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Autore: LeanhaunSidhe    05/06/2020    6 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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A causa nostra ogni cosa è iniziata. A causa nostra ogni cosa finirà.

Taka si era portata la mano tremante alla tempia, mentre stirava le labbra e pazientava finché tutto attorno a lei smettesse di girare. Aveva impiegato una quantità spropositata di energia per supportare quella ragazzina. Iniziava ad essere troppo vecchia per determinati giochi. Se mai Haldir fosse ritornato, gliela avrebbe pagata salata. Per aver taciuto sortilegi così pericolosi per mero orgoglio. Non l’aveva sfiorata il sospetto che ci fosse sotto anche dell’altro. Del resto, quanti tra loro potevano definirsi puri, esenti da colpe? Aveva scioccato la lingua. Da tempo aveva perso il conto dei propri peccati… e dei successivi tentativi di espiazione. Se ci annoverava gli errori di suo figlio, le colpe di cui lui stesso si era macchiato, il conto avrebbe superato la miriade. Oltre il novero delle stelle che rischiaravano il firmamento. C’era chi come lei peccava per arroganza, chi come suo figlio per mala fede. Alcuni, semplicemente, perché erano marci dentro. Eppure, quasi a tutti era stata concessa una seconda opportunità. La verità forse era che pure Haldir era invecchiato, anche se conservava il corpo giovane della prima maturità, a differenza sua. Del resto, la natura era stata matrigna ostile e beffarda, coi Dunedain. C’era chi desiderava vivere, come lei, e non poteva. Chi bramava la morte, come Haldir, e non gli era concessa. Semplicemente, dovevano percorrere ognuno la propria ingrata strada.
Lamenti sommessi dal giaciglio su cui era sdraiata quella ragazzina ne annunciavano il prossimo risveglio. Attirata dal suono, si alzò barcollando, iniziando ad avvicinarsi. Presto, si sarebbe destato anche l’altro umano… A qualsiasi etnia egli appartenesse. Tastò appena la fronte madida di Seleina, prima di darle le spalle e dirigersi verso Mnemosine. Per il momento, ogni cosa sembrava procedere per il verso giusto.

“Fa pure entrare quel bambolotto dorato del Jamir. Suo fratello è chiaramente fuori pericolo.”

Specificò, roteando la mano come se stesse sottolineando un particolare che sapeva per certo falso ma di scarsa importanza.

“La ragazzina, invece...”

Accennò alzando il viso verso la direzione di Mnemosine, come se avesse potuto vederla,

“… meglio che dorma ancora un po’. Somministrale il sonnifero più efficace.”

La guaritrice aveva provato a chiedere il motivo di quella singolare terapia. Taka, però, aveva raggiunto con fatica la soglia e sembrava più intenzionata al letto comodo che l’attendeva, piuttosto che a fornire spiegazioni.

“A volte la magia costringe a realtà più spaventose di incubi. Lasciala dormire, pure se il suo sonno sarà agitato. Meglio incubi per lei che la realtà che la attende.”

Mnemosine aveva osservato la capigliatura canuta e scomposta di Taka sparire oltre l’uscio. Se l’anziana non voleva fornire spiegazioni, non ne avrebbe date. Tese le labbra. Era consapevole che Zalaia avrebbe accettato malvolentieri quello stato di cose. Sospirando, scoccando un’ultima occhiata ai feriti, ormai decisamente salvi, strofinò le mani dal poco sangue secco che rimaneva sopra. Aveva dovuto mettere solo qualche punto alla gamba dell’ateniese.

 
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Zalaia aveva alzato la testa per primo, parecchi secondi prima che la porta dell’infermeria si aprisse rivelando la figura slanciata di Mnemosine. La guaritrice camminava verso di loro con passo sicuro. Erano abiti semplici i suoi. Un peplo dal modello neppure differente da quello delle ancelle del santuario. La tinta scura che fasciava il corpo snello contrastava però col pallore dell’incarnato, col rosso acceso dei capelli. Simile alle femmine della sua razza. Diversa per la consapevolezza che traspariva dal suo incedere. Qualcosa che nasceva da un’autorità che poco aveva a che fare col suo stato di donna. Lei era qualcuno dalle cui cure poteva dipendere la sopravvivenza o la morte. Qualcuno di importante e difficilmente sostituibile in una società come la loro. Allo stesso tempo, una persona abituata ad essere messaggera di vita e di morte, semplicemente perché entrambe potevano accadere.
Mu aveva trattenuto il fiato mentre si apprestava verso di loro: aveva letto un’ombra su quel viso schietto ed affabile. Come temeva, la donna aveva esitato prima di rivolgere parola a tutti loro. Aveva cercato lo sguardo di suo figlio e Mu respirò all’improvviso più lentamente. L’istinto gli suggerì che fosse una questione che non lo riguardava.

“L’Altare riprende coscienza. Puoi raggiungerlo, se lo desideri.”

Notò che quell’ombra ancora non passava.

“Zoppicherà certamente per qualche giorno. Ma il danno non sarà permanente. Lo riavrete presto in perfetta salute tra le vostre fila.”

L’attenzione della donna, infatti, pareva rivolta soprattutto a Zalaia, ad una domanda che si aspettava ed alla risposta che colse il ragazzo di sorpresa. Mu osservò il giovane ed il veloce scambio di battute con la madre. Avevano comunicato nella loro lingua e il figlio di Cancer non era rimasto affatto soddisfatto dalle risposte. L’Ariete lo osservò precederlo verso l’infermeria. C’era stato qualcosa, riguardo Seleina, che lo aveva alterato, anche se avevano detto che pure la ragazza migliorava in fretta. Al cavaliere bastò apprendere che anche la principessina fosse fuori pericolo. I pochi passi che lo separavano da Kiki gli sembrarono quasi alieni, scombussolato come era dall’adrenalina della battaglia e sentimenti che non riusciva bene ad indentificare. Persino lui aveva bisogno di qualche attimo di calma, per tornare in sé. Sospirò piano mentre poggiava la mano sulla porta, scostandola per entrare. Decisamente, i cardini avrebbero necessitato di una passata d’olio. Faticò per abituare la vista alla penombra dell’ambiente. Il cosmo di suo fratello, però, emanava una luce inconfondibile. Pochi metri e gli fu vicino.
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Death Mask era inizialmente rimasto in disparte. Aveva controllato con la coda dell’occhio lo scambio di battute tra suo figlio e Mnemosine. Che far arrabbiare Zalaia fosse una faccenda piuttosto semplice non era mistero per nessuno. Che potesse però avere reazioni del genere persino in un frangente simile, lo aveva spiazzato. Si domandò se, dopotutto, si sarebbe comportato diversamente alla presenza di Imuen. Se avesse agito diversamente con lui, se il loro rapporto fosse stato diverso, più saldo. Una parola più piccata da parte di Mnemosine, tuttavia, confermò in lui il dubbio che neppure ad Imuen suo figlio si sarebbe mai sottomesso. Poiché Zalaia era tempesta e quando si scatenava era impossibile placarlo. Apparentemente indifferente, il cavaliere della quarta casa aveva comunque aguzzato gli orecchi ed una parola ripetuta più volte gli si scolpì nella mente. Taka per lui poteva significare tutto e niente. Presto avrebbe chiesto lumi a Mnemosine, appena si sarebbe presentata l’occasione propizia. Per sua fortuna, questa arrivò presto. Suo figlio doveva comunque aver ricevuto le informazioni che pretendeva. Aveva sbuffato e imboccato la medesima direzione dell’Ariete, lasciando la madre imbarazzata a fare gli onori di casa. Imbarazzo momentaneo, celato in uno sguardo provato ma vivace, che aveva comunque cercato di sdrammatizzare ed accoglierli tutti. Come meglio poteva, Mnemosine aveva sorriso, iniziando all’improvviso a rivolgersi a loro in terza persona, a differenza di poco prima. Come se solo in quel momento avesse ricordato delle convenzioni di Grecia ed, in qualche modo, cercasse di metterli a loro agio. Li pregò ancora di avere pazienza. Indicò dove riposarsi, come chiedere cibo. Erano liberi di andarsene ma, usciti dal campo, non sarebbero potuti rientrare. Consigliava comunque loro di restare ancora qualche ora, fino a quando i loro signori non fossero rientrati o fatto pervenire notizie. Si era allontanata dopo averli salutati, quando Death Mask decise di raggiungerla e trattenerla. Troppi tasselli non tornavano ed aveva avuto la chiara impressione che lei non fosse serena. Nessuno obiettò quando le chiese di parlare in privato. Anche se si sentiva l’attenzione di Aphrodite attaccata addosso. Lui però era un amico e non aveva da temere. Era un amico. All’occorrenza, sarebbe potuto essere pure un alleato.
❄️❄️❄️

Mnemosine lo aveva condotto in una delle loro case anonime, non troppo lontane dalle altre. Death Mask si era guardato attorno curioso, anche se non c’era poi così tanto da scoprire in quel piccolo ambiente. Pochi mobili in ordine, tanti libri sparsi. Alcuni in lingue che non conosceva, altri di cui comprendeva benissimo il titolo. Non era troppo stupito che si trattasse di volumi di medicina. Quando la donna gli pose davanti un bicchiere e del liquore, afferrò la bottiglia senza pensarci. L’odore era pungente, il sapore forte e lo terminò in fretta. Lei gli si era seduta a breve distanza, imitandolo.

“Bevi per farmi compagnia o per scaricare la tensione?”

Mnemosine si era morsa le labbra prima di terminare l’azione.

“Entrambe.”

Ammise infine, mentre il liquido raggiungeva di nuovo il livello desiderato nel bicchiere, pulito ma mezzo sbeccato.

“Che ti succede?”

Lei aveva inchiodato le iridi verdi alle sue, prima di sorridere impercettibilmente.

“Solo che tuo figlio è uno sfacciato. Non è la prima volta che mi obbliga ad una figuraccia. Non sarà l’ultima.”

Gli aveva rimboccato di nuovo il boccale, prima di fare altrettanto col proprio.

“Taka che significa, nella vostra lingua?”

Di nuovo, la bottiglia restò sollevata a mezz’aria, mentre lei spiegava che era il nome della loro sciamana. Della maga, insomma, che li aveva accolti e la cui azione proteggeva tutte le persone con loro, in quel momento. Spiegò che Zalaia aveva preteso lumi sulle condizioni di Seleina ed era rimasto turbato del fatto che Taka obbligasse la principessina a restare sedata.

“Lui vuole conoscere i motivi di quella scelta. Secondo lui non ha senso somministrare un sedativo tanto potente in assenza di ferite che provochino dolore. Si rischia solo di indebolire ulteriormente un fisico già provato. Seleina non è ferita. Non gli tornano i conti e non accetta di non capire.”

Si specchiò appena nel liquore ambrato, prima di continuare, inquieta.

“Zalaia è giovane ed impaziente. Dimentica che non sempre è lecito comprendere tutto.”

Death Mask aveva taciuto, cercando di arrivare a tutti i sensi nascosti di quelle frasi. Aveva assottigliato lo sguardo, arrendendosi al fatto che se non lo sapevano loro, che li ci vivevano da anni, lui cosa avrebbe mai potuto tirarci fuori? Più la osservava, più riusciva a recuperare tasselli di quel passato sottratto, ad incastrare nei suoi ricordi la donna che gli stava davanti. Per lei sembravano essere trascorsi solo pochi anni. Anche per lui, del resto, a guardarlo, non sembravano certo passati quasi vent’anni. Era assurdo rendersi conto che suo figlio aveva già quell’età, quasi la stessa in cui lui aveva conosciuto sua madre. Si chiese cosa sarebbe potuto diventare se il fato, per loro, avesse decretato altrimenti. Era assurdo ma si era scoperto a desiderare un ruolo che mai aveva ricoperto. Se aveva chiesto quella vicinanza, era perché forse voleva sentire cosa si provasse.

“Di che cosa hai paura? Anche uno scemo si renderebbe conto che sei turbata.”

Mnemosine avevataciuto. Ne Zalaia ne suo padre erano tipi da accontentarsi di allusioni o frasi a metà. Si morse di nuovo il labbro, in un gesto che la rendeva quasi una ragazzina nei modi. Chissà che forse, nonostante tutto, per certi versi non lo fosse ancora.

“Taka non è solo una guaritrice: è pure una maga.”

Si era riavviata una ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima di continuare. Fece giurare a Death Mask che quanto stava per apprendere, avrebbe dovuto tacerlo con chiunque, cavaliere soprattutto. Sapeva di chiedere tanto ma, davvero, aveva pochi altri a cui potersi affidare. Gli afferrò una mano con le proprie. Di nuovo si trovò a supplicarlo e riuscì a strappargli un consenso.
Capiva benissimo che, messo alle strette, con Atena o un superiore, Death Mask, come cavaliere, avrebbe parlato. Ma non le importava. Suo figlio era più importante delle convenzioni dei Dunedain, delle punizioni che potevano esistere per quanti le trasgredivano.

“Taka è esperta nella nostra magia. Si tratta di una forza che dovrebbe appartenere solo ai Dunedain, per lo più ai figli di Haldir. Se si hanno le capacità per dominarla, si viene istruiti ad usarla. E’ fonte di potere, ma pure una energia che ti consuma. Altrimenti, pericolosa come è, viene solo insegnato ad evitarla, in ogni sua forma. Io, col cosmo che ho ereditato, posso riconoscerla e tenermi al sicuro. Mio figlio invece non possiede questa capacità. Ed è cocciuto. Non mi ascolta quando gli raccomando di farci attenzione. Sono certa che Seleina possieda le facoltà dei maghi in qualche modo. Ma non capisco perché, Haldir non le ha insegnato bene. Seleina deve aver usato la magia in modo sbagliato. Ha scatenato qualcosa. Qualcosa che coinvolge Haldir e in cui Taka s’è dovuta mettere in mezzo per correre ai ripari.”

Aveva negato, sconsolata, spostando il viso da quello del cavaliere, per poi stringergli di nuovo il polso muscoloso, per quanto potesse. Si stupì di quella intimità, tra loro, tanto semplice e naturale. Opposta alla passione di poche ore che si erano strappati da giovani.

“Qualcosa che potrebbe coinvolgere Zalaia. Non mi piace quella principessa, DeathMask. Ha troppi segreti. Sicuramente ha un cuore buono e si è ritrovata coinvolta in faccende più grandi di lei e non vuole fare del male a nessuno. Temo si porti dietro una magia che la logora. Qualcosa che, consumata lei, potrebbe travolgere mio figlio, che si ostina a restarle così vicino.”

Aveva stretto quel braccio con quanta più forza le consentisse la sua mano esile.

“Tu mi devi fare una promessa su nostro figlio.”

E quel nostro uscì dalle sue labbra senza che lei avesse il minimo risentimento, verso quell’uomo.

“Se mai avessi ragione e qui accadesse qualcosa di strano, voi cavalieri dovete andare via subito. Allora, prendi Zalaia con te e conducilo al Grande Tempio, lontano da me, da quella ragazzina e dai Dunedain tutti. Colpiscilo di sorpresa, tramortiscilo. Fa come ti riesce ma portalo via. Poi, gli svelerai che l’hai fatto solo perché ti ho supplicato io.”

Accorata, lo pregò ancora, leggendo l’incertezza del suo sguardo. Quando questa si sciolse in un cenno affermativo e poco convinto del capo, poggiò per prima la bocca su quella del cavaliere. A cercare un contatto che conosceva, a rinnovare un sentimento che sapeva mai sopito. Si persenel viso di quel guerriero che, nelle notti solitarie, aveva ricostruito pennellata per pennellata, a cesellare col tocco dell’artista nella perfezione di un ritratto terribile e caro insieme. Ne morse appena le labbra carnose, ricordandone la consistenza, prima che le lacrime lasciassero docili le sue ciglia. Poggiò la fronte su quella di lui, massaggiandone le guance con i polpastrelli. Appena, come se ad un tocco troppo deciso gli potesse sfuggire dalle dita, simile al sogno che costellava notti solitarie. L’ardore con cui l’aveva appena ricambiata, però, era reale. Lo lesse nei pozzi neri e profondi che rendevano il suo viso magnetico, nella mascella volitiva di cui aveva tracciato il contorno col palmo aperto, a catturarlo, stringerlo a sé. Catturata per prima. Solo per poche ore. Una manciata di minuti. Con buona pace del mondo contorto, di fuori.
❄️❄️❄️
 
Zalaia era entrato in infermeria apparentemente scocciato. Aveva gettato un’occhiata distratta verso l’Altare, socchiudendo però appena le palpebre. A giudicare dal ritmo del respiro, era davvero prossimo al risveglio. Dell’Altare tutto si poteva dire meno che avesse avuto una bella cera. A braccia conserte, aspettò comunque che l’Ariete arrivasse, tenendogli la porta dell’infermeria aperta, invece si sbattergliela addosso. Il cavaliere gli era parso stupito di quella apparente gentilezza, mentre gli comunicava pure che, secondo lui, Kiki sarebbe stato sveglio davvero da li a poco.
La verità era che esitava. Temeva davvero che Seleina non ce l’avesse fatta e la singolare cura di Taka fosse solo un palliativo in attesa di una morte annunciata. Titubante, con un atteggiamento del tutto diverso dal suo solito, aveva raggiunto il punto dove riposava lei. Riavviandosi i capelli all’indietro, come se lei avesse potuto vederlo mentre stupidamente cercava di rendersi quasi presentabile, cercò di ascoltarne battito cardiaco e ritmo respiratorio. Non ebbe dubbi che davvero la ragazza fosse sedata. Liberando le dita dalla consistenza delle proprie ciocche ribelli, si avvicinò di più, come se le tenebre potessero davvero costituire un impaccio, per la sua vista da predatore. Studiò Seleina più con l’occhio del medico che avrebbe potuto diventare ed aveva scelto di non essere, prima di soffermarsi sul suo viso e scostarle appena una ciocca sudata dalla fronte. Seleina ansimava ed il suo non era un sonno sereno, privo di sogni, come avrebbe dovuto essere con la droga che le avevano somministrato. Ne riconosceva chiaramente l’odore. A renderlo incerto, soprattutto, furono le parole che la udì pronunciare, nella lingua antica dei figli di Haldir, che a malapena Taka borbottava qualche volta di nascosto. Respirando più a fondo, si chiese dove e come avesse potuto apprenderle Seleina, che era più giovane di lui e si ritrovò a negare col capo, intuendo che Taka aveva preso una precauzione, semplicemente. Seleina delirava di ghiaccio e fuoco, di zanne e sangue, di qualcuno che la chiamava e che non poteva abbandonare assolutamente. Qualche termine Zalaia l’aveva intuito con chiarezza. Lei aveva sollevato il braccio a ghermire il nulla e prima che ricadesse nel vuoto, lui l’aveva afferrato d’istinto. Era la mano di una persona febbricitante. Sbalordito, sbatté un paio di volte le palpebre quando Seleina ripeté due volte il suo nome, sussurrandolo sillaba per sillaba. Incapace di allontanarsi, mentre lei, alla fine, sonnifero o no, si era destata addirittura prima dell’ateniese. Sorrise, quando lei gli chiese se fosse davvero li o solo un’illusione. Alto come era, non fu semplice trovare posto per sedere su quel piccolo giaciglio improvvisato, come lei lo aveva implorato, spostandosi di fianco per fargli spazio. Un po’ di energie, in realtà, lei doveva averle, perché aveva stretto le braccia al suo busto con uno scatto repentino, affondando il viso nel suo torace, singhiozzando piano. Era una situazione nuova per lui, abituato alle femmine che lo cercavano per un amplesso, per godere nel piacere e del riflesso della sua fama. Mai in cerca di conforto o di una forza che non avevano.

“Sei viva. Ed è tutto finito.”

Cercò di rassicurarla, sollevandole il mento con due dita, appena si fu calmata un poco.
Seleina aveva gli occhi cerchiati. Le guance pallide. Gli aveva sorriso, stringendosi ancora a lui, come una bambina. C’era rimasto poco o nulla della guerriera.

“Siamo vivi. E’ tutto finito.”

Le ripeté ancora, massaggiandole la schiena. Quell’abbraccio, per lui, aveva il sapore di un nuovo inizio. Era troppo giovane ed ingenuo, come gli rimproverava Taka. Non si era accorto che sotto, nel profondo, poteva avere il sentore di un addio.

Note: Niente, ci avviciniamo alla fine. Ancora un po' di pazienza, per chi ancora legge. Che ci crediate o no, ho in mente una trama e poco tempo per finirla. Per cui, chissà, magari i capitoli andrebbero rifiniti meglio (spero che nonostante tutto si comprendano. Ormai non posso fare tante cesellature) ma conto di non metterci più tanto per terminare...
   
 
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