Fanfic su artisti musicali > Sex Pistols
Segui la storia  |       
Autore: Kiki Daikiri    07/08/2009    0 recensioni
"Era giunta la nostra fine, la fine della nostra pazzesca storia, la fine dei Sex Pistols. Sentivo il mio cervello lontano, come se fosse rimasto incatenato a quel motel di San Francisco.
Più consumavamo strada, più i miei pensieri venivano strappati via, ed io rimanevo come un vegetale sradicato, fermo, pallido, emaciato.
Sentivo il calore della sua spalla contro la mia, ma Sid non mi vedeva. Non vedevamo più nulla, eravamo vuoti e morti. Non vedevamo più nessuno, né noi stessi né il mondo che ci circondava. Non c’era nessun futuro, nessun futuro. Non era divertente."
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo II
Avete mai la sensazione di essere stati ingannati?.
 
Il concerto doveva svolgersi al Winterland di San Francisco, uno stadio enorme e dall’acustica pessima. Le premesse per il concerto erano già di per sé terribili, figurarsi con Steve e Paul che estraniavano me e Sid sempre più, Sid che a momenti faceva fatica a reggersi in piedi ed io, bhé, io semplicemente non volevo essere lì.
Credo che il pubblico se ne accorse, già dalla prima canzone. Iniziai come al solito, in una sequela di sguardi e movimenti robotici, ma, piano piano, io per primo sentivo l’energia svanire, lasciando il posto ad un indicibile malinconia. Non era raro che successe, era raro che accadesse mentre stavo sul palco, durante una mia performance. Quello si.
Mi sforzai di ingoiare il grumo di bile che mi si stava formando in cima alla gola, concentrandomi sui difetti degli altri, la cosa che più in assoluto mi divertiva, durante i live. C’era una coppia di ragazzine vestite con un sacchetto dell’immondizia ed i capelli colorati di verde, erano in prima fila.
Li avevo avuti verdi anche io, i capelli, ai tempi della scuola statale.
Fu allora che conobbi Sid, fu allora che cominciammo a frequentare Sex, a King’s Road. Ripensandoci, sembrava essere passata una vita intera, quando si trattava appena di due anni prima. È incredibile quante cose possono accadere in due anni, quanto le persone possono cambiare, quanto ogni situazione possa degenerare.
Posai distrattamente lo sguardo su Sid, per appena qualche secondo, il tempo che mi bastò per sentirmi sopraffare di nuovo da quel senso di nausea, di ineluttabilità e di sconfitta.
Stava suonando da quasi mezz’ora, e ancora non si era accorto del fatto che Steve gli avesse staccato il basso dalla corrente, subito prima di iniziare. Non era in grado, non potevamo lasciarlo suonare.
Non sapevo perché, ma ero convinto che, che io l’avessi voluto o no, Sid mi avrebbe lasciato, in un futuro non troppo lontano.
Mi aggrappai convulsamente all’asta del microfono, come il Gobbo di Notre-Dame. Amavo quel personaggio: era grottescamente simile a me.  Ormai riuscivo a stento a portare a termine le canzoni, la mia voce si faceva calante, volevo vomitare sul pubblico, provavo a stare male, a causarmi il vomito, ma non riuscivo.
Solitamente, era tramite la musica che sfogavo la mia angoscia, non il contrario. Invece, quella sera, tutto mi piombò addosso come un macigno, sulla schiena, proprio lì, in mezzo alle scapole.
Sopraffatto, mi inginocchiai sul legno ruvido dello stage, senza tuttavia smettere di cantare. Non potevo: sapevo che gli altri componenti della band non si sarebbero fermati se io l’avessi fatto, avrei reso ancora più insopportabile un qualcosa che già lo era fin troppo.
Fu durante l’ultima canzone, fu durante l’esibizione finale, che compresi tutto. Vidi chiaramente cosa stava accadendo, che genere di persone stavano sotto di me ed attorno a me, le vidi così bene che l’intera situazione sbiadì, perdendo importanza.
«No fun, my babe, no fun
Non era più divertente, non era affatto divertente. Non sapeva più di nulla, era tutto così annacquato e sciatto.
«No fun to be alone…»
Essere solo, ancora ed ancora. Sembrava che io fossi destinato a questo, a restare solo.
Inconsciamente, sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima volta.
Dentro di me, mentre le pronunciavo, sapevo che quelle sarebbero state le mie ultime famose parole da Sex Pistol.
Fu quando mi resi conto di aver perso interi minuti in silenzio, mentre la musica ancora si agitava attorno a me nei colpi di grancassa di Paul, nel suono schizofrenico di Steve, nelle dita di Sid che si muovevano disordinatamente sulle corde di quel basso spento, fu allora che mi lasciai sfuggire ciò che stavo pensando: «Avete mai la sensazione di essere stati ingannati?»
 
Se ne stava lì, sul palco, accovacciato a terra e con lo sguardo severo perso nel pubblico, come se non lo vedesse affatto.
Quello scricciolo cadaverico ed allucinante, tutto avvolto nei suoi pantaloni stretti, nella camicia bianca troppo larga e in quel gilet di pelle consunto, rattoppato e tenuto assieme dalle spille.
Io stavo malissimo solo a guardarlo, mentre, ridendo sguaiatamente, ghignava il suo No Fun , che, quella sera, appariva così dannatamente reale da essere chiaramente un dialogo tra John e se stesso, più che il verso di una canzone.
Non era divertente, non più. In un mix di sensazioni tra l’adrenalina del concerto, il bisogno di una dose e la pena sconfinata che provavo per John, finii con il deprimermi. Finii con il fare a botte con un tipo del pubblico, un americanaccio grande e grosso con una folta barba da boscaiolo e una camicia di flanella.
Gli scaraventai il basso in testa, mentre gli strillavo “Fuck off!”, e la cosa non mi svagò affatto.
Lo odiavo, odiavo lui, odiavo il paese, odiavo lo stadio, odiavo la nostra musica, odiavo suonare il basso, odiavo Malcolm, odiavo Cook, Jones e me stesso. L’unica persona per la quale ancora riuscivo a mostrare dei sentimenti positivi, quella sera, era John.
Mi resi conto di amarlo, amavo John, più di quanto non avessi mai amato nessun altro. Anche più di Nancy, pensai, e mi sentii terrorizzato al punto da arretrare sul palco, barcollante, desideroso di poter fuggire e basta.
Usavo sempre la parola amore in maniera del tutto onesta e liberatoria, forse anche troppo, per questo quel mio particolare pensiero mi devastò, lasciandomi inebetito e sconcertato.
Io amavo John? O amavo Johnny? O nessuno dei due o entrambi?
«Avete mai la sensazione di essere stati ingannati?»
Disorientato ed in crisi d’astinenza, al termine del concerto fuggii via.
Correndo a perdifiato fuori dal locale, rischiando più volte di inciampare, mi imbattei in un ragazzino che doveva avere più o meno la mia età, oppure un vecchio, non ricordo. Tremava e si grattava la nuca con insistenza. Io conoscevo quel prurito, conoscevo quello sguardo, conoscevo il tono disperato d’urgenza nella sua voce.
«Ehi, amico. Hai uno spicciolo?»
Dovetti fargli ripetere due volte ciò che aveva detto, prima di riuscire a capire qualcosa dei suoi farfugliamenti.
«Si, si… ecco.» infilai una mano tremante in tasca, estraendone le poche monetine che avevo e mettendogliele sul palmo bianco . Quando ritrasse la mano, notai che ne aveva il dorso coperto di buchi.
«Grazie amico.» biascicò, rivolgendomi un intenso paio di occhi azzurri. Ricordo solo che erano molto belli, che stonavano con i capelli sporchi e tutto il resto.
«Portami con te, ci deve essere un posto…» sapevo che non potevo tornare al San José, non dove Lydon dormiva. Dovevo stare lontano da John, dovevo trovare un posto dove poter sistemare in pace quelle faccende private.
Il ragazzo, o l’uomo, che avevo appena aiutato, si sdebitò assecondandomi e portandomi in una casa occupata all’angolo tra Haight e Ashbury, un covo di tossici, un posto magnifico in cui riflettere.
Scelsi un materasso pidocchioso in un angolo, un materasso azzurro, e mi gettai lì.
Avevo tutta una notte davanti, un sacco di tempo per pensare.
 
A concerto finito, sapevo che avevamo fatto schifo. Davvero, nessuno poteva saperlo meglio di me. Ero assai autocritico per quanto riguardava questo genere di cose.
Improvvisamente, mi ritrovai scaraventato in una situazione, una situazione che, per la prima volta, stavo totalmente subendo. Avevano già architettato tutto, avevano preparato tutto in modo che io non potessi oppormi, e, se mi fossi opposto, Malcolm avrebbe avuto un ottimo motivo per licenziarmi, finalmente.
Non gliene diedi l’occasione, me ne andai.
Malcolm aveva organizzato con Paul e Steve un viaggio in Brasile, per andare a trovare Ronnie Biggs, un ex rapinatore di treni, un uomo orribile, sperando di shockare ancora una volta il mondo. Una cosa grottesca e ridicola, mi disgustava la sola idea di farci pubblicità sulle spalle di un uomo che aveva ridotto un ferroviere innocente ad un vegetale senza capacità motorie.
Diedi loro un’ultima scelta: o me, o Malcolm e il suo Biggs. Scelsero Malcolm e Biggs. Sid non c’era, non avevo idea di dove fosse finito, non sapevo se l’avrei più rivisto.
Rimasto solo e in uno stato di catalessi, sorpresi me stesso per primo, prendendo le redini della cosa e gestendo in modo responsabile il mio immediato futuro: scelsi di tornare al San José, dove mi assicurai di avere la camera per una notte ancora, dopodiché cominciai con un giro di telefonate, sperando di riuscire ad ottenere dalla Warner Brothers i biglietti aerei o per lo meno i soldi necessari a rimpatriare, senza risultati.
Fu allora che il telefono della mia camera squillò, e un uomo della reception mi passò un certo Tiberi, dell’entourage dei Pistols.
«Signor Rotten.»
«Lydon.» mi affrettai a correggerlo.
«Certo, come vuole.» colsi una certa vena di sarcasmo, nel suo tono, e l’unico sarcasmo che mi diverte è il mio.
«Fanculo, tu e McLaren.»
Stavo per riagganciare, quando quell’uomo sconosciuto pronunciò le parole che mi cambiarono la vita. Sollevarono la sua testa e la sgozzarono.
«Abbiamo appena individuato Sid… sta morendo.»
Con un groppo in gola, soppesai quelle parole così familiari, ma così aliene da sentirsi dire.
Morendo? Ma solo poche ore prima era accanto a me, suonando, era lì.
«Dove si trova?»
Fui all’angolo tra Haight e Ashbury in meno di un quarto d’ora, non so nemmeno come fu possibile.
La casa era un tipico palazzotto occupato, simile a quelli che costellavano Londra a decine, centinaia.
Quando ne varcai l’ingresso, la prima impressione fu che vi aleggiava un odore sgradevole di morte e vomito, un mix cattivo ed acido. Passai accanto ad alcuni barboni e a dei ragazzini vestiti come me, troppo storditi dai loro acidi per rendersi conto di chi io fossi. E a quel punto mi venne da chiedermi: chi ero io?
Tiberi se ne andò subito, lasciandomi solo ad affrontare la figura di un Sid agonizzante stesa su un materassino lurido e pieno di parassiti, in una stanza del primo piano.
Aveva ancora la siringa infilata nel braccio: dovetti sconfiggere la paralisi ed estrarla io, mentre scuotevo il volto di Sid.
«Svegliati brutto bastardo, figlio di puttana, inutile figlio di un hippie.»
Più lo insultavo, più mi pareva di stare meglio. Racimolai così la forza necessaria a prenderlo e trascinarlo fuori da lì. Volevo chiamare un taxi, ma lui si svegliò. Aveva udito i miei improperi, la mia lingua lunga era andata a ripescarlo all’inferno, dove sicuramente era già indirizzato.
«John…» lo sentii bisbigliare.
In quel momento riuscii a pensare soltanto “Non mi lasciare, avanti, non adesso che ti odio. Facciamo almeno pace, prima.” Ma mi trattenni, perché ero certo che, se avessi aperto bocca, l’avrei fatto solo per sputargli addosso.
Avevo ancora la macchia del suo sangue, schizzato fuori con la siringa, sul mio volto. Non potevo pensare di volergli bene, no. Non riuscivo ad accettarlo perché mi faceva ribrezzo ciò che era diventato il mio amico.
È incredibile quante cose possono accadere in due anni, quanto le persone possono cambiare, quanto ogni situazione possa degenerare. Incredibile quanto lui fosse diverso, quando mi ero innamorato della sua genuinità. Avete mai la sensazione di essere stati ingannati?
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Sex Pistols / Vai alla pagina dell'autore: Kiki Daikiri