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Autore: Cassidy_Redwyne    10/05/2020    1 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Fu un miracolo che fossi seduta sul letto, quando Beth mi diede quella notizia, perché di colpo sentii le forze venire meno e per un momento credetti di svenire.

Henry Jefferson. Quel ragazzo senza volto, la cui foto sfigurata compariva solo per tre anni di scuola, era il figlio della preside. Preside che odiava a morte Night.

La mia testa stava per scoppiare. Tante, troppe informazioni che non sapevo dove collocare.

Beth e Arianna mi scrutavano in silenzio e, nel preciso momento in cui Angie fece il suo ingresso in camera, sbattendo la porta dietro di sé come se si fosse trattata di uno dei suoi nemici, seppi che la mia emicrania sarebbe solo peggiorata. Non tanto per la sua rumorosa entrata, quanto perché dovevo assolutamente metterla al corrente di ciò che avevo scoperto sul conto di Night.

«Che succede?» fece lei, squadrandoci con espressione stupita. «È morto qualcuno?»

Stavolta notai con una certa soddisfazione che Beth non fece nulla per prendermi in giro.

«Angie, dobbiamo dirti una cosa» mormorai, deglutendo rumorosamente.

Lei inarcò un sopracciglio, ma non fece commenti. Attraversò rapidamente la stanza e si lasciò cadere sul suo letto con uno sbuffo. «Allora?»

«Riguarda Night» mormorò Beth in tono serio.

L'espressione di Angie si fece d'un tratto molto interessata.

Quanto a me, mi voltai stupita verso Beth, che abbozzò un sorriso. Dai suoi occhi era scomparso ogni scintillio divertito e mi rincuorai nel vedere che sembrava aver finalmente preso sul serio la questione.

Osservandola da dietro la spalla, vidi che anche Arianna aveva definitivamente abbandonato la lettura e si era avvicinata al bordo del letto per sentire cos'avevamo da dire.

Feci un respiro profondo e tornai a fronteggiare Angie, che mi stava fissando con malcelata impazienza.

«Night...»

Intravidi un lampo di consapevolezza attraversare il suo sguardo.

«...non è migliorato» concluse lei, abbassando gli occhi.

«Esatt... aspetta, tu come lo sai?!» esclamai, a bocca aperta.

Angie sospirò. «Me l'ha detto lui. Ieri sera.» Di fronte alle nostre espressione stupite, aggiunse: «Probabilmente sperava che fossi troppo fatta per ricordarmelo.»

Deglutii, cercando di metabolizzare quell'informazione. Il fatto che Night si fosse aperto con Angie, comunque, era un'ottima notizia.

«E ti ha detto il perché?» le chiesi. Volevo sapere fin dove si fosse spinta la sua confessione.

Angie aggrottò le sopracciglia. «Perché non è stato migliorato?» Scosse la testa. «No, non me l'ha detto. Voi lo sapete?»

Ci fissò in trepidante attesa.

Beth ed io ci scambiammo uno sguardo preoccupato. Come avrebbe reagito la ragazza?

«Sì» dissi infine. «Night non è stato migliorato perché è entrato a scuola prima che introducessero la macchina.» Mi interruppi e la fissai intensamente. «...precisamente, otto anni fa.»

Il silenzio calò nella stanza.

«Otto anni fa?» La voce incredula di Arianna ruppe il silenzio.

Angie non aveva ancora detto nulla. Si era limitata ad abbassare lo sguardo sul pavimento e pareva ci stesse riflettendo su. Quando alzò di colpo la testa, tutte noi ci preparammo psicologicamente al peggio.

«Be', sapevo che era un coglione, ma non pensavo fino a questo punto» commentò, increspando le labbra.

Beth si lasciò sfuggire un risolino, io un sospiro di sollievo. Arianna stava scuotendo impercettibilmente la testa. Angie aveva reagito decisamente meglio del previsto.

«Quindi Night dovrebbe avere... diciannove anni?» domandò Arianna, pensierosa.

Angie scosse la testa. «No, diciotto. Non ancora compiuti, tra l'altro. Mi ha detto di essere un anticipatario.»

Annuii tra me e me. «Questo spiega il perché non abbia ancora potuto lasciare la scuola.»

«Ma non spiega il perché sembri in tutto e per tutto un nostro coetaneo» ribatté Arianna.

«È vero» mormorò Beth. «Non avrei mai detto che avesse diciott'anni...»

Mi morsi il labbro, capendo perché Night si mimetizzasse così bene tra studenti di quattro anni più piccoli.

«Non è lui il problema» dissi. Consapevole di avere gli occhi di tutte e tre fissi su di me, aggiunsi: «Siamo noi. Sono gli ormoni che ci hanno somministrato. Ci fanno sembrare più grandi della nostra età.»

«Ormoni?» ripeté Angie, fissandomi con occhi strabuzzati.

Annuii piano. «Me l'ha detto Brook. Quella macchina ci ha imbottito di ormoni. Così come il cibo che mangiamo, le medicine che prendiamo...»

Arianna si coprì la bocca con una mano. «Le fiale...» esclamò, lanciando un'occhiata d'intesa a Beth.

Un silenzio inquieto calò nella stanza e le ragazze si scambiarono delle occhiate preoccupate. Sembravano molto turbate e potevo capirle: dopotutto era stato uno shock anche per me.

«È per questo che i ragazzi sono così aggressivi, a scuola» spiegai. «E così allupati» aggiunsi, inarcando un sopracciglio.

«Oddio...» gemette Beth. «Siamo davvero finite in una scuola di maniaci.»

«Di certo questa scuola nasconde qualcosa» dissi. «E credo che Night lo sappia.»

Le ragazze mi stavano fissando con insistenza, aspettandosi che continuassi. Arraffai l'annuario del 1998 dalle coperte e mi voltai a guardarle una per una.

«È dal 1998 che Night continua a ripetere il terzo anno» spiegai. «Nel 1999 è stata introdotta la macchina, il cui scopo tuttora ci sfugge. Brook ed io pensiamo che sia successo qualcosa tra questi due anni. Qualcosa che ha portato alla creazione di quell'aggeggio.»

L'annuario era rimasto aperto sulla pagina di Night e indicai alle ragazze la figura scarabocchiata di nero.

«E poi c'è questo qui. Henry Jefferson. È un compagno di classe di Night, ma scompare dagli annuari dopo il 1998.»

«L'anno in cui Night è stato bocciato per la prima volta» mormorò Arianna.

Annuii gravemente. «E Beth mi ha appena detto che Henry è il figlio della preside.»

«Night odia la preside!» esclamò Angie. «Quando ci mandano insieme in presidenza lui la guarda come se...» Si bloccò, facendosi di colpo pensierosa. «Oddio... ecco chi chiamavano "puttana" i suoi amici!»

Un colpetto di tosse ci interruppe. Ci voltammo tutte e tre verso Beth, che stava giocherellando nervosamente con l'orlo della coperta, il corpo in tensione. Quando fu consapevole di aver attirato la nostra attenzione, alzò la testa. Era serissima

«C'è una cosa che non ti ho detto di Henry, Kia» disse, piantandomi gli occhi in faccia. Poi posò lo sguardo sulle altre, squadrandoci una ad una con lentezza estenuante.

«Penso di sapere cos'ha fatto Night» bisbigliò infine.

Dopo aver fatto un respiro profondo, Beth iniziò a raccontarci ciò che la preside le aveva detto.

****

Quando Angie aveva bisogno di sfogare la tensione, dipingeva.

Era come se, insieme ai colori, scaricasse sulla tela anche tutto lo stress che aveva accumulato, tutti i pensieri che le affollavano la mente. Più la tela si colorava, più la sua testa si faceva bianca, sgombra, leggera.

E, dopo quello che Beth aveva detto loro, Angie ne aveva disperatamente bisogno.

Era passata dalla professoressa Rooth per chiederle il permesso di usare l'aula di arte oltre l'orario scolastico e lei non aveva avuto nulla in contrario, raccomandandole solo di lasciare pulito.

Così Angie si era rifugiata lì. Adorava l'aula di arte. La sua classe non vi si recava spesso, forse perché anche la Rooth doveva essersi ormai rassegnata al fatto che i suoi compagni fossero degli idioti che di arte non capivano nulla.

Ma, quando Angie varcava la soglia di quel posto, si sentiva a casa. Attorniati da dozzine di sgabelli, due tavoli lunghi e stretti erano disposti parallelamente nella stanza. Due tavoli che ne avevano viste parecchie, a giudicare da tutte le macchie di colore che c'erano sul legno. 

In un angolo erano addossati i cavalletti e tra di loro erano state lasciate alcune statue in gesso, come se stessero giocando a nascondino. Tutt'intorno, sugli scaffali stracolmi, spuntavano tele, cartelle, mezzi busti e persino qualche maschera tribale rimasta a metà, che gli studenti forse avevano scordato lì. Angie avrebbe potuto passare delle ore in quel posto, con l'odore dei colori nelle narici. Un odore che le ricordava casa.

Quel giorno vi si aggrappò con tutta se stessa, nel tentativo di non crollare. Si era immersa nella routine con più energia del solito, cercando di non pensare a nient'altro. Aveva preso una tela, l'aveva poggiata sul cavalletto, poi si era dedicata alla preparazione dei colori, si era legata frettolosamente i capelli e infine si era messa all'opera.

Era così nervosa che, se avesse preso in mano un pennello, probabilmente lo avrebbe spezzato in due, così usò le dita. Quel giorno le tremavano febbrilmente e le linee che disegnavano sulla tela bianca erano irregolari, distorte. Erano esattamente come Angie si sentiva in quell'istante.

Così continuò, imperterrita, descrivendo linee su linee, coprendo colore con altro colore, macchiandosi le mani, le braccia, il viso, i vestiti, desiderando solo che Night scomparisse per un attimo dalla sua testa.

Kia le aveva detto che doveva essere lei a parlargli. Dopotutto adesso stavano insieme – Angie era così scioccata dal racconto di Beth che non aveva neanche avuto le forze di controbattere quell'affermazione – e, tra tutte, era sicuramente la più vicina al ragazzo. Ma Angie non aveva idea di come comportarsi con lui e, mentre si scagliava contro la tela con tutte le sue forze, si sentiva terribilmente combattuta. Una parte di lei avrebbe voluto solo evitarlo, l'altra moriva dalla voglia di chiedergli spiegazioni. Voleva disperatamente sapere se era tutto vero, se era quello il motivo per cui continuavano a trattenerlo a scuola.

«Non ci ho mai capito un cazzo, nell'arte astratta.»

Angie trasalì, pietrificata. Sapeva di doversi voltare verso la figura che aveva appena fatto il suo ingresso nell'aula, ma le gambe le erano diventate come marmo. Ci volle tutta la sua forza di volontà perché i suoi piedi le facessero fare il mezzo giro necessario a fronteggiare il ragazzo.

Night era fermo sulla soglia e stava fissando la sua tela, un sorriso divertito sul suo volto.

«Che ci fai qui?» bisbigliò, senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso.

Lui scrollò le spalle. «Si dà il caso che fossi nei paraggi...»

Probabilmente doveva aver origliato la sua conversazione con la Rooth, pensò lei, che però non riuscì ad articolare la frase. Era come se le parole le si fossero incastrate in gola, non riusciva a parlare né a deglutire.

Immobile come una delle statue dell'aula, osservò Night avvicinarsi al tavolo dove aveva poggiato la tavolozza, intingere l'indice nel rosso cremisi e poi voltarsi verso di lei, uno scintillio malizioso nello sguardo.

Il ragazzo si avvicinò con lentezza studiata, mentre lei continuava a fissarlo con occhi strabuzzati e, con un movimento fulmineo, le toccò il naso con il dito.

Angie sbatté le palpebre, percependo la macchia umida del colore sulla punta del naso, l'odore dell'acrilico nelle narici. Probabilmente doveva assomigliare ad una renna dal naso rosso, in quel momento. Sicuramente era molto, molto ridicola.

Si chiese cos'avrebbe fatto in condizioni normali. Sicuramente avrebbe imprecato. Poi si sarebbe vendicata: forse gli avrebbe dato qualche ceffone con le mani sporche di colore per dipingerlo a sua volta, oppure gli avrebbe fracassato la tela sul cranio. 

Qualcosa del genere.

Ma quel giorno Angie non era dell'umore. Diede le spalle a Night e afferrò lo straccio che aveva poggiato sul tavolo per pulirsi le mani.

«Ehi Rudolph, che ti prende oggi?»

Angie non si arrabbiò neanche nel sentire come l'aveva chiamata. Si voltò lentamente verso di lui. Night sembrava un cucciolo bastonato: era palese che fosse stupito e insieme deluso dalla sua passività. Si avvicinò di nuovo e si chinò su di lei, facendo per baciarla, ma Angie lo allontanò da sé.

«Che ti prende?» ripeté lui, inclinando la testa da un lato per scrutarla.

Angie evitò accuratamente il suo sguardo. Intorno a loro, i mezzi busti e i volti scolpiti nella creta li fissavano dagli scaffali come un pubblico.

«Ti devo chiedere una cosa» disse con un filo di voce.

Night le lanciò un'occhiata stupita, poi prese a camminare su e giù per l'aula, osservando le maschere che pendevano dagli scaffali.

«Spara.»

Angie deglutì. Le gambe le tremavano. Neanche lei riusciva a stare ferma, così si avvicinò al tavolo, prese la tavolozza tra le mani e ricominciò a dipingere con gesti nervosi.

«Le ragazze ed io...» Esitò. «...abbiamo iniziato ad indagare sulle stranezze di questa scuola.»

Lanciò un'occhiata di sottecchi a Night e vide che il ragazzo si era fermato nel bel mezzo della stanza. Ebbe un tuffo al cuore.

«Tu sai qualcosa, non è vero?» mormorò piano.

Ad ogni sua parola, l'espressione di Night si faceva sempre più cupa. Il ragazzo aveva serrato i pugni ed Angie si accorse che stava tremando impercettibilmente.

Per la prima volta da tempo immemorabile, Angie fu costretta ad ammettere a se stessa che aveva paura. Paura dell'ipotesi di Beth, paura di come Night avrebbe potuto reagire alle sue parole. Ma, nonostante il groppo che le attanagliava la gola e che le riduceva la voce ad un sussurro, gli fece comunque quella domanda.

«Cosa sai di Henry Jefferson?»

La sua domanda piombò nel più completo silenzio. Per un attimo ad Angie parve che anche le statue lì intorno stessero trattenendo il fiato, temendo la reazione di Night. Che non tardò ad arrivare.

«Niente che ti riguardi» disse lui, dopo un silenzio lunghissimo. La sua voce era ghiaccio.

Soffocando la paura, Angie azzardò qualche passo nella sua direzione.

«Night, noi vogliamo solo...»

«Voi volete solo impicciarvi di cose che non vi riguardano!» urlò lui.

Angie si ritrasse, intimorita.

«Tanto è sempre così, no?» proseguì Night, rosso di collera, avvicinandosi a grandi passi. Il labbro gli tremava dalla rabbia, lasciando scoperti i denti in quello che sembrava un ringhio.

«Ti diverti a fare tutto il contrario di tutto. Ti dico di non venire agli incontri della banda e tu ci vieni comunque. Se ti dicessi di farti i cazzi tuoi, quindi, so che continueresti con questa storia. Allora fallo, dai. Divertiti a fare l'investigatrice con le tue amichette.»

Night era ormai ad un passo da Angie. Il suo sguardo era truce.

«Perché quello che scoprirai non ti piacerà» sibilò. Poi caricò il pugno.

Angie chiuse gli occhi, incapace di reagire, ma lui non la colpì.

Le sue nocche infransero la tela dietro di lei. La preziosa carta si lacerò in un urlo silenzioso che solo la ragazza riuscì a udire.

Night le rivolse un ultimo, feroce sguardo e poi si voltò, uscì dalla stanza a passo di carica e sbatté la porta dietro di sé.

L'aula piombò di colpo nel silenzio. Angie rimase immobile per un lungo momento. Non voleva pensare a niente. 

Si voltò lentamente verso la tela squarciata, accarezzando i lembi sbrindellati con dita tremanti. 

Aveva sperato che Night la rassicurasse, invece quella reazione non aveva fatto che renderlo ancora più colpevole ai suoi occhi. Il mondo intorno a lei stava gridando: la tela, le maschere dalle grandi bocche sugli scaffali, la sua testa.

Si portò sovrappensiero una mano al volto, nel tentativo di zittire la sua mente e, quando la abbassò, realizzò che il colore doveva essere ancora un po' umido, perché le dita le si erano macchiate di rosso.

Per un lungo, orribile attimo, le sembrò che fosse sangue.

****

Mentre Beth raccontava loro ciò che sapeva, Arianna era stata colpita da un pensiero.

Un fastidioso pensiero che era rimasto lì, in un angolino della mente, e non c'era stato verso di allontanarlo per tutta la sera. Era arrivato persino a sostituirsi al cibo, il pensiero su cui la sua mente tornava in ogni momento, soprattutto quando si coricava per dormire. Allora, per quanto si sforzasse di concentrarsi su altro, già pensava alle calorie della colazione del giorno dopo, quella che avrebbe diviso con Lucas, e a quanti giri del campetto avrebbe dovuto fare per bruciarla. 

Ma non quella notte.

Al suo risveglio, quando credeva di essersi finalmente liberata di quell'irritante pensiero, scoprì che era sempre lì, come un fastidioso tarlo, che grattava contro la pareti della sua testa in attesa che lei lo prendesse in considerazione. 

Il pensiero aveva un nome. 

Gérard.

Arianna aveva seguito distrattamente le meticolose indagini di Kia, pensando che fossero solo un capriccio della ragazza e del suo improbabile nuovo amico e che si sarebbero risolte in un buco nell'acqua. Poi, però, la ragazza aveva scoperto quelle cose su Night. E Beth aveva parlato loro della sua ipotesi che, per quanto terribile, aveva la sua ragion d'essere.

Arianna era certa che Gérard nascondesse qualcosa. Il modo in cui l'aveva aggredita quando lei aveva osato nominare Night assumeva di colpo un senso. Non si trattava del delirio di uno squilibrato: il bidello sapeva qualcosa di quella storia e, vista la sua reazione spropositata, doveva anche trattarsi di qualcosa di grave.

Arianna sapeva di dovergli parlare. Ma sapeva altrettanto bene che c'era solo un modo per riuscire ad avvicinare quel custode – che forse un po' squilibrato lo era sul serio – e si sentiva male alla sola idea. 

Doveva farsi mettere di nuovo in punizione.

Così, quella mattina, mentre si vestivano in un silenzio più cupo del solito, che tutte sapevano essere provocato dalle rivelazioni del giorno prima, Arianna aveva messo a punto il suo piano. Aveva lanciato un'occhiata ad Angie, che era davvero giù di corda e aveva tutte le ragioni di esserlo, ritrovandosi a pensare che la ragazza aveva un vero e proprio talento nel farsi mettere in  punizione da Gérard. Ma, per una volta, neanche lei sarebbe stata da meno: forse non era tosta quanto Angie, ma anche lei aveva i suoi assi nella manica.

In mensa, aveva lasciato le ragazze per raggiungere Lucas, proprio come al solito.

Il ragazzo l'aspettava nel loro angolino di sempre e aveva messo al centro del tavolo la colazione di quella mattina. Arianna diede una sbirciatina: pain au chocolat e caffè americano. 

Non poi così terribile, pensò, salutando Lucas con un bacio a fior di labbra.

Dopo essersi messa a sedere, malgrado il nodo che le stringeva lo stomaco e che non aveva niente a che vedere con la colazione di quel giorno, afferrò il suo caffè e fece per portarselo alle labbra. L'americano non rappresentava un grosso blocco per lei: dopotutto era solo acqua.

«Ah ah.» Lucas la fermò un attimo prima che lei iniziasse a bere, agitandole davanti una bustina di zucchero. «Oggi con questo.»

Arianna sbuffò, allontanando da sé la tazza perché Lucas potesse metterle lo zucchero, ma non protestò. La sua mente, infatti, era tutta presa dalla figura di Gérard, in piedi sulla soglia della mensa, che fissava i ragazzi intenti a fare colazione come un avvoltoio famelico. Sembrava non vedere l'ora che scoppiasse una rissa per poter mettere qualcuno in punizione.

Lucas pareva stupito dalla sua totale accondiscendenza, ma si guardò bene dal farglielo notare. Arianna finì il caffè in tre sorsi e l'attimo dopo aveva inghiottito anche la sua metà di croissant.

L'espressione di Lucas a quel punto rasentava lo shock.

«Arianna, ma è fantastico!» esclamò dopo un momento, facendo un sorriso a trentadue denti.

Arianna poteva ancora sentire il sapore del burro che le danzava sulla lingua, ma si sforzò di ignorarlo e fece un respiro profondo. Era tempo di agire.

«Non pensi che meriti un premio?» bisbigliò quindi, facendogli l'occhiolino.

Lucas smise di sorridere e deglutì, fissandola con tanto d'occhi. Probabilmente si stava chiedendo che fine avesse fatto la sua Arianna, che di certo non flirtava con lui in pubblico e non gli strizzava l'occhio nel mentre.

Godendosi la confusione negli occhi di lui, Arianna gli rivolse un sorriso sghembo. Poi scattò in piedi e spinse indietro la sedia, con così tanta irruenza che quella cadde in terra, facendo voltare diverse persone verso di loro. 

Con movimenti estremamente lenti e studiati, poi, la ragazza montò a quattro zampe sul tavolo.

La scena nel frattempo stava attirando l'attenzione di tutti quanti, in mensa, e dai tavoli si levò ben presto un fitto chiacchiericcio, di cui loro, manco a dirlo, erano l'argomento principale. Dopotutto era un evento, che la coppia più chiacchierata della scuola stesse dando spettacolo in pubblico, quando molti si chiedevano se Arianna, con quella faccia priva di qualsivoglia emozione, avesse effettivamente un cuore nel petto e una vagina in mezzo alle gambe.

«A-Arianna...» balbettò Lucas, incapace di staccarle gli occhi di dosso, mentre lei gattonava verso di lui con espressione provocante, ancheggiando ad ogni passo.

Lanciando un'occhiata in direzione di Gérard, la ragazza vide che, malgrado il brusio che si stava diffondendo tutt'intorno, il custode non l'aveva ancora notata. In compenso, spostando lo sguardo su di loro, vide che le sue amiche sembravano sul punto di perdere l'uso della mascella, tanto avevano le bocche spalancate.

Trattenendo a stento l'irritazione, tornò a guardare Lucas con un sorriso da predatrice. Doveva fare di più e, quando vide che Lucas aveva una macchiolina marrone ad un lato della bocca, le venne un'idea.

«Ti è rimasto un po' di cioccolato qui» sussurrò, chinandosi su di lui, che indietreggiò sulla sedia, mentre intorno raddoppiavano i fischi e le risate.

«ARIANNA, MA CHE STAI FACENDO?!» gridò lui, gli occhi fuori dalle orbite. Forse stava riflettendo sull'ipotesi di aver messo della cocaina invece dello zucchero, nel suo caffè.

Incurante delle sue proteste, Arianna si chinò ancora di più, fino a trovarsi davanti il volto spiazzato del ragazzo. A quel punto tirò fuori la lingua e gli leccò via il cioccolato, indugiando sul suo labbro e socchiudendo gli occhi. Ne approfittò per lanciare un'occhiata di sottecchi a Gérard, che li aveva finalmente notati e sembrava incredibilmente, meravigliosamente infuriato.

Ce ne hai messo di tempo.

Sapendo che adesso il bidello avrebbe fatto rotta verso di loro, tornò a rivolgere l'attenzione sulle labbra di Lucas, baciandole con tutta la passione di cui era capace, malgrado il ragazzo fosse immobile sotto di lei e le sembrasse di baciare una statua.

Arianna scese dal tavolo e gli montò a cavalcioni, senza mai smettere di baciarlo, le mani che vagavano sulla sua camicia. Era già al terzo bottone, tra i fischi e gli applausi di tutta la mensa, quando la voce di Gérard li interruppe.

«BASTA COSÌ!»

Il tramestio si acquietò di botto: sembrava che tutti avessero trattenuto il fiato.

Arianna e Lucas si voltarono all'unisono verso il custode, che li stava fissando con le mani sui fianchi, il respiro corto e un'espressione orripilata dipinta sul volto.

«Voi due...»

Arianna percepì Lucas trattenere un gemito d'orrore e si affrettò a scendere da lui, facendosi avanti, incerta sulle gambe.

«No» si affrettò a dire, rivolta a Gérard. «Sono stata io.»

Si sentiva ancora addosso gli sguardi di tutta la scuola e si chiese come avesse potuto desiderare una cosa del genere, in passato.

«Tu, allora» sibilò il custode, incenerendola con lo sguardo. «Sei in punizione.»

Tra i ragazzi della mensa si diffuse un sottile mormorio di protesta. In fin dei conti, sembrava che tutti avessero gradito lo spettacolo.

Arianna abbassò gli occhi a terra e si sforzò di assumere un'espressione contrita. Sbirciando Gérard da sotto in su, vide che sul volto del bidello era comparsa l'ombra di un sorriso. Sembrava stesse godendo del suo disappunto.

Non poteva certo immaginare che, dentro di sé, Arianna stesse sorridendo a sua volta.

****

Beth rivolse un sorriso timido al professor Anderson.

«Lo pensa davvero?»

«Assolutamente» rispose lui, porgendole il tema. «Molto, molto... profondo. Complimenti, Beth.»

Quando, allo squillo della campanella che segnalava l'inizio della pausa pranzo, il professor Anderson aveva fatto cenno a Beth di venire alla cattedra, la ragazza aveva avuto un tuffo al cuore. Aveva fatto cenno alle sue amiche di avviarsi in camera senza di lei e si era avvicinata alla cattedra con la stessa aria con cui si sarebbe diretta alla forca. Il professor Anderson doveva aver corretto i loro racconti e per cos'altro l'avrebbe chiamata se non per annunciarle un votaccio?

Nel suo tema, Beth aveva deciso di mettere a confronto la vita dello stesso adolescente in due epoche diverse, per mettere in luce le tante differenze e le difficoltà che potevano scaturire dall'una e dall'altra. L'animo malinconico di Beth sguazzava in argomenti del genere, ma era certa di essere andata fuori tema e di aver lasciato anche qualche refuso perché, come spesso le accadeva, aveva scritto di getto e aveva a malapena riletto prima di consegnare.

Contro ogni sua previsione, però, il professore le aveva fatto i complimenti. Avrebbe consegnato i racconti alla classe il giorno seguente, ma voleva farle sapere con un po' d'anticipo cosa pensava del suo.

«Sai una cosa?» Il professor Anderson la scrutò da dietro gli occhiali. «Potresti partecipare al concorso di scrittura di quest'anno. Penso che il tuo racconto avrebbe buone possibilità.»

Beth sbatté le palpebre.

«Sul serio?» farfugliò infine. «Mi piacerebbe moltissimo!»

Il professore annuì. Pareva soddisfatto del suo entusiasmo.

«Bene. Ne riparliamo meglio domani, comunque» disse. Alzando gli occhi, si doveva essere accorto che in classe non era rimasto nessuno. «Non voglio trattenerti.»

Al settimo cielo, Beth si allontanò dalla cattedra, afferrò la cartella e, dopo aver rivolto un cenno di saluto al professor Anderson, lasciò la classe trattenendosi a stento dal saltellare.

Quella notizia l'aveva resa così fiera e felice al tempo stesso che, per la prima volta in quella giornata, non avvertì il senso di colpa che la opprimeva da quando aveva rivelato alle ragazze ciò che aveva scoperto su Henry, il pomeriggio prima.

Sapeva di essere la causa dell'umore nero che aleggiava fra le ragazze, in particolare Angie, e le dispiaceva da morire vederle così. Si sentiva quasi sollevata dal fatto di averle lasciate andare in mensa senza di lei, perché si sentiva molto a disagio in loro presenza, costretta com'era ad arrampicarsi sugli specchi per cercare di condurre una qualsiasi conversazione.

Beth sospirò, l'entusiasmo che scemava ad ogni gradino che saliva verso camera sua. D'altronde, che altro avrebbe potuto fare? Aveva dovuto dirglielo, quando Kia pareva ad un passo dalla soluzione di quel mistero. Quello stesso mistero che fino a poco prima lei aveva deriso e che di colpo si era fatto molto più oscuro di quanto tutte loro avrebbero mai creduto.

Aprì la porta della camera tenendo gli occhi bassi, così il foglio di carta che era stato fatto passare sotto lo stipite della porta fu la prima cosa che notò.

Giaceva nel bel mezzo del pavimento dell'ingresso, come se fosse stato messo lì apposta per lei, e Beth lasciò cadere la cartella a terra e lo afferrò con entrambe le mani, il cuore che iniziava a batterle forte.

Arianna non avrebbe mai permesso che ci fosse un foglio in disordine nella loro stanza, per cui Beth ipotizzò che dovessero averlo infilato sotto la porta dopo che le ragazze si erano recate in mensa e pensò subito che fosse qualcosa riguardante il mistero, il suo chiodo fisso in quegli ultimi due giorni. 

Un indizio, forse.

Così, quando vide sul foglio delle note musicali, per un attimo ne fu disorientata. Poi capì e tutto quello che era successo tra lei e John la investì di colpo come un'onda, facendola vacillare. I loro incontri a scuola, il bacio, gli spartiti che aveva fatto a pezzi quando lui non aveva avuto il coraggio di dirle cos'aveva fatto con Annie. Si ricordò di colpo di come Angie l'aveva conciata e fu presa dal panico: che fosse una lettera minatoria indirizzata a loro? Voleva vendicarsi di come la sua amica aveva ridotto quella che Beth ipotizzava fosse diventata la sua ragazza?

Ma non era niente di tutto ciò. Con un certo stupore, Beth realizzò che quello era lo spartito di una canzone che lei conosceva bene. Era di John Lennon, l'artista che Beth amava alla follia e che John detestava a morte. Il motivo per cui si erano scontrati la prima volta.

La canzone era Aisumasen (I'm Sorry).

And when I hurt you and cause you pain
Darlin' I promise I won't do it again*

Beth abbassò per un attimo lo sguardo sulle note e le parole che Lennon aveva dedicato alla moglie Yoko, ma non era quello che avrebbe dovuto notare.

A fianco del titolo, scritta a pennarello, c'era infatti una frase di John. Il suo John. Che le chiedeva di incontrarlo quel pomeriggio, dopo le lezioni, in pineta.

Una parte di Beth avrebbe voluto accartocciare lo spartito come aveva fatto con quelli in aula musica, ma il suo cuore non era d'accordo.

Chiuse gli occhi e strinse la canzone e le scuse di John al petto, con tutte le sue forze.

****

In quei giorni, Brook si sorprese a pensare a Kia un po' più spesso di quanto un alleato serio probabilmente avrebbe fatto.

Come quel pomeriggio, mentre si dirigeva verso la sua classe per le lezioni pomeridiane. Il pensiero di Kia lo colpiva sempre all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, e lo lasciava intontito.

Il bello era che non sapeva neanche il perché. Cos'aveva di tanto speciale? Come qualunque altro studente di quella scuola, Kia era stata migliorata dalla macchina e di conseguenza era bella, ma aveva notato qualcosa di diverso in lei, rispetto alle altre ragazze che popolavano la scuola, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Forse era il fatto che non fosse inglese, forse era il suo nasino all'insù o forse erano i suoi enormi occhi bruni, per lo più sgranati durante le loro conversazioni. Per non parlare dei suoi capelli, che teneva sempre legati e che Brook un paio di volte aveva immaginato di sciogliere. Quando poi si era rendeva conto di che razza di pensieri gli venivano in mente, diventava rosso come un gambero e scuoteva la testa, cercando di tornare alla realtà. Una realtà di nome Lacey.

Sperava ardentemente che la sua ragazza non si fosse accorta di nulla, anche se, durante la loro ultima conversazione, lei aveva detto di trovarlo un po' strano. Brook aveva dato la colpa alla seccatura data dalla slogatura del polso e dal forzato riposo che ne era conseguito. Peccato che Lacey sapesse meglio di lui quanto odiasse giocare a basket.

In ogni caso, i suoi compagni di squadra non se l'erano bevuta. Vedendoli insieme in mensa, avevano subito iniziato a fare battutine idiote e, quando Brook aveva casualmente portato su di lei la conversazione, qualche giorno prima, il gesto non era certo sfuggito.

Dalle loro chiacchiere in mensa, comunque, Brook aveva scoperto un po' di cose su di lei, anche se non tutte ugualmente interessanti. Non gli importava, infatti, che Kia avesse come compagna di stanza quella che, secondo l'opinione generale, era la ragazza più bella della scuola, anche se di recente si era un po' sciupata: Arianna Rivers, che al momento stava con il loro capitano.

In compenso, aveva teso l'orecchio quando aveva sentito che Kia aveva origini hawaiiane – Hawaiiane? Fantastico, pensò – e che Shadow ci aveva provato a lungo con lei, ma era stato rifiutato. Non altrettanto fantastico. 

Seduto poco lontano da lui, a tavola, Brook aveva scoccato un'occhiata a Shadow senza farsi notare. Quel ragazzo era una specie di divinità, con la sua aria affascinante e i riccioli neri, che di recente il ragazzo aveva lasciato crescere e che adesso gli ricadevano sbarazzini sulla fronte, quelli per cui le ragazzine stravedevano. Brook aveva deglutito a vuoto. Se Kia aveva davvero rifiutato uno come Shadow, che speranza poteva avere lui?

In ogni caso, Brook non era un'idiota: sapeva che Kia non era affatto interessata a lui. Vedeva come lo guardava, come lo canzonava chiedendogli se facesse qualcos'altro nella sua vita oltre che studiare quei dannati annuari. Brook non gli aveva risposto, credendo che fosse professionale da parte sua non entrare nei dettagli, visto anche il poco tempo che avevano a disposizione, ma adesso si mangiava le mani. Avrebbe voluto raccontarle della sua passione per il cinema, del fatto che avrebbe voluto studiare in un'accademia, all'università. Che lei gli ricordava un po' Shannyn Sossamon. Che avesse capito che gli piacevano i fumetti? Sperava di sì. Magari piacevano anche a lei. E se invece aveva pensato che fosse uno sfigato?

Mentre attraversava a passo a passo svelto i corridoi, il suo telefono vibrò. Quasi gli venne un colpo quando vide che il messaggio che aveva ricevuto era proprio da parte di Kia.

Lesse le poche righe che aveva scritto. "Vieni da me dopo le lezioni. Camera numero 17."

Brook deglutì, lo rilesse altre due volte, poi si diede del deficiente. 

È per il mistero. È per il mistero

Oltretutto, quasi sicuramente ci sarebbero state anche le sue compagne di stanza.

Riprese a camminare e si ripromise di dirle tutto, una volta che quella storia fosse finita.

****

Quando Gérard era andato a chiamarla, quel pomeriggio dopo le lezioni, Arianna aveva fatto un respiro profondo, preparandosi psicologicamente per un altro round di cessi da pulire.

Ma stavolta le sue preghiere dovevano essere state ascoltate, perché il custode non la condusse nei gabinetti, ma nelle classi.

Arianna cercò di non mostrarsi troppo contenta, temendo che Gérard decidesse di cambiare idea di punto in bianco ma, quando varcarono la soglia della sezione A, si sentì incredibilmente leggera. Afferrata la scopa dalle mani del bidello, si mise a spazzare per terra con uno zelo che stupì persino il custode, il quale stava spostando i banchi in fondo all'aula per farle spazio.

Arianna gli scoccò un'occhiata mentre era di spalle e vide che il bidello non sembrava intenzionato ad andarsene: la ragazza aveva ipotizzato che, essendo da sola, stavolta Gérard si sarebbe messo a pulire con lei e ci aveva visto giusto. Dentro di sé, tirò un sospiro di sollievo. Se il custode se ne fosse andato e l'avesse lasciata lì a sgobbare, senza neanche darle le risposte che cercava, tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani.

Per un po' i due pulirono in silenzio, interrotto di tanto in tanto dal cigolio dei banchi che strusciavano sul pavimento o dagli starnuti di Gérard mentre puliva la polvere di gesso dalla lavagna. Fuori dalla finestra, il sole del tardo pomeriggio aveva fatto capolino dalle nubi e proiettava una luce calda all'interno della classe.

Arianna stava passando l'alcol sui banchi con uno straccio, nel tentativo di cancellarvi una formula di matematica scritta a penna, quando alzò nuovamente gli occhi sul bidello, che le stava dando le spalle per rimettere a posto i banchi dove aveva già pulito. Deglutì a vuoto, capendo di non poter rimandare ancora.

«Gérard» mormorò, poggiando lo straccio sul banco.

Era la prima volta che uno dei due apriva bocca da quando erano entrati nella classe.

Gérard non si voltò, continuando ad avanzare con il banco tra le braccia.

«Che vuoi? Sei già stanca?»

La ragazza ignorò quel tono sprezzante. Anzi, apprezzò il fatto che l'uomo avesse deciso di tenere per sé un commento sulla sua costituzione fisica, che chiunque si sarebbe lasciato sfuggire, visto che in quel contesto calzava proprio a pennello.

Sentiva il cuore batterle con prepotenza nel petto e fu presa da una sottile ansia, quando disse: «Lei mi ha detto qualcosa su Night, l'altra volta.»

Il banco sfuggì dalle mani di Gérard e cadde rumorosamente sul pavimento. L'eco rimbombò per diversi attimi nella classe deserta.

Arianna non poteva scorgere l'espressione sul volto del bidello, perché quello continuava a darle le spalle, ma quel gesto parlava da sé.

Gérard si chinò per rimetterlo in piedi.

«Ti avevo detto di stare zitta» mormorò dopo un'eternità, mentre sollevava il banco. Il suo tono era apertamente ostile. «Specialmente se parli di cose di cui non sai nulla.»

Arianna, che non si aspettava più una risposta, trasalì di colpo, ma non si lasciò intimorire dalla sua voce scontrosa. Cose di cui non sapeva nulla? Pensò a quello che Beth aveva detto loro. Era solo un'ipotesi. Ma se si fosse rivelata giusta... decise di tentare.

«Però so cos'è successo a Henry Jefferson» disse, ostentando una sicurezza che non aveva.

Lì per lì Gérard non disse nulla. Poi si voltò lentamente verso di lei e, quando Arianna scorse il suo volto ammutolito, su cui le rughe erano ancora più accentuate del solito, seppe di averci preso. 

Night e Henry. Allora è vero...

Ma l'espressione del custode, nei cui occhi si agitavano convulsamente confusione e dolore, colpì Arianna più in profondità di quanto la ragazza avrebbe mai ammesso.

Per la prima volta, non vide Gérard come un bidello avvizzito, odioso e sadico.

Per la prima volta, lo vide solo come un uomo.

Un uomo vecchio e stanco che, a dirla tutta, le faceva un po' compassione.

****

«Allora, hai novità?»

Feci accomodare Brook accanto a me, sul letto, facendomi da parte con trepidazione. Non riuscivo a stare ferma. Davanti a noi, Beth ed Angie si stavano scambiando occhiate nervose.

Arianna non c'era. Stava scontando la punizione che Gérard le aveva dato, dopo il comportamento inspiegabile che la mia amica aveva messo in atto quella mattina. Tuttora faticavo a riprendermi: Arianna era salita sul tavolo, aveva leccato il volto di Lucas, lo aveva praticamente spogliato davanti a tutta la scuola. Ma perché? Era scontato che uno spettacolo del genere avrebbe suscitato le ire di Gérard e, dopo l'esperienza traumatica nei gabinetti, Arianna non si sarebbe mai più fatta mettere in punizione... a meno che non avesse in mente qualcosa. Forse c'era qualcosa sotto e sperai ardentemente che riguardasse la conversazione su Night che Gérard e Arianna avevano avuto nei bagni.

«Più di una» risposi, fissando Brook intensamente. «Tieniti forte.»

Scambiai un ultimo sguardo con le mie amiche, i loro volti tesi per la tensione. Non riuscendo a stare seduta un minuto di più, balzai giù dal letto e mi parai di fronte a loro, di spalle alla finestra, così da poterli guardare tutti in faccia.

«Abbiamo scoperto che Henry Jefferson è il figlio della preside» mormorai, spostando il peso da un piede all'altro.

Brook spalancò la bocca. «Che cosa?»

Per una volta fui io ad annuire gravemente.

«Proprio così. La mia amica Beth» spiegai, accennando a lei con lo sguardo, «ha avuto diversi colloqui con la preside e lo ha riconosciuto da una sua foto che lei tiene in presidenza.»

Brook, nel frattempo, era già partito in quarta. «Questo però non spiega perché le sue foto sono scarabocchiate, perché scompare dal...»

«Aspetta» dissi, incrociando lo sguardo della mia migliore amica. «Non è finita qui. Beth ci ha detto un'altra cosa.»

Le rivolsi uno sguardo esitante, chiedendole con gli occhi di ripetere quello che aveva detto a noi il pomeriggio prima. Sapevo che per lei non era facile ritornare su quella questione e, quando spostai lo sguardo su Angie, mi ricordai che per lei, se possibile, lo era ancora meno. Le rivolsi uno sguardo di scuse, ma la bionda non mi stava guardando. Teneva gli occhi bassi ed era visibilmente un fascio di nervi, mentre artigliava le coperte con le unghie. Non avevo mai visto Angie in quello stato. Mai.

Beth fece un respiro profondo e, rivolta a Brook, parlò tutto d'un fiato.

«Un giorno in cui mi aveva convocata io... le chiesi di lui. Di Henry. Ero sempre a disagio in presidenza, non sapevo mai cosa fare o dire, quella foto mi fissava dal muro... così gli chiesi chi era.» Beth si interruppe e abbassò gli occhi. «Lei mi rispose che era suo figlio.»

Alzò la testa di scatto e fissò Brook, serissima in volto. «E poi si commosse. Mi disse queste esatte parole: "Era un bravissimo ragazzo. Non si meritava quello che gli hanno fatto".»

Il silenzio calò fra di noi. Un silenzio incredibilmente pesante.

«Quindi non ha cambiato scuola» esclamò Brook, fissandomi con nuova consapevolezza. «È morto.»

«È morto» ripetei, annuendo.

Sentivo la tensione salire fra di noi. Angie non ci guardava e continuava a fissarsi le punte delle scarpe, ingobbita, le dita che stringevano convulsamente le lenzuola fino a farsi sbiancare le nocche. Sembrava sul punto di esplodere.

«Probabilmente nel 1998. Il primo anno in cui Night è stato bocciato.»

Parlavo piano, sapendo che ogni parola che pronunciavo era una stilettata per la mia amica. Ma dovevo andare avanti.

«Night è qui da otto anni. E la preside lo odia con tutta se stessa. Sembra odiarlo per una questione personale, più che per la sua condotta a scuola.»

Tutti stavano pensando la stessa cosa, anche se nessuno aveva il coraggio di dirla.

«Pensiamo che Night abbia ucciso Henry» dissi infine, dopo un silenzio lunghissimo.

****

Gérard era stato colto alla sprovvista.

Quando quella ragazzina secca aveva improvvisamente nominato Night, il suo corpo aveva avuto un tale sussulto che il banco gli era sfuggito dalle mani ed era caduto a terra. Nel rimetterlo a posto, poteva percepire lo sguardo di lei bruciargli sulla schiena.

E poi... Henry Jefferson. Erano anni che il volto di quel povero ragazzo continuava a tormentarlo e sentirlo nominare da una studentessa che non poteva avere idea di chi fosse era stato come essere colpiti da un pugno. Non era riuscito a dissimulare il suo spaesamento. Come diavolo faceva a sapere di lui?

«Tu...» Gérard la fissò, esterrefatto. Poi fu improvvisamene colpito da un pensiero. «Tu collabori con il biondino, vero?»

Sì, era senz'altro così. Gérard gli aveva procurato gli annuari e tutto il resto, ma di certo quel ragazzo si era rivelato più in gamba di quanto pensasse, se era riuscito a capire di Henry. Doveva aver iniziato a lavorare con quella ragazzina, che una notte aveva beccato con un'amica a curiosare nella stanza delle migliorie. Se ricordava bene, aveva provato a spiegare loro la fortuna che avevano avuto nell'essere state trovate da lui e non da un altro custode, che sicuramente avrebbe preso seri provvedimenti nei loro confronti ma, a giudicare dalla loro reazione, ci doveva essere stato qualche malinteso.

Alzò gli occhi sulla ragazza, che lo stava fissando con una maschera di impassibilità totale. Impossibile capire cosa le stesse passando per la testa.

«Sì» rispose infine lei, in un tono inafferrabile.

«Henry Jefferson...» Gérard sospirò e si dovette appoggiare contro un banco. La testa aveva improvvisamente preso a girargli. «Povero ragazzo. Non ebbe vita facile, qui.»

I suoi ricordi di lui erano perfettamente nitidi. A volte gli pareva impossibile che ciò che era accaduto ad Henry fosse avvenuto ormai sei anni prima. Se lo ricordava vagare nei corridoi, venire sballottato dai bulli. Le sue urla strazianti lo svegliavano ancora, la notte.

«È per questo che le sue foto sono tutte sfregiate, negli annuari?»

La mente di Gérard era lontana, la voce della ragazza gli giungeva ovattata. Si ritrovò ad annuire. «Gli fecero passare le pene dell'inferno...»

Rabbrividì al solo ricordo di ciò a cui aveva dovuto assistere. Gli pareva che la ragazza avesse nominato le foto dell'annuario, o se l'era solo immaginato?

«Scarabocchiarono le copie dell'annuario della scuola e bruciarono con l'accendino quelle degli studenti. Volevano...» Gérard deglutì. Aveva la gola secca. «Cancellarlo

La ragazza era rimasta in silenzio tutto il tempo, ma Gérard quasi non se ne rese conto.

Il ricordo di Henry, tornato prepotentemente a farsi sentire, era troppo pesante per poterlo tenere dentro di sé. Dopo tutti quegli anni, non ne poteva più. Forse in cuor suo voleva condividere quel fardello con qualcun altro. Forse fu per quello che continuò a parlare.

«Non so se lo odiavano tanto per i suoi problemi o per il fatto di essere il figlio della preside, ma...» Si bloccò, riscuotendosi. «Be', in ogni caso siete stati in gamba a capire tutto da soli.»

La ragazza aggrottò le sopracciglia. Dopo un momento, chiese: «Perché non ci ha aiutati di più?»

Il custode la fissò con una serietà tale da farla vacillare. Era la prima volta che vedeva tentennare quella ragazzina così solida e impassibile, malgrado l'aspetto macilento.

«Per Night» rispose lui.

Non c'era nient'altro da dire. Non avrebbe reso vani i suoi sacrifici.

La maschera di impassibilità indossata dalla ragazza parve incrinarsi e Gérard vide balenare della confusione nei suoi occhi.

«Per Night?» ripeté lei. Pareva non credere alle sue orecchie. Il suo tono si fece improvvisamente alterato, come fosse al contempo oltraggiata e scombussolata. «Lei sta proteggendo Night?»

Gérard annuì. «Ho sempre protetto Night» rispose.

Vedendo che la ragazza sembrava scioccata, si ritrovò ad abbozzare un sorriso che, pensò, doveva assomigliare più ad una smorfia. Era da un bel po' di tempo che non ne faceva uno vero, forse era un po' arrugginito.

«So che potrà sembrarti strano. Le punizioni, i richiami... tutto quanto. Ma voglio che Night si comporti bene, che la preside cambi idea su di lui.»

La ragazza si afflosciò a sua volta contro il banco, forse sopraffatta dal peso di quelle rivelazioni.

Gérard sapeva che doveva apparire come un vero mostro nei confronti di quel ragazzo, almeno agli occhi degli altri. Ma Night conosceva la verità, sapeva ciò che il custode stava facendo per lui, e quello era l'importante.

«Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per lui.» La sua voce risuonò nel silenzio. «Anche solo rimanere in questo... posto

Non si preoccupò di nascondere il sarcasmo. Dopotutto lei stava con il biondino, quindi sapeva quanto lui odiasse quella scuola. La decisione di insabbiare ogni cosa, di trattenere Night lì, la macchina, quegli stramaledetti ormoni. Non poteva esporsi, perché avrebbe reso vano il sacrificio di Night ma, se solo il biondino fosse riuscito a portare alla luce la verità e avesse distrutto la scuola e la reputazione della preside, sarebbe stata anche una sua vittoria.

«Ma perché fare tutto questo per lui?»

Dopo un silenzio lunghissimo, la ragazza parlò di nuovo.

«Dopo ciò che ha fatto a Henry?»

Gérard strinse improvvisamente gli occhi. Neanche lei sapeva la verità, quindi. Proprio come la preside. La tentazione era forte, fortissima, ma non poteva dirglielo. Eppure... dopotutto era morto, si disse Gérard. Forse poteva. Forse era giunto il momento.

La ragazza si era fatta avanti e lo stava fissando intensamente, pregandolo con gli occhi di dirle di più.

Gérard percepì le proprie difese cedere.

«Dopo ciò che Kyle ha fatto ad Henry» la corresse.

Udì i muri crollare intorno a lui, mentre le diceva come stavano veramente le cose.

Facevano un rumore meraviglioso.

****

Le mie parole furono accolte dal più totale silenzio.

Brook ammutolì.

Beth abbassò gli occhi a terra.

Angie si nascose la testa fra le mani. Le sfuggì un singulto.

Potevo capire il loro shock, perché era anche il mio. Eravamo partiti con l'indagare sulla ragione dell'esistenza di una macchina di ormoni ed eravamo finiti con lo scoprire un omicidio. Omicidio in cui era coinvolto il ragazzo di Angie. Non potevo neanche immaginare come si dovesse sentire lei.

«Io...» Brook scosse la testa. Era visibilmente scosso. «Non riesco a crederci. Night non ha niente da dire in proposito?»

«Night non mi ha detto nulla.»

Dal suo letto si levò la voce cupa di Angie.

«Nulla. Si è solo infuriato quando ho nominato Henry. Sembrava...» Alla ragazza mancò il fiato per un attimo. «...colpevole

Occhiate di muto nervosismo attraversarono la stanza.

«Quello che non mi spiego è... perché Night non è finito in un carcere minorile?» chiese Brook, corrugando la fronte. «Non ha senso.»

Scossi il capo. «Non ne abbiamo idea.»

«È come se questa scuola fosse diventata la sua prigione, però» bisbigliò Beth.

«E Night odia la sua carceriera» intervenne cupamente Angie.

Ci voltammo tutti e tre a guardarla.

«Sono stata ad un incontro della sua banda. È come se facessero di tutto per danneggiare l'immagine della scuola. Non se la prendono con gli altri ragazzi, no... solo con i professori.»

«Si sta vendicando di lei» osservò Brook, scambiandomi un'occhiata.

Tra di noi calò il silenzio per un attimo. Fu in quel momento che una voce s'inserì all'improvviso nella conversazione.

«NON È STATO NIGHT!»

Ci voltammo tutti di colpo verso la soglia. Arianna aveva fatto irruzione nella stanza, sbattendo la porta. Aveva il fiatone, segno che doveva aver corso per tutte le scale.

«Non è stato Night!» ripeté, ansimando.

Il mio cuore perse un battito. Angie si voltò a fissare Arianna e, per la prima volta da quando la conoscevo, sembrava davvero felice di vederla.

«Hai parlato con Gérard?» chiesi, venendo avanti.

«Sì» rispose lei.

Mi trattenni a stento dall'abbracciarla.

«Che ti ha detto?» intervenne Angie. Per quanto si sforzasse di nasconderlo, aveva la voce incrinata per l'emozione.

«Io non sono mai riuscito a cavargli di bocca niente...» mugugnò Brook.

Arianna si voltò a fissarlo, come se l'avesse notato solo in quell'istante. Facendosi di colpo pensierosa, disse: «Gérard mi ha parlato di te, Drac... Brook. Mi ha chiesto se collaboravamo.» Dopo un momento, aggiunse: «Ovviamente gli ho detto di sì.»

Mi lasciai cadere sul letto, di fianco a Brook, mentre Arianna avanzava al centro della stanza.

«Non è che abbia capito molto, in realtà» ammise. «Le risposte di Gérard equivalgono più o meno al responso di un oracolo.»

«Ma quindi Gérard sapeva la verità?» domandai, aggrottando le sopracciglia. «Perché non l'ha detto a nessuno?»

Arianna scosse la testa. «Non lo so. Non voleva dirlo neanche a me. Ma, a quanto pare, Henry era molto preso di mira a scuola e la cosa è degenerata. Night si è preso la colpa del suo omicidio, ma in realtà non è stato lui. È stato...» Si interruppe, lanciandoci uno sguardo perplesso. «Kyle?»

Sgranai gli occhi. «Kyle Marsh!» esclamai di colpo, facendo sussultare Brook, di fianco a me.

«Quel Kyle Marsh?» fece lei, voltandosi verso di me, mentre mi affrettavo ad annuire.

Chissà quanto doveva averla stordita Lucas, a forza di parlargliene.

«Quale Kyle Marsh?» intervenne Beth, confusa.

«Kyle Marsh, il giocatore di pallacanestro» spiegò Angie con ovvietà.

Mi voltai a guardarla, colpita. Le sue conoscenze nel mondo dello sport non avrebbero mai smesso di stupirmi.

«Vi vedo tutte molto appassionate di basket» fu il commento di Brook, visibilmente impressionato.

«Non sapevo che frequentasse questa scuola» disse Angie, stupita.

«Nemmeno io» risposi, afferrando l'annuario del 1998. «L'ho trovato per caso nelle foto.»

Scorsi rapidamente fino a raggiungere la sezione degli studenti dell'ultimo anno e, non appena lo ebbi individuato, indicai loro il bellissimo ragazzo. «Si è diplomato nel 1998.»

L'espressione di Beth si fece pensierosa. «Tornerebbe...»

Arianna scosse la testa. «Non siamo sicuri che si tratti di lui. Gérard non mi ha detto come faceva di cognome. Per quel che ne sappiamo, potrebbero esserci dozzine di altri Kyle.»

Brook sollevò uno degli annuari dalle coperte. «Be', allora controlliamo.»

Ci volle meno di un'ora per controllare tutti gli annuari di cui eravamo in possesso, tra quelli presi in prestito dalla libreria e quelli che Gérard aveva procurato a Brook dalla presidenza. Saltarono fuori solo altri due Kyle in tutto l'istituto di St. Elizabeth: uno si era diplomato nel 1997 e l'altro aveva iniziato a frequentare l'istituto nel 1999.

«Io lo conosco» mormorò Brook. «È adesso al quarto anno.»

«Non può essere lui» dissi. «Doveva trovarsi a scuola negli stessi anni di Henry.»

Chiusi con un tonfo l'annuario del Kyle diplomatosi nel 1997. «E neanche questo qui perché, fino al 1998, Henry era ancora vivo.»

Lo sguardo di tutti tornò sulla foto di Kyle Marsh.

«È lui» sussurrò Brook in un soffio. «È lui il vero mostro.»

«Non è stato Night...» la voce di Angie era traboccante di sollievo.

«Dobbiamo andare dalla preside» dissi, fissandoli uno ad uno. «E scagionare Night.»

 

*La canzone non mi appartiene. È "Aisumasen (I'm sorry)" di John Lennon.

E quando ti ferisco e ti provoco dolore

Cara ti prometto che non lo farò più

 

Ciao!

Aggiorno prima del solito, perché venerdì parto per Londra (tra l'altro farò parte del viaggio con la vera Angie, sono troppo contenta!), e non so quando riuscirò a pubblicarvi gli ultimi tre capitoli. Già, siamo alla fine! :D Gli ultimi capitoli sono i più adrenalinici e ricchi di colpi di scena, spero vi stiano piacendo (non so esattamente a chi io mi stia rivolgendo, ma continuerò a far finta che ci sia qualcuno che segue la storia XD).

Questo capitolo in particolare, come vi avevo preannunciato, credo sia quello che preferisco. (La vera Angie lo adora in particolare per la copertina... che ha fatto lei. Dovete sapere che la modestia è la prima delle sue qualità). Spero di avervi fatto percepire un po' di tensione, con la misteriosa rivelazione che Beth fa alle sue amiche e che viene taciuta fino alla fine, ma che provoca forti reazioni in tutte le protagoniste. Abbiamo inoltre un Night come non lo avete mai visto (ahh, e ancora ne devono succedere!), per non parlare dei tormenti di Gérard, che mostra ad Arianna il suo vero volto. Inizialmente la loro scena doveva svolgersi tutta dal punto di vista di lei, ma mi è venuto quasi naturale iniziare a descrivere gli avvenimenti attraverso i suoi occhi. Gérard è davvero affezionato a Night e odia a morte l'ambiente in cui lavora... nel prossimo capitolo scopriremo infine perché.

La scena di Arianna e Lucas era stata ideata a grandi linee dalla vera Arianna ed esisteva DA SEMPRE, solo che ho deciso di renderla parte del suo piano per farsi mettere in punizione, adattandola agli avvenimenti, così come l'incontro di Angie e Night nell'aula di arte, inizialmente pensato come una scena spensierata e romantica e fatta diventare all'occorrenza un momento al limite del tragico XD Devo ammettere che però mi piace. Spero davvero che sia piaciuto anche a (*fa un respiro profondo e si immagina qualche sporadico lettore, ignorando una dolorosa fitta al petto*) voi :D

Quanto a Brook, be', è un vero ciccino. Kia, SHAME ON YOU, che continui a stare con quel demente di Luke! Beth e John invece la finiranno presto di piangere e disperarsi e arriveranno infine ad un dunque, non temete. Non è colpa mia se sono due broccoli!

Un broccolo e al prossimo capitolo,

Cassidy.

  
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