Controllo per l’ennesima volta i medicinali, non devo sbagliarne neanche uno.
Farlo
arrabbiare di prima mattina è l’ultima cosa che
voglio.
Do
un ultimo sguardo anche alla colazione, tutto deve essere perfetto
è
dannatamente metodico in ogni cosa che fa.
Apro
la sua camera ed entro in silenzio lui sta dormendo e io non voglio
svegliarlo, sistemo tutto come mi ha sempre ordinato di fare uscendo
poi
di li.
Sono talmente teso quando sono li dentro che smetto di respirare, come se anche il semplice respiro che esce dalle mie labbra possa essere una noia per lui.
Inizio
le varie mansioni giornaliere, io ho già fatto colazione
anche
questo è un ordine ben preciso, devo mangiare prima di lui
per essere pronto a qualsiasi sua richiesta.
Ogni
tanto mi chiedo perché sono così servizievole con
lui, ma poi la
mente mi riporta a qualche anno fa, quando fu
obbligato ad accogliermi in casa.
Non ricordo quanti anni avessi ma non ho scordato come era vestito.
Portava una divisa, quella formale, coi capelli raccolti sotto al cappello ed un frustino in mano, ricordo anche che il cappotto segnava quel corpo esile, quasi come un guanto.
Forse
avevo sui sette o otto anni, ma ricordo ancora che pensai che
gliel’avevano cucito addosso, per quanto fosse stretta,
per
il resto non ricordo altro, solo quella divisa nera che rendeva la
sua pelle ancor più diafana.
Scuoto
la testa e torno
con i piedi per terra, aumentando
la velocità di esecuzione delle pulizie, ho sentito la sua
porta
aprirsi ma spero sia suggestione.
E
invece no.
Riconosco
i suoi passi ma mi chiedo cosa ci faccia a giro ha tutto quello che
può servirgli in camera ho provveduto a tutto.
I
passi proseguono verso la mia direzione ringrazio di essere
già
occupato a svolgere le mie
mansioni
quotidiane.
Quando si avvicina mi inchino, come in un rituale, e chino la testa davanti a quello che, per me, è diventato un Dio, restando in silenzio.
Quando sento un foglio frusciare davanti a me lo prendo e lo leggo, adesso capisco il malumore e il brusco risveglio.
Devi,
no, dobbiamo presenziare ad una riunione, tu mi vuoi al tuo fianco,
non puoi saltarne ancora, questa è obbligatoria, e so bene
che, alla
fine, userai me per sfogarti di tutto il malumore che ti buttano
addosso.
Sospiro
riprendendo a svolgere il mio lavoro,
voglio fare le cose con calma, la fretta è una cattiva
consigliera.
Controllo
il mio lavoro svolto nel corridoio, ritrovandomi
davanti alla tua
camera da cui non proviene nessun suono, questo non mi fa stare per
niente tranquillo.
Mi faccio coraggio e busso più volte alla porta ma non ricevendo risposta decido di entrare e ti vedo ancora steso a letto, la colazione e le pasticche sono intoccate.
Mi
avvicino al letto e poi lo guardo, abbassando quel poco la voce, che
mi possa sentire senza urtare i nervi già deboli per quella
convocazione.
<”Signor
Rosiel si sente poco bene? Non ha toccato la colazione che le ho
portato.”>
La
mia voce è calma senza nessuna sfumatura, attendendo una sua
risposta.
<”Non
voglio andarci Catan sono stanco di subire
la loro discriminazione.”
Sento
queste parole da una voce stanca e resa fragile dagli altri.
Può
sembrare strano ma non è un uomo forte come fa credere agli
altri,
con loro porta una maschera dura e impassibile ma con me si fa vedere
come è veramente, io solo so com’è il
temuto e odiato
Rosiel.
<”Non
voglio contraddirvi, non lo farei mai, ma credo che siate obbligato a
far presenza, capisco e comprendo il vostro stato
d’animo.”
In
un attimo ti alzi dal letto e ti dirigi verso di me tirandomi uno
schiaffo.
<”Tu
non conosci il mio stato d’animo, tu non sai quale disagio
provo io
a essere di fronte a loro!”>
Ti
sento urlare mentre un piccolo rivolo di sangue si fa spazio sulla
mia guancia la quale sta bruciando, credo mi abbia provocato un
graffio con le unghie appuntite.
Sospiri
e appena
te ne accorgi mi sfiori la guancia togliendo il fiore
che è nato sulla mia guancia, con la
delicatezza che le è propria.
<”Finisco
sempre per farti male Catan”>
mi dici mentre continui ad accarezzarmi piano la guancia.
Nego,
posando il volto sulla sua mano, chiudendo gli occhi.
<”Non
è colpa vostra mio signore, me lo sono meritato vi ho
mancato di
rispetto.”> dico dispiaciuto.
Per
un istante interminabile rimaniamo così come se fossimo
bloccati nel
tempo, solo un tuo impercettibile movimento mi fa risvegliare.
Ti
passo un braccio attorno alla vita vedendoti crollare, con uno scatto
ti prendo in braccio impedendoti
di cadere, poi
lo porto sul letto e lo faccio accomodare
sui
cuscini, sistemandoli nel modo più opportuno per farlo star
comodo,
l’ultima cosa che voglio è fare del male ad un
corpo già debole
come quello che ho di fronte.
Avvicino
il vassoio e glielo poso delicatamente sulle gambe.
<”Dovete
mangiare, il vostro corpo è ancora debole per star senza
cibo mi
dispiace obbligarvi ma è per il vostro
bene.”>
Tu
mi interrompi dicendomi <” Pensi solo al mio bene,
Catan.”>
Arrossisco
lievemente a quelle parole e poi dico timidamente
<”Se
vuole le faccio compagnia ho già svolto i miei
compiti.”>
Vedo
un piccolo timido sorriso illuminare quel volto che tanto ammiro e
amo.
Quel
piccolo sorriso e il permesso che mi viene concesso
dopo
mi rallegrano il cuore.
Mi
metto a fianco del letto in piedi, lanciando,
ogni tanto,
uno sguardo fugace, senza farmi notare, la
paura che ho di perderlo mi accompagna ogni giorno, come un incubo da
cui non ho mai risveglio.
Appena
hai
finito ti
tolgo il vassoio e
ti
passo le pasticche frantumate assieme all’acqua.
<”
Sei sempre un passo avanti a me Catan, sai sempre cosa fare in
qualsiasi istante.”>
Ti
sento sospirare
<”Sarei
perso senza di te.”>
Queste
ultime parole mi fanno arrossire vistosamente.
<”Le
devo la mia intera esistenza mio signore, quello che faccio per lei
è
solo una piccola
parte,
lei mi ha fatto e continua a farmi da padre e da maestro, so che non
dovrei dire queste cose ma
sono
onorato di poterla
servire. Non
era obbligato a prendermi in casa, eppure lo ha fatto”>
In
volto sono rosso d’imbarazzo ma credo a tutte quelle parole
che ho
appena detto, ho un po' paura della sua reazione ma mi calmo appena
mi accarezza la guancia ferita, come
un soffio di vento caldo in una giornata gelida.
Durante
il corso della mattinata riesco a convincerti ad andare alla riunione
giurandoti che sarò li assieme a te e che non me ne
andrò mai un
solo istante, so quanto hai bisogno di me e io non tradirei mai la
tua fiducia.
Durante
il resto della giornata mi chiedi una mano per decidere cosa
indossare, mi fa un po' strano lo ammetto, ma ne sono felice. Deciso
mi dirigo verso l’armadio e ne estraggo quella divisa che
affolla
la mia mente, la poggio sul letto dopo
averla tolta dalla protezione,
adesso aspetto solo il responso.
Ma
prima mi chiedi cosa ho intenzione d'indossare e li gioco la mia
carta, volo nella mia camera andando ad aprire l’armadio e ne
estraggo una gruccia con su un sacco di protezione color carne da cui
non si vede il contenuto.
Torno
nella sua camera e poggio il sacco sul tavolo libero.
<”Un
po' di tempo fa mi sono permesso di fare una cosa spero non le
dispiaccia”>
Vedo
la tua faccia incuriosita.
Apro
il sacco e estraggo una divisa simile alla sua ma più
semplice senza
nessun tipo di disegno, mentre la guardi
torno
a essere teso ma poi le tue labbra si aprono in un sorriso rivolto a
me.
<”
Ti faccio i miei complimenti Catan, ti do il permesso d'indossarlo,
dopotutto devi essere vestito bene per non far sfigurare il tuo
padrone.”>
Ti
sento dire con una voce dannatamente sensuale che mi fa
rabbrividire.
<”M...ma
certo signor Rosiel n...non potrei mai farla sfigurare per colpa
mia.”>
Il
mio balbettare ti fa ridere e io mi sento avvolgere da quella risata
così rara.
Finisco
di svolgere i miei compiti, poi mi dirigo in camera e mi cambio,
prima io, poi lui, come di routine.
Mi
guardo un ultima volta e poi mi dirigo davanti alla tua
camera dove entro dopo aver bussato, lo spettacolo che mi si para
davanti mi lascia senza fiato, per fortuna la tua voce mi richiama
all’ordine.
Sento che si è indurita ma me lo aspettavo.
Mi
ordini di farti una coda alta e di lasciare gli altri capelli sciolti
e io obbedisco.
Ti
vedo andare davanti allo specchio per ammirarti
e anche io ti
guardo, il mio cuore perde un battito quando ti
vedo indossare il cappello ma ancora una volta la tua voce mi riporta
a terra, solo che stavolta il tono è più duro e
aspro.
Vado
a prendere il foglio di stamani e usciamo di casa arrivando subito in
quel luogo, la tensione è palpabile, sento tutti gli occhi
puntati
su di noi.
Me lo aspettavo ma è alquanto fastidioso.
Accompagno
il mio signore al suo posto, io rimango in piedi dietro di lui ogni
servitore lo deve fare, il padrone deve star comodo.
I
brusii cessano quando la riunione ha inizio ma sento che qualcosa non
torna e in poco la mia sensazione si rivela
veritiera.
Iniziano
a parlar male di lui e questa è una cosa che non tollero,
nessuno
può giudicare il mio padrone.
In
poco perdo la mia compostezza e mi infurio, iniziando a dargli
contro, sento gli occhi di Rosiel addosso, ma sono troppo infuriato
per riuscire a calmarmi e tacere come un servo deve fare.
In
poco mi ritrovo le guardie addosso, i polsi bloccati e legati
dietro la schiena, do un ultimo sguardo a Rosiel prima di essere
portato via, spero solo che non sia deluso del mio comportamento.