E lo guarda negli occhi. Gli occhi marroni di Noya sono puntati su quelli di Asahi, che non sa nemmeno se riesce a mantenere quello sguardo. Quando Noya chiude gli occhi e posa la fronte sulla sua, sente di non riuscire a respirare.

Abbassa un po’ la testa. In realtà, beh, non sente di riuscirci. È tutto troppo. Troppa emozione, troppi battiti del cuore, troppo caldo. Si ritrova ad appoggiarsi a Noya. E a sentire come Noya gli accarezzi i capelli, dopo avergli abbracciato la testa, con fermezza. Deve essere una posizione scomoda per lui. In ginocchio. Con Asahi che si posa su di lui. È pesante Asahi. È difficile avere a che fare con lui e la maggior parte delle persone che hanno a che fare con lui prima o poi vanno via. Noya ha una casa in cui è cresciuto e in cui forse si sentiva solo, e Asahi non sa come riempire i silenzi. Non può essere una situazione ottimale. Ma Asahi non è spaventato.

Asahi abbraccia Noya, aggrappando le mani alle sue spalle e chiude gli occhi, sentendo il suo profumo. Non è spaventato. Lui ha paura di tutto e in questo momento non ce ne ha. Forse perché Noya gli sta accarezzando i capelli o forse perché lo abbraccia con così tanta forza da fargli capire che non lo avrebbe lasciato andare o cadere via.

Quando Noya posa una mano sul viso di Asahi, per alzargli un po’ il mento e poi dargli un bacio sul lato delle labbra e sembra come se gli fosse passato un brivido per tutto il corpo, dopo averlo fatto, perché poi prende un respiro così profondo, prima di tornare ad abbracciargli la testa che ha fatto sentire Asahi amato. Non è nemmeno imbarazzante. È solo naturale. È solo quello che sente di voler fare.

“Sai di riso, Asahi-san” gli sussurra trai capelli. E poi li bacia. “Sono così felice.”

“Lo sono anche io” gli dice, stringendolo nel loro abbraccio.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Mikirise