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Autore: Rota    08/06/2020    2 recensioni
Sentì i muscoli della schiena dolere. Si allontanò dal fascio di luce della lampada sul tavolo, così da avvicinarsi alla grande finestra che poco prima stava ammirando Mika, godendo dei colori della notte.
Si appoggiò al legno dello stipite con una spalla, incrociando le braccia al petto.
Che bella luna. Che belle stelle.
Tracciò le linee di un tatuaggio straordinario tra le costellazioni senza nome, profili di qualcosa che nessun uomo aveva inventato. Magari, nel loro futuro, potevano essere utili.
Fu in quel modo che vide i primi bagliori – gli sembrò fossero delle stelle cadenti. Una, due, tre, dieci, cento.
La prima cadde a terra e colpì una casa. Prima il buio, subito dopo un’esplosione di fulmini incontrollata.
Shu rimase immobile, inorridito ed esterrefatto, finché anche da quella distanza non si riuscirono a sentire le urla agonizzanti dei suoi stessi concittadini.
Quella fu chiamata, da chi sopravvisse, la prima delle Notti della Pioggia di Potere.
E segnò l’inizio di un nuovo mondo per tutti i cittadini di Yumenosaki.

[LeoxShu principalmente; Fantasy/Steampunk/Tatoo!Au; multicapitolo]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Leo Tsukinaga, Shu Itsuki
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*8. Steli – Il solo degno testimone*

 


[Melodie di vento e di pioggia: il movimento della tempesta // CherryBlossoms' Ink FanMix
Track 9: Capitolo 8]








Quando Mika lascia l’abitazione, lui si paralizza per qualche istante: allo stesso tempo, spera e teme per quelle ore pomeridiane che dovrà passare chiuso nello Studio, con la sola compagnia dello Shi.
Il suo sguardo passa dalla porta di legno chiusa alla vetrata spessa appena in parte, sulla cui superficie cominciano a battere le prime grosse, pesanti gocce di pioggia.
Shu sospira, scosso da un leggero brivido di freddo. Individua il mantello leggero sopra la sedia accanto a Leo – quando si alza, Leo non reagisce alla sua vicinanza. Per la precisione, non riesce davvero a muoversi.
-Accendo il fuoco, fra poco farà freddo.
L’uomo dai capelli lunghi emette un piccolo verso di approvazione. Chissà come, la pioggia riesce a renderlo così malinconico e succube.
Presto c’è odore di fuliggine nell’aria stantia, il rumore sottile del legno che cuoce fino a diventare cenere. Lo Shi attizza le fiamme con strumenti di metallo, che gli sporcano di nero i guanti bianchi. Con uno schiocco secco di labbra, Shu prende uno strofinaccio e cerca di pulirsi per bene, dopo aver sollevato ancora i lembi del mantello che casca sulle esili spalle squadrate.
Passa accanto a Leo, quando torna al proprio posto al tavolo e ai propri fogli, in modo tale che l’altro alzi lo sguardo naturalmente per rivolgergli l’attenzione. L’altro uomo cerca di focalizzarsi sul suo profilo slanciato, il fianco esile fasciato da una camicia elegante, ma Shu riesce comunque a intercettare il suo sguardo.
-Finisci alla svelta il tuo pranzo, devi tornare a lavorare.
Fa subito una smorfia e agita la ciotola tra le sue mani.
-Ormai è diventata fredda! Immangiabile!
-Questo è solo colpa tua. Invece di sbrigarti, sei rimasto tutto il tempo a fissare il vuoto.
-Se mangio di fretta poi mi va di traverso e mi fa male lo stomaco! Vuoi che mi ammali?
-Per darti l’opportunità di lamentarti ancora?
Si guardano in modo truce per un momento molto lungo; Leo è il primo ad abbassare lo sguardo, per raccogliere con il cucchiaio un pezzo di rapa molliccio dall’aspetto per nulla invitante.
Non si accorge che Shu si è di nuovo alzato ed è arrivato accanto a lui, al tavolo pieno di ciotole e di bicchieri, e quasi arrivi a toccarlo.
-C-cosa fai?
Sobbalza sulla propria sedia, rovescia parte della brodaglia, ma poco ha importanza.
Lo sguardo di lui è penetrante, sta indagando qualcosa. Gli appoggia persino una mano sulla spalla, leggerissima, e qualcosa tintinna all’interno della manica larga quando si muove.
-Ti prendo la pastiglia per la digestione.
Leo impiega qualche secondo a realizzare quelle parole, si affretta a giustificarsi.
-Stavo scherzando, Itsuki!
Ma lo Shi raggiunge veloce un barattolo di vetro sulla mensola più alta, dove sono ammucchiate pillole bianche dall’odore di zucchero. Soffia via la polvere dal coperchio prima di aprirlo e prende un confetto sul palmo, lo porta a Leo con un bicchiere d’acqua.
-Le ho fatte io, con Kagehira. Non dovrebbero darti problemi.
A quel punto, l’altro non può rifiutare.
Il rumore di un tuono fa voltare entrambi verso la vetrata: si vede chiaramente il cielo annerirsi sempre più, le fronde degli alberi più grandi smossi da un vento forte.
Shu accende, allora, le lampade della stanza, così da illuminare per bene il tavolo da lavoro e tutti i suoi disegni. Un raschietto dalla lama consunta brilla un poco, prima di essere coperto dall’ombra dell’uomo.
 
 
Entra nel ripostiglio e appoggia la teglia sopra il primo scaffale disponibile. Come gli è stato ordinato, con le mani libere recupera quattro panetti di inchiostro dall’angolo a destra, trattati con amido di rapa e zucchero fino. Afferrata di nuovo la teglia ora piena dei panetti, esce celere e si chiude la porta alle spalle, trascinando tutta la catena con sé.
Si avvicina al forno da lavoro, dopo aver appoggiato la teglia su quel piccolo rialzo posizionato al suo interno. Il fuoco non è molto vivo, è stato rannicchiato sul fondo in modo che la fiamma non potesse neanche avvicinarsi ai panetti. Aziona quindi il meccanismo, tracciando un segno sull’area circostante al piccolo rialzo: si illuminano ghirigori elaborati, su quasi tutto il ripiano, mentre sul rialzo compare la figura di un piccolo sole. Quindi, la teglia comincia a girare piano.
Leo si sente soddisfatto. Si gira verso l’altro uomo, che ancora chino sul tavolo da lavoro continua a scarabocchiare qualcosa sull’ennesimo foglio liscio, senza trovare pace. Ma c’è qualcosa che lo incuriosisce: si china a terra e raccoglie quel foglio accartocciato, aprendolo per vedere cosa ci sia disegnato.
Vede lo schizzo di due Origini e, da una parte e dall’altra, l’abbozzo di prolungamenti ed estensioni. Lo fissa per lunghi secondi, quindi si rivolge a Shu.
-Cos’ha che non va, questo?
È seriamente perplesso, così come seriamente nervoso è lo Shi.
-Non lo vedi, forse? Non va bene!
Leo insiste, dopo che guarda ancora il disegno e davvero non trova nulla che sia disarmonico.
-Non va bene in che senso?
Shu si alza spazientito dal proprio posto e lo raggiunge con falcate nervose. Indica il punto più basso del secondo prolungamento di destra.
-Questo! Questo non va bene! Non è bello, non è artistico! È orrendo a vedersi da ogni angolo lo si guardi!
Si volta con un gesto teatrale.
-Non riesco a guardarlo neanche adesso! Mi procura solo fastidio!
Si allontana e raggiunge il proprio posto a sedere, continuando a borbottare. C’è un tuono, al di fuori dello Studio, così pesante e così vicino che scuote persino la superficie della grande vetrata.
Leo impiega qualche altro secondo a riprendersi, parla con una voce sottilissima che non pare neanche sua.
-Tu… stai sprecando del tempo a fare un disegno… bello?
Shu rimane immobile, con la schiena dritta dritta, le spalle rigide sotto la mantellina piena di pizzo.
Leo, dall’altra parte della stanza, è furioso – dentro di lui il nervosismo scalpita, l’agitazione freme, mille sensazioni negative si ammassano tutte assieme.
I due uomini si incalzano, senza staccarsi gli occhi di dosso.
-Un tatuaggio perfetto, certamente! Non ho intenzione di pretendere di meno!
-Quindi, insomma. Stanno passando giorni interi perché tu non riesci a fare un cazzo di disegno.
-Mi sembrava di avertelo già detto, anche anni fa. Un tatuaggio è un marchio che rimane per tutta la durata della vita sulla sua pelle. Ha un valore morale e psicologico, oltre che meramente pratico.
Le dita di Leo si irrigidiscono e le sue narici si allargano nel tentativo di inalare quanta più aria possibile – forse per calmarsi un poco.
-Sono dell’opinione, signor Shu Itsuki, che Mama preferisca essere integro, piuttosto che bello.
A quel punto si agita e alza la voce, finalmente vinto dalla sua stessa paranoia. È bastato così poco, un leggero tocco nel momento di massima debolezza.
L’uomo dai capelli lunghi comincia ad andare avanti e indietro davanti al forno, alzando e abbassando il braccio con la mano che tiene il foglio stropicciato, in un concerto di schiocchi acuti. È livido in viso, il suo tatuaggio sfrigola e si illumina nella parte dei petali più bassi.
-Tu e le tue assurde manie! Devi solo creare un collegamento tra i due tatuaggi e il Chakra, non altro! Basterebbero due righe da una parte e due righe dall’altra! Se proprio vuoi farlo, qualche fiore qui e là! Quanto pensi ti ci voglia? Due ore? Tre? Perché sono giorni che stai pensando a questa cosa? Avrebbe dovuto essere già pronto!
Così come Leo alza la voce, Shu di contro l’abbassa, cercando il dominio in una razionalità contraria, assottiglia lo sguardo glaciale.
-Forse non ti ricordi bene, la tua memoria si è raggrinzita come il tuo rispetto, che anche con un tatuaggio normale-
-Certo che me lo ricordo! Ci impiegavi giorni! Ma capisci che questa è una situazione di emergenza? Come puoi pensare che-
-I principi non sono relativi, Tsukinaga.
Leo boccheggia perché non ha una risposta pronta al momento.
Ma quando Shu torna a parlare, con voce fredda e che fa male, non è certo la ragione a smuoverlo – la paura accumulata nell’ultimo mese, da quando ha visto quel maledetto Potere entrare nel corpo del suo migliore amico e rimanervi dentro come un parassita, cominciare a mangiare pezzi invisibili di lui dall’interno.
-Tutto quello che vale in pace, deve valere anche in guerra. Non è forse così? Altrimenti si perderebbe persino il senso di determinate cose e ci sarebbe solo il caos. Senza una traccia precisa da seguire, da interpretare, da analizzare. Certe cose sono solo oggettive.
-Parliamo di concetti superflui, come bellezza e armonia! Sono pagliacciate! Non concetti importanti!
-Io non sono il Custode dei Sigilli e non ho intenzione di assumerne la responsabilità. Io offro soluzioni durature nel tempo, non passeggere. Ma capisco che il tuo coinvolgimento emotivo nella faccenda possa offuscarti la logica, Tsukinaga. Tu sei sempre stato qualcuno che si lasciava prendere dall’emotività.
-Sei proprio tu a dirmi una cosa del genere? Mi prendi per il culo?
A quel punto però, non servono neanche le parole di Shu per confermarglielo: Leo capisce una cosa che lo zittisce. Lo Shi ha ragione, non può essere lui a parlare in quel modo.
Capirlo razionalmente lo porta a una quiete quasi improvvisa, molto più dolorosa della rabbia stessa e delle parole di lui, che lo riducono a essere solo una sorta di bestia ferita.
-Gradirei che moderassi il linguaggio quando parli con me, benché tu sia in totale disaccordo.
C’è un lungo silenzio nella stanza, si sentono perfettamente tutti i rumori del temporale esterno.
Dopo quei tesi minuti, la voce di Shu pare addolcitasi.
-Se ti può essere di consolazione, avrò finito entro la fine di questa settimana. Non supererò comunque questo limite.
Le sue parole lo toccano poco.
Sull’orlo di un pianto, Leo alza gli occhi.
-Che significato può avere la bellezza, in questo frangente? Tra la vita e la morte, non è altro che un orpello inutile.
-Mi deludi, Tsukinaga. Lo sai benissimo: la bellezza può salvare le anime degli uomini.
Leo pensa di sorridere, ma Shu non vede alcun sorriso sulle sue labbra.
L’uomo più basso alza ancora il foglio stretto tra le sue dita, immobile davanti al fuoco. Ne ripercorre con un dito tutte le angolazioni, le svolte e i riccioli. Si avvicina allo Shi, quasi come uno scolaretto che non capisce dove ha sbagliato nella verifica.
-E questo angolo non va bene? Cosa c’è che non va, in questa linea?
Shu allora gli mostra il nuovo disegno, quella piega appena più a destra, più morbida e bassa, che parte dall’Origine e si allunga in diverse spirali. Forse, quella è la possibilità di porre diverse variazioni al legame con il Chakra a seconda della volontà del portatore, o chissà quale altro significato, Leo davvero non lo sa.
Guarda Shu quando gli parla.
-Penso sia migliore così. Non ti sembra più snella e leggiadra?
Sì, sì lo sembra. In effetti lo è.
Leo appoggia il foglio sul tavolo e Shu non lo sposta di un solo centimetro. Grattandosi il capo in un semplice gesto di timidezza – non c’è alcuna risata a salvarlo, adesso – si allontana ancora, verso la parte abitata dello studio.
-Posso riposarmi un attimo, Itsuki?
Shu è già tornato al lavoro, penna in mano e inchiostro nero.
Non conserva nella voce alcuna traccia di emozione umana, ormai.
-Vai pure nell’altra stanza. In teoria il tuo custode dovrebbe essere già arrivato, ma con questa pioggia e con questo vento è possibile che faccia tardi. Non sei tenuto a continuare a lavorare.
Leo annuisce, passivo.
Dà un’occhiata veloce a quella stanza lunga, ritrovando il letto dove è sempre stato, in fondo sulla destra.
Le manette sono diventate pesanti, lui è molto affaticato. Si lascia cadere sul materasso, rotolando su se stesso recupera una coperta nella quale avvolgersi, nella quale nascondersi, mentre un altro tuono infuria sopra le loro teste.
 
 
Leo si sveglia con un’immagine che gli scivola via dalla vista, come un sogno. L’aspettativa di qualcosa di incerto gli accelera il battito del cuore, delusa dalla solitudine nella stanza.
C’è ancora il rumore della pioggia, qualcosa che gocciola da chissà quale angolo del tetto.
Quando si muove, si ritrova intrappolato in una coperta che non ricorda affatto di aver preso da solo, adagiata mollemente sulle sue spalle. La scansa assieme a tutte le altre e la appallottola sul letto, per riuscire ad alzarsi.
I suoi piedi si muovono da soli: trascinando la catena, percorrono lentamente tutto il perimetro del tappeto spesso, passando davanti alle vetrine delle credenze ormai mezze vuote e anche quella piccola libreria piena di vecchissimi volumi sugli studi dei tatuaggi, stili diversi e rapporti spaziali con il Chakra. Appena più in là, in una zona lasciata sgombra, c’è la grande teca di Mademoiselle; vi si avvicina d’istinto, senza pensieri.
Lei ha lo stesso abito che aveva tre anni prima. Corpetto stretto e gonna larga, maniche a sbuffo e un cappellino pieno di pizzi sopra i capelli a boccoli, talmente tante balze e sottogonne da sembrare una nuvola. Come sempre, lo sguardo di lei fissa il vuoto, non mostra alcuna intenzione. La perfetta rappresentazione dell'immutabilità del tempo.
Leo però è fatto di carne e di emozioni, quindi si distrae con molto poco. Vede il proprio riflesso contro il vetro che rinchiude l’enorme bambola, di conseguenza vede anche il tatuaggio che ha dalla guancia.
Un fiore di ciliegio, rami, foglie e boccioli. Il tatuaggio che rappresenta i Poteri legati all’elemento dell’Aria.
Sposta i capelli lunghi di lato per vederlo meglio, percorre con il polpastrello delle dita i suoi contorni neri, dagli steli più bassi fino alla punta di quel petalo che oltrepassa la tempia e quasi si immerge nei capelli. È grande, perché grande è il suo Potere – o forse era solo un poco inetto lo Shi che lo ha disegnato, questo non lo può sapere veramente.
Non è sorpreso di sentire una voce provenire da dietro di sé.
-Bello.
Shu non aggiunge altro, non indica il soggetto di quell’aggettivo, lasciando che sia Leo a ipotizzarlo. Lui lo guarda attraverso il riflesso del vetro, poi si gira e lo fissa con occhi stanchi: Shu rimane contro lo stipite dell’arco che fa da ingresso alla stanza, senza muovere un singolo passo, così da costringerlo ad avvicinarsi. Lo Shi si rilassa solo quando è ben lontano dalla teca, davanti a lui.
-Quanto ho dormito?
-Un paio di ore, più o meno. È quasi passata l’ora di cena.
Lo guarda confuso, perché la mancata variazione di luce non gli ha permesso subito di avere un’indicazione precisa del passaggio del tempo. C’è poi un’ulteriore questione che non gli è chiara.
-I Knights?
Lo Shi risponde con una iniziale alzata di spalle, guarda con la coda dell’occhio la porta dell’entrata, ancora sigillata.
-Nessuno si è fatto vedere. E con questo temporale è possibile che non usciranno dal loro palazzo per tutta la notte. La funivia è inagibile con questo vento.
-Non ci saranno guai per questo?
-Non possono certo accusarti di aver creato la tempesta. Il tuo Potere è ben altro.
Leo fa una smorfia e non risponde.
Guarda oltre la sua figura, alla stanza illuminata dalle lampade – non è un caso che il suo sguardo finisca sul tavolo da lavoro, dove sono sparsi diversi fogli tutti scarabocchiati e tre tazze da tè vuote.
-Stai ancora lavorando?
-Ho dovuto interrompermi per togliere i panetti dal forno e per cucinare qualcosa. Riprendo dopo.
-Non sei stanco?
La domanda gli nasce spontanea sulla bocca prima che lui riesca a fermarla, e anche a mordersi le labbra ormai è troppo tardi. Infatti, lo sguardo di Shu ha un guizzo, non sa definire di quale natura, e il tono della sua voce cambia un poco. Lo Shi si stringe nel proprio abbraccio, quasi volesse proteggersi da qualcosa.
-Prima mi accusi di star perdendo tempo e ora mi fai questa domanda?
Anche Leo è bravo a proteggersi, forse troppo.
-Semplice cortesia, Itsuki.
-E da quando hai imparato le buone maniere? Andare in giro per il mondo ti è dunque servito a qualcosa?
-Quantomeno non sono diventato una mummia dentro quattro mura come te.
Rimangono zitti, a fissare le parole nella mente: lunghe sequenze di errori che si srotolano da pendii e diventano frane di emozioni.
Shu lo fissa come prima Mademoiselle fissava il vuoto davanti a sé: senza aspettarsi davvero un seguito. Il suo silenzio accresce il senso di colpa di Leo, che a un certo punto non sostiene più quel vuoto.
-Mi- mi fa male la testa, Itsuki.
-C’è del tè ancora tiepido.
Lo supera con passi veloci, avvicinandosi al caminetto spento su cui è appesa la pentola del tè. Prende una tazza dalla credenza e la riempie piano, sorseggiando poi il liquido ma senza sentirne il sapore.
Si fissa su una macchia del muro, ascoltando il niente perché anche le manette fanno silenzio. Irrompe un tuono dall’esterno, ed è forse un albero quello che cade in lontananza.
Alla fine, non riesce più a resistere.
-Forse non è stata una buona idea chiedere che ti aiutassi.
Shu si muove piano, si sente soltanto il fruscio dei suoi vestiti perché rimane immobile.
-Ti stai arrendendo dopo solo quattro giorni, Tsukinaga.
-Quattro giorni su sette mi paiono abbastanza per capire se qualcosa va o non va.
Pausa, Shu insiste a voce atona.
-Ti stai arrendendo.
Leo si volta a guardarlo, le dita talmente strette attorno alla tazza quasi da distruggerla.
Lo sguardo dello Shi è deluso, un pugnale nella sua sensibilità – nell’orgoglio che spunta come estrema difesa in una situazione svantaggiosa di partenza, dove già tutto sembra perso.
Si mantiene ironico, sarcastico, provocatorio.
-Anche se fosse? Come hai detto tu, il mio potere è ben altro! Stare qui fa perdere tempo a me e a te!
Beve veloce per cercare di ammorbidire la gola secca, lo fa troppo rumorosamente e si bagna tutto il mento. Nondimeno, la sua voce non è più gentile di prima, così come non lo è la voce di Shu.
-O hai tempo da sprecare, signor Shi?
-Vivo intensamente ogni istante, e mi sono promesso di non avere più rimpianti di nessun genere. Solo i codardi fuggono dal loro destino, o permettono a certi sentimenti di ostacolare i loro obiettivi.
-Rimpianti? Ah, ci sono certe cose nella vita che non puoi governare! Che ti capitano e basta!
-Questa è un’ottima giustificazione quando non si ha voglia di combattere.
-Credi davvero sia solo una questione di volontà? Mama certo non vuole soffrire, eppure ora come ora è rinchiuso dentro una torre in attesa di un giudizio definitivo.
-Non stiamo parlando di Mikejima. Non sviare l’argomento.
Leo apre la bocca pronto per ribattere, ma non ne esce alcun suono: non ha valide risposte da dare, sarebbe eccessivo comportarsi ancora da matto. Ma per quanto sia un’alternativa valida, dal suo punto di vista, decide di non farlo.
La sua indecisione lo quieta, o forse è il tè rilassante che comincia a fare il suo effetto.
Maledetta pioggia, maledetta tempesta. Tutto quel tempio rinchiuso nello Studio Shi Valkyrie non gli fa bene – beve ancora, ormai la tazza è quasi vuota.
Nel tempo che si prende, è Shu che lo rimbecca, senza dargli davvero tregua. Anche per lui, pare, c’è molto in gioco.
-Il tempo è prezioso, lo sai bene.
-Per questo non dovresti sprecarlo con me.
-È questo dunque che pensi?
Leo si blocca ancora a quella domanda, perché vorrebbe dargli una risposta secca e veloce, dovrebbe davvero farlo prima di ritrovarsi in conseguenze che non vuole assolutamente affrontare. È troppo lento, rallentato da timore e speranza che lottano ancora nel suo cervello.
Ma quando Shu fa un passo verso di lui sa già che ha perso. Lo Shi si tiene la mano sinistra ben stretta nel guanto per impedirle alcun tremore, gli occhi puntati sulla sua persona.
-Pensi che, dopo tanti anni, ti sia consentito fuggire da me? Anche se avevamo un accordo?
Leo rimane immobile a fissarlo abbassarsi le maniche larghe del vestito, per scoprire i polsi.
I due bracciali colorati di bianco e blu sono ancora lì, tintinnano quando lo Shi si muove. Leo svia lo sguardo, incapace di reggere quella vista troppo a lungo.
Lo alza e lo abbassa a scatti, borbotta sconnesso.
-Tu…
Deve appoggiarsi a un lato del tavolo per non cadere a terra, con le gambe tremanti. Quando viene appoggiata, la tazza fa un rumore sordo che si espande nella stanza. Prova ancora a borbottare qualcosa, senza guardarlo in viso.
-Perché indossi ancora quelle cose?
Il paradosso è che neanche la voce di Shu si è minimamente ammorbidita, come se tutto ciò che sta dicendo fosse una cosa normale e ovvia, largamente prevista.
Se Leo fosse appena più calmo, si ricorderebbe come Shu mostra la propria agitazione parlando molto – ma non ci riesce, perché è troppo impegnato a rispondergli per non lasciargli l’ultima parola, per non permettergli di finire i discorsi come desidera.
-Hai cercato tutto il tempo di vedere se le indossavo. Dalla prima volta a quel bar, fino a oggi. Se credi che non me ne sia accorto sei solo uno sciocco. Ma ora ti stupisci di vederli. Sei ben strano, Leo.
-Non mi aspettavo certo che li indossassi ancora.
Un altro passo, verso di lui.
-Perché mai? Hai deciso di rifiutarmi? Ti sei innamorato di qualcun altro?
Leo sente l’impulso di urlare, anche solo per calmare l’agitazione che ha in testa, eppure ha il respiro così spezzato, tanto che ciò che gli esce dalle labbra è solo un filo di respiro.
-Ti ho abbandonato tre anni fa.
Alza gli occhi umidi sulla sua persona, che ancora ha i polsi nudi davanti a lui.
Quei bracciali sembrano enormi attorno al polso secco di Shu. Era dimagrito molto in quel tempo e gli scivolavano molto in basso.
Shu aggrotta le sopracciglia fini, su una fronte che diventa una ragnatela di rughe di espressione.
-Sei andato via da Yumenosaki, ma io non ho mai saputo se fossi andato via da me anche sentimentalmente. Stai dicendo questo? Sei andato via da me?
Insiste, fa un altro passo.
-O stai dicendo che speravi che non ti stessi ancora aspettando, Leo?
L’uomo dai capelli lunghi abbassa di nuovo lo sguardo al tavolo, concentrandosi questa volta sullo schizzo del piede del leone-cane. Ha le spalle che tremano.
-Smettila di chiamarmi così.
Ormai Shu gli è vicinissimo, sente tutto il suo sottile livore.
-Smettila di evitare di rispondermi, Leo. Smettila di fuggire. Affrontami, e dimmelo.
Poco a poco qualcosa si sgretola, dentro di lui, finalmente. Un primo pezzo cede, la lotta si quieta.
Sbotta e balbetta, volta la testa ma non alza lo sguardo. Un fulmine cade, lui si interrompe.
-Sono stato via per tre anni. Non-
Fissa allora la vetrata davanti a sé, ingoiando lentamente saliva.
-Non avresti dovuto aspettarmi.
Con poche parole rivela quindi la sua paura e la sua speranza più grandi. Ha smesso persino di tremare, in attesa di quello che dovrebbe succedere d’ora in poi.
Shu sospira dopo qualche secondo, si massaggia la testa – è un gesto che faceva spesso, sempre vicino a esclamazioni come “Sei un idiota Kagehira”, “Sei proprio un demente, Leo”, Leo sente la sua voce nella propria testa recitare quelle parole, è per questo che percepisce il tono di lui con una simile intonazione. Non sembra contemplare altre possibilità.
-Sono il tuo promesso sposo. La formula di unione, che il giudice avrebbe dovuto pronunciare, accenna qualcosa al mantenersi sia nella sventura che nella fortuna, perché è questo che si fa di convenzione.
-Al bar, quella prima volta, non sembri avere la stessa opinione.
-Ero arrabbiato, e ti ho deliberatamente provocato e offeso.
-Mi ha fatto male.
-Anche tu mi hai fatto male, creando un vuoto fisico lungo tre anni.
Non osa chiedergli scusa, ma finalmente alza lo sguardo.
Shu incrocia il proprio con il suo, pare così sicuro delle proprie parole eppure è alla costante ricerca di una risposta decisa da parte sua, insiste ancora con le domande.
-Io ti ho atteso, Leo, e tu sei tornato. Qualsiasi siano le motivazioni che ti hanno spinto a farlo, tu l’hai fatto. Non è già questa una soluzione?
Insiste con le domande, arrivando ancora più in profondità nell’animo e nell’insicurezza del suo sposo.
-Riuscirai a sostenere il peso del mio perdono, Leo?
L’uomo più basso si ritrova esposto, senza averlo previsto. Ma così come lui conosce Shu, d’altronde, Shu conosce lui, e non dovrebbe essere una gran sorpresa che sappia istintivamente quali corde toccare, per provocare in lui una reazione.
Avrebbe così tante parole da dirgli, una peggio dell’altra – sceglie ancora una volta di non dirle, per quanto lo sforzo sia grande; lo fa solo per Shu.
Quindi, lo Shi sferra il proprio ultimo attacco.
-Io non ho mai pensato che il tempo che ho condiviso con te fosse sprecato. E ho tutta l’intenzione di riempire quel che mi resta da vivere della tua presenza.
Gli tremano le labbra, in un corpo altrimenti immobile.
Dentro la sua testa, cedono le fragili barriere che si è costruito nell’impeto del dolore, e smette ogni finzione.
Ma troppo a lungo Leo ha finto di non provare nulla, relegando la propria sensibilità in fondo all’animo. Il dolore che portava dentro di sé è cresciuto giorno dopo giorno, anno dopo anno, anche quando pretendeva di non ricordarsi neanche il nome di quello Shi dai capelli rosa.
Senza più difese, tutto riemerge.
Tenta una volta a parlare, ma gli esce solo un verso strozzato, che copre guardando da un’altra parte. Poi, invece, riesce a formulare parole di senso compiuto – e non si ferma più.
-Sai, Shu, avevi ragione perfettamente. Ho paura, ho sempre avuto paura. Sono arrivato a Yumenosaki perché costretto, nessuno Shi ha le stesse capacità di Sakuma, che io sappia, o le tue, o quelle di Shinkai! Sono tornato unicamente perché avevo paura che Mama morisse, e come potevo permetterlo? Come potevo lasciare che un Potere facesse scoppiare il mio migliore amico? Dopo tutto quello che è successo in questa città, dopo che per anni sono stato un Knights. Grandi questioni di giustizia e giustezza, come un uomo possa vivere in relazione con questo parassita del qi, ma la verità è che quando siamo esposti in prima persona perdiamo il controllo e la ragione, e io avevo paura.
Lo guarda ancora; Shu rimane assolutamente zitto, in attesa di qualcosa che deve avvenire. È il suo turno di pretendere.
Leo, quindi, non si ferma.
-Non volevo vederti, Shu. Non volevo vederti, perché sapevo che sarebbe finita così. Mi vergognavo di non essere stato forte, di non essere forte abbastanza. Io! Proprio io! Che senso hanno i discorsi folli se poi-
Lo Shi lo ferma quando le sue parole cominciano a intavolare argomenti che non desidera affatto.
-Stai vaneggiando, Leo. La tua sola esistenza rende ricca la mia in un connubio florido che non conosce equali.
L’altro spalanca gli occhi, incredulo.
-Ho sperato mi odiassi.
-Non ho odiato te, ma certo ho odiato i tuoi gesti.
Un certo fastidio arriccia gli angoli della bocca dello Shi, che si ritrova costretto ad ammettere qualcosa.
-Mi ricordavo la tua risata ogni volta che tentavo di odiare te.
A quel punto, certo riderebbe. Una cosa tanto stupida, tanto esagerata, tanto romantica, la potrebbe dire soltanto quel pazzo di Shu Itsuki. Nessun altro al mondo sarebbe riuscito ad addurre la sua risata come una buona ragione per non odiarlo, così come nessun altro al mondo avrebbe definito bello il tatuaggio sulla sua guancia, o lui stesso.
Eppure, Leo non pronuncia verso, fa fatica persino a respirare. Ridere spezzerebbe quella tensione, sfogherebbe quella tempesta di emozioni che sente nel petto e che gli confondono la mente, quel gesto lo libererebbe subito dalla responsabilità sentimentale che ha nei confronti di lui e romperebbe ogni tentativo di discussione. Irriverente, irrispettosa, provocatoria.
Shu si avvicina ancora.
-Leo.
Prova a toccarlo davvero, l’altro fa un gesto istintivo di lato per sfuggirgli.
-Non-
Il gesto viene solo accennato, da entrambi, così che non c’è un vero contatto e non c’è neanche una vera fuga. Forse è troppo, Shu ritira a fatica la mano al petto, quasi fosse stata scottata.
Si avvicina con il viso e, pian piano, riesce ad appoggiare la fronte contro la sua senza che lui scappi. Un tocco ancora più intimo di quello che sarebbe stato con la mano ricoperta dal guanto, la sua voce sottile.
-Sei ancora mio, non è così? Corpo, spirito e mente?
Leo fissa il petto di lui che respira pianto, il polso nudo. Tutto, pur di evitare di guardarlo negli occhi.
Balbetta ancora.
-Mi ha reso-
Si lecca le labbra, ingoia saliva, ma parlare gli riesce ancora difficile.
-Pazzo, l’idea di non averti più. Eppure non riuscivo a-
La mano di Shu si rilassa, per Leo è ipnotico il lento movimento che compie. Quella mano è così bella, lunga e sottile.
Riesce a guardarlo negli occhi: non vede proprio più altro, cullato dalla sua voce.
-Non basta una notte per costruire un amore, così come non basta una notte per distruggerlo! Il tempo ha sempre valore, per me e per te! Il tempo è uno di quei concetti che non sono relativi, come la bellezza!
Shu gli concede qualche secondo di silenzio assorto, prima di insistere.
-Ma dimmi, Leo. Dopo tre anni, mi ami ancora?
C’è il rumore della pioggia, un tuono molto lontano.
Il fuoco scoppietta ancora nel camino, i loro respiri si sentono appena nell’aria pesante di umidità.
Shu ha le guance colorate di rosa pallido, il delicato colore dei fiori più belli.
Quando parla, Leo lo fa con una punta di nuova sicurezza.
-Voglio vedere una cosa.
Lo Shi non reagisce bene, sulle prime: si irrigidisce e allontana la propria testa, irritato.
La mano sinistra gli trema, la voce diventa profonda per qualche parola, piena di un disprezzo vecchio.
Per un attimo, è stranamente come se non fosse più lui
-L’ennesima prova? A tal punto stuzzichi la mia pazienza? Sei veram-
Leo è svelto però a mettersi in punta di piedi e a picchiare la propria fronte contro la sua, in maniera un poco meno gentile di quella usata da Shu. Almeno, ha la sua attenzione: lo Shi lo sguardo di nuovo presente.
-Ti chiedo ancora di perdonarmi. Ti darò tutte le risposte che vuoi.
Ancora più sicuro, perché teme che a quel punto Shu non ammetterebbe il minimo dubbio.
Per quella sicurezza, Shu vuole dargli un’altra volta credito.
 
 
Prima che Shu possa anche solo pensare di fermarlo, Leo gli prende la mano ferma e lo trascina verso la porta, che apre veloce e veloce ci esce, consegnandoli alla pioggia scrosciante – non un filo di vento è entrato dentro, a fare danni. Lo Shi si libera ed impreca ad alta voce, completamente fradicio in meno di mezzo secondo, cerca un disperato riparo sotto il suo mantellino leggero. Leo ride e comincia ad allontanarsi nella pioggia, lentamente; Shu impreca e lo segue, lo chiama ad alta voce, ma il passo sicuro di lui e quello incerto dello Shi creano una distanza sempre più marcata tra i due, tanto che ben presto l’uomo con i capelli rosa arranca nella pioggia e vede di lui solo un’ombra.
Allora Shu abbassa lo sguardo e vede le orme, che vanno a destra verso la boscaglia. Segue quella direzione – le sue belle scarpe si immergono nel fango, rovinate e sporcate per sempre.
Urla il suo nome oltre i tuoni, nel tentativo di richiamarlo, nessuno risponde e la sua figura si allontana sempre più. Cammina ancora, il freddo e il bagnato ormai fin dentro le ossa, anche le viscere fradice. A un certo punto della strada, le orme si mescolano con l’erba e non c’è una traccia precisa su dove Leo si sia diretto, persino la sua ombra è sparita.
Però, Shu ha capito subito benissimo dove sia andato. Al bivio che va verso la boscaglia, delimitato dai due alberi, gira ancora a destra scendendo lungo il pendio della collina.
Si ritrova a dover lottare con l’equilibrio, quasi cadere all’indietro a un passo poco cauto; si appoggia con mani e sedere alla terra inclinata, per evitare di farsi male. Impreca e insulta il vento, mentre prosegue.
Sopra la sua testa, le fronde degli alberi rallentano un poco il battere terribile della pioggia, disperdono anche il vento freddo. Ma non possono proteggerlo quando poi la boscaglia si apre a uno spiazzo verdissimo, al cui inizio stanno due pietre, come due colonne all’entrata di un tempio.
In mezzo allo spiazzo, si erge quel ciliegio millenario, con foglie di un verde mai visto. Davanti al ciliegio c’è Leo, immobile. Shu si deve appoggiare un poco al masso grande per riprendere fiato, assaggiando il sapore della pioggia. Sembra quasi di vivere un sogno – forse è solo la nostalgia.
Si rialza e raggiunge l’amato lentamente, sotto la pioggia battente. Altro tuono, ancora lontano.
Si mette al suo fianco senza dire nulla e fissa quell’albero come l’altro lo sta fissando, con intensità. Può solo intuire i suoi pensieri: ricordi legati a quel luogo e le loro promesse d’amore, la stessa speranza sostenuta da radici profonde esattamente come l’albero.
Si sarebbero dovuti sposare davanti al ciliegio che aveva fornito i petali per l’inchiostro del tatuaggio di Leo, primo tra tutti i testimoni della validità della loro unione. Uno Shi che si sposa è certo una cosa insolita, richiede una propria cerimonia tutta particolare. Senza possibilità di avere figli, di avere un reale futuro, di avere un’eredità, è un patto legale di siffatta incredibile natura da risultare oltremodo bizzarra.
Shu lo vede muoversi con la coda dell’occhio, quindi per la seconda volta realizza tardi cosa sta facendo. Ha alzato il braccio verso di lui, tenendo aperta la mano perché la prenda. Davanti a un altare, è quello il gesto che dovrebbe fare uno sposo.
Lo Shi ha qualche difficoltà a comprendere, chiuso nelle proprie braccia incrociate. Leo gli restituisce lo sguardo e sorride, occhi lucidi ed espressione rilassata.
Anche senza che Shu gli prenda la mano, Leo solleva lo sguardo al cielo, sospira e fissa un particolare ramo intrecciato del ciliegio. Recita una formula a memoria, litigando la maggior parte del tempo con la pioggia che gli cade in bocca. Sbaglia persino un paio di volte, si deve ripetere qualche frase e ride davvero, infreddolito e libero.
Shu ha lo sguardo così sottile, pare abbia gli occhi chiusi. Ascolta tutta la formula della cerimonia di matrimonio e non lo interrompe, aspetta che sia il suo turno e recita a propria volta, senza sbagliare neanche una pausa.
Si guardano a lungo, in silenzio,
Quando anche sulle labbra di Shu spunta un sorriso vero, capace di sciogliere persino il gelo della pioggia, Leo sa già cosa avverrà dopo. Guarda la sua mano sottile ed elegante togliere dal polso uno dei bracciali colorati e porlo a lui come simbolo di fedeltà e rispetto.
Il candore per la sincerità delle intenzioni.
Il blu per l’intensità dei sentimenti.
Sono colori che rispettano tradizioni antiche, associazioni cromatiche usate spesso dagli Shi stessi.
Nell’indossarlo, Leo fa la propria promessa di amore eterno a Shu ed è tutto quello che serve – non un sacerdote, non il giudizio altrui.
Il vento a quel punto smuove le fronde dell’albero davanti a loro, suonando parole delicate in una pioggia di foglie e acqua. I due uomini si prendono la mano e rimangono ancora fermi, ad ascoltare la discreta benedizione del ciliegio.
 
 
Cade una pioggia ancora forte quando riescono a raggiungere lo Studio Shi, ma il vento si è calmato.
Shu apre la porta di ingresso ed entra in una stanza ancora in ordine, solo un paio di fogli caduti a terra e la teiera che balla appena sopra il proprio sostegno. Sente Leo al suo fianco, silenzioso; non gli lascia la mano.
Si tolgono gli stivali pieni di fango prima di insozzare qualsiasi cosa, con piedi nudi si dirigono alla parte sinistra dello Studio, verso la stanza del bagno. Spaziosa, ampia, rilassante.
Il padrone di casa aziona i due meccanismi che scorrono in tubi e filamenti per tutte le pareti, per mezzo di due leve dai pomi d’ottone: uno per richiamare l’acqua della cisterna alla vasca grande, l’altro per scaldare ciò che contiene la vasca. Quindi, due rumori distinti cominciano a correre per le assi di legno scuro, tra lo sfrigolare del calore e lo scorrere del liquido chiaro.
I due uomini si lasciano la mano quando dal tubo alto della vasca comincia a uscire acqua tiepida, in un fiotto piuttosto consistente. Nel giro di qualche minuto, l’orlo sarà quasi colmo.
Cominciano a spogliarsi, rimangono uno accanto all’altro.
I vestiti di Leo sono fatti in modo da poter essere sfilati senza rompersi, per mezzo di lacci e cerniere messi in appositi lati. È facile anche con le manette addosso.
L’uomo più basso tenta anche di aiutare l’altro a spogliarsi, quando la manica della camicia fa resistenza perché si è arrotolata attorno al gomito; Shu però è più veloce, rimane a petto nudo davanti a lui senza che l'altro riesca a prepararsi psicologicamente. Leo non lo ricordava certo così bello, così desiderabile.
Lo Shi non lo guarda neanche in faccia, rossi gli zigomi e le labbra continuamente morse. Ha qualche attimo di incertezza e poi si toglie anche i guanti, lo guarda in viso.
-Se non andiamo, ci prenderemo davvero un malanno.
Lo precede, mentre lui deve ancora togliersi i pantaloni. Lo Shi si mette in un angolo della vasca, in modo che Leo possa occupare l’altro – lo hanno già fatto altre volte, in passato, e né lui né Leo sono cresciuti in altezza. È solo un gesto abitudinario, come tanti altri che avevano dimenticato.
L’acqua è piacevole. Diversi brividi corrono lungo tutto il corpo di Leo dal primo dito del piede che immerge, poi fino alla caviglia e quindi il resto della gamba, il resto del corpo. Si incastra tra le gambe di Shu e il bordo della vasca perfettamente, ma solo per qualche secondo.
Poi si appoggia con le mani ai bordi, tirando al limite la catena, e si sporge in avanti fino a che i loro visi sono vicinissimi e i loro respiri si mescolano di nuovo. Shu questa volta non sfugge al suo sguardo, anzi lo ricambia con la stessa intensità.
Ma alza una mano ai suoi capelli e, con un gesto, disfa quel nodo che glieli tiene legati. Butta il laccio che anni prima ha cucito egli stesso per Leo e poi accarezza quei capelli lunghi, dritti e zuppi; risale la loro lunghezza fino al capo di lui e lo accarezza lentamente, dalla nuca fino all’orecchio, e poi con il pollice sulla guancia piena di inchiostro. Sempre fissi al viso di lui, gli occhi di Leo luccicano di qualche emozione troppo forte per avere un nome solo, il suo respiro si accelera tanto che Shu saprebbe anche precisamente prevedere quando intende baciarlo, se solo non fosse ancora più esplicito.
-Posso?
Sussurra quella richiesta piano, per non fare troppo rumore. Vuole il suo consenso a procedere, perché senza potrebbe sembrare irruenza dei corpi, l’urgenza di ormoni impazziti. Non è solo quello: è cuore, è sentimento, è razionalità e irrazionalità assieme. È la perfezione.
Shu risponde con la stessa delicatezza, lo stesso rumore di una bolla che scoppia.
-Sì.
Leo si sporge verso di lui e finalmente arriva alla sua bocca. Gli era mancata la sensazione, gli era mancato il sapore – gli occhi aperti sempre, l’uno e l’altro.
Shu gli prende la testa con entrambe le mani dopo pochi secondi, in modo da tenerlo fermo mentre approfondisce il bacio. Leo si avvicina come può, cerca di farsi strada tra le sue gambe e tanta acqua fuoriesce dai bordi della vasca. Si toccano con la fame di anni d’astinenza.
Poi, con qualche scambio confuso e non del tutto razionale, Shu viene catturato dalle sue braccia e attirato contro il suo petto, intrappolato oltre la catena, si ritrova quindi seduto sopra le sue cosce ad appoggiarsi alle spalle ferme, dritte. Sono affannati, perché troppo presi da loro stessi hanno persino dimenticato di respirare.
Shu ha la bocca aperta a pochissima distanza, sembra volerlo mangiare e lo guarda, tocca ancora il suo viso in ogni curva e in ogni piega. Leo non dice nulla mentre lo accarezza e lo spettina, molle e plasmabile sotto le sue dita attente; gliele bacia una a una, quando passano anche sulla sua bocca, gliele succhia e gliele lecca se indugiano troppo.
Lo tocca in parti intime e ride alla sua reazione sorpresa. Lo Shi bofonchia qualcosa di molto divertente, forse uno “screanzato” o qualcosa del genere. È lui stesso poi a spingersi e a dondolare contro il suo bacino, sollevarsi appena perché il tocco arrivi in zone ancora più sensibili e morbide.
Meno carne, ma la stessa reattività. Leo scopre una piccola sporgenza sul fianco, l’osso del bacino che prima non è stato mai così definito ma in quel momento sembra così tanto interessante, oltre la schiena e i glutei.
Shu si muove sempre con grazia precisa, per dargli quanto più piacere possibile. Come chiede, così dona.
Per tutte le ore della notte, Leo si lascia baciare e amare.
 

 



 
1-1
Qui link alla fanart completa
Credit: migurin
 






Note Autrice: Aggiornamento del lunedì!
Che dire amici e amiche. Questo è, letteralmente e in tutti i sensi possibili, il capitolo CENTRALE della mia LeoShu. Sia in ordine di importanza, sia in ordine di temi trattati, sia in ordine di spazio e tempistica, sia in ordine di narrazione. Davvero è il centro di tutto, e infatti è anche il capitolo più lungo dell'intera long - immagino si sia notato a una certa
Leo e Shu passano "il primo scoglio" della tensione che c'è tra di loro, finalmente si parlano e quindi si re-incontrano, dopo tutto il tempo che hanno passato l'uno distante dall'altro. Come ci insegna enstars caonico - lol - la cattiva comunicazione porta solo a disastri, e se questi due volevano migliorare e fare cose, avrebbero dovuto per forza superare quella loro iniziale distanza che c'era, per forza di cose. Certi problemi non sono semplici nè immediati da risolvere, ci vuole il giusto tempo e la giusta calma - e questo è anche un motivo per cui questa riconciliazione c'è ORA, perché non pensiate sia finita qui *no no assolutamente no no*
PERO' questo primo passo è importantissimo. E infatti vediamo quanto entrambi siano coinvolti emotivamente nella questione, tanto da esporsi fin nell'intimo.
Poi vbb io sono sempre una persona estremamente romantica, quindi tutta la scena del ciliegio è come dire... una cosa che visivamente mi piaceva un sacco... ma proprio un sacco un sacco... e non so se qualcuno lo ha notato ma E' LA SCENA CHE HA ISPIRATO L'AVAR PRINCIPALE DELLA STORIA QUINDI CAPITE CHE mi emoziono da sola ecco (...)
PARLANDO DELLA COLONNA SONORA ovviamente non poteva che essere QUELLA, perché quella canzone è bellissima e specialissima, è dolce e romantica e ha quel tratto di malinconia GIUSTO anche per l'atmosfera di questo capitolo in particolare. Al di là di tutto, io l'ascolto a ripetizione spesso perché è così piena di significato e amore...
La fanart del capitolo è ovviamente dedicata alla coppia principale uu/ ho messo solo la preview per ovvi motivi *meheheheheheh*, ma se oltre quella andate a vedere l'account di migu, assicuro che non ve ne pentirete affatto, è un sacco brava e fa un sacco di cose super belle!
Non ho altro da dire! Vi ringrazio di aver letto fin qui, vi mando baciozzi e vi saluto, alla prossima settimana as usual (L)
   
 
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