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Autore: Bloodred Ridin Hood    15/05/2020    1 recensioni
Commedia sperimentale sulle vicende di vita quotidiana della famiglia più disfunzionale della saga.
Immaginate la vita di tutti i giorni della famiglia Mishima in un universo parallelo in cui i suoi membri, pur non andando esattamente d’accordo, non cerchino di mandarsi all'altro mondo gli uni con gli altri.
[AU in contesto realistico] [POV alternato]
[Slow-burn XiaoJin, LarsxAlisa] [KazuyaxJun] [Accenni di altre ship]
[COMPLETA]
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Asuka Kazama, Jin Kazama, Jun Kazama, Lars Alexandersson
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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43
The Spoiled-Rich-Kid Curse

(Jin)

Il messaggio in rosso di conto bloccato: impossibile prelevare lampeggia nello schermino dello sportello automatico.
Come immaginavo non era una minaccia a vuoto. Mia madre l’ha fatto davvero, mi ha lasciato al verde, per impedirmi di fuggire dal paese e rinunciare ai miei studi. Fantastico!
Inspiro a fondo cercando di mantenere la calma. Calmati Jin, tieni a bada il tuo demone interiore. Non puoi fare una sfuriata davanti a tutti in mezzo alla strada.
Riprendo la carta, inutilissima ormai, e la rinfilo nel portafogli. Il mio telefono continua a vibrare contro la mia gamba. Lo prendo e leggo il nome di chi mi sta cercando. Asuka. Come le precedenti quattro chiamate perse.
Sospiro e apro la comunicazione.
“Che vuoi?!” 
“Jin, dove sei?!” chiede lei con impeto “Siamo preoccupati! Dove hai deciso di andare?!”
“Senti Asuka, a meno che tu non abbia deciso di restituirmi i soldi che ancora mi devi, non ho assolutamente voglia di parlare in questo momento.” sbotto “Smettete di chiamarmi!”
Segue un secondo di silenzio, in cui Asuka è probabilmente spaesata dalla mia richiesta.
“Che ti ha detto?” riconosco la voce di Lars in sottofondo “Passami il telefono!”
Roteo gli occhi. Perché cavolo mi devono stare col fiato così sul collo?!
“No!” dico allora “Sto per chiudere.”
“Jin aspetta!” sento Lars dall’altro capo del telefono “Capisco che sei in collera in questo momento, ma non devi fare stupidaggini di cui potresti pentirti in seguito! Parliamone! Siamo all’hotel a 5 stelle che c’è nella parallela della strada della vostra scuola. I tuoi genitori sono rimasti a casa, siamo solo noi tre. Raggiungici e ne parliamo insieme.”
Hotel a 5 stelle? No, non credo proprio.
“No.” rispondo gelido, sento che stanno dicendo altro per cercare di convincermi, ma neanche li ascolto più “Non chiamatemi più. Addio.”
Chiudo la chiamata e blocco i numeri di tutti e tre.
Rimetto il telefono in tasca. Cosa dovrei fare adesso? Con i contanti che ho a disposizione potrei cavarmela un mesetto, due forse.
Lasciare il paese in queste condizioni è da folli persino per qualcuno disperato come me. E poi comunque dove cazzo vorrei andare senza un visto?
Devo per forza cercare un lavoro qui e ritardare la fuga di un po’. Potrei arrivare a vendere la moto per accelerare i tempi, anche se mi piange il cuore al solo pensiero. È un’opzione terribile, ma devo essere pronto a valutare tutte le possibilità.
Sospiro nervosamente e attraverso la strada.
Oppure c’è quell’alternativa, che per il momento non è altro che una fragile speranza.
Il telefono riprende a vibrare, un’altra chiamata. È un numero sconosciuto stavolta. Forse ci siamo.
“Pronto?” rispondo.
“... parco dietro l’istituto Mishima.” risponde poi una voce cavernosa “La collina davanti alla fontana. Tra un’ora.”
Aggrotto le sopracciglia. Certo che la fa sembrare una cosa molto losca così!
“Ok.” rispondo “Ci vediamo lì quindi… pronto?”
Ma quello strano uomo inquietante ha già chiuso la chiamata. Confuso rimetto il telefono in tasca e mi incammino verso il parco. Raggiungo il luogo dell’incontro, ma è ancora presto per l’appuntamento, decido quindi che nel mentre andrò a fare un po' di spazio nella mente su una panchina. Ne individuo una libera e mi muovo a passo svelto in quella direzione. Approfitterò dell’attesa per fare un’altra telefonata, una particolarmente difficile.
Camminando con gli occhi sul telefono ad un certo punto mi ritrovo a finire per sbaglio dentro un cumulo di foglie lasciato poco distante dalla mia panchina.
“Ma che diamine...!”
Preso da un impeto di rabbia improvvisa, lo calcio spargendo foglie un po’ ovunque nel sentiero. Non me ne frega un accidenti.
Mi lascio cadere in una panchina e riprendo il telefono. Resto a osservare il nome di Xiaoyu in rubrica per un minuto buono, riflettendo su cosa dovrei dire e soprattutto come dovrei dirlo. Sospiro. Che situazione di merda! Sono stato un idiota, non sarei mai dovuto arrivare a questo punto!
Mi decido a far partire la chiamata, porto il telefono all’orecchio.
“Pronto?”
“Pronto, ciao.” mi schiarisco la voce “Senti… sto chiamando per avvisarti che non ci sarò all’allenamento stasera.”
Iniziamo da questo.
“Certo, perchè oggi non avevamo in programma di allenarci!” risponde lei.
“No?” rispondo confuso.
“Oggi è il giorno della festa d’addio per Kamiya!!” mi ricorda a quel punto come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Non l’avevi dimenticato, vero?”
Figuriamoci se con tutti i miei problemi potevo ricordarmi anche di questo!
“Non ci posso credere! L’avevi dimenticato!” esclama lei non ricevendo risposta “Ma te l’ho detto ieri e pure avantieri! Non dirmi che hai preso altri impegni!”
“Sì.” ammetto atono “Non posso venire.”
“Non posso crederci!” continua arrabbiata “Dopo tutto il casino che ho fatto per trovare un giorno che andasse bene a tutti! Non puoi paccarmi così!”
“Senti, ho già salutato Kamiya quanto basta. E comunque, fidati, ho delle buone ragioni per non poter venire.” 
“Ah sì?” chiede scettica “E sarebbero?!”
“Per esempio dovermi preoccupare della mia nuova condizione di senzatetto!” le faccio sapere con tono tagliente.
Nessuna risposta. Guardo il telefono, poi me lo riporto all’orecchio.
“Oi, ci sei ancora?”
“Cosa hai detto??” per poco non mi sfonda un timpano.
Allontano di colpo il telefono dall’orecchio, poi sospiro e lo riavvicino.
“Sono andato via di casa.” 
“Cosa significa che sei andato via di casa?!”
“Esattamente quello che sembra. Ho finalmente compiuto il passo che avrei dovuto fare diversi anni fa.” sibilo “Quindi mi capirai se stasera ho delle cose urgenti da fare, e non posso venire né ad allenamenti, né a feste d’addio.”
“Sei veramente andato via di casa?” ripete lei con voce tremante “Ma prima scherzavi quando hai detto di essere un senzatetto vero? Ovviamente hai un posto dove andare, vero?!”
Sospiro.
“Ci sto lavorando. Tra poco incontrerò un’altra persona della mia famiglia che potrebbe darmi una mano.” rispondo “In realtà stavo pensando di lasciare il paese, anche se non potrò farlo subito.”
Ascolta senza rispondere, io faccio una pausa prima di riprendere.
“E… a proposito di tutto questo… stasera, quando finisco, o quando tu hai finito con quella festa… dovremmo parlare.” le anticipo serio.
“Parlare?”
“Mi dispiace.” dico allora “Come ho detto potrei aver bisogno di andare via, molto lontano e all’improvviso se sarà necessario e… capirai anche tu che dobbiamo risolvere questa nostra situazione.”
Segue un’altra breve pausa, poi riprendo.
“È colpa mia. Come ho detto tante volte non sarebbe mai neanche dovuta cominciare... tanto meno continuare. Insomma, per quanto abbiamo sempre detto che non era niente di serio e che sarebbe potuto finire in un qualsiasi momento… se poi dovessi sparire così… non vorrei ci restassi male, ecco.”
Probabilmente il mio discorso non ha neanche senso e probabilmente sembro un vero e proprio stronzo.
In quel momento sento una sorta di brontolio provenire da qualche parte dietro di me. Mi volto e vedo prima delle scarpe, dei pantaloni da lavoro. Sollevo lo sguardo e… rimango di sasso.
“Ho capito. Non dire altro.” risponde poi Xiaoyu, con voce sorprendentemente calma “Ne parliamo stasera dopo la festa.”
“D’accordo, ne parliamo stasera.” acconsento.
Chiudiamo la telefonata e posso preoccuparmi per il prossimo problema.
Un addetto alla pulizia del parco, con tanto di bustone e rastrello raccogli foglie, sta osservando le foglie che ho calciato poco fa, tutte sparpagliate sul prato. Si gira e mi guarda con rabbia, come se già fosse sicuro sia io il colpevole di quel casino. E… in realtà non avevo davvero bisogno di vedere il suo volto per capire di chi si trattasse. I ciuffi di capelli di quel colore assurdo che sfuggono da sotto il cappellino erano già un sufficiente campanello d’allarme.
“Kazama…” sibila Hwoarang rabbioso “Sei stato tu?!”
Torno a guardare le foglie sparse un po’ ovunque.
Bene, adesso sono pure un ricco viziato, anche se tecnicamente senza soldi al momento, che ostacola gli operatori ecologici, perché irrispettoso del lavoro altrui. E per di più questo operatore ecologico è Hwoarang! Al di là del fatto che sono abbastanza sorpreso di scoprire che il delinquente ha anche un lavoro normale… non posso fare a meno di sentirmi pervadere da un insopportabile senso di umiliazione. Mi conosce, sa da dove provengo, e sa che sono un odioso ricco, viziato, figlio di papà.
Prima che possa dire altro mi alzo, vado verso di lui e gli strappo letteralmente il rastrello dalle mani.
“Ci penso io.” bofonchio.
Quel che è giusto è giusto.
Hwoarang non fiata, indietreggia e mi guarda confuso, mentre inizio a raggruppare le foglie al posto suo. Ad un certo punto, con un ghigno beffardo, si siede sulla panchina, per godersi la scena più comodamente.
“Non so che cazzo ti sia preso, Kazama.” dice “Ma questo è fottutamente divertente. Uno come te che si abbassa a questi livelli.”
Uno come te. Deglutisco e mantengo il controllo.
“Ma quindi è vero quello che dicevi al telefono poco fa?”
Lo incenerisco con lo sguardo.
“Te ne sei andato di casa?” chiede sogghignante.
“Ma che cazzo Hwoarang!” chiedo a denti stretti “Ti metti ad origliare le telefonate degli altri?!”
“Di solito no. Maaaa… non ho potuto fare a meno di sentire la tua, lo ammetto.” continua con un sorriso da scemo stampato in faccia.
Sbuffo e ancora una volta mi impongo di essere paziente.
“Allora? Che è questo?” continua facendo un cenno al mio lavoro “Non hai più i soldi di mamma e papà e hai deciso di fottermi il lavoro?”
Ha un certo talento per scegliere le cose più fastidiose possibili nei momenti meno appropriati possibili. Ma tu dimmi se proprio oggi questo stronzo doveva venire a parlarmi di soldi! Diventa sempre più difficile trattenere quella vasta gamma di insulti e offese che mi frullano per il cervello e mi impongo di continuare in silenzio il lavoro.
“O stai cercando di imparare ad usare un rastrello perché non hai mai tenuto un attrezzo in mano e hai paura di non essere in grado di fare niente?”
È inutile, è più forte di lui. È un cagacazzo specializzato.
“No! Ho accidentalmente fatto un casino finendo in mezzo a quel cumulo di foglie e sto semplicemente rimediando al problema. Fine della fottuta storia.”
Perché sono un cittadino decente con un senso di civiltà, e non un ricco, snob, classista viziato.
“Sicuro? Perché pensavo… che potresti tornare a combattere se ti servisse uno stipendio. Non si guadagna male dopotutto.” 
Sollevo un sopracciglio, cercando di capire se mi sta prendendo per il culo. Lui risponde al mio sguardo con assoluta serietà. Oddio, ne è convinto davvero. Ma non mi sorprende così tanto in effetti! È molto da lui l’idea di provare a ritrascinarmi nei suoi giri loschi.
“Non si guadagna male?” chiedo ironico “Se così fosse non saresti qui a raccogliere foglie.”
Ok, me ne pento appena finisco di dirlo. Questa in effetti mi è uscita un po’ da ricco viziato, ma per fortuna lui non sembra notarlo. Sogghigna.
“Ho detto che non si guadagna male, non che si guadagna bene.” precisa allora “Ho semplicemente bisogno di più soldi e sto facendo dei lavoretti extra.”
“Buon per te.” borbotto.
“Dicevi che vuoi lasciare il paese quindi?” riprende ad interrogarmi dopo un po’.
Gli lancio un’altra occhiataccia.
Ha ascoltato proprio bene lo stronzo! Ovviamente mi rifiuto di rispondere, non sono affari suoi.
“E che hai una situazione da risolvere con la persona con cui parlavi. Cosa è?”
Assurdo. È un pettegolo incredibile e senza alcun rispetto e pudore!
Scuoto la testa indignatissimo e continuo a rastrellare il prato con movimenti sempre più veloci e decisi. Prima finisco, prima potrò allontanarmi da questa spiacevolissima conversazione.
“Kazama, stavi scaricando qualcuno?! Ma che modi sono?! Non hai un minimo di decenza?! Non si chiude una relazione per telefono!”
Mi fermo di nuovo.
“Che cosa?!” ringhio.
Prima di tutto, come si permette?! Secondo, neanche sa di che cosa sta parlando e si permette di giudicarmi?! Questo cavernicolo ha davvero la faccia di parlarmi di buone maniere?! Dopo aver origliato una mia conversazione privata?!
“Primo, non è una relazione come pensi tu!” sibilo acidissimo “Secondo, e te lo dico per l’ultima volta, chiudi quella bocca e fatti i cazzi tuoi!”
“Non è una relazione come penso io.” ripete le mie parole, ragionando a voce alta “Quindi è una relazione inconsueta? Beh in effetti tu non sembri affatto il tipo da legarsi a qualcuno. Troppo impegnato a pensare a te stesso, troppo narcisista.”
Dovrebbero fare un monumento alla mia pazienza. Grazie mille universo, ci mancava anche questa! Giuro che non prenderò mai più a calci un cumulo di foglie nel prato senza pensare alle conseguenze!
“Quindi… una relazione non propriamente detta.” riprende poi a ragionare a voce alta.
“È un’amica. Con cui ho un rapporto particolare. Fine della storia e adesso piantala.”
“Un’amica…?!”
Scoppia a ridere di gusto. Non ne capisco il motivo, ma continuo a fare il mio lavoro senza chiederglielo.
“Non posso crederci.” sogghigna poi “Alla fine hai seguito il mio consiglio.”
Consiglio? Ma di che cazzo sta parlando questo fulminato?
“Una relazione insolita, un’amica, un rapporto particolare…” mi guarda con l’aria di chi la sa lunga “Ti sei trovato una trombamica, Kazama!”
E lo dice come se fosse la conclusione più scontata del mondo.
Mi ci vogliono un paio di secondi per riconnettere i neuroni e per processare che cosa mi ha appena detto.
Trombamica. Mi vengono in mente Anna e Lee e per un attimo mi sento prendere dal panico. È quella la fine che faremo?
“Cosa?! No! Ma che problemi hai?! No!” ripeto umiliatissimo “Ma come cazzo ti permetti?!”
Poi decido che è meglio smettere di mostrarmi così turbato o penserà di aver centrato il colpo.
Lui continua a ridere, poi scuote la testa con aria di sufficienza.
“Cosa c’è? È un termine troppo volgare per un puritano aristocratico come te?” storce il naso “Beh, si dice così se vai a letto con un’amica senza che nessuno dei due si debba aspettare il regalo a San Valentino!”
Per fortuna ho finito di raggruppare le foglie, quindi lascio cadere il rastrello a terra, mi pulisco le mani sfregandole una contro l’altra e posso finalmente andarmene.
“Andiamo Kazama! Sei davvero così suscettibile?!” tenta ancora di provocarmi “Hey! Ricordati che abbiamo un conto in sospeso! Non azzardarti a scappare dal paese prima di farti pestare!”


No, la cosa non è minimamente paragonabile ad Anna e Lee. È vero, il nostro è un rapporto strano, difficile da definire, basato su un’amicizia e qualcosa in più, nessuna etichetta, nessun impegno, ma non siamo come Anna e Lee!
Per quanto mi riguarda alla base di tutto c’è la ferrea decisione di non voler nessun legame sentimentale con nessuno e… questa parentesi non è altro che un semplice incidente di percorso in via di risoluzione. Il caso di Anna e Lee è totalmente diverso. La loro è una vera e propria scelta di vita. Nessuno dei due vuole limitarsi ad avere un rapporto esclusivo con una sola persona. Non li giudico, ma non sono sicuramente paragonabili a noi.
Sospiro nervosamente e controllo l’orario, mentre un elicottero appare all’orizzonte.
Quando Akuma mi ha detto di farmi trovare qui a quest’ora non mi aspettavo che sarebbe venuto a prendermi in elicottero.
E invece quelli che erano i miei timori si concretizzano definitivamente quando l’elicottero si ferma a mezz’aria sopra di me e una scala viene srotolata fuori.
Sospiro e con finta disinvoltura afferro le corde e inizio a salire per la scaletta, mentre l’elicottero comincia a muoversi. Sorvoliamo la massa di persone che popolano il parco a quest’ora, che guardano stupiti la scena.
Molto ironico. Probabilmente nessuno di loro aveva mai visto un ragazzo ricco e viziato che va a far visita alla nonna in elicottero.
Entro nella cabina e prendo posto a fianco ad Akuma. Bofonchio un ‘ciao’ di cortesia al quale Akuma risponde con un grugnito indefinito. D’accordo, almeno su questo siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Nessuno dei due ama le conversazioni superflue.
Godendomi il silenzio, guardo la città scorrere sotto di noi. Non ho idea di dove mi stia portando. A dire il vero quando ho provato a chiamare al numero di Akuma, che è l’unico modo di potermi mettere in contatto con la nonna che non ama tanto i telefoni, non mi aspettavo di ricevere risposta. È stato proprio un caso che la nonna fosse da queste parti e non in qualche zona remota del mondo.
Il viaggio dura un’oretta buona, voliamo sopra un’ampia zona rurale, foreste e infine raggiungiamo una zona montuosa. L’elicottero atterra in un’area piana del versante di un monte nei pressi di una villa antica.
È tutto molto nello stile di mia nonna, tradizione e lontananza dal resto del mondo, come se vivesse in un’altra dimensione. A parte la villa e l’elicottero non sembrano esserci altri segni di civiltà umana, solo le montagne, la foresta e le nuvole rosate in lontananza.
Forse dovrei fare come lei, allontanarmi da tutto, perdermi a camminare in questi boschi e dimenticare tutti i tormenti della mia vita.
“Seguimi.” brontola Akuma distogliendomi dai miei pensieri.
Ci incamminiamo verso la casa. Entriamo nell’atrio lussuoso e raggiungo la nonna che mi aspetta in salone. La sua fedele tigre sonnecchia a terra a fianco a lei.
“Nipote.” mi saluta la nonna con un breve inchino del capo “Ti aspettavo.”
“Nonna.” ricambio il saluto “Sono felice di essere riuscito a trovarti.”
“Il tuo viso appare stanco, nipote.” osserva.
“Ho avuto una giornata un po’ stressante.” ammetto.
E la cosa migliore è che non è neanche finita!
“Sarei felice di offrirti un momento di ristoro con una tazza di tè.” dice lei mostrandomi con un elegante movimento della mano il bollitore e le tazze.
“D’accordo.” faccio per mettermi comodo, ma la nonna mi blocca con un cenno della mano arricciando le labbra appena percettibilmente.
“Che succede?” chiedo allora confuso.
Noto a quel punto il suo sguardo altezzoso, mentre mi squadra lentamente dalla testa ai piedi.
“Quello del tè è un momento di grande importanza simbolica ed eleganza.” riprende a parlare severa “Non ammetterò nessuna rozzezza cittadina qui in casa mia.”
“Rozzezza cittadina?”
“I tuoi abiti, caro nipote.” spiega in tono casuale accarezzando la testa della tigre “Non sono adeguati.”
“Cosa?”
Apro le braccia e guardando il mio normalissimo outfit di jeans e felpa con cappuccio.
“Perché? Che c’è che non va nel mio abbigliamento?”
“È così…” storce il naso e sceglie con cura il giusto aggettivo “... plateale.”
“E che dovrei fare allora?” chiedo senza riuscire a capire dove voglia arrivare “Non posso mica cambiarmi!”
“Dovresti invece.” risponde lei serissima.
Resto per qualche secondo a bocca aperta, interdetto.
“E che dovrei mettermi?! Non mi sono mica portato appresso un cambio elegante!”
“Credo che i vecchi abiti di tuo nonno possano calzarti bene.” continua lei misurandomi con lo sguardo “Me lo ricordi molto da giovane.”
“Cosa?!” sgrano gli occhi insultato e inorridito al tempo stesso “No! Non se ne parla!”
Ma che diavolo! Non ho intenzione di indossare niente che sia appartenuto al vecchio di merda!
Ma la nonna non ha l’aria di chi è disposto a contrattare.
“Allora niente colloquio!” risponde gelida voltando la faccia.
Sospiro. E io avrei perso un’ora di viaggio in elicottero per vedermi rifiutare una conversazione con mia nonna… per un motivo così stupido?! Ok, è decisamente la mia persona preferita della famiglia Mishima, ma bisogna ammettere che anche lei non scherza in fatto di stranezze! E ci vuole una certa pazienza.
“Perché?!” voglio sapere soltanto “Perché è così importante come sono vestito?!”
La nonna sembra ammorbidirsi un po’.
“Per una volta vorrei avere il piacere di vedere mio nipote vestito come si deve.” mi spiega.
“Come si deve…” ripeto poco convinto.
“Segui pure Akuma, ti porterà al vecchio guardaroba di tuo nonno dove potrai cambiarti.” dice lei accennando ad Akuma, che aspetta sull’uscio della porta.
Sospiro e seguo Akuma come mi chiede. Non riesco a credere di starlo facendo davvero.
Akuma mi fa strada lungo il corridoio, poi si ferma fuori da una porta e mi fa cenno di entrare dentro alla stanza.
“La signora Kazumi ha scelto qualcosa che dovrebbe andarti bene.” grugnisce.
Bene, aveva già programmato tutto prima che arrivassi!
Sospiro ed entro nella stanza.


Quando torno al cospetto di mia nonna, sto ancora facendo del mio meglio per non pensare che sto indossando un vecchio kimono di Heihachi.
“Eccomi.” borbotto, come un bambino punito.
La nonna mi guarda e solleva gli angoli della bocca compiaciuta.
“Adesso sì che sembra un giovane rispettabile, vero Tora-san?” sussurra alla sua fedele compagna a quattro zampe.
La tigre apre gli occhi per un attimo, poi muove la coda e li richiude assonnata.
La nonna procede intanto nel versare il tè nelle nostre tazze ed è incredibilmente elegante anche nel fare qualcosa di così semplice.
Assurdo pensare che lei e quel cafone di Heihachi siano stati una coppia un tempo.
“Ti prego di accomodarti.” mi dà ufficialmente il permesso di poter godere della sua compagnia.
Mi siedo sul tatami e prendo la tazza fumante di tè.
“Mi ha sorpreso che tu abbia ancora i vestiti di Heihachi.” osservo “E che non li abbia… bruciati o qualcosa del genere.”
“Non potrei mai.” inclina la testa prendendo la sua tazza, poi si guarda intorno con occhi sognanti “Sai, caro nipote, questa dimora è stato il regalo di nozze del mio clan. È stato il luogo dove io e Heihachi abbiamo trascorso le estati dei nostri primi anni di matrimonio. Era il nostro… nido d’amore.”
E non solo mi va quasi di traverso il tè, ma a quel punto avrei proprio voglia di vomitare.
“Troppi amorevoli ricordi dentro a queste mura.” continua, portandosi una mano sopra al cuore “Non riuscirei a liberarmi di un solo oggetto custodito qua dentro.”
D’accordo, me la sono andata a cercare. Colpa mia che ho chiesto.
La nonna si fa seria.
“Non mi aspetto che tu possa capire, nipote. Sei vittima di questi tempi volgari.” continua amareggiata “I giovani d’oggi non capiscono il significato del nobile legame dell’amore, è un’epoca in cui la gente si abbandona totalmente ai propri bassi istinti, rifiutando di volersi prendere le proprie responsabilità e legare il proprio destino a quello di qualcun’altro.”
E mi osserva con occhi penetranti, come se stesse mettendo a nudo la mia anima e la colpevolezza mia e di tutta la mia scellerata generazione.
Oggi non è proprio giornata.
“A volte non è così semplice però.” rispondo schietto “A volte è più nobile evitare di legare qualcuno al proprio infausto destino. Per il loro bene.”
La nonna si irrigidisce e mi guarda contrariata.
“Tipo Heihachi…” mi affretto ad aggiungere, prima che possa pensare che stia parlando di me “Sarebbe stato molto meglio se non ti avesse trascinato nel suo lurido mondo!”
La nonna sgrana gli occhi mi guarda offesa.
“Non puoi pensare veramente queste assurdità!” esclama “Io e tuo nonno abbiamo certo qualche divergenza d’opinione, ma non per questo i sentimenti che ci legano non sono sinceri.”
“Divergenza d’opinione?! Ma nonna, siete divorziati da più di quarant’anni e non avete mai smesso di farvi la guerra!” le ricordo “E poi… forse tu senti di essere ancora legata a lui per qualche assurda ragione, ma…” forse non dovrei dirlo, ma quando la sento difendere Heihachi proprio non riesco a starmi zitto “Dubito altamente che lui nel frattempo non si sia approcciato ad altre persone.”
Lei abbassa lo sguardo infastidita e stringe la tazza con talmente tanta forza che le nocche le diventano bianche.
“Questo è probabile, nipote. E quando la nonna ne avrà la certezza sta’ pure certo che tuo nonno ne pagherà le conseguenze.” dice con uno sguardo terrificante.
Sogghigno. Non vedo l’ora.
Sono tentato di dirle che sono quasi sicuro che Heihachi ha avuto un figlio illegittimo per accelerare il processo di vendetta, ma poi penso che dirglielo in questo modo sarebbe decisamente troppo crudele, specialmente dato che non ne abbiamo ancora la certezza definitiva.
“Ma anche se tuo nonno ritiene col divorzio di poter essere libero dal nostro vincolo di fedeltà, non l’avrebbe mai fatto durante il nostro periodo insieme.” sorride teneramente.
“Sì, e poi vi siete lasciati perché evidentemente persino a te ad un certo punto è stato chiaro che razza di un uomo terribile è!”
“Ci sono dei piccoli dettagli che non conosci, nipote. Ed è meglio così.” risponde la nonna, mentre sorseggia altezzosa il suo tè “Ma sappi che anche la nonna potrebbe non essere del tutto innocente come sembra.”
“Sì, come no.” alzo gli occhi al soffitto “Comunque… forse è giunto il momento di parlare del motivo per cui ti ho contattato.” dico, sperando di chiudere definitivamente l’argomento.
“Dimmi pure, caro.”
“Dunque, come già saprai Heihachi e Kazuya sono in guerra. E fin qui non c’è niente di particolarmente nuovo, il punto è che ultimamente le cose mi sembra che stiano un po’ sfuggendo di mano.” spiego “Credo si stia andando un po’ oltre i soliti dispetti. Non so esattamente cosa stiano pianificando l’uno alle spalle dell’altro e non so cosa potrà succedere, ma credo in ogni caso non sarà piacevole. E… normalmente non mi interesserebbe minimamente ciò che può o può non capitare a quei due, ma non vorrei le cose potessero mettersi male per mia madre. Lei, come te, è una vittima in tutto questo. E sarà pur vero che io e lei abbiamo al momento un sacco di problemi, ma nonostante tutto… sono preoccupato per lei. E non voglio che venga trascinata in chissà quale casino per colpa di Kazuya.”
“Sei così sicuro che tua madre sia libera di ogni colpa?” chiede la nonna con aria diffidente.
“Certo che sì! Insomma, il suo unico grande problema è Kazuya!” esclamo “Probabilmente se non fosse per lui andremmo anche molto più d’accordo.”
La nonna mi guarda interessata.
“Penso che tu abbia un punto di vista abbastanza semplicistico, nipote.” risponde poi posando la tazza a terra “Ma capisco le tue preoccupazioni.”
Annuisco.
“C’è dell’altro.” continuo poi “Ti sto parlando di questo oggi perché… io non mi occuperò più di controllare la situazione. Ho chiuso con loro. Sono andato via di casa questo pomeriggio.”
La nonna sbatte le palpebre perplessa.
“Te ne sei andato via di casa?”
Annuisco ancora.
“Semplicemente non potevo continuare a stare lì con loro e a farmi trascinare nelle loro follie. Non so ancora cosa farò, ma so solo che non posso continuare a stare in quella casa… o in quel giardino. Dato che la casa è attualmente inaccessibile per colpa di Heihachi. Storia lunga.” sospiro, poi la guardo serio “Ovviamente non voglio chiederti di occuparti tu di loro al posto mio, ma… So che tieni a Kazuya e… anche ad Heihachi. Ho pensato che fosse giusto avvisarti che la disputa tra i due potrebbe degenerare presto.”
La nonna mi guarda in silenzio, con aria imperscutabile.
“Capisco.” dice seria “Prenderò atto di ciò di cui mi hai parlato e mi occuperò di studiare la situazione dall’ombra.”
“Ti ringrazio.”
“Cosa farai dunque adesso?” mi interroga bruscamente poi.
Rimango sorpreso di questo cambio di tono.
“Ancora non lo so.” ammetto “Mia madre ha deciso di bloccarmi il conto per impedirmi di lasciare il paese, come avevo intenzione di fare inizialmente e…”
E lascio la questione così in sospeso. Non ho veramente il coraggio di chiederle un piccolo prestito, ma magari ci penserà lei ad offrirmene uno?
Mi basta guardarla in faccia per capire che la mia è una speranza molto, molto ingenua.
“La tua è stata una scelta molto coraggiosa, nipote. E ti fa onore in un certo senso.” dovrebbe essere una lode, ma sa decisamente di rimprovero “Hai deciso di allontanarti dalla tua famiglia, e quindi di rinunciare anche al sostegno che da essa ne deriva.”
Distolgo lo sguardo. Non che sia deluso. In realtà non è che ci avessi davvero sperato, però forse mi sarei aspettato un trattamento un minimo più comprensivo.
“Adesso dovrai badare a te stesso. Dovrai contare sulle tue sole forze. È sinonimo di grande responsabilità.” continua, poi mi rivolge un’occhiata particolarmente penetrante “Spero che tu sia all’altezza della tua decisione. Sarebbe deludente se dovessi tornare indietro.”
Wow, come se non fosse già stata abbastanza severa.
Poi rilassa un po’ l’espressione e sorride appena, con il suo solito modo di fare.
“Ma sappi, mio caro nipote, che potrai allontanarti anche di innumerevoli chilometri, come ho fatto anche io… ma, come in un solido legame amoroso, non si sfugge mai al destino di una famiglia.”
Forzo un sorriso. 
“Ti ringrazio del tuo tempo, nonna.” sussurro con una certa angoscia.


Quando scendo dall’elicottero, al rientro in città, è ormai il crepuscolo di questa assurda giornata. Della mia prima giornata da adulto indipendente. O come ragazzo abbandonato al proprio destino. Certo, il colloquio con nonna Kazumi dopotutto non è andato poi così diversamente da come me l'ero prospettato. Però effettivamente il suo modo di dirmi che, come io ho voltato le spalle alla famiglia, non posso aspettarmi altro che la stessa reazione da parte loro, è stato in effetti un po’ disarmante. Direi anche brutale. Abbandonato come un cane rabbioso al proprio destino.
È vero che ho lasciato la famiglia, ma se permettete non è stato esattamente il capriccio di un bambino viziato. Mi hanno letteralmente portato sull’orlo del logoramento sia psicologico  che fisico. Possibile che nessuno possa avere un minimo di comprensione per me?! Beh, a quanto pare no.
E quindi eccomi qui, da viziato figlio di miliardari a senzatetto nel giro di un paio d’ore. Senza la minima idea di che cosa fare. Non posso permettermi di fuggire e iniziare una vita da qualche altra parte, dovrò per forza trovarmi un lavoro e al più presto se non voglio finire davvero nel giro dei combattimenti di strada o qualcos’altro di losco. In realtà forse non sarebbe un’idea così malvagia, la vita mi ha dato tante di quelle batoste che alla fine neanche mi interesserebbe mandare tutto a puttane. Anche se dimostrerei così di non essere stato all’altezza delle mie decisioni impulsive.
Nel turbine dei miei vari pensieri autodistruttivi, mi dirigo verso il Flaming Dragon, dove dovrebbe ancora esserci la cosiddetta festa d’addio per Kamiya. Non ho la benché minima voglia di atmosfera di festa, né di chiacchierare, né di stare in mezzo alla gente. Ma devo assolutamente risolvere il problema di questa relazione-non-relazione con Xiaoyu il prima possibile per poi dedicarmi al disfacimento totale della mia vita.
Arrivo fuori dal locale e trovo il gruppo al completo che si sta salutando. Ottimo, almeno non dovrò aspettare troppo a lungo. Dovrò fingere di stare bene per qualche minuto, finché tutti non se ne saranno andati e poi potrò affrontare quel problema.
“Jin!” Julia è la prima a notarmi “Pensavamo non ti saresti fatto vedere per niente ormai!”
Continuo ad avvicinarmi, con espressione tesa, con le mani in tasca evitando di rispondere.
“Kazama! Carino da parte tua farti vivo, anche se alla fine della serata!” commenta anche Kamiya “È proprio da te!”
Xiaoyu, dal suo fianco, mi guarda in silenzio, con aria vagamente preoccupata.
“Ti sei perso Shin che dava spettacolo al karaoke. Ma è stato decisamente non un grande spettacolo!” aggiunge Julia e Steve ride.
“Hey ti ho sentito!” protesta Kamiya.
“Jin!” ecco che spunta fuori Asuka e mi afferra un braccio.
Mi trascina un po’ in disparte.
Asuka? Era invitata anche lei?
Cerco di dimenarmi, ma lei non sembra decisa a lasciarmi.
“Hai trovato un posto dove stare?” chiede apprensiva a bassa voce.
“... sì.” mento.
“Non immagini che è successo dopo che te ne sei andato! I tuoi genitori si sono messi a litigare un sacco! Sembravano impazziti! Alla fine tua madre ci ha mandato in hotel perché la cosa stava diventando troppo imbarazzante.”
“Magari è la volta buona che si lasciano.” commento con una smorfia, cercando comunque di non illudermi troppo.
“Jin non sto scherzando! Sono seria!”
Nemmeno io stavo scherzando.
“Hey Jin.” si avvicina Julia e costringe Asuka a lasciar perdere l’argomento “Credo che Shin sia di nuovo a caccia di conquiste.”
Mi fa un cenno verso lui e Xiaoyu. Mi giro e osservo la scena. Lui è intento a parlare, parlare, parlare e lei ascolta annuendo di tanto in tanto.
“E quindi il gommone era in avaria, la tempesta si avvicinava...” gli sento dire.
“La storia del naufragio...” commento.
“Sì!” esclama Julia “Le è stato addosso tutta la sera e ora le sta raccontando la storia del naufragio!”
La sua eroica impresa di quando è riuscito a mettere in salvo sé stesso e una famiglia di turisti stranieri dal mare in tempesta. È uno dei suoi pezzi forti, da usare quando vuole fare buona impressione su qualcuno.
“Cosa?! Perché pensate ci stia provando con Xiao?!” chiede Asuka scettica “Che ha di speciale quella storia? L’ha raccontata anche a me appena ci siamo conosciuti.”
“Infatti ci ha provato anche con te, Asuka. Ma tu non te ne sei mai accorta.” le fa notare Julia.
“Cosa?!” Asuka sgrana gli occhi, poi guarda me.
Confermo anche io, con un cenno del capo.
Ricordo bene quel periodo. Kamiya era rimasto particolarmente affascinato da Asuka dopo il suo arrivo a Tokyo. Si era fatto un’idea su di lei totalmente sbagliata. Io provavo a farglielo capire, ma lui non mi ascoltava. E quando ancora Asuka non conosceva nessuno a scuola, ed ero costretto a portarmela appresso per pranzo, Kamiya ci provava con lei spudoratamente, giorno dopo giorno. Era ovvio persino per uno come me, che di queste cose ne ha sempre capito poco e niente, ma evidentemente non per Asuka. Ed è stato solo dopo averla vista picchiare davanti a tutti un bullo dell’ultimo anno di liceo, che Kamiya ha finalmente capito come fosse la vera Asuka. E a quel punto credo proprio che si sia spaventato, dato che dal giorno si è tirato di colpo indietro, prima che lei potesse mai accorgersi di niente.

“Non me ne sono mai accorta!” parlotta Asuka confusa “Perché non mi accorgo mai di queste cose?”
“Julia, dobbiamo andare. Bob e Kliesen ci stanno aspettando!” fa Steve chiudendo il telefono.
Ed ecco che scatta un campanello d’allarme nella mia memoria.
Kliesen. Kliesen! Ma certo! Ecco dove avevo già sentito questo nome.
Mi volto da Asuka, lei guarda Steve con bocca spalancata.
“Bob e chi?!” domanda mia cugina spudoratamente.
“Bob e Kliesen.” risponde Steve stupito da quell’interessamento “I miei amici, non so se hai presente.”
“Oh, sì… certo, certo.” annuisce Asuka facendo finta di niente.
Poi mi guarda come se stesse cercando di mandarmi messaggi telepatici. Io le faccio un cenno per farle capire che sì, ho capito anche io, ma non è il caso di fare quelle facce strane.
Steve e Julia salutano e si allontanano. A quel punto Asuka mi prende di nuovo da parte, mentre Kamiya continua ad ammorbare Xiao con le sue storie.
“Hai sentito?” mi chiede.
“Sì.” dico “Lo sapevo che non era la prima volta che sentivo quel cognome!”
“Potrebbe esserci un collegamento con quella persona.” riflette Asuka “Dobbiamo dirlo a Lars!”
“Diglielo tu, no?” scrollo le spalle.
“Cosa?!”
Non so se dovrei ancora interessarmi a queste storie. Ormai sono fuori dalla famiglia, giusto? Tanto vale uscire anche da queste indagini.
“Onestamente non so se ho ancora voglia di essere coinvolto in questi stupidi casini familiari.”
Asuka mi guarda sconcertata e arrabbiata.
“E vuoi farmi credere che l’idea di farla pagare ad Heihachi non ti interessa più?!” sbotta “Pensi davvero di poter decidere di lavartene le mani in questo modo?”
“Ad essere sinceri sì, è esattamente quello che stavo pensando.”
Mi guarda offesissima.
“Hey ragazzi!” si intromette Kamiya “Mi dispiace interrompere i vostri discorsi tra cugini, ma io sto andando! Il pullman partirà tra poco. Statemi bene tutti quanti!”
“Hai ragione, scusa Shin.” fa Asuka, improvvisamente un po’ impacciata “È stato… un piacere rivederti! Buona fortuna… per tutto.”
“Ti ringrazio Asuka.” risponde lui “Sei un tesoro… certe volte.”
Lei abbassa lo sguardo e sorride un po’ imbarazzata. Immagino che stia ancora pensando alla scomoda rivelazione che ha avuto poco fa.
Poi mi dà una gomitata.
“Tu non saluti?” borbotta.
Ok, presumo sia il mio turno di dire qualcosa.
Sospiro.
“Ciao.” bofonchio “Ci… sentiremo per messaggi… ogni tanto.”
Chissà se potrò ancora permettermi un telefono tra qualche mese.
Kamiya ridacchia e ricambia il saluto, poi si volta da Xiaoyu.
“Mi raccomando, se mai ti andasse di cambiare aria e di vivere l’atmosfera di Kyoto… fammi sapere.”
“Va bene, grazie.” risponde lei con un sorriso timido.
Cioè le sta suggerendo di trasferirsi a Kyoto? Wow!
La cosa peggiore è che a pensarci bene non è neanche un’idea così malvagia, nonostante il fastidio insopportabile che il pensiero mi provoca. Se andasse a Kyoto starebbe sia lontana da me, che dal circolo del vecchiaccio. Il che sarebbe un’ottima cosa per lei.
Kamiya se ne va per la sua strada e rimaniamo noi tre.
“Quindi Jin, dove… hum… sei diretto tu?” indaga Asuka.
“Al mio garage. Devo prendere la moto.” rispondo robotico.
“Mmm.” annuisce Asuka poco convinta “Ma ti farai sentire questi giorni, vero? Lo so che hai bloccato il mio numero! Ti prego sbloccalo!”
Roteo gli occhi.
“Se smetti di chiamarmi cento volte al giorno!”
“Va bene. Però rispondi qualche volta.” dice seria “Ti prego fatti sentire!”

Mi guarda con occhi tristi, colmi di preoccupazione e sono costretto a rompere il contatto visivo.
“Asuka dannazione, mi stai mettendo in imbarazzo!” sibilo tra i denti “Smetti di guardarmi così! Non sto mica andando in guerra!”
Lei non risponde e con mia grande sorpresa mi si lancia addosso e mi abbraccia. Io arretro, mi gelo e la guardo terrificato.
Scambio uno sguardo veloce con Xiaoyu. È ancora seria, ma le sue labbra sono appena visibilmente incurvate all’insù, mentre studia con interesse la mia reazione.
Asuka si stacca da me. Rossa in volto tiene lo sguardo basso, borbotta un ciao generico e si dilegua camminando a passo svelto.
Ho bisogno di qualche secondo di silenzio per scrollarmi di dosso l’imbarazzo per ciò che è appena successo. Per sbaglio incrocio di nuovo lo sguardo con Xiaoyu, che ha ancora la stessa espressione compiaciuta di poco fa. So esattamente cosa sta pensando.
“Non ne voglio parlare.” l’anticipo.
Lei solleva le spalle con fare innocente, poi abbassa il sorriso e mi guarda seria.
“Allora… stai davvero andando al tuo garage?”
Annuisco.
“Andiamo.” dico poi “Facciamo un pezzo di strada insieme.”



 



 
  
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