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Autore: _Eclipse    24/04/2020    1 recensioni
Dal capitolo 8:
-Ci sono venti di tempesta che si avvicinano, ormai salpo molto più di frequente, le esercitazioni sono più durature e in maggior numero. Questo addestramento vuol dire solo una cosa, il conflitto si estenderà, dove non lo so, ma ci sarà qualcuno di potente- Hiroto sospirò.
-Se vi è tempesta, all’orizzonte, non importa quanto forte soffierà il vento, quanta pioggia cadrà a terra, quanta sofferenza e distruzione causerà. Alla fine tornerà a splendere il sole e sarà allora il momento di ricostruire ciò che è caduto e preservare ciò che è rimasto. Imparare dai nostri errori e prevenire un nuovo disastro- rispose Shirou.
****
-Possiamo agire come una piovra e allungare i nostri tentacoli sul continente e sulle isole del Pacifico. Per i primi sei o dodici mesi di guerra potremo conseguire una vittoria dopo l'altra, ma se il conflitto dovesse prolungarsi, non ho fiducia nel successo- parole dure, pronunciate davanti al governo, ai generali, ammiragli e all'imperatore in persona, come se fosse un ultimo tentativo per rigettare un conflitto.
-Allora sarà vostro compito assicurarvi la vittoria assoluta il prima possibile- replicò il primo ministro.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Jordan/Ryuuji, Shawn/Shirou, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9: 7 dicembre

 

Da giorni la grande flotta nipponica solcava l'Oceano Pacifico. Il mare era particolarmente mosso e tumultuoso, come se l'acqua sapesse cosa sarebbe accaduto da lì a qualche giorno. Le nuvole erano basse e fitte, avrebbero ben nascosto le navi.

Sulla portaerei Akagi vi era l'ammiraglio Chuichi Nagumo. Stava sul ponte di comando, una cabina con ampie finestre situata all'ultimo piano della torre a lato del ponte di volo. Da quella posizione si aveva una vista dell'oceano a trecentosessanta gradi.

Un gran numero di ufficiali e marinai stavano stipati in quel minuscolo spazio. Il timoniere che dirigeva la nave, gli osservatori che scrutavano con dei binocoli le acque circostanti, un radiofonista e lo stesso ammiraglio Nagumo, in piedi nel mezzo della caotica sala di comando.

Uno dei suoi ufficiali era lo stesso capitano Minoru Genda che aveva partecipato a stendere il piano di attacco ed era lì presente.

Tra i vari marinai vi era anche un telegrafista, aveva ricevuto un messaggio in codice. Cercò di decriptarlo al meglio e poi si girò verso il suo superiore con aria agitata e occhi sgranati.

-Ammiraglio, signore! E' arrivata una comunicazione urgente da Tokyo!- nelle mani stringeva il foglio recante una sola frase di poche parole.

-Mi passi il messaggio-

L'ammiraglio Nagumo ricevette il foglio e lesse:

 

"Scalate il monte Niitaka"

 

Letteralmente non aveva senso, la vetta in questione si trovava a Formosa. Era un codice. Quattro parole che nascondevano il vero significato, ad eccezione dei pochi autorizzati. 

Le trattative erano fallite. Tokyo autorizzava l'attacco alle isole Hawaii come dimostrazione di forza dell'Impero del Giappone.

Con voce forte e decisa ordinò al radiofonista di cessare ogni trasmissione, non dovevano essere scoperti.

-Comunicate a tutte le navi di mantenere il silenzio radio fino a nuovo ordine-

Un giovane marinaio trasmise la direttiva con un riflettore presente nella cabina.

Da quel momento le navi avrebbero comunicato solo con il codice Morse.

-Rotta sud-est: destinazione 31° nord, 158° ovest- ordinò l'ammiraglio mentre osservava una cartina con disegnata la rotta da seguire.

Il timoniere presente ripetè quanto detto ad alta voce.

-Rotta sud-est: destinazione 31° nord, 158° ovest!- 

Con forza ruotò il timone, un disco di metallo piuttosto piccolo, infim0 rispetto alle dimensioni della nave che manovrava.

Il cambio di direzione venne trasmesso anche alle altre unità.

Lentamente, il Giappone si avvicinava alle coste americane.


****

 

Portaerei Kaga, 4 dicembre 1941.

Ore 15.00

 

L'equipaggio si manteneva in forma in parecchi modi. La ginnastica era un obbligo. Un corpo sano era la chiave per dei soldati di ferro e per la vittoria.

Molti uomini correvano lungo il perimetro del ponte di volo, come se fossero in uno stadio, con la differenza che chi cadeva… finiva in mare aperto.

Nella parte centrale molti eseguivano esercizi a corpo libero guidati da un ufficiale. Ryuuji e la sua squadra erano lì che si allenavano. Avevano appena ricevuto i dettagli sulla missione da svolgere.

L'esercizio fisico li avrebbe aiutati a smaltire la tensione e preparati per ciò a cui sarebbero andati incontro.

La flotta si era fermata per eseguire l’ultimo rifornimento in mare aperto. Da quel momento in poi, avrebbero continuato da sole.

Hiroto e il suo gruppo di volo, si erano riuniti per discutere il piano d’attacco.

I piloti si erano riuniti in una minuscola cabina sottocoperta, priva di qualsiasi fonte di luce se non quella delle lampadine. Una lavagna era appesa alle parete con e uno schema rappresentante la baia di Pearl Harbour affianco ad essa.

Tutti erano seduti su delle sedie di metallo rivolte verso la parete. 

I piloti erano tutti piuttosto giovani, difficile trovarne uno che avesse anche solo trent’anni, ma tutti avevano accumulato numerose ore di volo.

Un ufficiale, il capitano di corvetta Hashiguchi, illustrava come la sua squadriglia di bombardieri avrebbe colpito.

Gli obiettivi principali sarebbero state le corazzate, ancorate nei pressi della costa sud-occidentale di Ford Island, la piccola isola nel mezzo della baia, e le portaerei.

Avrebbero mantenuto una quota piuttosto elevata, circa mille metri e poi sarebbero discesi a circa cento metri sul livello del mare per poter sganciare il carico, il tutto sarebbe stato coordinato dal capitano di fregata Mitsuo Fuchida della Akagi.

In contemporanea, avrebbero attaccato gli aerosiluranti della squadra in cui pilotava Ryuuji.

Le navi non avrebbero avuto scampo.

Dopo aver eseguito il bombardamento sarebbero dovuti tornare alle portaerei, nel frattempo la seconda ondata avrebbe attaccato la base continuando il lavoro e per finire una terza ondata avrebbe dato il colpo di grazia.

La riunione proseguì a lungo, tutto doveva essere pianificato nei minimi dettagli. Al termine, i piloti furono invitati al momento di allenamento sul ponte. 

Mancavano solo pochi giorni.

 

**** 

 

3 km a sud dalla baia di Pearl Harbour,

7 dicembre 1941, ore 3:42, 

 

Due piccole imbarcazioni militari, dragamine(1) per la precisione, navigavano nelle acque circostanti il porto. L’equipaggio di una di esse, il Condor, aveva avvistato un qualcosa di anomalo. I riflettori delle due navi illuminavano il mare e uno dei marinai, vide una strana scia bianca tra le onde. Puntò una delle luci su quella schiuma, si muoveva. Qualcosa di grosso era sott’acqua e si muoveva in linea retta.

Circa quindici minuti dopo, la USS Ward, un cacciatorpediniere posto a difesa dell’entrata del porto, ricevette un messaggio dal Condor.

Il tenente Outerbridge a comando della nave lesse il rapporto:
 

-Avvistata probabile traccia di periscopio. 

Si necessitano ulteriori indagini-

 

-Signore che facciamo? Comunichiamo a Pearl dell’avvistamento?- domandò quasi ingenuamente un giovane marinaio del ponte di comando.

Il tenente rimuginò per qualche secondo poi rispose:

-No, Il Condor non è certo che sia stato avvistato un periscopio. Potrebbe essere anche una balena per quanto ne sappiamo. Macchine avanti tutta. Perlustreremo con il sonar quei fondali alla ricerca di questo fantomatico sommergibile. Comunicate al Condor che mi serve un rapporto completo di ciò che hanno visto. Se troveremo quel bastardo lo faremo colare a picco-

Con l’ordine di scaldare le macchine, la nave iniziò a muoversi sempre più velocemente. Il fumo nero si confondeva con il buio della notte.

Giunto nei pressi del luogo dell’avvistamento, il cacciatorpediniere scandagliò il mare con il sonar, tuttavia non trovò nulla, neanche un pesce di passaggio.

L’indagine durò per oltre un’ora.

Senza alcun risultato, il tenente Outerbridge tolse lo stato di allarme e diede ordine di tornare alla baia. Da lì a breve si sarebbero aperte le reti antisommergibile per far passare i due dragamine.


****

 

Portaerei Kaga, 

440 km a nord di Oahu,

 ore 5:00

 

Hiroto odiava svegliarsi presto, tuttavia quella campanella continuava a suonare destandolo dal suo sonno. 

Ryuuji era già fuori dalla branda.

-Hiro! Svegliati dobbiamo andare! E' il giorno…-

A quelle parole il rosso riprese del tutto conoscenza.

Si gettò fuori dal suo giaciglio, una scomoda rete di ferro con un materasso che aveva visto tempi migliori e molti equipaggi.

-Non dirmi che te ne sei dimenticato- lo riprese Ryuuji.

-Stai scherzando? Oggi si fa la storia. Detto tra noi non mi piace l'idea di provocare l'America, ma se il nostro paese lo ordina…-

-Noi dobbiamo agire- concluse l'altro.

-Almeno avremo un vero nemico tra le nuvole- cercò di sdrammatizzare il rosso.

-Non oggi, i cieli saranno solo nostri-

I due si vestirono quanto più velocemente possibile con la tenuta da aviatore. Una specie di tuta color marrone, dal colletto di pelo bianco, stivali neri e un giubbotto di salvataggio e paracadute, l'equipaggiamento era pesante ma in grado di salvare una vita in caso di ammaraggio o aereo in fiamme.

I due si spostarono nella mensa, una grande sala illuminata da luci artificiali. In una portaerei non era l'estetica a contare ma la funzionalità. Tutte le stanze, cabine, dormitori erano privi di verniciatura, il grigio del’acciaio dominava su tutto, come anche quel materiale. Solo gli alloggi degli ufficiali di alto grado erano più confortevoli.

La mensa era affollata più che mai, tutti i piloti erano lì per mangiare qualcosa prima di partire.

Hiroto e Ryuuji ottennero del semplice riso e pesce. Un pasto frugale, leggero ma allo stesso tempo abbastanza nutriente. Lo mangiarono in silenzio nel mezzo del caos di voci presente nella stanza, poi uscirono sul ponte come molti altri. I meccanici e il personale degli hangar stavano posizionando gli aerei. 

-Avrai la possibilità di colpire una nave ora- disse il rosso all'amico.

-In Cina era difficile trovarle…- ribattè l'altro.

-Voliamo su aerei simili- osservò Hiroto.

Sul ponte erano di fatto ammassati una serie di aerei dello stesso modello, di colore verde scuro e con i classici dischi rossi sulle ali e fusoliera. L'abitacolo era molto più lungo rispetto agli aerei da caccia, dopotutto avrebbero dovuto ospitare tre persone; pilota, navigatore, mitragliere di coda. L'unica differenza tra gli aerei dei due piloti era il carico. Un lungo siluro Type 21, opportunamente modificato per quello di Ryuuji e una grossa e tozza bomba perforante da ottocento chilogrammi per quello di Hiroto. Un solo ordigno del genere, con un po' di fortuna, poteva far saltare in aria una nave di grosse dimensioni.

I meccanici erano ancora all'opera, negli hangar al di sotto del ponte armavano i mezzi. A causa del peso ci voleva un gran numero di persone per caricare la bomba o il siluro, bisognava agganciarla sotto la fusoliera, tra i due carrelli di atterraggio. Una volta armato, il monoplano veniva spinto verso l'ascensore, portato sul ponte e sistemato in quella fila scaglionata di macchine. In totale poco meno di una trentina. 

Sul ponte di volo fecero la comparsa i comandanti dei rispettivi squadroni.

Ogni gruppo di volo si riunì per discutere nuovamente il piano molto rapidamente, poi i capi di ognuno diedero ad ogni piloti un bicchierino e versarono del sakè.

Il brindisi beneaugurante era una tradizione della marina. Avrebbe portato fortuna, allontanato il male e quel poco alcol presente dava vigore ai piloti.

Hiroto prese il bicchiere e come i suoi compagni brindò all'imperatore e alla riuscita dell'impresa. 

Indossò il proprio copricapo in pelle e gli occhiali da aviatore. Prima di salire a bordo dell'aereo, Ryuuji andò dall'amico e gli diede una banda di tessuto bianco.

-Ti porterà fortuna- 

Hiroto la guardò, era un hachimaki, nel mezzo vi era un cerchio rosso e ai lato di esso una scritta: "vittoria sicura".

Ringraziò l'amico e legò il regalo sulla fronte. I due si separarono promettendo di vedersi nuovamente lì sul ponte di volo una volta terminato l'attacco.

Erano quasi le sei del mattino, salì a bordo del proprio aereo della serie B5N2 e come tutti gli altri accese il mezzo per scaldarlo. Il motore scoppiettò per poi avviarsi, l'elica iniziò a girare sempre più rapidamente.

Il pilota salutò gli altri del suo equipaggio, due ragazzi più giovani di lui, probabilmente appena usciti dall'accademia.

-Buongiorno signore- salutò il navigatore seduto nel posto centrale dell'aereo.

-Lascia stare le formalità e chiamami Hiroto. Prima missione?-

-Sì signore… cioè Hiroto…- rispose l'altro.

-Come ti chiami?-

-Hoshi-

-Bene Hoshi, cerchiamo di svolgere al meglio il nostro lavoro e tornare a casa sani e salvi-

-Sarà fatto!- esclamò l'altro con un pizzico di esaltazione.

Hiroto aveva imparato come rapportarsi con i piloti più inesperti, a volte bastava solo qualche parola carina e di incitazione ed essi avrebbero tirato fuori dal nulla una determinazione e capacità senza eguali.

Fece un rapido controllo del mezzo, livello dell'olio, carburante, temperatura dell'acqua, tutto era nella norma, poi aprì i flap. La mano destra stringeva la barra di comando, la sinistra invece era sulla leva della manetta, per poter dare potenza all'aereo, sulle ginocchia teneva invece una tavola con una cartina per calcolare la rotta.

Alle ore 6:00 precise, dalla Akagi venne dato l'ordine di decollo.

Il primo a partire fu il capitano Fuchida, lanciato dall'ammiraglia. Dopo neanche pochi secondi, un giovane mozzo della Kaga, sventolò da prua, con un ampio gesto, la bandiera che teneva in mano. 

Quel semplice gesto era l'autorizzazione a partire. 

Il primo aereo della Kaga sfrecciò verso l'alto e così tutti uno alla volta accompagnate dalle grida esuberanti dei marinai e compagni di volo. L'equipaggio si era schierato sui bordi del ponte per assistere al decollo, lo stesso ammiraglio Nagumo, osservò le manovre dalla scala metallica che portava alla torre di comando della sua nave.

Quando arrivò il turno di Hiroto, il pilota alzò la leva della manetta verso l'alto, massima potenza. Il motore iniziò a rombare e l'aereo prese rapidamente velocità aiutato dal vento generato dalla portaerei. In pochi istanti prese il volo trovandosi sopra il mare. Chiuse il carrello e, dopo aver guadagnato abbastanza velocità e quota, i flap.

Si apprestò raggiungere la formazione della squadra. 

Sarebbe un stato un viaggio molto lungo.


****

 

3 km a sud dalla baia di Pearl Harbour,

ore 6:30

 

Dopo poco meno di due ore dalla segnalazione, la Ward ricevette un messaggio di un secondo avvistamento, questa volta da parte di una nave rifornimento.

-La Antares sostiene di aver individuato un periscopio… muoviamoci, posso capire un falso allarme, ma due no- ordinò il tenente Outerbridge.

Per la seconda volta la USS Ward prese il largo per indagare su questi avvistamenti.

Pochi minuti dopo, un idrovolante di pattuglia, confermò l’avvistamento e sganciò un fumogeno nei pressi del periscopio.

Il comandante della Ward, vedendo il denso fumo blu levarsi dall’acqua diede ordini ai suoi uomini:

-Un nostro PBY, ha confermato la presenza di un periscopio di un sommergibile non identificato in acque americane. Armate i cannoni e preparate le cariche di profondità, sono stufo di questa caccia alla cieca!-

La nave militare avvistò l’Antares.

La vedetta, armata di binocolo scrutava le acque circostanti dall’alto dell’albero maestro. Guardando attentamente, dietro la scia della nave rifornimento faceva capolino il celebre periscopio che per tutta la notte aveva fatto dannare l’equipaggio.

Rapidamente l’uomo fece rapporto al ponte di comando.

Outerbridge prese un binocolo e potè vedere lui stesso la torretta del sommergibile emergere circa un centinaio di metri dietro la poppa dell’Antares.

-Ai posti di combattimento! Pronti a fare fuoco!- esclamò.

In quel momento l’insieme di osservatori e direttori di fuoco individuarono il bersaglio e lo indicarono agli artiglieri dei quattro cannoni da quattro pollici. Le bocche da fuoco vennero ruotate verso il bersaglio e si calibrò il tiro.

Il tenente diede ordine di fare fuoco.

I cannoni spararono. Non era semplice colpire un bersaglio piccolo come la torretta di un sommergibile. Alcuni colpi caddero tra le onde sollevando delle alte colonne d’acqua.

Un proiettile fu piuttosto fortunato e riuscì a centrare la torretta esplodendo. Il bersaglio scomparì, ma poteva essersi semplicemente immerso.

La USS Ward incrociò la rotta con il possibile percorso del suo obiettivo e lanciò alcune cariche di profondità, dei grossi e pesanti cilindri di metallo contenenti esplosivo e lanciati in mare.

Anche in questo caso si alzarono dei grossi getti d’acqua salata, indice che le mine erano esplose.

Il sommergibile non riemerse, era stato colpito gravemente e stava affondando in pieno oceano. 

Outerbridge decise di inviare un messaggio al comando navale a Pearl Harbour. Erano le ore 6.53.

Esattamente dieci minuti dopo, la vedetta individuò un secondo periscopio.

-Che diamine… è ancora quello?-

-Nossignore- rispose la vedetta.

-Caricate delle nuove mine di profondità e bersagliate il percorso!- 

La nave si mise sulla stessa rotta del secondo periscopio. Era più veloce di parecchi nodi. Sganciò cinque cariche in tutto, più che sufficienti per affondare anche il secondo bersaglio.

I colpi vennero confermati.

Due sommergibili non identificati a pochi chilometri di distanza dalla base di Pearl, qualcosa non tornava e lo stesso tenente Outerbridge aveva un brutto presentimento.

 

****

 

Honolulu, 

ore 7:00

 

Atsuya si era svegliato di buon mattino. Fece una rapida colazione, bevve il suo caffè e si vestì. 

Era domenica e non era di turno all'ospedale. 

Voleva dedicarsi alla cura del giardino. 

Da quando era lì aveva iniziato a prendere confidenza con il verde e aveva trasformato l'orribile appezzamento trascurato di Taro, in un prato ben curato. Piantò dei fiori multicolore, e tagliò i rami secchi degli alberi. Il clima caldo tutto l'anno aiutava le piante a crescere e quindi c'era bisogno di una continua cura. Aveva da poco travasato un ciliegio, lo avrebbe fatto sentire più vicino a casa.

Appena messo piede fuori dall'uscio di casa, venne investito dalla luce e dal caldo. Prese il cappello di paglia che aveva lasciato, appeso ad un chiodo sporgente del portico verniciato di bianco, e delle forbici per potare un cespuglio e donargli una forma più definita rispetto a quella attuale.

Inginocchiato davanti alla pianta iniziò a tagliare i rami sporgenti o più malconci.

-Buongiorno signor Fubuki, già sveglio a quest'ora?- domandò un uomo accompagnato da una donna a braccetto.

-Salve signori Black, ho colto l'occasione per dedicarmi a questi cespugli, ma vedo che non sono l'unico già sveglio!-

-Noi andiamo alla messa, si avvicina il Natale, buon lavoro Atsuya- rispose la signora con un sorriso smagliante.

-La ringrazio, buona giornata!- replicò l’altro con un gesto della mano.

Non passarono che pochi minuti che un clacson attirò la sua attenzione.

Una Ford 1937 color verde bottiglia e decappottabile si fermò davanti al vialetto della villetta azzurra di Atsuya.

Il medico riconobbe subito l’autista. Mark Kruger, il suo celebre paziente e amico.

-Ehi doc, sempre al lavoro, anche di domenica-

-Mark! Che ci fai a terra? Pensavo avessi preso il mare…-

-La mia squadra è stata lasciata a Pearl, sulla nave serviva spazio per caricare degli aerei per Midway. Allora doc, ti piace questo gioiellino?- disse dando una pacca sulla cruscotto dell’auto.

-Di chi è?-

-Mia ovviamente! Ti ricordo che vivo qui a Honolulu… qualche volta devo farla muovere altrimenti smette di camminare. Allora che fai? Rimani lì ho salti a bordo? Ho grandi progetti per oggi!-

-In questo caso arrivo subito!- sorrise il medico. 

Lasciò il cappello, guanti e forbici. Diede una sistemata ai capelli e salì sull’auto affianco a Mark.

-Quindi che si fa?-

-Prima andiamo a prendere Erik e Bobby, dovrebbero scendere a terra questa mattina. Dylan non ha avuto la mia stessa fortuna quindi saremo solo noi quattro, una spiaggia vicina e una cassa di birra americana!-

-Mi piace come idea!- 

-Bene allora prima di tutto andiamo al porto a prendere quei due!-

L'auto accelerò bruscamente allontanandosi dal quartiere.

 

****

 

Cieli di Oahu,

ore 7:34

 

La più grande formazione di mezzi aerei mai riunitasi, stava volando da più di un ora e mezza.

Era appena giunta sull’isola. Il tempo era sereno, non una nuvola e un vento di coda piuttosto forte aveva permesso alla prima ondata di arrivare sulle Hawaii con una buona mezz'ora di anticipo.

Hiroto stava con i bombardieri a circa tremila metri di quota. Sulla destra, poco più in basso vi era la squadra si siluranti di Ryuuji. Sulla sinistra invece vedeva i bianchi bombardieri da picchiata. 

Parecchie centinaia di metri sopra la sua testa vi erano i caccia di scorta.

Dall'aereo del capitano Fuchida venne lanciato un fumogeno. Era il segnale per prepararsi. I mezzi a sinistra salirono di quota, quelli a destra si abbassano ancor di più. 

La stessa formazione del rosso doveva scendere fino a circa mille metri di altitudine. Il pilota spinse in avanti la barra di comando e manovrando con gli alettoni di coda allineò il muso dell’aereo verso il basso.

Pochi minuti dopo un secondo fumogeno venne lanciato.

-Hiroto, il capitano Fuchida ha lanciato un altro segnale, che dobbiamo fare?- chiese Hoshi.

-Non lo so, doveva lanciarne solo uno… continuiamo a seguirlo. Altitudine?-

-Quasi a quota prevista, siamo a 1450 metri circa- rispose il navigatore guardando la lancetta dell’altimetro che girava.

Il pilota continuò la sua discesa fino a giungere all’altitudine prevista.

La radio captò una trasmissione:

-To… to… to…- era il capitano Fuchida. Quelle tre sillabe erano il codice che indicava di stare pronti. Pochi minuti e sarebbero stati sopra l’obiettivo.

 

**** 

 

Honolulu, 

Ore 7:51

 

La Ford 1937 era una vera meraviglia dell’industria americana: veloce, comoda ed elegante. Andava a velocità moderata, quasi solitaria, in direzione del porto.

-Quanto ti è costata?- chiese Atsuya parlando dell’auto.

-Molto più di quello che potrei permettermi con lo stipendio attuale…. se fosse nuova. L’ho comprata di seconda mano. Il proprietario precedente me l’ha ceduta per un tozzo di pane. Aveva dei grossi debiti, l’ho acquistata con contratto regolare e lui con i soldi è fuggito non so dove. Ho avuto un po’ di fortuna-

Improvvisamente un rombo attraversò l’aria, non era un tuono, era più simile al motore dell'auto di Mark, ma più potente e anche lontano.

Atsuya alzò lo sguardo. Alcune sagome scure gli passarono sopra la testa a non più di un centinaio di metri di quota sollevando un forte vento.

-Ehi, ci sono passati vicini! Da quando i vostri aerei volano così bassi su Honolulu!?-

Mark inchiodò bruscamente l'auto e si mise a guardare il cielo, vedeva molte figure simili, ma molto più piccole, volare nella stessa direzione di quelli che erano passati pochi secondi prima.

-Non mi sembra ci siano esercitazioni programmate per oggi…-

-Forse qualcuno di importante viene a farci visita e l’aviazione è in fermento- 

-O forse qualcuno si è divertito a fare uno scherzo di falso allarme… ho conosciuto uno che ha fatto una cosa del genere, è stato spedito a pelare patate sull’Arizona… a proposito dell’Arizona, dobbiamo sbrigarci e andare da Erik e Bobby!- 

Mark accese nuovamente l'auto e partì a tutta velocità per recuperare il tempo perso.

 

**** 

 

Cieli di Honolulu,

ore 7:53

 

La flotta aerea si trovava praticamente sopra la base navale di Pearl Harbour. Gli aerei si comportavano come un grosso sciame di insetti e volavano apparentemente  in modo  casuale. 

Hiroto poteva vedere la la grandezza di quel posto. Hangar e piste di atterraggio con tanto di mezzi schierati su Ford Island, decine di navi di piccole dimensioni e sette grandi corazzate su due file ancorate lungo la costa dell’isola che formavano la “battleship row”; il viale delle corazzate. Come previsto dai rapporti dei giorni precedenti, nessuna portaerei.

La radio trasmise un secondo messaggio sempre dal capitano Fuchida:

-Tora! Tora! Tora!(2)- quest’ultimo dava il via all’attacco.

I bombardieri di picchiata Aichi furono i primi ad attaccare e puntarono il muso verso il basso. Il loro obiettivo erano gli aeroporti. Scesero a tutta velocità poi i piloti rallentarono aprendo gli aerofreni sotto le ali in modo da poter prendere la mira. Le decine di aerei disposti ai lati delle piste di atterraggio su Ford Island e Wheeler Field erano un bersaglio ideale. Fermi, inermi, privi di difesa da terra e preziosi. I bombardieri giunti a bassa quota sganciarono con grande precisione la bomba che trasportavano agganciata tra le ruote del carrello fisso. Una volta lanciata, gli aerei chiusero gli aerofreni, presero velocità e cominciarono a risalire per evitare il contraccolpo.

Una serie di ordigni del peso di duecentocinquanta chilogrammi cadde sugli immobili bersagli dell'aviazione.  Le esplosioni squarciarono l'aria. Il fumo nero si alzò dall'isola.

I bersagli distrutti tra le fiamme.

 

****

 

USS Arizona,

 battleship row,

ore 7:53

 

Bobby stava finendo di pulire il ponte, era la sua ultima mansione prima di poter scendere a terra qualche giorno.

Mentre con la scopa spazzava il legno, venne colto di sorpresa dal rumore di decine di aerei sopra la sua testa.

Alzò lo sguardo confuso come tutti gli altri marinai che stavano all’esterno della nave.

-Che diavolo ci fanno qui?- domandò uno dei compagni di Bobby.

Due aerei passarono vicino la nave piuttosto bassi di quota. Alcuni videro i segni sulle ali.

Non erano le coccarde dell’aviazione, ma dei grossi cerchi rossi.

-Questi non sono nostri…- intervenne un secondo a bocca aperta e tremante.

All’improvviso delle esplosioni.

Bobby si voltò in direzione del frastuono, lasciò cadere a terra la scopa e corse verso il parapetto.

Ford Island era in fiamme e alcuni aerei bianchi stavano risalendo verso l’alto.

Erano sotto attacco.

-A terra! Giù!- gridò una terza voce.

D’istinto il ragazzo si gettò sul punto con le mani dietro la testa.

Un aereo passò con l’intento di mitragliare i marinai. Volò appena sopra le loro teste.

Si sentiva il fragore delle mitragliatrici, i fischi dei colpi.

Si vedevano i buchi sul ponte, le scintille dei proiettili che rimbalzavano e le piccole ammaccature che lasciavano sulle piastre corazzate delle sovrastrutture(3).

Una volta sparito il pericolo, si rialzò di scatto come una molla. Il cuore batteva a mille e l’adrenalina scorreva nelle vene. I corpi di alcuni suoi compagni giacevano sul ponte inermi e insanguinati.

Venne data l’allarme. Tutti gli uomini dovevano essere ai posti di combattimento quanto più velocemente possibile. Molti marinai scesero dalla branda e si presentarono sul ponte senza neanche vestirsi, non vi era tempo per una futilità come quella in un momento del genere.

-Presto alle armi! Alle armi! Sparate a quei bastardi!- urlava quello che sembrava essere un ufficiale. 

Un secondo caccia passò in volo radente a sparare, ma questa volta nessuno si gettò a terra.

Alcuni uomini compreso Bobby si portarono verso le mitragliere di grosso calibro sul torrione, un insieme di strutture e ponti costruiti su un albero formato da tre grossi pali d’acciaio. Due o tre persone per arma in modo da garantire un continuo fuoco anti aereo.

Il ragazzo afferrò l’arma situata in una barbetta scoperta, una semplice piattaforma circolare con un bordo corazzato.

Era pesante ma riuscì a spostarla per puntare verso il nemico. Venne caricata con un grosso caricatore a nastro. 

A malapena sapeva come sparare, ma doveva fare il suo dovere.

-Arma carica Bobby, spara! Spara!- 

Il giovane  cercò un bersaglio con il mirino, un semplice insieme di cerchi concentrici, era difficile puntare, ma premette comunque il grilletto. 

la mitragliera iniziò a ruggire sputando grosse fiammate ad ogni scarica di colpi.

-Più in alto, più in alto!-

-Sto facendo il possibile, ma sono troppi e troppo veloci!-

Gli agili aerei da caccia schivavano i proiettili e rispondevano al fuoco non appena arrivavano in prossimità della nave.

Bobby continuava a sparare nella speranza di colpire qualcosa, ma vi erano troppi bersagli che aggressivamente rispondevano obbligandolo a cambiare preda ogni volta.

 

****

 

Squadra aerosiluranti della Kaga,

baia di Pearl Harbour,

ore 7:55

 

Ryuuji volava a bassa quota con la sua squadra. L’attacco con i siluri era guidato dallo stesso tenente Murata che aveva ideato la modifica per i fondali bassi. Insieme a lui vi erano altri ventitre aerei proveniente sia dalla Kaga che dalla Akagi.

Fecero un volo di ricognizioni alla ricerca di eventuali portaerei, ma come indicato dai rapporti dei giorni precedenti, non erano presenti.

Un primo gruppo di aerei della Hiryu e della Soryu stavano già lanciando sette siluri contro delle navi vicine. 

Il verde si abbassò ancora di quota in modo da essere pronto ad attaccare.

Il suo gruppo agli ordini del tenente Murata veniva da ovest e non continuò l’assalto del primo.

Il tenente guidò un attacco verso il “viale delle corazzate” ovvero gli obiettivi primari.

Nonostante la sorpresa, gli americano cercarono di organizzare un fuoco antiaereo.

Ryuuji poteva ben vedere le scie dei proiettili delle mitragliere che sparavano dalle navi, cercò di schivarli con qualche agile movimento di ali senza però togliersi dalla posizione.

Quel fuoco, seppur improvvisato, si dimostrò letale. Un aereo venne colpito al motore che si incendiò. Il pilota perse il controllo e si schiantò in acqua. Ad un altro venne spezzata di netto un'ala ed affondò. Gli aerosiluranti erano obiettivi decisamente più semplici. Volavano basso, più lentamente e non potevano cambiare la rotta fino a che non avessero sganciato il siluro.

I mitraglieri delle navi fecero cinque vittime in totale.

Il verde sospirò mentre con la tacca dell’indicatore che faceva da mirino, inquadrava la nave. Era teso, non aveva mai fatto una cosa del genere.

Un conto è essere su un caccia, l’avversario può sempre salvarsi gettandosi con un paracadute, ma colpire una corazzata con un siluro… era tutta un altra storia.

Vero era nervoso ma sapeva quale era il suo dovere. Continuò a volare fino a qualche centinaio di metri dal suo obiettivo, lo inquadrò un ultima volta.

Chiuse gli occhi e tirò verso di sé la leva per il siluro.

La torpedine, opportunatamente modificata per i fondali delle Hawaii, cadde senza il minimo rollio sul proprio asse. Si immerse nelle calde acque della baia e perse l’impennaggio in legno. In un istante venne spinto in avanti da una miscela di ossigeno che faceva girare la minuscola elica della coda.

Il verde si sentì alleggerito di un peso. Ormai aveva fatto ciò che doveva e con una virata iniziò una risalita per levarsi dal fuoco antiaereo, mentre il siluro andava verso la nave scelta lasciandosi dietro una scia di schiuma bianca.

 

****

 

USS Oklahoma,

ore 7:55

 

L’allarme suonava in tutta la nava. Si sentivano bombe ed esplosioni ovunque, gente che gridava e che correva da una parte all’altra.

Erik era dovuto rientrare sotto coperta. Le munizioni scarseggiavano, nessuno si aspettava un attacco e quindi non vi erano scorte sul ponte.

Il ragazzo era stato incaricato di recuperarle al più presto. Non era l’unico, era stato scelto perché il più veloce tra quelli della sua squadra ma decine di persone, in un via vai continuo, cercava di portare quante più armi possibile sul ponte, anche fucili se necessario.

Il giovane correva a perdifiato, sapeva che ogni secondo di ritardo era un secondo in cui la mitragliatrice era ferma. L’armeria era stata aperta. Conosceva la strada ma doveva far attenzione a non inciampare sui bordi delle porte a chiusura stagna. 

All’improvviso un botto e un forte scossone lo fece cadere a terra.

Erano stati colpiti, cercò di rialzarsi ma un secondo scossone lo fece cadere nuovamente. Le pareti di metallo e il pavimento tremarono.

Iniziò a temere il peggio anche perché la seconda volta era stata più forte. Si rialzò, il suo equilibrio era piuttosto instabile a causa delle due cadute, ma continuò la sua corsa.

Un uomo proveniente dall’armeria e con un carrello carico di scatole verdi contenenti munizioni si parò davanti a lui. Era sudato e stanco, anche lui aveva fatto un scatto fino all’armeria.

-Ti dò una mano, ma non è ora di fermarsi!- disse Erik.

L’altro con un grande sforzo spinse il carrello insieme al nuovo arrivato fino a che un terzo scosssone ancora più forte non li fece cadere per la terza volta.

-Siluri! Presto usciamo prima che colpiscano dove siamo noi!- esclamò con voce esasperata l’altro.

Erik era terra e dolorante, non riusciva a rialzarsi.

-Credo di essermi slogato una caviglia-

L’uomo rimase a fissarlo per pochi di secondi senza sapere cosa fare e poi lasciò il carrello e il ragazzo per fuggire.

L’altro imprecò, non riusciva a tornare in piedi. Nella caduta, il carrello si era schiantato contro la sua gamba e  quindi appoggiò il piede in un modo tale da provocarsi la slogatura. Strinse i denti e si fece forza. Si alzò nuovamente e iniziò a zoppicare cercando di uscire, ma un improvviso fracasso lo colse di sorpresa. Un rumore di lamiere che si spaccavano accompagnato da un lento movimento della nave verso un lato. Si stava inclinando lentamente, sempre di più. La Oklahoma era stata colpita da entrambi i fianchi da cinque siluri. La nave dietro di lei, la West Virgina era stata bersagliata invece con sette torpedini. Entrambe erano in fiamme, le esplosioni avevano dato il via a degli incendi.

Sul ponte in balia del fuoco, l'equipaggio cercò di mettersi in salvo buttandosi in acqua e raggiungere terra a nuoto se necessario, ma gli aerei da caccia continuavano a mietere vittime.

 

****

 

Squadra bombardieri,

Ore 8:00

 

Dall'alto, era difficile capire cosa stava succedendo, da terra si alzava un denso fumo di colore nero come anche dalle navi colpite. I siluri fecero breccia in diverse corazzate, ora però era il momento di un attacco dal cielo.

Il capitano Fuchida guidò lo squadrone più in basso. 

Hiroto seguì il comandante attraverso la nube di fumo. La baia era irriconoscibile rispetto a poco più di cinque minuti fa, tutti i gruppi attaccarono in modo coordinato con effetto devastante. In quel momento ulteriori bombardieri da picchiata stavano bersagliando le altre basi aeree sull'isola e i siluranti stavano finendo il loro lavoro.

Il capitano aveva dato ordine di dividersi in gruppi di piccole dimensioni e si diresse verso ovest in modo da poter flagellare le corazzate da sud. 

I primi gruppi sfrecciarono sul viale delle corazzate colpendo tre navi, Maryland, Tennessee, West Virgiania.

Lo stesso capitano venne intercettato dalla contraerea ma riferì di stare bene e non aver riportato gravi danni.

Hiroto e la sua squadra si concentrarono sulle ultime corazzate del "viale". Ormai la maggior parte di esse era danneggiata, gli incendi alzavano un fumo così denso che non rendeva semplice prendere la mira.

-Hoshi, ho bisogno della quota-

-Duecento metri-

-Duecento?-

-Sì, confermo!-

Il rosso non si sentiva a suo agio su un bombardiere convenzionale, sperava di usare un bombardiere da picchiata, ma non possedeva il brevetto per utilizzarli

-Preparatevi a ballare, anche se in fiamme, quelle navi, sparano ancora- 

Il giovane Hoshi vide saettare verso l’alto alcune scie brillanti dei traccianti, proiettili che venivano dal basso.

Hiroto rallentò per prendere la mira.

Nell'abitacolo, alla postazione del navigatore, vi era un oculare che permetteva di inquadrare un bersaglio a terra e prevedere anche la traiettoria della bomba. Hoshi si avvicinò ad esso per prendere la mira e sganciare 

Una tacca nera a forma di croce indicava il punto in cui sarebbe caduto l'ordigno anche se in modo approssimativo.

L'aereo avanzò ancora per qualche metro. La croce nera dell'oculare era proprio sopra una corazzata che non aveva subito danni.

il giovane navigatore tirò verso di sé la leva per la bomba e con un gridò comunicò lo sgancio. Hiroto virò cercando di allontanarsi rapidamente.

La carica cadde con la punta verso il basso, fischiava tagliando l'aria fino a giungere sul bersaglio, penetrò il ponte a poppa e scoppiò provocando danni mediocri. 

Il rosso era consapevole che avrebbero potuto fare un tiro migliore.

-Ed ora?-domandò Hoshi,

-Ora seguiamo il capitano, abbiamo colpito la nave, non abbiano molto altro da fare-

Il colpo non fu decisivo, ma una seconda squadra stava arrivando sulla nave e lanciò il proprio caricò di ottocento chilogrammi.

 

****

 

Honolulu, 

Ore 8:05

 

Atsuya e Mark sentivano scoppi a non finire e si apprestarono a raggiungere Pearl Harbour il prima possibile.

L'auto si fermò non appena i due poterono vedere con i loro occhi cosa stava accadendo, fumo, tanto fumo e fuoco e aerei che sparavano per tutta l'isola.

Atsuya si morse un labbro, si sentiva un nodo alla gola.

Mark imprecò più volte.

-Porca puttana che sta succedendo!?- era sconvolto, un attacco a sorpresa, fino a quel giorno gli Stati Uniti non erano in guerra con nessuno.

Poi sotto i loro occhi increduli, accadde qualcosa di tanto spettaccolare quanto atroce e terribile.

Una delle ultime navi del viale, la USS Arizona esplose violentemente in una nube di fuoco. Il botto si udì per chilometri.

Uno degli aerei del gruppo di Hiroto aveva sganciato il proprio carico. La bomba cadde vicino alla torretta dei cannoni, la numero due. Penetrò il ponte corazzato e finì nel deposito munizioni della torretta stessa. Lì giacevano impilate decine di enormi proiettili da centinaia di chili. Sette secondi dopo, la bomba detonò e così fece anche la santabarbara. In pochi millesimi di secondo, la prua venne spinta violentemente in avanti mentre il ponte venne; dapprima scaraventato verso l'alto e poi collassò in mare. Nella caduta le sovrastrutture cedettero e il torrione a tripode si inclinò di parecchi gradi verso il basso e la prua, la quale non era ormai che un ammasso di ferraglia fumante, senza forma e avvolta da un incendio.

L'olio e il carburante fuoriuscirono in acqua, ma galleggiando su di essa, prese fuoco. Ora anche tuffarsi in mare per salvarsi era diventato letale.

Mark sbiancò. Sapeva che nave era. Sapeva che su di essa vi era Bobby.

-Mark, andiamo, non possiamo stare qui!- esclamò Atsuya con gli occhi pieni di lacrime.

L'altro non rispose. Rimaneva con lo sguardo vuoto e fisso verso i rottami dell'Arizona.

-Mark, svegliati! Riprenditi! Portami all'ospedale, devo subito andare alla clinica e aiutare il dottor Williams! Mark! Ti prego riprenditi!-

L'altro sbatté le palpebre più volte, era visibilmente agitato e in stato di shock. Tremava, di paura e di rabbia. 

Una manciata di aerei mitragliarono la strada su cui erano.

I due si abbassarono nell’auto e ne uscirono indenni. 

Fortunatamente non trasportavano bombe o avrebbero raso al suolo il quartiere.

Mark riprese coscienza e spingendo sull’acceleratore partì verso l’ospedale.

 

****


1) Dragamine: piccola imbarcazione militare dedita alla rimozione di mine marine o in azione di pattugliamento costiero.

 

2) Tora Tora Tora: letteralmente la parola “tora” significa tigre, secondo alcuni storici è un riferimento ad un proverbio giapponese “la tigre viaggia duemila miglia e ritorna con successo”. Per altri invece “tora” deriverebbe dalla contrazione di due parole, “totsugeki” (attacco) e “raigeki” (fulmineo) e sostengono quindi che sia una casualità che il codice significasse “tigre”. Devo far notare che il primo messaggio del capitano Fuchida (To… to… to…) è l’abbreviazione di “totsugeki” e quindi attacco.

 

3) sovrastruttura: in ambito navale indica tutte le costruzioni del ponte al di sopra della linea di galleggiamento, tra i quali ulteriori ponti, alberi e torrioni di ogni tipo.

 

Piccolo angolo d’autore…

Ebbene, era inevitabile.  Avrei preferito dare una svolta

di altro tipo alla trama, la storia mi lega le mani…

ovviamente scherzo, avevo già preventivato tutto xD

Il capitolo in origine doveva essere più lungo, ma dato che 

in fase di stesura ho superato le 6000 parole, ho deciso

di suddividerlo in due parti per evitare che la lettura

diventasse più pesante di quello che è già.

Come avete notato da ogni inizio paragrafo, ho riportato

luogo e ora, avrete capito che l’attacco fu veramente fulmineo.

Ho cercato di rispettare e descrivere gli avvenimenti 

principali della prima ondata concludendo con

l’apice dell’attacco (che viene rappresentato

in ogni film ambientato a Pearl Harbour) ovvero

l’affondamento della USS Arizona (a tal riguardo,

ho trovato per caso un filmato originale dell’esplosione, 

pubblicato sul canale degli US National Archives. 

Pur essendo in muto e in bianco e nero… 

è più forte di ogni rappresentazione cinematografica…).

Ad oggi il relitto giace ancora sul fondo della baia 

come memoriale di ciò che è successo ed ha il

diritto perpetuo di battere bandiera statunitense.

Mi sono dilungato troppo…

come sempre mi auguro che vi sia piaciuto e che la

storia vi interessi. 

Prima che vada vi invito, chi vuole ovviamente, a lasciare

una recensione o un opinione riguardo la storia e 

la piega che sta prendendo, detto questo

Un saluto…

 

_Eclipse






 
   
 
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