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Autore: LeanhaunSidhe    10/07/2020    5 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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In quante parti può spezzarsi un cuore?”

Per quante sono, deve continuare a battere.”

❄️❄️❄️

Seleina aveva trattenuto il fiato mentre Zalaia usciva, chiudendosi la porta dell’infermeria alle spalle. Aveva abbassato il viso al giaciglio di Kiki. Il respiro del cavaliere era flebile e stanco ma si stava mano a mano regolarizzando. Ne strinse appena la mano. Fino alla fine, suo fratello aveva tenuto fede al proposito di non lasciarla sola. Anche se non erano legati per sangue, nessuno avrebbe potuto spezzare il vincolo che li univa. Sarebbero stati fratello e sorella per sempre, anche se guerrieri di due caste tanto diverse. Ne abbandonò le dita gelide dopo averle strette un po’ più forte.

C’era però un altro legame che non si poteva spezzare e reclamava il suo intervento. Serrò le palpebre, con la consapevolezza che, quando le avrebbe riaperte, non avrebbe più avuto neppure un istante per esitare. Respirò imponendosi calma. Nella sua mente il rosso e nero luminosi della lava presero forma. Haldir ululava. Bestia senza senno, non avrebbe atteso a lungo il suo intervento. Ovunque si fosse nascosta, lui l’avrebbe trovata.

Uscì da quella stanza silenziosa come un’ombra. Non avrebbe messo in pericolo anche altri. Quella questione riguardava solo i Polaris ed Haldir. Aveva imparato i percorsi secondari già dalla prima volta che aveva messo piede in quel villaggio. Si allontanò celere, non vista. Dopo poco, era già lontana.

❄️❄️❄️

Come era lei?”

Era solo una bambina col naso rivolto alla volta celeste, persa a cercare le stelle di suo padre o ammirarle tutte. Meravigliose, che brillavano alla stessa maniera. Come tutti i cuccioli, però, era curiosa. Sentimento giusto, visto che quel patto includeva una sua antenata. Haldir sbuffò, richiamandone i dettagli alla memoria.

Aveva i capelli neri, gli occhi grigi.”

Il gigante bianco aveva osservato la sua delusione. Una risposta anticipa però una nuova domanda, poi un’altra ancora. Era ovvio che non le interessasse l’aspetto fisico della sua antenata. Non solamente almeno.

Ed era bella? Più di mia zia e di mia mamma?”

Aveva inarcato un sopracciglio, seccato.

Per me lo era. Soprattutto quando stava da sola con me, senza tutti quegli orpelli con cui quella della tua razza obbligano le femmine d’alto rango. Come se fosse un vestito o un’acconciatura a stabilire il valore di una persona. Per tacere delle convenzioni sociali.”

Si stupiva sempre di se stesso,di quanto fosse naturale conversare con quella creatura. Lui, che due parole di fila erano già troppe. Come se lei poi, dal basso dei suoi pochi anni, potesse davvero comprendere. Avrebbe dovuto però ricredersi. I cuccioli, a qualsiasi razza appartenessero, avevano sempre il loro personalissimo ed istintivo modo di comprendere.

Si vede che le volevi tanto bene.”

Seleina aveva stiracchiato le gambe, intorpidite per il lungo tempo in cui le aveva tenute incrociate. Aveva taciuto per un attimo. Sicuramente ci aveva pensato su.

Ma lei ti voleva bene quanto tu ne volevi a lei?”

Apparentemente impassibile, anche Haldir aveva scrutato le stelle, prima di rivolgersi alla bambina.

All’inizio sì. Mi amava così come io amavo lei. Ma era giovane e fragile. I suoi e tuoi simili l’hanno portata a dubitare del nostro sentimento. Lei ha ingannato me per proteggersi ed io ho ingannato lei, per l’affronto subito. Ci siamo amati ed odiati con la stessa intensità.”

Non erano discorsi che un essere umano avrebbe mai affrontato con un cucciolo ma i Dunedain, specie i suoi figli, per natura leggevano le anime e giocavano coi sentimenti. Capivano prima certe cose, anche troppo presto. Era nella loro natura. Ancora non immaginava che presto, anche per quella bambina a cui si era affezionato, sarebbe stato così.

Seleina aveva assottigliato lo sguardo e piegato le labbra, scrutandolo. Chiaramente non era convinta.

A me sembra invece che tu la ami ancora molto. Altrimenti, grande come sei, l’avresti trovato da tempo un modo per liberarti del patto.”

Haldir era rimasto senza parole. Semplicemente perché, forse, era vero. Un modo c’era. Gli era bastato aspettare che la genia dei Polari si mescolasse a sangue non asgardiano. Gli sarebbe bastato prendersi la sua vita per distruggere quel patto che lo obbligava a presentarsi agli ordini dell’ultima Polaris di turno. Lui però era troppo affezionato a quella ragazzina per osare anche solo pensarla una cosa del genere.

La lasciò avvicinare, che gli tirasse con la mano troppo piccola la stoffa dei pantaloni.

Io però te lo prometto. Non ti ordinerò mai niente e non ti obbligherò mai a nulla. Anzi, se ci sarà un modo per liberarci del patto, acconsentirò.”

Haldir aveva riso. Ne aveva sentite tante di stupidaggine nella sua lunga esistenza. Si concesse di leggere in quell’anima piccola ed innocente che tante volte gli aveva offerto ristoro. Per celia, perché non poteva assolutamente crederci neppure lei ad una cosa del genere. Invece, colpito, tacque. Quando aveva pronunciato quelle parole, lei era sincera.

❄️❄️❄️

Taka aveva grugnito e si era scossa sulla sedia. Il suo russare era diventato subito meno rumoroso. Il respiro si era placato, con la pigrizia di un’onda che digrada lenta verso la battigia. Repentine, le rughe della fronte si erano arricciate, a segnare solchi profondi che accartocciavano di più la pelle. Aveva spalancato le iridi lattiginose. Nel profondo della mente e del cuore solo nebbia.

Presente e passato di confusero illusori nella sua mente. Al bianco caliginoso della sua anima bistrattata si sostituì il rosso. Del sangue che aveva versato, per difendere suo figlio. Schizzi vermigli e vivi su gote rigate di cucciolo indifeso. Il pianto sottile e confuso di Tabe mentre lo allontanava dal corpo sgozzato del suo amante. Di nuovo giovane, aveva preso in braccio il suo piccolo e sorpassato quel morto esangue con un solo salto, senza voltarsi indietro. Aveva lasciato scivolare l’arma sporca dal proprio braccio inerte, mentre ripiegava le dita ossute e le racchiudeva dietro la testa del figlio, spingendolo sulla propria spalla, perché non posasse più lo sguardo su quell’orrore. I suoi passi erano agili e silenti. La sua voce bassa e tagliente mentre intonava la ninna nanna di quando era appena nato, per calmarlo.

Quando quello scellerato del suo amante aveva parlato male di lei aveva sopportato: in fondo era vero che era quasi una vecchia con un moccioso nato per caso, rispettata solo in virtù dei suoi poteri. Aveva taciuto persino gli schiaffi, poiché aveva ritenuto fondata pure l’accusa di essere una di costumi piuttosto liberi, visto il gran numero di compagni che cambiava dalla morte prematura di quello legittimo, tutti giovani ed affascinanti, lei avanti negli anni e brutta come era.

Ma che qualcuno osasse anche solo pensare di levare un dito su suo figlio, quello no, non avrebbe mai potuto tollerarlo. Ed il falcetto aveva reciso la giugulare con la stessa maestria con cui tagliava le erbe mediche nei prati isolati. Inesorabile. Come le gocce di sangue che colavano dalla lama ricurva, disegnando uno spicchio di luna e lasciando tracce rosse sul pavimento o sull’ordito scuro della sua veste.

C’era sempre stato il rosso nella vita e nella mente di Taka, in ogni istante. Persino in quello in cui aveva smesso di essere la madre solo di Tabe, quando quel maledetto era stato esiliato per la malvagità estrema delle sue azioni. Quel giorno, quando Haldir lo condannava, aveva sputato in faccia al suo erede, prima di essere la prima ad allontanarlo.

Il sangue e il fuoco erano ragione e scopo della sua esistenza, da sempre. Da quando aveva maledetto il suo ruolo di genitrice per quel disgraziato. Da quando aveva smesso di essere la madre di uno. Per lavare la colpa, aveva deciso di diventare la nonna di tutti. Nel suo abbraccio stretto e rapace aveva deciso che avrebbe difeso tutto il clan, dopo Haldir. Lei aveva sempre saputo quanto era importante preservare quelli che andavano protetti. I cuccioli erano da sempre linfa, vita. Vicina alla vecchiaia, era diventata davvero Taka. Nel sangue e nel fuoco era rinata e vissuta ogni volta. Sangue e fuoco, reclamavano di nuovo il suo interesse, ancora. Li sentiva gorgogliare ed ululare insieme.

Spalancati gli occhi lattiginosi, impugnò il suo bastone ricurvo, prima di raggiungere l’esterno con quanta più velocità il suo corpo malconcio le concedesse. Zoppicava ma coprì in pochi minuti la distanza che la separava da suo figlio e quell’altro incapace. Degni eredi del cane da guardia balordo che Haldir si era abbassato a diventare.

❄️❄️❄️

Quando gli aveva chiesto se fosse davvero il figlio di Taka, Tabe aveva inarcato un sopracciglio. Poi, alla curiosità di quell’umano, si era fermato a rivangare il suo passato di salsedine e correnti. Il cavaliere dello Scorpione aveva la pelle dorata degli uomini nati in terra di Grecia e l’interesse genuino delle persone senza malizia, dotate sì di intuito ma poco avvezze ad impostare trame machiavelliche. Un guerriero abituato ad eseguire ordini, non interrogarsi sui motivi che c’erano dietro, Uno che, almeno la prima volta, sarebbe stato semplice ingannare.

Tabe sorrise con quell’espressione malinconica che sfoderava di rado, quando la stanchezza aveva il sopravvento e non gli permetteva di essere lucido e del tutto presente. Rare occasioni in cui posava le vesti del folletto malevolo per vestire quelle di ciò che era stato. Si era seduto incrociando le gambe a terra. Stirate schiena e braccia, aveva portato le mani sotto le cosce. Aveva tanto da rievocare. Agli angoli della mente, pizzicava anche qualcosa da nascondere.

“Sono davvero il figlio di quella donna. Sono nato molti secoli fa.”

Ammise suo malgrado. Lo sguardo perso lontano, nei colori accesi del mondo che a lui, a differenza di sua madre, non erano mai stati preclusi.

“Così tanti che chissà… forse chi ha forgiato la tua armatura era ancora in fasce in quei giorni.”

Aveva iniziato a dondolare la schiena, nel modo solito di ogni volta che era stanco, avanti ed indietro, come l’eterno andirivieni delle onde. Si era sempre sentito composto d’acqua, malleabile e senza forma come le anime (1) di quell’elemento. Capace di scavare in profondità e rendere folli tale e quale quelle creature. Sapeva che spossato non avrebbe potuto nascondere a lungo quella sua particolarità. Del resto, non si era mai vergognato di essere un po’ matto. Perdere in alcuni frangenti il contatto con la realtà era lo scotto che aveva accettato per divenire così abile nel manovrare quelle creature. La loro magia era tutta un dare ed avere. Per entrare in sintonia con la terra, sua madre aveva finito per diventare ceca. Bisognava avere molto da offrire per giocare con quella magia e riceverne il potere. Per diventare grandi.

Tabe sospirò. Quella sua nuova mezza sorella aveva ben poco da concedere in cambio per sciogliere il legame col loro mondo magico, oltre alla vita. Lo aveva però supplicato di coprire la sua fuga. Tabe allora si era concentrato immediatamente per inibire i poteri di sua madre e le capacità più particolari di quegli umani. Leggendo in loro, aveva intuito immediatamente pure della delusione dell’Ariete. Ma non era quello che importava. Fissò il cielo beffardo del tramonto e le sue dita rosse che ghermivano le nubi. Rise forte, squillante. Che lo definissero strano pure gli ateniesi oltre agli altri Dunedain, ma ne catturasse pure del tutto l’attenzione. Certo di esserci riuscito, aveva appena iniziato a raccontare delle peregrinazioni di sua madre. La più lunga per mare, quella di quando era nato. Taka si stava svegliando, e giungeva da loro, più veloce che poteva, arrabbiata. Aveva capito presto per l’intervento di chi aveva perso il controllo su quella ragazzina. Presto ma non subito. Se la ritrovò davanti che aveva strattonato lo Scorpione, ben più alto di lui.

Taka aveva affrontato suo figlio ringhiando, dirigendo il bastone dritto sopra la sua testa, prima che lui si liquefacesse in gocce scintillanti che bagnavano il legno ed i piedi di una vecchia. Tabe le era ricomparso alle spalle, a privarla dell’arma improvvisata, nonché appoggio.

“Innalza di nuovo la barriera prima che si scateni il finimondo.”

Intimò alla madre, mentre questa ancora berciava.

Poco abituati a quel sipario, gli ateniesi si erano ritirati in disparte, fra loro.

A Zalaia, però, non sarebbe riuscito a mentire. Non poté nascondere che stava per scatenarsi qualcosa.

Gli batté la mano sulla spalla, prima di incamminarsi verso sua madre, sul punto più alto delle mura: forse non sarebbero bastate le anime della terra a difenderli tutti, quella volta.

“La padrona ha scatenato il cane da guardia e noi dobbiamo proteggerci, bambino dalla dita di miele. Organizza la difesa, che se lei non riesce a richiamare la sua bestiola qua finisce male tutto.”

❄️❄️❄️

A Seleina sembrava di avanzare sospesa tra il sonno e la veglia. Le sembrava assurdo che quella in cui si fosse cacciata fosse effettivamente la sua realtà. Eppure, era reale in sapore del sangue che le si spandeva in bocca. Esattamente come l’energia che le scorreva sotto pelle, nelle vene delle braccia e delle gambe. Nei suoi piedi che, mai, erano stati così veloci. Davvero, il potere di Haldir, che la consumava, la stava pure rendendo ricettacolo di un potere spropositato. Per un attimo, la testa prese a girare. I muscoli a tirare. Eppure, non sarebbe riuscita ad arrestare la sua corsa.

Nella sua mente, l’ululato di Haldir era risuonato feroce. Anche la coscienza del suo signore era distante, sopita. L’aveva visto ringhiare e dimenare il capo. Distruggere il ghiaccio che lo circondava per tuffarsi nel rosso bollente della lava. Aveva ringhiato di nuovo Haldir. L’ululato, per un attimo, era divenuto guaito, grido di atroce dolore. Il fuoco aveva circondato la sua mole mastodontica e il pelo sfrigolava nell’abbraccio ruggente della lava.

Ma la forza della vita non si arresta. Quando vuole sopravvivere è più atavica della morte. Si era fermata Seleina. Aveva tremato, trattenendo il fiato. Haldir aveva urlato. Il suo lamento di bestia graffiava quanto uno umano. La terra sopra di lui, però, esplose all’istante. Il gigante bianco, col manto in alcuni punti bruciato, era emerso dall’abisso. Neppure il fuoco l’aveva trattenuto.

Zoppicava appena per una scottatura più evidente alla zampa anteriore destra. C’era la pelle bruciata sotto il pelo scarmigliato. Eppure, il suo sguardo allucinato era lucido. La bava colava dalle zanne affilate mentre la lingua inumidiva il naso.

Seleina deglutì, prima di riprendere la sua corsa. Tra i pochi comandi che il patto le concedeva, ce n’era uno per condurre il cane da guardia a sé. La voce uscì bassa e chiara dalle sue labbra screpolate mentre lo ammaliava. Ricominciò a correre. L’uno verso l’altra. Come la magia li obbligava.

❄️❄️❄️

Camminando lentamente nell’erba alta, cadenzando i passi per ritardare il più possibile il rientro al campo ed il dover annunciare di essere rientrato solo, Imuen era ormai giunto in vista dalle mura di cinta. Torvo come era non aveva alzato subito lo sguardo verso gli angoli fortificati dove i bracieri accesi svettavano nel cielo dalle tinte cremisi del tramonto. Li contò tutti e quattro e si chiese se la dentro fossero ammattiti. In quel modo tenevano sì tutti al sicuro all’interno ma rendevano anche impossibile sia entrare sia uscire dal perimetro abitativo. Lui, che ne era uno dei signori, sarebbe stato obbligato a chiedere il permesso di accedervi, come qualsiasi estraneo. Il fastidio, però, iniziava a montare in rabbia.

Sbuffando, non aveva proseguito di nemmeno un metro, quando un’aura spaventosa catturò la sua attenzione. Concentrato, non seppe dare un senso al fatto che si trattava senza dubbio di Haldir. Il suo gemello, anche nei momenti disperati, aveva la capacità di mantenere la calma. In quel frangente, invece, percepiva solo furia. Una rabbia feroce e priva di senno di cui mai lo avrebbe creduto capace. Stava per andargli incontro e dare un senso all’assurdità di quella situazione quando, si accorse di una nuova persona che si avvicinava. L’odore di quella ragazzina gli saettò alle narici. Un attimo dopo, arrestava la fuga di Seleina, ponendolesi davanti. Lei era scartata indietro, allerta. Aveva spalancato gli occhi chiari, cerchiati da profonde occhiaie, come se non avesse capito bene chi avesse di fronte. Era pallida come un cencio e correva davvero come se avesse il diavolo alle calcagna. Lei l’aveva fissato stralunata, per poi precedere ogni interrogativo e spiegare che doveva distanziarsi il prima possibile da tutti, per non metterli in pericolo.

“Il pericolo di cosa?”

Iniziò allora a chiedere Imuen, spazientito, strattonandola per un braccio. La ragazzina si era sottratta con uno scatto dalla sua presa, del tutto indifferente alla sua autorità.

“Di Sire Haldir.”

Scuotendo in fretta la chioma chiara ed arruffata, gesticolando invasata, aveva specificato di non avere tempo di rivangare tutta la storia, che molti dettagli neppure li conosceva.

“Sta per arrivare e voi non avrete il potere di placare la sua furia.”

Continuava a battersi il pugno sul petto, ad indicarsi e piangere, tra la paura ed un lucido delirio.

“Io, invece, come primogenita dei Polaris a questa generazione, posso sia scatenarlo che placarlo.”

Mentre avanzava verso di lui, il sospetto che non fossero solo fantasie iniziava ad attanagliare Imuen.

Un cenno ed ascolterà, una parola ed arriverà, un comando e sbranerà (2). Conoscete il verso della filastrocca, giusto?”

Il gigante nero aveva negato nel suo cuore, mentre lei ribadiva di aver solo tentato di aiutarlo. Seleina aveva battuto il piede a terra mentre le lacrime avevano iniziato a scendere decise sulle guance ancora sporche di polvere e sangue, specchio della tempesta di emozioni che la sconvolgevano. Solo di una cosa, tuttavia, era sicura.

“Io non lascio morire il mio signore. Quel maledetto comando di sbranare era l’unico modo che avevo per provare a salvarlo e l’ho usato.”

Poi, aveva puntato il viso in una direzione precisa. Stava per scattare ancora, ricominciare a correre. Imuen, però, l’aveva sollevata di peso, quasi fosse stata un fuscello, tenendola per la vita.

“Sei fiacca e lenta.”

Gli aveva chiarito, prendendo la direzione verso cui lei stessa sarebbe scappata. L’aveva convinto, se non per il senso delle sue parole, per l’aura minacciosa di Haldir che si apprestava. In vita sua, mai Imuen aveva percepito suo fratello in quello stato. Non ne discerneva la volontà. Solo la brama di sangue. Lui non mai era così, neppure al culminare della lotta. Che senso avrebbero avuto poi quei sentimenti, allora che l’impresa era stata compiuta.

“Come sai che ti seguirà?”

Chiese nuovamente, attento ad ogni vibrazione che proveniva dall’ambiente circostante, mentre il verde della vegetazione si adombrava del grigio della sera.

“Gli ho comandato di raggiungermi.”

Seleina, in parte più calma, l’aveva guardato per un istante, rincuorata dal suo appoggio. Dopotutto, si trattava del maestro di Zalaia, della persona che nell’arco della sua breve esistenza le era rimasta più vicina in modo disinteressato.

Conscio del rischio che si era caricata addosso, Imuen l’aveva guardata di sfuggita, vergognandosi in parte. Forse, quella era davvero l’epoca in cui le femmine si incaricavano delle mancanze dei guerrieri, per il bene della razza.

“Gli vuoi bene davvero.”

Constatò, attento a non lasciarla cadere e stringendosela maggiormente addosso.

“La sua è una vita per cui val la pena rischiare tutto, signore.”

Imuen aveva annuito. Il senso di colpa cominciava ad essere una sensazione un po’ troppo familiare, per lui. Il tarlo che, se non avesse lasciato solo Haldir per tutti quei secoli, lui non si sarebbe trovato costretto a dipendere per la propria salvezza da una ragazzina, era davvero molesto da sopportare. A giudicare dalla quantità di energia negativa che si andava accumulando nel punto in cui stava per arrivare, intuì che avrebbe avuto modo ben presto di riscattarsi per le sue colpe, vere o presunte che fossero.

Il cielo si era addensato in fretta. Le nuvole lo avevano annerito prima delle sfumature della sera. La temperatura si era abbassata di colpo. Un vento che penetrava sottile nelle ossa aveva scosso i fili d’erba confusi in un tappeto unico e scuro. Le fronde sibilavano, mosse leggermente. Era come se ogni elemento del paesaggio fosse narcotizzato in un sonno poco sereno, simile ad una vittima costretta ad un torpore senza sogni, mentre l’ombra di una mannaia si alzava leggera ed implacabile sopra la testa.

❄️❄️❄️

Allerta, Imuen aveva riconosciuto subito l’apprestarsi del suo gemello. Scrutò teso ogni particolare del mondo attorno a sé, dal respiro degli animali vicini fino al battito accelerato della ragazzina che ancora teneva arpionata. Lo preoccupavano soprattutto gli alberi, che avrebbero potuto occultare la mole del gemello, nel caso egli avesse scelto di palesarsi nella sua forma animale. Avvertiva però chiaramente che non c’era più tempo. Lo percepiva in ogni fibra del suo essere. Posò lentamente Seleina a terra, accennandole di star ferma, di non muoversi più del necessario. Doveva tentare di salvarla, anche se si era immolata a vittima sacrificale per un mostro di cui, probabilmente, si sarebbe resa davvero conto solo avendolo di fronte. O forse qualcosa immaginava. L’aveva udita mormorare: probabilmente una preghiera di supplica ad Odino per farsi forza o un commiato alle persone care. Era pallida e fiaccata. Sarebbe stata facile da uccidere. Non avrebbe fatto mai in tempo ad impartire al gemello l’ordine per placarsi, se mai ne fosse stata davvero capace. Almeno, questo era ciò che lui temeva e credeva. Materializzò la falce, continuando ad ispezionare li intorno.

Lo scricchiolare di un ramo, istintivamente, lo portò a spostarsi verso destra. Le zanne di Haldir, però, erano apparse scintillando per un secondo nella direzione opposta. Fece appena in tempo ad afferrare la ragazzina per un braccio e lanciarla via di qualche metro, mentre ingaggiava battaglia contro il sul avversario.

❄️❄️❄️

Seleina era rotolata su un fianco prima di riuscire a rialzarsi. Doveva essere la stanchezza ad aver confuso ogni cosa ai suoi occhi. Doveva star sognando. Non poteva essere altrimenti. La falce di Imuen saettava in rapidi lampi che lei distingueva a malapena. All’improvviso, approfittando di un tentativo di taglio più in basso, Haldir aveva sbattuto contro il terreno l’arma del gemello, bloccandola con la zampa. Aveva cercato di morderlo ed Imuen, disarmato, era stato costretto a spostarsi.

Del tutto immobile, tremando, Seleina non era riuscita a seguire il consiglio del gigante nero, che le urlava di andarsene. Era del tutto sorda al suo ringhiare, mentre Imuen si trasformava a sua volta. Non riusciva a muovere un muscolo. Era come se, davanti a se, riuscisse a vedere solo Haldir o ciò che di lui restava. Il suo signore non era uscito indenne da quell’abisso ed una vistosa scottatura deturpava la pelliccia su parte della schiena ed una spalla. Eppure, avanzava ed attaccava del tutto sordo al dolore che doveva pulsare sulla pelle ed i muscoli. Quella scintilla di volontà che era possibile rintracciare sempre, in ogni istante, nel suo sguardo, era però spenta, lontana. Aveva preso a ringhiare piano mentre la saliva colava dalle zanne sotto le labbra arricciate.

Seleina spostò per un attimo lo sguardo oltre la mole del suo signore. Vide Imuen pronto ad attaccare ed i riflessi reagirono più repentini della ragione. Una sola parola le sfuggiva dalle labbra mentre correva incontro al suo signore, dove arrivava arrivava. Aveva chiuso gli occhi, per non vedere nulla oltre il buio sotto le proprie palpebre. L’adrenalina arrestò ogni suono ai suoi orecchi. Poté percepire la pelliccia soffice e calda di Haldir contro il corpo, sotto alle dita. La strinse tremando, in attesa che il dolore dei suoi morsi la dilaniasse, prima che la morte, feroce e pietosa assieme, la strappasse del tutto alla vita.


 


 

Note

(1) anime per come le intendono i Dunedain, creature incorporee (proprie del mio immaginario) dei cui poteri si servono specie in battaglia. Non nel senso normale del termine

(2) verso che mi sono inventata di sana pianta. L’ho già usato in “Cane da guardia”. E’ una frase particolare che richiama il patto tra i Polaris ed Haldir, che ne riassume all’osso le conseguenze.


 

   
 
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