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Autore: sleepystranger    13/07/2020    0 recensioni
Se metti un cappello da giullare sul mostro nell'armadio, smette di far paura, ma rimane comunque un mostro. Se Jeongguk apre i palmi delle mani, li richiude immediatamente perché non gli piace ciò che vede. La luce a neon trapela dai suoi pori, e lui smette di brillare.
Il dolore cambia le persone. Di sicuro cambia Jeon Jeongguk.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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A vent’anni, Jeongguk non pensava sarebbe arrivato molto lontano nella vita. Crescendo, tutte le persone che aveva attorno gli avevano sempre detto che sarebbe per sempre stato un nessuno – uno spreco di spazio. Una brutta persona che non si merita nulla di buono. E in qualche modo, in tutti e otto gli anni di tormento, Jeongguk riesce a malapena a tirare avanti.

 

Il giorno in cui viene rilasciato dai confini delle uniformi scolastiche e detenzioni, prova un immisurabile sollievo. I lividi sulle costole non gli fanno più male e per un secondo sente come se può finalmente respirare. Forse le cose stanno cominciando ad andare meglio.

 

Jeongguk è fortunato ed entra in un’università a Seoul, e i suoi genitori sono felicissimi – lo chiamano il figliol prodigo. Non ha ricevuto tante attenzioni da suo padre in anni. Ed è bello. È come se avesse finalmente acquisito l’approvazione che ha cercato per anni. Finalmente. Finalmente.

 

È bello finché Jeongguk non dice di voler studiare musica, e suo padre non sorride più. Serra le dita attorno al collo di una bottiglia di birra e sbuffa. “Non ti porterà da nessuna parte nella vita.” E Jeongguk nemmeno prova a discutere, perché sa cosa succede quando prova a difendersi. Ed essendo il vigliacco qual è, con un tremante sorriso, Jeongguk propone di studiare economia. E così rinuncia al suo sogno di fare musica e suo padre è di nuovo contento. Lo chiama addirittura genio. Dice che sapeva che Jeongguk avrebbe cambiato idea.

 

E così Jeongguk studia economia anche se non gli interessa nulla di soldi. Non gli interessano i numeri. Certo, è quasi uno studente modello, ma non ne è appassionato. Quella passione è rimasta a Busan, con la sua chitarra e il piano. Lì dove le suo dita creavano melodie che sua mamma amava ascoltare. Ma qui si sente così vuoto. Sempre troppo vuoto.

 

Onestamente, un’ingenua parte di Jeongguk sperava che tutto si sarebbe sistemato una volta all’università. Sua madre lo aveva chiamato un nuovo inizio così che si sarebbe cominciato a comportare bene, così che avrebbe smesso di essere un ragazzino così problematico. Ma per persone come lui, tutto peggiora. I bambini sono crudeli, ma la realtà lo è ancora di più. Anche se le spinte e i sussurri della sua infanzia non lo seguono più, per Jeongguk l’università diventa un posto dove isolarsi. I suoi genitori gli comprano un bel posto fuori dal campus. Non troppo vistoso, ma abbasta grande perché gli altri sappiano che viene da una famiglia con i soldi.

 

Sua madre lo chiama dopo poco per sapere se si sta ambientando, e Jeongguk ride leggermente nella cornetta del telefono. Spera che la sua voce non suoni troppo tesa. “È carino, mamma.” Non le dice che lo odia. Che è troppo grande – così grande che Jeongguk sente di poter scomparire. Che c’è dello spazio nel salone dove potrebbe mettere un piano.

 

“Sarà perfetto per,” dice. E poi, esitando, “magari incontrerai una ragazza carina.”

 

Jeongguk torna coi piedi per terra. “Sì, forse.”

 

E un ragazzo invece? Vorrebbe chiedere, ma non lo fa perché sa che non dovrebbero parlare di quelle cose. Se lo fanno suo padre potrebbe arrabbiarsi.

 

Ricorda come sua madre piangeva ogni volta che era steso sul pavimento della cucina come un martire. Quando il suo occhio destro era così gonfio da non riuscire ad aprirlo. Quando non riusciva a respirare.

 

Forse si farà una fidanzata.

 

 



È molto più difficile farsi degli amici all’università (non che ci provi nemmeno), e Jeongguk si sente più invisibile che mai. Non c’è nessuno che lo spinge contro gli armadietti o che lo umili di fronte a altri venti ragazzi, ma non c’è nemmeno nessuno che noti la sua presenza. Va a lezione da solo, mangia da solo, ed evita ogni tipo di attività sociale. Quando le cose si fanno troppo brutte, Jeongguk pensa che la solitudine sia peggio che farsi prendere a pugni. Perché almeno, in quel caso, le persone sanno che esiste, anche se non nel migliore dei modi. Almeno era utile a qualcosa.

 

Ogni mattina, prima di uscire dal suo santuario, Jeongguk si guarda allo specchio del bagno e sorride al suo riflesso. “Stai bene, Jeon Jeongguk,” si dice. “Non hai bisogno di nessuno se non di te stesso.” Prova a convincersi di essere bravo in questo: che il dolore non lo ferisce più. Che non ha bisogno di amici perché le persone non ci mettono nulla ad abbandonarlo. Il dolore è okay. È familiare. Gli viene naturale. Sta bene. Jeongguk ci è abituato. È abituato a stare da solo.

 

E per la maggior parte, Jeongguk pensa di stare andando bene date le circostanze. Che problema c’è se non sta facendo l’unica cosa che gli abbia mai portato gioia nella vita? I suoi genitori sono contenti e lui li ha già feriti abbastanza. Jeongguk sa sopportare bene. Finché non sa più farlo.

 

Finché non è seduto in uno Starbucks a studiare – anche se non sta davvero studiando perché è troppo occupato a guardare un gruppo di ragazze parlare felicemente qualche tavolo più in là ed è invidioso; una certa voglia gli si accende nello stomaco vi prego notatemi. Sento di star scomparendo. Ma Jeongguk sa cosa succede ai ragazzi come lui che non sanno tenere la bocca chiusa. Sa come mordersi la lingua perché le sue parole sono sempre come un nido di vespe ed è sempre e solo bravo a fare del male alle persone. Ma una parte di lui vuole comunque essere egoista, vuole di più.

 

Jeongguk lascia parti di sé ovunque e spera che qualcuno le noti e le raccolga. Come fili sfilacciati su una porta. Come origami nascosti sotto il suo letto. Come lettere strappate – la cicatrice sulla sua guancia. Il neo sotto il suo labbro inferiore. A volte si domanda come sarebbe se qualcuno li raccogliesse tutti – quanto a fondo taglierebbe, ma sa che non è il tipo di persona per cui nessuno vuole sanguinare.

 

A volte, ragazze come quelle sedute vicino a Jeongguk provano a parlargli, ma prima che possano dire qualcosa, Jeongguk si è già chiuso in se stesso. Ragazze carine dagli occhi grandi, labbra lucide e capelli morbidi. Ragazze carine che gli chiedono se è single o se vuole andare al cinema, ma tutto ciò che Jeongguk riesce a fare è tremare. Apre il palmo della sua mano e vede la bruttezza fra le crepe e non può – non può. Dice sempre di no perché se tiene le persone a distanza, non potranno rovinarlo di nuovo.

 

E ha paura. Ha paura che se da una possibilità a una qualche ragazza, lei capirà già al primo appuntamento che non è etero. He gli piace il cazzo e spalle larghe, ma mai il seno. Gli piace la rudezza dei ragazzi. La barba sul mento.

 

Jeongguk è bravo a distruggersi. Va bene se è sui a fare del male a se stesso, giusto? Se fa delle cose brutte, almeno è la sua stessa vita che distrugge. Se si lancia sul pavimento e lascia che il dolore gli si appiccichi addosso, nessuno può più puntargli il dito contro. Ma il tutto lo raggiunge quando è a letto sveglio alle due del mattino, che fissa il soffitto e si chiede da dove è cominciato tutto. A volte, a notte tarda, pensa a Kim Taehyung.

 

È strano perché non vede l’altro da otto anni, ma quando le notti sono lunghe e il petto gli fa male, la sua mente pensa sempre al castano. Si chiede se si pieghi ancora su se stesso quando qualcuno lo guarda. Se trema ogni volta che uno dei suoi tormentatori lo prende in giro. Si chiede se Taehyung abbia mai imparato a tenersi su da solo senza lasciare cadere pezzi di sé – o se è rotto quanto lo è Jeongguk. La sua voce è ancora così soffice quando parla? Bacia i ragazzi negli spogliatoi come se in quel modo riuscisse a mandare via tutto il trauma che gli ha causato Jeongguk?

 

KIM TAEHYUNG È GAY?
 

Jeongguk è bravo a farsi consumare dal passato. Il come-sarebbe-stato che tiene come un monumento fra i suoi denti. E se non avesse aperto la bocca? E se avesse fermato Mingyu e gli altri prima che le cose si spingessero troppo in là? E se si fosse scusato? E se invece di essere il bullo di Kim Taehyung fosse stato suo amico? E se. E se. E se?

 

Non è in grado di lasciare andare le cose – si tiene stretto tutte le parti più sbagliate della sua vita, almeno sa che c’è stato un periodo in cui era felice. Tanto tempo fa, c’era un tavolo apparecchiato per tre, ed entrambi i suoi genitori gli sorridevano. Una volta, suo padre gli voleva bene. Una volta, aveva amici con cui ridere. Una volta, tanto tempo fa, c’è stato un periodo in cui la luce del sole filtrava nella sua pelle e Jeongguk si sentiva completo.

 

O forse è solo una punizione autoinflitta; come se in qualche modo, se lo tiene abbastanza stretto a sé, in qualche porto, da qualche parte, Taehyung è felice. Taehyung è vivo.

 

Jeongguk prova a essere contento a vivere la sua vita in relativo isolamento. Affonda il naso nei libri. Si mette le cuffiette e affonda nel suono del mondo circostante. Vive nella sua piccola bolla dove il passaggio del tempo è solo una conoscenza. Lavora da solo ai progetti di scuola, raramente con altri, e quando lo fa non si ricorda come sono i loro visi. Se Jeongguk prova a pensare alle persone con cui è andato al liceo, le loro facce sono sempre sfocate. Non riesce a ricordare. Ma comunque, non vuole nemmeno.

 

Perché quando ci riesce, quando Jeongguk si ricorda di come sorridono o come i loro occhi brillano quando sono felici, significa qualcosa. Se Jeongguk riesce ad associare un nome a un viso, significa che possono ferirlo. E non lascerà che ciò accada di nuovo.

 

Però c’è questo ragazzo nella sua classe di fisica che non lascia che Jeongguk se lo dimentichi. Si chiama Jung Hoseok, e l’unico motivo per cui Joengguk lo sa è che Hoseok è arrivato tardi a lezione, e a quel punto tutti hanno già scelto i loro compagni. E ovviamente, Jeongguk era quello in più. Quello strano e silenzioso seduto in fondo alla classe e a cui nessuno ha provato a parlare.

 

La professoressa lo rimprovera per essere in ritardo. Da un’occhiata alla classe e poi indica in fondo. “Hoseok, tu sei con Jeongguk,” dice la professoressa, e Hoseok non esita. Non si ferma e non guarda male Jeongguk, non sembra nemmeno offeso o irritato. Sale i gradini, fino ad arrivare in fondo all’aula dove è seduto Jeongguk.

 

“Io sono Jung Hoseok!” afferma allegramente e allunga una mano in attesa.

 

Ma Jeongguk non ci fa nemmeno caso. “Lo so,” sussurra, disegnando sul suo quaderno. Prova a fingere che non gliene importi davvero, quando invece è così nervoso, perché Hoseok lo intimidisce. Brilla fin troppo e ha un portamento che fa sentire chiunque a proprio agio. Sembra anche essere un tipo che non si impegna troppo e Jeongguk spera di non dover stare con qualcuno che gli fa fare tutto il lavoro, perché l’ultima volta che è successo è rimasto sveglio per cinquanta ore di fila. E Jeongguk è così stupido da farlo comunque perché ha paura di entrare in conflitto con qualcun altro. Ha paura di offendere.

 

Hoseok non sembra affatto turbato dalla mancanza di entusiasmo di Jeongguk. Si siede accanto a lui e continua a parlare. “Sembri intelligente,” dice, e Jeongguk alza semplicemente le spalle in risposta. Hoseok si appoggia all’indietro sulla sedia. Lascia andare un lungo sospiro. “Faccio schifo in matematica, sto riuscendo a malapena a passarla, perciò sii paziente con me, per favore.”

 

Oh, fantastico, Jeongguk dovrà di nuovo fare tutto il lavoro da solo, vero?

 

“Incontriamoci in biblioteca domani alle sei,” dice severamente, ignorando completamente le parole di Hoseok.

 

Hoseok non vacilla nemmeno per un secondo. Sorride e concorda con fin troppo entusiasmo. “È un appuntamento!”

Jeongguk non sorride nemmeno, torna a disegnare e a ignorare tutti intorno a lui. Hoseok rimane seduto accanto a lui fino alla fine della lezione.

 

 



Hoseok non stava mentendo quando ha detto di non essere bravo in matematica. Ma sorprendentemente, si è presentato in biblioteca per lavorare al progetto e non ha saltato nemmeno un incontro, anche se è sempre stato Jeongguk a decidere il giorno e l’ora. Non riesce a capire per bene il progetto, e Jeongguk diventa un tutor, piuttosto che essere un partner, ma per qualche strano motivo, non gli da fastidio come cosa. Anche se inizialmente Hoseok gli è sembrato come uno che scherza fin troppo e non prende le cose seriamente, in realtà è attento e disposto a imparare.

 

Ed è paziente. Fin troppo paziente. Quando Jeongguk si è intoppato su una spiegazione per la millesima volta, Hoseok non l’ha interrotto e non è sembrato scocciato. Sembrava incantato da ogni parola che usciva dalla bocca di Jeongguk e Jeongguk non riesce a capire perché è sempre così frustrato con la sua inettitudine a comunicare come un normale essere umano. Non capisce come Hoseok sia così okay con la sua ovvia goffaggine.

 

“Ah, sei un genio,” lo aveva complimentato Hoseok. “Come Einstein.”

 

E, beh, Jeongguk era arrossito e si era rifiutato di guardarlo negli occhi. Invece, si era distratto togliendosi lo sporco da sotto le unghie. “È p-piuttosto semplice, in realtà.”

 

Anche nel silenzio della biblioteca, la sua voce era troppo bassa. Jungkook aveva da tempo perso l’abilità di parlare con un qualunque tipo di fiducia in se stesso. Le sue parole sempre un mormorio, e spesso Hoseok deve allungarsi oltre il tavolo per sentirlo, ma non sembra affatto infastidito e Jeongguk è confuso perché non riesce a capire.

 

“Semplice?” Hoseok aveva sbuffato una risata, un’espressione incredula sul suo volto. “Amico, tipo metà classe sta fallendo il corso e per te questa è come matematica di prima elementare. Genio assoluto.”

 

Jeongguk non ha mai avuto un partner come Hoseok, che si prende tanto disturbo per essere fin troppo gentile. E all’inizio, è piuttosto sospetto, perché nessuno è mai così gentile senza avere altri motivi. Quando è con Hoseok, Jeongguk è sempre pronto a un impatto che non arriva mai. Da una parte pensa che forse Hoseok sia semplicemente una brava persona e Jeongguk non sa come gestirlo – non sa come accettare le brave persone.

 

E Hoseok è buono, anzi, molto più che buono. La scadenza si avvicina, e dopo aver consegnato il progetto Jeongguk sa che non parleranno mai più, perché va sempre così. Finge di non essere completamente deluso. Finge di non volere che Hoseok resti e continui a parlargli. Ma va sempre così, perché è così che deve essere. Perché non resta mai nessuno.

 

Tranne per il fatto che alla lezione successiva, Hoseok si dirige dritto verso Jeongguk e si siede accanto a lui, come se Jeongguk fosse un suo vecchio amico.

 

“Cavolo, sono contento che questo diamine di progetto sia finalmente finito.” Sospira drammaticamente. “Ti devo la mia vita, Jeon Jeongguk.”

 

Jeongguk batte le palpebre in confusione. Si pizzica il braccio giusto per essere sicuro che la sua mente non stia creando amici immaginari.

 

“Um,” inizia goffamente, “il progetto è finito.”

 

“Sì? L’ho appena detto.”

 

“N-non devi più sederti con me.”

 

Hoseok si acciglia, e ora Jeongguk non è l’unico a essere confuso. “Lo so…”

 

Jeongguk continua a fissarlo per un lungo momento, le labbra arricciate. Le rotelle girano nella sua mente. Si volta quando il professore entra in aula. “Va bene allora,” sussurra. Non dice un’altra parola per il resto della lezione.

 

 


Jeongguk non riesce a capire Hoseok. Per niente. Per qualche motivo, Hoseok si è fissato con lui, e sarebbe una bugia se Jeongguk dicesse di non essere spaventato da questa svolta. La presenza del più grande è scioccante, completamente all’opposto dell’isolamento in cui Jeongguk ha vissuto per otto anni.

 

Hoseok non entra nella sua vita come una tempesta, perché non lascia indietro alcuna distruzione, ma più come una lunga estate. Il tipo di estate che vorresti non finisse mai, e Jeongguk non sa come adattarsi. Non crede di riuscirci. All’inizio prova a evitare Hoseok, ma deve avergli attaccato addosso un qualche tipo di GPS, perché non importa quanto veloce Jeongguk corra da una parte all’altra del campus per evitarlo, Hoseok riesce sempre a trovarlo.

 

Il suo secondo tentativo di liberarsi di Hoseok è semplicemente di ignorarlo per sempre, tranne per il fatto che fallisce ancora più velocemente del primo. L’energia positiva di Hoseok è contagiosa, e Jeongguk sente di star iniziando a cedere. Il tutto inizia con un piccolo gesto, come sorridere timidamente alle sue battute o con l’avere una breve (perlopiù a senso unico) conversazione su cose che non riguardano la fisica. A volte Hoseok lo trascina fuori a cena o al cinema, ed è la prima volta in anni che Jeongguk passa del tempo con qualcuno in questo modo. Così liberamente e senza stress che è come se fossero amici.

 

“Vuoi andare a vedere un altro film questo fine settimana, Jeongguk?”

 

Sono seduti su una panchina fuori da una gelateria. Jeongguk ha preso un gelato al mirtillo e Hoseok alla fragola, due palline a testa. È un po’ triste, perché le ultime tracce d’estate sono scomparse qualche settimana fa e il freddo dell’autunno gli rende le dita insensibili, ma non gli importa, perché questo momento è speciale. Perché è la prima volta dalle elementari che Jeongguk mangia un gelato con qualcuno così.

 

“Certo. Che film?” Jeongguk tira su col naso, lo strofina per provare a ridargli un po’ di calore. Spera di non ammalarsi.

 

“Ancora non lo so.” Hoseok alza le spalle. “Sono usciti un sacco di film sui supereroi ultimamente. Direi Justice League, ma sappiamo tutti che la DC fa schifo a fare film, quindi pensavo al nuovo Iron Man, magari?”

 

Jeongguk inspira rumorosamente, e poi è più forte di lui. Davvero, non ce la fa. Il suo viso si illumina come un albero di Natale mentre, con occhi grandi, dice. “Io adoro Iron Man.”

 

La sua reazione prende Hoseok alla sprovvista, ma poi il più grande sembra felicissimo, come se avesse trovato una pentola d’oro. “Oh, sì?”

 

Jeongguk annuisce, un po’ in imbarazzo. “È il mio supereroe preferito.”

 

“Come mai?”

 

“Perché…” Jeongguk si morde nervosamente il labbro inferiore. Non è abituato a prlare così di se stesso. “P-perché anche se è egoista e non fa sempre la cosa giusta, è sempre un eroe. Tutti lo amano.”

 

Jeongguk vorrebbe che le persone amassero anche lui.

 

Non ricorda quand’è stata l’ultima volta che qualcuno non è stato solo un momento nella sua vita. Ha passato gli ultimi otto anni dimenticando visi, ma Hoseok è un barlume di luce in un mondo che agli occhi di Jeogguk ha perso colore, e per quanto sia terrificante, Jeongguk pensa che il viso di Hoseok risalti tra la folla. Il suo naso lungo, la curva della sua mascella – quando chiude gli occhi, Jeongguk riesce a ricordarsi esattamente com’è fatto, e questo lo terrorizza.

 

Hoseok, rumoroso e ottimista; che ride con tutto il corpo e sorride come fosse il fottuto sole. Jeongguk non lo ammetterà mai, ma si è affezionato, e Hoseok è quel tipo di persona con cui vuole essere amico, ma è il tipo di amico che Jeongguk non meriterà mai.

 

Perciò ogni volta che Hoseok dice una battuta stupida che riesce a far sorridere Jeongguk, lui serra i pugni e guarda altrove, perché non ha il diritto di godersi questi piccoli momenti di sollievo. Se Howok lo nota, non dice niente, resta accanto a Jeongguk e gli parla come se fossero più che due ragazzi che hanno lavorato a un progetto scolastico insieme una volta. Non è felicità, ma per qualche momento, quando Jeongguk è con Hoseok, il suo petto non è così pesante. E pensa, forse me lo merito.

 

Ma poi si guarda di nuovo i palmi delle mani e pensa a tutti gli errori che ha commesso e si ritira su se stesso. Non può. Non può attaccarsi a qualcuno come Hoseok e contaminarlo. Non può chiedere a Hoseok di restare perché potrà solo dipingerlo di nero dentro. Jeongguk si rifiuta di ferire qualcun altro così.

 

Ma è come se Hoseok sapesse che qualcosa in Jeongguk è rotto, come se sapesse che Jeongguk non ha mai imparato a staccare le parti incollate di se stesso; come se sapesse che Jeongguk è vetro in frantumi, troppo pericoloso da raccogliere perché ci sono così tante parti di se stesso che non troverà mai sparpagliate sul pavimento della cucina. È gentile con Jeongguk, e stranamente in armonia coi suoi sbalzi d’umore. Come se sapesse quando può toccarlo e quando deve lasciare spazio fra di loro quando si siedono uno accanto all’altro.

 

È confortevole. Troppo confortevole.

 

Scusa se sono così incasinato, vorrebbe dire Jeongguk. Ma non lo fa.

 

È di nuovo seduto in uno Starbucks, disegnando a caso negli spazi vuoti del suo libro di scuola. Jeongguk non riesce a concentrarsi sui suoi compiti, non è uno di quei giorni. Uno di quei giorni in cui il fatto che è triste e non potrà mai inseguire i suoi sogni, lo colpisce fin troppo. La sua pelle formicola per l’ansia e non riesce a stare fermo. Guarda male il suo libro d’economia e vorrebbe darli fuoco.

 

Si impegna più a disegnare che a fare qualsiasi altra cosa, alzando appena lo sguardo verso tre persone appena entrate, e quando sta per ignorarle riconosce Hoseok fra loro. Ed essendo l’asociale qual è, Jeongguk prova a fingere di non averlo visto – il che non funziona affatto perché il suo Jeon Jeongguk radar è attivo e Hoseok lo riconosce quasi subito.

 

“Gukkie!” lo chiama eccitato.

 

Jeongguk finge di non sentire Hoseok, perché forse se fissa abbastanza il suo libro, l’altro coglie l’indizio e se ne va, ma invece Hoseok va da lui e Jeongguk alza lo sguardo, sorridendo saldamente.

 

“Ciao,” squittisce.

 

Hoseok sorride. “È una settimana che non ti vedo, amico. Dove sei stato?”

 

Jeongguk prova a pensare a una scusa plausibile che non involga il dire a Hoseok che a volte la sua ansia è così brutta da non riuscire nemmeno a uscire di casa. A volte ha troppa paura di andare a lezione, anche se sa che non è come al liceo, sa che non ci sono teenager in attesa di infilargli di nuovo la testa nel water, ma l’ansia resta comunque. E se qualcuno lo spingesse di nuovo nel fango? Magari un altro occhio nero? A volte riesce ancora a sentire il dolore di ogni pugno, ma come può dirlo a qualcuno?

 

Perciò sta zitto. “Um… in giro.”

 

Hoseok ride come se Jeongguk fosse la persona più divertente sul pianeta e di fronte ad altre due persone che non conosce e che si rifiuta di guardare, Jeongguk si sente a disagio.

 

“Okay, beh, è da un po’ che volevo presentarti ai miei amici, ma tu scappi via ogni volta appena mi distraggo,” lo rimprovera scherzosamente Hoseok.

 

“Questo è Jimin.” Hoseok presenta il ragazzo alla sua sinistra, il quale sorride dolcemente. È bello, in un modo che fa sentire Jeongguk a disagio. I lineamenti soffici, labbra morbide e i capelli biondi scompigliati in un modo che lo fa sembrare incredibilmente soffice.

 

“Ho sentito parlare così tanto di te. Sei fottutamente adorabile,” dice Jimin. La sua voce è piacevole da ascoltare, leggermente rauca e acuta, ma piacevole. Ed è bello. Decisamente bello. Probabilmente si fa il bagno in petali di rose e bath bombs. Mentre Jeongguk ha addosso la stessa maglietta bianca da tre giorni.

 

Si gratta la testa in imbarazzo. “Grazie,” mormora.

 

“E lui,” Hoseok indica l’altro ragazzo, e questa volta Jeongguk lo guarda. Oltre il mento, il naso e - oh. Nel momento in cui i loro occhi si incrociano, se ne pente. Vorrebbe poter guardare altrove, ma non ci riesce, perché è troppo tardi, e dei brividi gli corrono lungo la spina dorsale, perché questo ragazzo è così bello da mozzare il fiato, come fosse nato dall’universo. Bello come se Zeus l’avesse creato con le sue stesse mani e Jeongguk sente il sangue gelarglisi nelle vene. Inizia a tremare, perché quel ragazzo è etereo, e gli è familiare in un modo che gli fa crescere una certa paura nello stomaco. Gli è familiare, e Jeongguk si sente come se non ci fosse arie nella stanza.

 

Solo loro due.

 

“T-Taehyung,”

 

Sta per sentirsi male.

 

Jeongguk prova a distogliere lo sguardo, ma è come se Taehyung lo tenesse inchiodato sul posto. Lo fissa con grande intensità per un lungo momento, l’espressione illeggibile e Jeongguk sente caldo e freddo allo stesso momento. Sente come se il mondo stesse per crollargli sotto i piedi perché tutto ciò deve essere una specie di scherzo crudele. Taehyung non può essere qui. Ma lo è.

 

Finalmente, dopo quella che sembra un’eternità, Taehyung si muove, gli angoli della sua bocca si alzano in un sorrisetto. “Ciao Jeongguk,” lo saluta freddamente. “Non pensavo ti avrei mai rivisto.”

 

Tutta l’aria che gli è rimasta lascia i polmoni di Jeongguk, ed è come quando è stato colpito in petto con una mazza da baseball a nove anni e non riusciva a respirare; tranne per il fatto che questo è quel tipo di dolore che si porta attaccato alle caviglie, come dei pesi, e lui riesce appena aggalla, cerca di rimanere con la testa in superficie. È come se Taehyung avesse scosso il suo lago con appena poche parole, ma Jeongguk non ha mai imparato a tenersi tutto insieme senza che tutto il male straripi.

 

È un momento velenoso – Taehyung e Jeongguk sono come due satelliti che non dovrebbero mai connettersi, ai lati opposti del pianeta. Sono più stereotipi di fuoco e ghiaccio, e Jeongguk non è così ingenuo da giocare con qualcuno che gli regala bruciature di terzo grado. Ci ha provato a dimenticarsi di Taehyung, ma è come se ogni volta che prova a lasciarlo andare, tutto quanto gli torna alla mente e lo ferisce. O forse non ha mai davvero provato a dimenticare; voleva che la propria mente diventasse un cimitero, ma Taehyung non potrebbe mai essere il cadavere.

 

Tanto non è mai nemmeno stato bravo ai funerali.

 

E Taehyung è qui, bello e non più un bambino. Non più piccolo e fragile. Il suo sguardo è tagliente. Non c’è più il Taehyung che fissa il pavimento con grandi occhi ingenui. Non è più pronto a frantumarsi come una vecchia casa abbandonata. Ora è alto e ha i lineamenti definiti, da uomo.

 

La sua voce è profonda e forte, l’opposto del balbettante bambino di molti anni prima. Pare tenersi con tale sicurezza e fiducia in se stesso. La sua presenza è rumorosa, non come Hoseok, ma più come una forza travolgente – come potesse inghiottire Jeongguk.

 

Kim Taehyung è cresciuto, ed è diventato bello; innegabilmente e irrevocabilmente bello.

 

È come la bocca di una tempesta. Taehyung non guarda Jeongguk terrorizzato. Non con odio o disgusto, ma come se fosse un predatore che si gode la caccia. Come se trovasse la presenza di Jeongguk divertente, più che qualunque altra cosa – una vecchia fiamma del suo passato su cui concentrare temporaneamente la sua attenzione. Come se KIM TAEHYUNG HA PROVATO A UCCIDERSI PER COLPA DI JEON JEONGGUK? non fosse mai esistito.

 

Hoseok li guarda con gli occhi socchiusi. “Vi conoscete?”

 

E Jeongguk non riesce a rispondere. Si sente avvizzire sotto il deciso sguardo soffocante di Taehyung. Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, Jeongguk sente di star guardando un muro di mattoni. Taehyung è completamente chiuso. Ogni piccolo movimento delle labbra è misurato, ogni cambiamento d’espressione è controllato.

 

Jeongguk percepisce l’ansia inziare a salirgli in gola. Come se delle mani gli si stessero chiudendo attorno al collo. Guarda cosa hai combinato. Guarda il casino che hai creato. È come se avesse di nuovo dieci anni, tranne che questa volta è lui a camminare in classe senza scarpe. Ha lividi sulle ginocchia e ogni frase inizia con una sillaba balbettata.

 

“Eravamo conoscenti prima che mi trasferissi,” spiega Taehyung senza nemmeno interrompersi. Non esita, come fossero davvero stati semplici sconosciuti.

 

Il viso di Hoseok si illumina. “Davvero? Che mondo piccolo.”

 

“Già,” risponde inflessibile Taehyung, gli occhi che non lasciano per un secondo quelli di Jeongguk. “È davvero piccolo.”

 

È piccolo. Troppo piccolo. Così piccolo che è soffocante. Seduto lì, ghiacciato sulla sedia di fronte al bambino che bullizzava, Jeongguk sente la pelle scioglierglisi sulle ossa.

 

WStai bene?” chiede Taehyung, e Jeongguk riesce solo a deglutire. Non sa come Taehyung ci riesca – come riesca a parlare a Jeongguk così casualmente, come se non fosse lui il motivo per cui Taehyung ha dovuto cambiare scuola. Come se non fosse il pezzo di merda più grande sul pianeta.

 

Jeongguk realizza che stanno tutti aspettando che risponda. “S-sì,” riesce a balbettare. Distoglie lo sguardo da Taehyung, alle mani che gli tremano poggiate sulle gambe. “Sto bene.” Le parole gli escono in un bisbiglio e Jeongguk si sente stupido. Fottutamente stupido. È uno scherzo del destino? Tipo, oh, per una volta qualcuno non pensa tu sia un pezzo di merda? Beh, indovina? Ti ricordi quel ragazzino che bullizzavi? Beh, è uno dei suoi amici. Pensavi davvero qualcuno potesse davvero volerti bene?

 

È una sensazione amara.

 

“È un bene,” dice Taehyung. “Mi fa piacere vedere che ne stai facendo qualcosa della tua vita, Jeongguk.” Lo dice in una maniera che potrebbe sembrare amichevole, ma a Jeongguk è chiaro il vero tono delle parole di Taehyung, e la vergogna gli infiamma le guance.

 

Non ne sta facendo nulla della sua vita. Sta solo perdendo tempo e perdendosi in esso.

 

“Jeongguk?” ripete Jimin. “Intendi Jeon Jeongguk?” la sua voce è tesa, e quando Jeongguk osa alzare di nuovo lo sguardo, Jimin non sta più sorridendo.

 

“Oh sì. Non te ne avevo parlato, Jimin?” Taehyung alza un sopracciglio.

 

“Ho sentito dire fossi piuttosto affascinante all’epoca.” Il tono di Jimin è derisorio. Si volta verso Taehyung, e dallo sguardo che si scambiano è ovvio sia uno scherzo fra loro.

 

Jeongguk sa esattamente cosa intende.

 

Quindi sei tu quello che ha bullizzato il mio migliore amico e ha reso la sua vita un inferno?

 

Già.” Jeongguk deglutisce. “Sono io.” È un’ammissione di colpa, e Jeongguk si sente appassire. Sente il proprio cuore battergli forte nelle orecchie e oh, sta per avere un attacco di panico davanti al ragazzo che ha tormentato come se fosse lui quello a soffrire? Che razza di logica al contrario è questa?

 

Ma è troppo e Taehyung è troppo. Troppo travolgente. Troppo bello. E Jeongguk – sa sempre solo come far trapelare la luce dagli spazi fra le sue ossa e all’interno è una casa piena di ragni con non vogliono aiutarlo a vivere.

 

“Devo andare,” dice. Prova a raccogliere le sue cose, ma le mani gli tremano così forte che la penna vola sul pavimento, e prima di poterla prendere, Taehyung si è già piegata per raccoglierla.

 

“Ti è caduta questa,” dice ovviamente. Gli porge la penna e fissa Jeongguk con sguardo di sfida.

 

C’è un momento di imbarazzo in cui nessuno dei due si muove, ma il bisogno di scappare lo stordisce e Jeongguk allunga una mano per afferrarla, con la testa abbassata. “G-grazie,” sussurra.

 

Prima che Hoseok possa provare a fermarlo, Jeongguk è già corso fuori dalla porta, ma i suoi piedi non si muovono abbastanza veloci. Anche quando il coffee shop scompare dietro l’angolo, si sente ancora soffocare. Come se stesse per affondare nel cemento sotto i suoi piedi.

 

Vorrebbe poter fingere che l’incontro con Taehyung sia solo una coincidenza. Vorrebbe poterlo ignorare e lasciarlo andare, perché sono passati otto fottuti anni, ma non ci riesce. Perché questo è il karma tornato a prendersi un altro pezzo di lui, ed Jeongguk è fin troppo debole. La più piccola puntura di uno spillo gli apre la pelle, ma vedere Taehyung lo ha completamente lacerato, e fa male.

 

Fa male come la prima volta che Jeongguk ha baciato un ragazzo e l’ha detto a suo padre. Fa male come quando gli hanno detto che era disgustoso. Sporco. Non sei mio figlio. Il sole comincia a tramontare come gli ultimi granelli di sabbia in una clessidra, e non brilla più niente, se on il sangue di Jeongguk sulle sue unghie da dove si strappa la pelle. Jeongguk prova a tenersi stretto, ma non ci riesce, perché tutto il casino qual è gli fuoriesce dai palmi e gocciola sull’asfalto.

 

Non cammina molto, prima di gettarsi in un vicolo e sedersi sul pavimento sporco. Il mondo gira e il petto è pesante, un singhiozzo gli esce dalla gola. Jeongguk non sa per quanto resta lì, piegato su se stesso. Le unghie conficcate nelle braccia, facendo uscire sangue. Pensa sia più carino così, quando soffre – quando sanguina.

 

Non sa molte cose; come ad esempio perché sia ancora vivo. Perché Dio crea persone come lui. Perché Taehyung è qui?  Perché è perfetto e così composto? Perché è bello. Splendido. Irreale. Perché, dopo tutti questi anni, Jeongguk vuole ancora baciarlo?

 

Perché Jeongguk è gay? Perché devo essere gay?

 

I ragazzi non baciano altri ragazzi. Gliel’ha detto suo padre.

 

Freddo e terribilmente solo, Jeongguk piange. Per quanto tempo non lo sa. Tutto ciò che sa è che vuole andare a casa. Ma dov’è casa, questo non lo sa.

   
 
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