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Autore: Black Swallowtail    10/04/2020    1 recensioni
“Jhin,” aveva chiesto, “ho una domanda.”
Jhin ne era rimasto deliziato.
“Quando una falena esce dalla sua crisalide, ricorda ancora la sua vita da bruco?”
Jhin si era fermato. La musica era cessata ed aveva riflettuto. Aveva ripreso a suonare con una mezza risata. L’aveva guardata danzare e i suoi occhi sembravano non riuscire a staccarsi da lei.
“Non posso risponderti, mia Orianna. Io sono ancora un bruco. Ma spero che tu, un giorno, possa trovarmi e darmi la risposta.”
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Caitlyn, Vi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUATTRO: falena.

Jhin spalancò le braccia, estasiato, un gesto teatrale quanto il suo personaggio; il fumo si accumulò attorno alla sua figura e spirò verso l’alto, mentre lui puntava la pistola contro una finestra sbarrata. Lo scatto del proiettile esploso dalla canna lacerò l’aria, infranse le assi di legno, lasciò filtrare la luce in un posticcio occhio di bue su Orianna.

“Orianna, ora dimostreremo a tutti che anche in te c’è dell’umanità. Anzi, tu, che sei la musa di questa opera d’arte, tu sei la più umana di tutti qui dentro. Senza più un corpo o un cuore, la tua esistenza è un lacero grido di disperazione — implori il mondo di darti spazio. Nessuno guarda oltre la tua scorza d’acciaio… Ma oggi è diverso. Oggi, alla fine di questo tuo ballo, sboccerai come un fiore all’alba.”

La mano affondò nel mantello e ne estrasse un piccolo oggetto metallico, il cui lampeggiare rosato fece storcere la bocca a Caitlyn. “Un detonatore a distanza,” sillabò a Vi con le labbra, senza staccare gli occhi da Jhin, “c’è una bomba. Ma dove?”

“Ma dove! Questa è la domanda sciocca che mi aspetto dal popolo ignorante, da chi non capisce. Non è una bomba, ma un mezzo per rinascere, per sublimarsi in un atto di distruzione assoluta, uno scoppio dell’Io cosciente. Un sacrificio che suoni mille volte più rabbioso di un urlo di una bambola d’acciaio.” Jhin indicò, inarcando la schiena, tendendo il braccio, un dito sottile, la danzatrice di ingranaggi e magia che rimaneva congelata in una innaturale posizione di danza, in equilibrio sulla gamba sinistra, la destra tesa nel vuoto, le braccia e le mani strette in un arco sopra la testa. Sembrava bastasse un soffio per farla caracollare a terra.

“Nell’automa…” ringhiò Vi, tesa sulle gambe, i guanti da battaglia che si caricavano di energia, “Abbiamo un piano?”

“Togliergli il detonatore di mano. Intercettare C. Bloccare la via di fuga al terrorista.”

“Tutto qui?” il sorriso di Vi si fece sbieco, canzonatorio, “Questo è il meglio che ti viene in mente?”
“Hai altre idee?”

“Nessuna.”

Un cenno d’intesa. Caitlyn sparò, Vi scattò in avanti, il corpo trascinato dai guantoni e dal motore Hextech, distrusse una fila di sedie una dopo l’altra. Il proiettile sibilò in aria, colpì Jhin alla mano, il telecomando schizzò a terra. Il terrorista cadde in ginocchio, imprecando ad alta voce, un urlo lacerato; Camille schizzò verso di lui, i rampini pronti ad attivarsi, a serrarlo al terreno.

Per Orianna, quello era solo un inferno. Un enorme, distorta successione di eventi che non comprendeva. Sapeva solo una cosa — Jhin aveva mentito. Ne era sicura. Ed ora, chiunque fosse quella gente, lo stava aggredendo; lo stavano per uccidere. Non ne capiva il motivo, non comprendeva perché volessero fargli del male. Era un po’ strano, un po’ melodrammatico forse, ma era stato gentile con lei; le aveva parlato con un tono che, per qualche istante, le aveva fatto vibrare qualcosa che credeva di aver perso.

Aveva visto tante volte il caos, nel mondo. Era stato per opporsi al caos che aveva perso la sua vita e suo padre. Erano ricordi da cui si era estraniata ma, per la prima volta dopo molto tempo, sentiva di capire l’Orianna di carne ed ossa. In mezzo al caos e al disordine, ci sono poche cose che si vogliono proteggere; e sono quelle che fanno vibrare qualcosa… perfino in un cuore d’acciaio e magia.

“Devastazione.”

La sfera scivolò a mezz’aria, andò a cozzare contro Vi, l’impatto fu tremendo ed il rumore dell’acciaio che stride le fece pensare di averla distrutta; ma con la coda nell’occhio, attraverso la polvere, la vie scagliata tra le poltrone. La sfera riemerse rapida dall’impatto, scivolò verso Jhin.

“Proteggi.”

La sforbiciata di Camille, ad un soffio dal viso nascosto di Jhin, trovò una sottile barriera di energia. Imprecando a bassa voce, l’assassina caracollò all’indietro, ritrovando l’equilibrio appena in tempo per evitare una nuova spazzata della sfera.

“Cosa sta facendo quell’automa?” lo sbraitare di Vi raggiunse Cait insieme al bossolo che tintinnava a terra ed il nuovo proiettile che scivolava in canna, “Lo sta difendendo?”

“Sindrome di Stoccolma,” rispose calma, prendendo di nuovo la mira, “Ritenta, ora.” Questa volta, il bersaglio sarebbe stato un altro, ben più difficile da intercettare di Jhin. Cait prese un respiro profondo. Il peso che sentiva da sempre era ancora lì. Non se ne sarebbe mai liberata, lo sapeva. L’unica cosa che poteva fare era accettarlo e combatterlo — renderlo una parte di lei. Per questa volta, sussurrò, mi sarai utile. Avrebbe dimostrato a Piltover, alla sua gente, alle vittime che aveva lasciato dietro di sé di poter fare la differenza. Almeno per una volta, non avrebbe commesso sbagli. Almeno per una volta.

Vi batté i pugni, li caricò nuovamente, il motore Hextech emise un lampo bluastro e rilasciò energia cinetica. Di nuovo, scivolò in carica rabbiosa verso il palco; di nuovo, appena dietro ad Orianna, Camille lanciò gli arpioni, si ancorò alla scenografia e come un ripugnante ragno si lanciò su Jhin.

“Devastazione.”

Di nuovo l’ordine secco, di nuovo la sfera che vola verso l’energumeno violento dai capelli rosa. La violenza che ricordava in Zaun, la rivedeva in lei, in ogni mossa, in ogni carica feroce. Quella violenza che le era piombata addosso tempo prima. L’avrebbe fermata, perché non era più una debole bambina in carne ed ossa. Avrebbe sconfitto Zaun con il suo cuore nella sfera di metallo.

Cait trattenne il respiro. Una sola possibilità. Un colpo. Le dita sudavano ed i polpastrelli erano scivolosi. Il proiettile era pronto.

Sparò il colpo, sibilò in aria, a metà della traiettoria scattò e liberò un grosso retino rinforzato. La sfera di Orianna venne colpita, intrappolata, aggrovigliata e bloccata nel terreno. Vi sogghignò, vide il suo viso incurvarsi nell’impeto della carica; arrivò sul palco, ne infranse le travi, si sollevò a mezz’aria grazie alla propulsione e, con un poderoso uppercut, scagliò Camille all’indietro. L’espressione di assoluta sorpresa, la frase di disprezzo rimasta a metà sulle sue labbra, tutto sarebbe rimasto impresso nella mente di Vi, istante per istante. Il corpo danneggiato ed esausto volò attraverso la scenografia, la infranse e si perse nel buio delle quinte.

La Legge di Piltover aveva colpito C. ed atterrò sulle assi della scena ridotta in pezzi. Jhin, in piedi, teneva di nuovo il detonatore tra le dita. Questa volta, tuttavia, non perse tempo; senza lunghi discorsi o convulsioni, senza domande retoriche o appellativi, senza richiami al pubblico o urla estasiate, premette il pulsante.

Cait sparò, il proiettile trapassò la spalla, rimbalzò sulla maschera, la scheggiò. Jhin barcollò all’indietro e prima che qualcuno potesse muoversi, lasciò cadere una granata a terra. Dal piccolo ordigno fuoriuscì un denso fumo purpureo, dal nauseante odore di fiori di Ionia.

“Vi!” Cait provò ad urlare, disperatamente, con tutto il fiato che aveva nei polmoni, provò ad urlarle di andarsene di lì, di fuggire prima che la bomba potesse detonare. Piangeva, mentre urlava, piangeva perché vedeva Vi attraverso il mirino che guardava Orianna, guardava la luce rossastra che lampeggiava all’altezza del suo ventre.

Abbandonò il fucile, la voce spezzata che chiamava disperata la sua compagna, la implorava di allontanarsi. Saltò tra le poltrone distrutte, i corpi macilenti, i detriti, ma era troppo tardi. Vi scosse la testa. Il lampeggiare aumentava, ticchettava sempre più rapido, sempre più impellente.

Vi sapeva che lei non se lo sarebbe mai perdonato. Sapeva che avrebbe avuto la sua vita sulla coscienza. Ma non poteva fare altrimenti. In fondo, si disse, non era questo quello che aveva cercato? Riposo, un lungo riposo, dopo aver combattuto così a lungo. Lasciarsi cadere, chiudere gli occhi, non riaprirli più. Avrebbe voluto ringraziare Caitlyn per averle dato una nuova prospettiva ed una nuova vita… ma non le avrebbe mai dato questa soddisfazione.

Si lanciò sul corpo di Orianna, lo strinse con tutta se stessa. Attivò lo strato di scudo Hextech che copriva il suo corpo, impostò il motore al massimo della potenza. Strinse i denti.

Orianna la guardò negli occhi. Non capiva cosa stesse accadendo. Non capiva perché Vi la stesse abbracciando, se fino ad un attimo priva aveva tentato di colpirla e di attaccare Jhin. Sopratutto, voleva comprendere perché stesse piangendo, con i denti stretti, perché stesse cercando di trattenere le lacrime.

Piegò la testa all’indietro, lo sguardo vagò fino alle finestre, fino alle quinte oscure. Le sembrò di vedere Jhin, da qualche parte, in quel buio, che applaudiva di fronte alla sua opera. Si chiese cosa avesse voluto ottenere, da tutto quello; probabilmente, decise, avrebbe risposto che non c’era fine nell’arte. Solo bellezza. E la bellezza più grande, avrebbe aggiunto, è l’altalena delle vicende e delle emozioni umane.

La bomba smise di lampeggiare. Il meccanismo si attivò, Orianna lo sentì muoversi nel suo corpo, lo sentì scattare e spingere ingranaggi ed elementi estranei, rudimentali, che erano stati inseriti in lei.

La detonazione era pronta. Risalì fino al ventre, si accumulò, spinse contro l’acciaio, scivolò nelle fessure tra le articolazioni di vetro. Poi, con un soffio secco, esplose. Petali di fiori schizzarono in aria come una fontana, rimasero sospesi, scivolarono lievi, uno ad uno, nell’aria, fino a ricadere sul palco.

Una miriade, centinaia, migliaia, milioni, miliardi di petali, un intero campo che ricadeva attorno, fiori su fiori che sbocciavano nella luce dell’alba. Fuori, Piltover si svegliava insieme ai primi raggi del sole. E come aveva promesso Jhin, lei era sbocciata. Non più fiori d’acciaio e petali di ingranaggi.

Piltover la vide, in quel momento, la osservò attentamente, in ginocchio, in un teatro abbandonato, circondata da petali di fiori, con lo sguardo abbassato. Ne teneva uno in mano, uno intero, che lui le aveva lasciato. Un pegno, aveva sussurrato, della tua rinascita.

“Jhin,” aveva chiesto, “ho una domanda.”

Jhin ne era rimasto deliziato.

“Quando una falena esce dalla sua crisalide, ricorda ancora la sua vita da bruco?”

Jhin si era fermato. La musica era cessata ed aveva riflettuto. Aveva ripreso a suonare con una mezza risata. L’aveva guardata danzare e i suoi occhi sembravano non riuscire a staccarsi da lei.

“Non posso risponderti, mia Orianna. Io sono ancora un bruco. Ma spero che tu, un giorno, possa trovarmi e darmi la risposta.”

Non era sicura di aver trovato la risposta. Ma avrebbe continuato a cercarla. Avrebbe coltivato la sensazione che quel fiore aveva fatto sbocciare in lei, per un istante; forse, si disse, se l’avesse seguita avrebbe trovato un piccolo spazio per lei, in questa esistenza nebulosa.

Per ora, l’unica cosa che poteva fare era aspettare.

Guardò con attenzione i suoi petali.

Un giorno, sussurrò. Un giorno.

 

 

 

“Dove la porto?”

Il suo cliente, seduto nella carrozza, non fece la fatica di sporgersi per rispondere.

“Cosa mi consiglia, buon uomo? Lei ha viaggiato molto, quindi deve aver visitato molti luoghi magnifici. Una vita di arte e cambiamento.”

L’ennesimo svitato, sussurrò il cocchiere tra sé. Non era strano incontrarne, di quei tempi, sopratutto ora che la guerra di Ionia faceva fuggire tanta gente dall’isola. Di solito, individui come quello erano mistici o miniatori o monaci, che non conoscevano la tecnologia del continente; oltretutto, di quei tempi, Noxus, Demacia, Shurima non erano luoghi adatti per una visita.

“Cosa ne dice di Piltover? C’è mai stato? È un posto strabiliante.”

“Vengo da lì, me ne sono appena andato.”

“Ah, capisco. Deve essere stato un soggiorno difficile, con il terrorista e tutto il resto.”

“Posso dire di essermi goduto la città. Aveva un suo fascino particolare, ma morto. Freddo. Non il mio tipo, se capisce cosa intendo.”

In realtà non capiva e non pretendeva di farlo. Ma poco importava, la cosa che più gli premeva era togliersi dai piedi quell’individuo il prima possibile.

“Aveva qualche altra idea?”

“Cosa mi dice di Noxus?”

“Non un bel posto, ma se insiste. Allora, verso Noxus,” diede un colpo ai cavalli, la carrozza si mosse a fatica, “Bella maschera. È un attore?”

“No,” rispose Jhin, “solo un assassino.”

FIORI D’ACCIAIO

End.

   
 
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