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Autore: Sheep01    20/07/2020    2 recensioni
[IT, Reddie]
Eddie aveva sempre considerato affascinanti le macchine d'epoca, ma non disdegnava mai un secondo sguardo a quelle autovetture un po' datate, di qualche decennio. Gli ricordavano, in qualche modo, gli anni della sua infanzia. Per qualche strana ragione non riusciva mai a rammentare con chiarezza gli anni passati a Derry, ma la Station Wagon color sabbia che possedeva sua madre, quando ancora abitavano in quella sinistra cittadina del Maine, la ricordava eccome.
Per quel motivo, adesso era fermo ad osservare quella Ford Sierra, color rosso sbiadito, parcheggiata sul ciglio della strada. Non doveva stare poi così a cuore al suo proprietario considerata l'usura della scocca e il disordine che regnava sovrano, al suo interno.
Eppure, in una certa misura, quel disordine gli sembrò improvvisamente familiare. E il ricordo di Derry tornò a far capolino nella sua memoria in un assolato pomeriggio californiano.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte Tre

 

Derry, Maine, 2016

 

Dicono che prima di morire, tutta la vita ti passi davanti agli occhi, come in un film mandato avanti veloce.

Eddie non era sicuro di voler assistere a un film che parlava della sua vita, tanto meno durante gli ultimi istanti della sua esistenza.

Si era sempre considerato una persona prudente. Una persona in grado di ponderare fin nei minimi dettagli una decisione, prima di agire. E allora perché questa volta non aveva seguito i consigli che si era dato per una vita intera? O che sua madre prima e sua moglie poi, si erano preoccupate di inculcargli?

Aveva preso una decisione impulsiva (di merda, avrebbe detto Richie – eppure lo avrebbe rifatto) e adesso ne stava pagando le conseguenze. La peggiore di tutte: quella di dover assistere ai ricordi tenuti segreti per ventisette anni che affastellavano la sua mente come un video impazzito.

Richie gli stava di fronte e cercava di tamponare una ferita che non doveva essere poi così trascurabile. Eddie ricordava solo un'altra occasione in cui Richie lo aveva guardato a quella maniera. Il giorno in cui, da ragazzini, per la prima volta si erano addentrati nei misteriosi e oscuri segreti della casa di Neibolt Street e Eddie si era rotto un braccio. Un trauma del tutto irrilevante a confronto di una tenaglia mastodontica che ti trafigge lo sterno, ma comunque un trauma. Eddie era spaventato allora ed era spaventato adesso. E Richie sembrava simpatizzare con il sentimento.

L'unica reale differenza era che Eddie, adesso, era consapevole di essere in procinto di morire.

E aveva appena assistito e compreso, sullo schermo del film della sua vita, limpido come un fulmine nella notte, di amare Richie. Di averlo amato e di aver dimenticato di averlo fatto.

La spiegazione a tutti i turbamenti che erano seguiti al suo ritorno a Derry, nel ritrovarselo di fronte, proprio lì, a portata di mano. I segnali che aveva sfiorato per tutto il tempo e che adesso gli sembravano così chiari, così semplici e banali.

C'era mai stato un momento, nella sua vita, in cui Eddie non era stato innamorato di Richie? Forse mai, nemmeno quando non rammentava neppure il suo nome. Inconsciamente, sempre alla ricerca del suo volto, fra la folla.

Avrebbe potuto cavarci fuori un trattato sui traumi, ad analizzare uno per uno tutti i segnali che il mondo attorno a lui cercava di mandargli e che aveva meticolosamente ignorato, ma non era quello il momento. Adesso voleva solo concentrarsi su Richie. Sui suoi occhi, sulle sue mani e sul fatto che, forse, quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto.

«Rich... Richie...» cercò di catturare la sua attenzione. Era consapevole di non aver molto tempo e sapeva, più di ogni altra cosa, che gli altri avevano più bisogno di Richie di quanto non ne avesse lui.

«Dimmi... che c'è?», mormorò questi, la pressione delle sue mani ancora ferma e presente. Sentiva le forze scivolargli di dosso inesorabilmente, ma avrebbe combattuto per quegli ultimi momenti, «se devi dirmi di nuovo che ti sei fatto mia madre, Eddie...»

«No... no...» si affrettò a zittirlo, «però spero sia servito a farti capire che è sempre stata una battuta del cazzo.»

Richie sorrise appena, mentre le grida in sottofondo aumentavano spaventosamente di volume. Eddie sapeva di non avere troppo tempo. Se non per se stesso, per non minare all'incolumità del gruppo.

«Dovresti raggiungerli: hanno bisogno di te».

«Anche tu hai bisogno di me», lo zittì Richie, mancando completamente il succo del discorso.

«Questo dovrei essere io a dirlo...»

«Volevi tenerti la frase d'effetto per una dichiarazione, Spaghetti?».

Eddie alzò una mano per raggiungere e stringere la sua. Con tutta la forza rimasta. Il calore di Richie rendeva meno disgustosa la vischiosità del suo stesso sangue. Gli piaceva toccare Richie, gli era sempre piaciuto essere toccato da Richie. Per un'ultima volta, per l'ultima volta.

Permettimi di rivederlo di nuovo.

«Sai che mi è tornata in mente, Richie?», mormorò senza starci troppo a pensare.

«No, che ti è tornato in mente... ?»

«Quella tua Ford Sierra... rosso sbiadito».

Richie lo osservò con confusione, il dubbio che Eddie avesse definitivamente perso il contatto con la realtà.

«Eddie...»

«Mi ci hai scarrozzato in giro per settimane a Derry... prima di trasferirti in California», il sorriso di Richie che svaniva lentamente per lasciare spazio a una lucida, allarmante consapevolezza.

Aveva ricordato anche lui? Probabilmente sì.

«Ti avrei scarrozzato fino all'Oceano e ritorno...» mormorò, la voce rotta da un'emozione ormai indiscutibile.

«Lo hai fatto.»

Richie annuì: «Sì... l'ho fatto.»

Eddie sorrise o quantomeno ci provò. La ritrovata coscienza negli occhi e nelle parole di Richie fu più che sufficiente. Si sentì improvvisamente liberato da qualcosa che gli si era annodato dentro per anni. Qualcosa che era stato ingabbiato per tutto quel tempo e a cui non era mai riuscito a dare un nome.

«Eds...»

«Non chiamarmi così... lo sai che...»

«Lo odi, lo so, lo so...»

Strinse un'ultima volta la sua mano.

«Adesso va' dagli altri. E fate fuori quel clown di merda».

Richie ricambiò con forza la stretta. Lo guardò rinvigorito e fiero. Più sicuro di quanto non lo fosse mai stato. L'ombra di incertezza che aveva intravisto nel suo sguardo da quando era comparso alla Giada dell'Oriente, svanita.

«Torno presto. Non abbiamo ancora finito, tu ed io.»

Sentì la sua mano scivolare via dalla propria. Sebbene fosse pronto al distacco, si sentì mancare quando vide la sua sagoma sparire fra le ombre.

Promettimi che questa non sarà l'ultima volta.

Una vecchia, disperata richiesta all'universo.

Aveva funzionato una volta, tanto valeva tentare di nuovo.

Si era tenuto le parole più importanti per dopo. Per quanto lo avrebbe rivisto. Per quando non ci sarebbe più stata tenebra.

E mentre gli ultimi secondi della vita di Edward Kaspbrak scorrevano sui titoli di coda, il suo cuore smise di battere.

 

Bangor, Maine, 2016

 

Quella stupida infermiera non faceva che sorridergli. Un sorriso tranquillo, vagamente divertito. Grazie al cielo si era decisa a lasciarlo solo, finalmente.

Avevano preso a chiamarlo Occhi Dolci, in reparto.

Occhi dolci che evidentemente non coincidevano affatto con lo sguardo che Eddie aveva ritrovato nello specchio, dal giorno in cui si era risvegliato da un lungo coma.

Lo sguardo corrucciato, oscuro. Infastidito. Se si fosse conosciuto da fuori, nemmeno lui stesso si sarebbe trovato simpatico.

Eppure sembrava aver suscitato la simpatia di un sacco di persone, durante la sua lunga, dolorosa degenza.

Gli avevano detto che era scampato per miracolo a una terribile tragedia. Che se era ancora vivo doveva ringraziare la sua buona stella. Che la trave che gli aveva trafitto lo sterno non aveva lesionato alcun organo vitale, gli aveva sfiorato il cuore, evitato la spina dorsale.

Probabilmente avrebbe avuto difficoltà motorie una volta dimesso, ma a quello c'erano buone probabilità di porre rimedio con intensive sedute di fisioterapia.

Per quanto riguardava la sua memoria invece... probabilmente ci sarebbe voluto più tempo.

Sì, perché se Eddie ricordava poco o nulla di quel suo tragico incidente, aveva ancora meno interesse nello spiegare a un branco di sconosciuti perché era tornato nel Maine, tanto per cominciare. Perciò era stato più conveniente fingere di non ricordare esattamente le dinamiche del suo ritorno, e di tutto il resto, per quel che valeva. Era risultato credibile. Coerente con il suo quadro clinico.

Inoltre ci avevano pensato gli altri a spiegare ad autorità e personale medico ciò che era accaduto. Bill doveva essersi inventato una storia credibile (Bill era maledettamente bravo a inventare storie) con la quale Eddie non voleva interferire. Evitare di riportare dettagli che avrebbero finito per contrastare qualsiasi spiegazione lui e il resto dei Perdenti si fossero inventati. Fingere di non ricordare proprio nulla era stata la soluzione migliore.

Così come lo era stata quella di impedire ai medici di contattare Myra, sua moglie. Una moglie nei confronti della quale si sentiva in colpa di non avere il desiderio di riabbracciare, con la quale aveva ancora meno desiderio di confrontarsi o darsi tempo per elaborare spiegazioni plausibili a una simile tragedia. O di imbastire una qualsiasi storia che spiegasse il perché della sua fuga da New York. Solo il pensiero gli faceva aumentare il mal di testa.

Uno dei tanti, dovuti ai farmaci o meno, questo non sapeva ancora dirlo.

Stava ancora cercando di dare un senso ai suoi capelli, quando Richie entrò nella sua stanza.

«Ti hanno proprio messo in ghingheri, eh Spaghetti?», commentò, più pimpante di quanto si aspettasse.

Eddie rimase seduto sul bordo del letto. Lo avevano aiutato a rivestirsi a sistemarsi prima di consegnargli definitivamente il foglio di dimissioni.

Prese fra le dita la stoffa della camicia a righe che indossava e rivolse a Richie una tacita domanda.

E opera tua, questa?

«Ho provato a scassinare la tua valigia, ma quando nemmeno la data del mio compleanno come combinazione ha funzionato, ho rinunciato...»

«Perché diavolo avrei dovuto mettere la tua data, come combinazione al lucchetto della mia valigia? Non ricordo nemmeno quando sei nato.»

«Ouch, questo fa malissimo Spaghetti...»

«Piantala di chiamarmi così, non è il mio nome quello» protestò debolmente. I farmaci che gli avevano costretto a trangugiare prima di rivestirlo, cominciavano a fare effetto. Avrebbe dormito molto a lungo, una volta uscito da quel posto.

«Sei sicuro? Credo che la tua memoria a groviera abbia rimosso alcuni aspetti divertenti della tua esistenza...»

«Sono sicuro che lo abbia fatto sicuramente e in cambio mi abbia dato te.»

Richie sorrise, ma non disse altro. Al contrario aprì la porta e trascinò dentro quella che aveva tutta l'aria di essere una sedia a rotelle.

«Quella che cazzo è?»

«Una...» Richie fece schioccare la lingua, «... poltrona per i viaggi interdimensionali. La missione è stata interrotta, dopo il tuo incidente ma ora siamo pronti a ripartire, capitano Kappa.»

«No, sul serio...», la additò malamente, e poi lanciò uno sguardo di fuoco a Richie come fosse una delle cose più offensive che gli avessero mai proposto.

«Non guardare me, Eddie, è stata l'infermiera con gli occhialetti da John Lennon a dirmi di portartela. Procedure ospedaliere...»

«Lo so che è stata lei. Le avevo già detto che non l'avrei usata! Non posso crederci che abbia cercato di corrompere te! Non me ne frega un cazzo delle procedure ospedaliere, io non ci esco da qui a bordo di quella cosa. Posso camminare

«Certo che puoi ma...»

«Ho partecipato a un sacco di competizioni sportive. Ho vinto un sacco di gare di atletica. Ho battuto il record universitario di velocità, quando ero solo al secondo anno...»

«Se stai cercando un modo per impressionarmi non serve, sono già parzialmente eccitato...»

«Posso camminare!» e così dicendo si issò sulle braccia, fece leva sulle gambe e se ne restò in piedi a fissare Richie con aria di sfida.

«Lo vedo», gli rispose questi. Il sorriso gli si era addolcito e gli occhi erano tornati tristi dietro le lenti dei suoi occhiali, ancora scheggiati. Perché non si era preso del tempo per farseli riparare, quell'idiota?

«Ma se dobbiamo fare questa sceneggiata per farti uscire da qui più velocemente, non pensi che il gioco valga la candela?»

«Non ho intenzione di umiliarmi di fronte...»

«A persone che con ogni probabilità e una certa dose di fortuna non rivedrai mai più?»

Eddie serrò le labbra. Richie aveva ragione ma non era sicuro di non voler avere l'ultima parola su quella faccenda.

«Usciamo da qui una volta per tutte», aggiunse, e tutto quello che Eddie avrebbe voluto ribattere svanì nel nulla, come una bolla di sapone. Aveva davvero senso discutere, quando tutto ciò che desiderava davvero era lasciarsi alle spalle quella sgradevole esperienza?

Recuperò la stampella che gli avevano fornito e tornò su Richie, deciso a dimostrargli con un'occhiata che era comunque estremamente contrario a quell'uscita di scena.

Si sedette sulla sedia a rotelle e Richie aprì di nuovo la porta.

«Ci sono riuscito!» azzardò, prima che l'infermiera tutta sorrisi che attendeva in corridoio, esultasse in modo fin troppo entusiasta.

Eddie ora capiva perché il reparto era riuscito a tollerarlo così facilmente: perché trovavano simpatico Richie. E Richie era colui che più di tutti gli altri suoi amici, aveva frequentato l'ospedale senza mancare visita un solo giorno. E, a detta di uno degli infermieri, nemmeno quando Eddie era mantenuto in coma farmacologico e non aveva la più pallida idea che Richie passasse in ospedale la maggior parte delle sue giornate.

Eddie era convinto che Richie si sentisse in qualche modo in colpa, se Eddie era finito in quella maniera. Non che rammentasse esattamente le dinamiche di quello che era successo nella tana di IT, ma ricordava piuttosto chiaramente Richie intrappolato nelle luci dei pozzi neri. Ricordava la sensazione di assoluta impotenza e la determinazione di fare l'unica cosa che contasse davvero: salvargli la vita. Fare qualcosa di concreto. Di dimostrare che era più coraggioso di quanto credesse, di dimostrare quanto amasse i suoi amici.

Ci aveva riflettuto a fondo, durante le lunghe giornate passate in quel lugubre letto d'ospedale. Nonostante la sua memoria facesse cilecca su alcuni aspetti fondamentali di quella vicenda, nonostante non ricordasse affatto ciò che era successo dopo il dolore atroce che sembrava avergli strappato via l'anima, del sangue che imbrattava il viso e gli occhiali di Richie. Vuoti di memoria sui quali riusciva a soprassedere solo al pensiero di non avere alcun dubbio sul fatto che lo avrebbe rifatto. Salvare Richie, certo, ma anche tornare a Derry. Essere d'aiuto ai suoi amici. Dimostrare di essere forte, coraggioso, fiero. Di essere molto più che un insignificante consulente finanziario, di essere più che un uomo dal matrimonio in crisi, succube di una famiglia problematica, di essere più di una bolla di ipocondria con la quale aveva combattuto per anni, fallendo a più riprese.

E Dio! se lo aveva dimostrato. Aveva combattuto ed era sopravvissuto. Era molto più forte di quanto non avesse mai creduto. Per quello odiava l'idea di non poter uscire sulle sue gambe dall'ospedale. Di non poterlo fare in pompa magna, manifestando una nota di feroce orgoglio.

Ma quando uscì dalla stanza e gli infermieri che si erano alternati a prestargli cure, si trovarono schierati per riservargli il più sentito degli arrivederci, Eddie capì che la polemica sulla sedie a rotelle non era poi così importante. La commozione gli impedì di parlare. Che altro doveva dimostrare, se non di essere ancora vivo?
 

Derry, Maine, 2016
 

Alla fine lo aveva fatto, aveva chiamato Myra. Le aveva spiegato a grandi linee quello che era successo e perché non si fosse fatto sentire per tutte quelle settimane.

La donna si era proposta di raggiungerlo ma Eddie si era opposto tenacemente all'iniziativa. Avevano discusso quasi un'ora al telefono, sotto il portico di quella che era stata la vecchia fattoria degli Hanlon.

Mike si era offerto di sistemare alcune stanze della vecchia dismessa dimora di famiglia (che Eddie non capiva ancora perché non si decidesse a vendere) per permettere a Eddie di avere un posto tranquillo dove trascorrere la sua degenza post ospedaliera. A un passo dall'ospedale di Derry, dove avrebbe dovuto affrontare alcune settimane di fisioterapia e controlli. Molto più comodo che dover affrontare un lungo viaggio per tornare a New York, dove in ogni caso, non c'era molto a cui anelasse correre incontro.

Non che restare a Derry lo mettesse di buonumore. Ma il fatto di starsene in un posto isolato dalla curiosità cittadina, lontano dai luoghi che avevano tormentato la sua infanzia, in ogni caso era sempre meglio che restarsene in quel buco di albergo, dove Bowers gli aveva infilato un coltello in faccia.

Riattaccò con una certa stizza, il braccio indolenzito e l'orecchio in fiamme. Si passò una mano sugli occhi e poi sul viso, ruvido di quella barba che nessuno, men che meno lui stesso, si era preoccupato di accorciargli. La cicatrice sotto lo zigomo ormai rimarginata, ma viva, presente, al tocco.

Il sole stava calando dietro le colline, tutt'intorno un silenzio quasi irreale. Faceva freddo nel Maine, in quel periodo dell'anno, aveva una pesante coperta di lana sulle spalle e il freddo si condensava di fronte al suo viso in nuvole di calore.

Sentì la porta di servizio aprirsi e voltò appena il capo, prima di riconoscere l'inconfondibile sagoma di Richie.

Sembrò esitare per accertarsi che non stesse ancora parlando al telefono, prima di avvicinarlo, un sorriso sulle labbra e una tazza con qualcosa di caldo fra le mani.

«Ho pensato che potessi avere sete, dopo tutto quel parlare al telefono», gli disse solo, porgendogli la tazza che Eddie accettò con gratitudine. Una tisana che profumava in modo invitante.

«Ho gridato troppo?»

Richie scrollò le spalle, sedendogli accanto, sul dondolo un po' sgangherato e cigolante. Indossava solo una pesante camicia di flanella e un paio di jeans. Richie sembrava non farci mai davvero caso, al freddo.

«Non più di quanto tu faccia di solito», lo prese in giro.

Eddie sbuffò più esausto che infastidito, prima di servirsi con un sorso di tisana, sentendosene rinfrancato. Il profumo della cena che Mike stava preparando aveva già cominciato a spandersi tutt'intorno e si rese conto di avere anche fame.

«Avrei dovuto chiamarla prima...» disse Eddie, sebbene Richie non gli avesse chiesto nulla della telefonata.

«Così male?» gli domandò, senza spingere la conversazione, senza azzardare, lasciando che fosse Eddie ad aprirsi a riguardo. Gliene fu grato certo, ma per qualche assurda ragione, sentiva la necessità di parlarne a Richie, prima che a chiunque altro.

«Non più di quanto non lo fosse già», rispose criptico, allungandosi prudentemente verso il tavolo poco distante per posare la tazza di tisana a raffreddarsi un poco. «Mia moglie... Myra ed io stavamo già attraversando un periodo di crisi. Questa cosa non credo abbia migliorato la situazione.»

Richie non si intromise, ma si limitò a guardarlo, imperscrutabile. Eddie non riuscì a capire che cosa gli passasse per la testa.

«Abbiamo parlato di divorzio diverse volte. Stavamo andando da un consulente matrimoniale. Insomma, ci stavamo provando», più per volere di Myra che suo, ma questo si preoccupò di ometterlo. Non voleva sembrare lo stronzo della situazione, «ma non sono sicuro di voler continuare in questo modo. Sopratutto ora. Ho avuto la brillante idea di dirglielo e... insomma, è di questo che abbiamo discusso fin'ora al telefono.»

«Mi dispiace...» disse Richie, un'ombra di costernazione nel suo sguardo.

«Nah...» commentò Eddie, «non è necessario. In realtà credo che sia una liberazione. E prima o poi lo capirà anche Myra... sarà un bene per entrambi.»

«Eravate sposati da molto?»

«Cinque anni...», Eddie esalò una risata divertita; buffo come ora sembrasse tutto così limpido, chiaro. La follia di quello che erano stati quei cinque anni, «nemmeno sei mesi di fidanzamento.»

«Stai scherzando?»

«No?» la risata che ancora premeva nella sua gola, come fosse una specie di burla, di scherzo, «ci siamo conosciuti a una festa di capodanno, sei mesi dopo le ho chiesto di sposarmi.»

«Edward Kaspbrak, sei sicuro di non essere stato rapito dagli alieni? Dovevi essere veramente impazzito o... innamorato», l'ultima parola un sussurro strano nella voce di Richie.

Eddie fece schioccare la lingua, la sferzata di incomprensibile ilarità all'argomento che ancora gli premeva in gola.

«Non proprio. Perderesti la stima che hai nei miei confronti se ti dicessi perché mi sono voluto sposare, in primo luogo.»

«E quando mai l'hai avuta, la mia stima, in primo luogo?»

Eddie gli rifilò una sberla sul braccio.

«L'ho fatto per infastidire mia madre», gli confessò con lo stesso tono in cui gli aveva detto di essere stato sposato per soli cinque anni. Quella divertita incredulità.

«La mia Sonia?»

«Non è mai stata la tua Sonia».

Tornò a guardarlo, ma ora Richie non stava più sorridendo. In qualche modo anche la sua voglia di scherzare o di ridere lo stava abbandonando. Sapeva quanto fosse scomodo l'argomento.

«Già , bè... sai come era fatta mia madre. Quando le ho detto che stavo frequentando una ragazza la sua prima reazione è stata quella di proibirmelo. Ci credi? Trentaquattro anni e tua madre che ti proibisce ancora di fare qualcosa. Non ero particolarmente preso da Myra in quel senso. Ma vivevo a New York da più di un decennio e ancora non mi ero mai fatto dei veri amici... probabilmente perché è vero che ho un carattere di merda... ma...» sospirò, «Myra sembrava non farci caso, mi assecondava. Passavamo molto tempo assieme, si preoccupava per me... si preoccupava forse sempre troppo per me. Ma forse mi sentivo solo e la lasciavo fare. Non era mia intenzione ingannarla, ma...»

Richie continuava a guardarlo, serio e apparentemente impassibile.

«Le ho chiesto di sposarmi esattamente una settimana dopo la litigata con mia madre. Non mi aspettavo che Myra dicesse di sì. Non so perché ho continuato con la farsa. Forse perché mia madre era convinta che non avrei mai osato tanto, che avrei rinunciato, ma più lei si opponeva più ero ostinato a portare avanti questa follia. Tre mesi dopo averglielo detto, eravamo sposati. Un anno e mezzo dopo Sonia è morta... e io mi sono reso conto di essermi intrappolato con le mie stesse mani. Sposando una donna che fra l'altro era la copia carbone di mia madre» Fece una smorfia amara. Un matrimonio che più che altro era stato un vero e proprio incubo. «Un bel casino, mh?» rise di nuovo, ma stavolta non c'era alcuna traccia di divertimento, solo rassegnazione. Tirò su col naso e alzò lo sguardo al cielo che si stava scurendo. Il tramonto che lasciava il passo alla notte. Rabbrividì appena, nonostante fosse ancora abbondantemente coperto.

«Dopo tutto quello che è successo qui però ho capito di non poter più continuare. Non so che... diavolo sarà da oggi in poi, ma quello che so è che non voglio più tornare a fare la mia vita di prima. Non a fingere. Sono stufo di fingere.»

Il silenzio che seguì quelle parole non lo imbarazzò tanto quanto si era atteso. L'averne parlato, sembrò averlo liberato più di quanto avesse fatto la telefonata in cui metteva in chiaro le cose con Myra.

«Eddie Spaghetti si è fatto grande», commentò solo Richie, dandogli un pizzico sul braccio.

Quando Eddie si voltò nella sua direzione per ribattere qualcosa di acido si rese conto che Richie lo stava guardando come aveva fatto all'ospedale. Un misto di dolcezza e tristezza. Perché continuava a guardarlo in quel modo? Come se fosse a conoscenza di qualcosa a cui Eddie non riusciva ad avere accesso?

 

La sua permanenza a casa di Mike fu un toccasana per la sua salute, fisica e mentale. I suoi ritmi giornalieri erano lenti e cadenzati di eventi sempre uguali, ma si rese conto di averne bisogno più di quanto non avesse mai fatto in tutta la sua esistenza. Come se l'universo gli avesse finalmente concesso del tempo per prendersi una pausa, per riflettere sulla sua vita, per riassestare la sua esistenza.

Come fosse rinato.

Essere morto (gli avevano comunicato che il cuore gli si era fermato, a più riprese, quel giorno), e poi tornato era stata un'opportunità. Come se il karma gli avesse concesso l'occasione di ripulirsi di tutte le impurità della sua vita precedente. Di liberarsi di ciò che non era mai stato necessario, di circondarsi solo di ciò che contava.

E al momento, recuperare la sua salute era ciò che contava. I Perdenti che gli erano stati accanto durante la sua permanenza in ospedale, che si preoccupavano per lui anche ora che erano tornati alle loro esistenze, lontani da Derry, erano ciò che contava. Mike che aveva deciso di restare ancora in quella città prigione, di offrirgli rifugio e cure, che aveva articolato una scusa per organizzare al meglio il suo viaggio in Florida per i mesi a venire, era ciò che contava. E Richie che aveva deciso di prendersi una lunga pausa dal suo lavoro per fare compagnia a Eddie (che lo aveva pregato, supplicato a più riprese di non farlo, con scarso successo), era ciò che contava.

Erano poche le cose che contavano, ma era tutto ciò di cui aveva veramente bisogno.

Una mattina particolarmente fredda si alzò dal letto più tardi di quanto facesse d'abitudine. Ma il piumone lo teneva al caldo mentre fuori pioveva e la sensazione era piacevole, confortante.

Ancora in pigiama, si infilò un cardigan che Mike gli aveva prestato, di almeno due taglie più grande e recuperò la stampella di cui si serviva per camminare, accanto al comodino. Era sempre più facile muoversi. I medici erano certi che prima dell'arrivo della primavera avrebbe potuto sbarazzarsi della stampella, così come dei punti che gli ricamavano la grossa cicatrice sullo sterno. Aveva imparato a prendersi cura anche di quella, sebbene non fosse poi così piacevole alla vista, di sicuro non era niente che non potesse affrontare. Era la prova tangibile che ce l'aveva fatta. Che poteva guarire. Che poteva vivere, anche attraverso il dolore. Anche sentendo dolore. Tutto il dolore che Sonia aveva sempre cercato di prevenire. Cercando di impedirgli di vivere la sua vita, senza rendersi conto di averlo danneggiato più di quanto gli avrebbe fatto mai male cadere.

Si trascinò pigramente in bagno, avvertendo, già dal corridoio la voce di Richie. Gli ci volle poco per capire che non stava parlando con Mike ma al telefono, con qualcuno.

Gli sembrò scortese origliare e finì per richiudersi in bagno per mettere in moto la sua routine mattutina e dare a Richie il tempo di finire la sua telefonata. Fu sorpreso di emergere dalla porta e sentire ancora Richie parlare. Probabilmente doveva essere una questione di lavoro. Sembrava alterato, per qualche assurdo motivo. Riuscì a interpretare solo stralci di conversazione che non volle approfondire, ma niente di quello che colse sembrò particolarmente felice.

Attese ancora un istante, prima di decidersi ad entrare in cucina, preoccupandosi di fare rumore con la stampella per palesare la sua presenza e permettere a Richie di cambiare argomento, abbassare i toni o chiudere la conversazione.

Lo vide voltarsi nella sua direzione e salutare frettolosamente un certo Steve. Probabilmente il suo agente. Già emerso in altre conversazioni.

«Goodmorning, sunshine...» canticchiò, posando il cellulare sul bancone della cucina. Il repentino cambio d'umore lo spinse a pensare che Richie fosse piuttosto bravo a recitare.

«Buongiorno a te», gli rispose, ancora impigrito dal sonno per poter imbastire una risposta sferzante, all'altezza di quell'esordio.

«Ci sono dei toast e del caffè ancora caldo, se ne vuoi...»

«Sai che non posso bere caffè, farebbe a pugni con i farmaci che sto prendendo.»

«Oh, giusto... del latte caldo?» Eddie annuì brevemente e fece per andare incontro a Richie per aiutarlo, ma questi gli puntò un dito alla spalla, spingendolo indietro.

«Mettiti seduto, Spaghetti, ci penso io.»

«Guarda che posso farcela...» si preoccupò di ricordargli.

«Lo so, lo so, ma lasciamelo fare comunque.»

Eddie non era sicuro di volergliela dare vinta, ma nemmeno di voler discutere. Tornò sui suoi passi e si mise seduto al tavolo, preoccupandosi di dimostrarsi quantomeno contrariato, guardandolo armeggiare in cucina. Notò solo allora il portatile di Mike, acceso sul tavolo e intravide un documento di word aperto, con svariate evidenziature. Richie probabilmente stava lavorando.

Di tutte le sensazioni familiari che aveva ritrovato in quegli ultimi giorni, in presenza di Richie, quella gli sembrò, inspiegabilmente, quella più potente.

Richie seduto al tavolo, mentre scriveva al pc, concentrato su uno dei nuovi pezzi per i suoi show.

Eppure era certo di non aver mai davvero assistito a una cosa simile. Si ritirava sempre in camera sua per scrivere. Non lo aveva mai fatto in loro presenza. Come avesse bisogno di una certa dose di solitudine e concentrazione.

«Dov'è Mike?» domandò allora, perché se Richie aveva deciso di mettersi a scrivere, non poteva che essere solo.

«È andato in città. Doveva sbrigare delle commissioni. Gli ho chiesto se aveva bisogno che l'accompagnassi ma ha preferito lasciarmi qui a farti da badante.»

«Non ho bisogno di una badante!».

«È quello che gli ho detto anche io, ma ha insistito, quindi se scoprisse che nemmeno mi hai permesso di prepararti la colazione, mi ucciderebbe. Sai che Mike un po' fa paura, è l'unico del gruppo ad aver osato crescere più del sottoscritto.»

Eddie fece schioccare la lingua.

«Mike non farebbe male a una mosca...»

«Perché non lo hai visto scacciare le volpi qui attorno.»

Eddie alzò la testa, confuso.

«Ci sono delle volpi, qui?»

«Ci sono sempre state delle volpi, qui. Ricordi quando eravamo ragazzini di come Mike ci raccontava le volte in cui dovevano rinforzare le reti per le galline?»

Tornò indietro con il suo latte, due fette di pane tostato e della marmellata.

Eddie lo ringraziò con un cenno del capo, massaggiandosi distrattamente una tempia.

«Forse...»

Richie gli si sedette di fronte, rendendosi conto solo il quel momento di aver lasciato il pc a intralciare il tavolo. Lo richiuse con uno schiocco secco e lo posò sulla sedia accanto.

«Lo sai che non devi fingere di ricordare qualcosa, se non è così, vero?» gli disse, rendendosi conto che Eddie stava ancora cercando di riportare a galla gli avvenimenti che gli aveva appena descritto.

«Non ho detto che...», fece per ribattere ma lo sguardo di Richie si era addolcito di nuovo. Sempre a quel modo. Sempre così triste... ma così comprensivo. «È difficile capire che ricordi si è portato via Pennywise e quali si è portato via l'incidente... cerco solo di recuperare quello che posso. Quello che mi sembra importante.»

Non riusciva a spiegare a Richie meglio di così che, per lui, qualsiasi ricordo che emergeva dalle nebbie della sua memoria era importante. Un obiettivo guadagnato. Gli avevano detto che aver scordato il trauma del suo incidente probabilmente era un meccanismo di autodifesa. Ma Eddie era stanco di giocare in difesa. Aveva deciso di affrontare tutte le sue paure, e che il suo fisico, ora gli giocasse quello scherzo crudele non riusciva ad accettarlo più di quanto dovesse accettare di camminare con una stupida stampella.

«A volte ho come l'impressione di aver dimenticato qualcosa di importante», lasciò che la frase se ne rimanesse ad aleggiare un po' nell'aria, prima di attirare a sé il latte caldo, per poi rendersi conto di avere lo sguardo di Richie puntato addosso con una certa insistenza.

Non c'era più quell'insolita dolcezza nel suo sguardo, solo un sospetto turbamento, un velo d'angoscia. Anche quella era un'altra delle nuove espressioni di Richie che proprio non riusciva ad interpretare. Erano sempre più frequenti le volte in cui lo sorprendeva a fissarlo. Inizialmente era convinto lo facesse per un eccesso di premura nei suoi riguardi. Come si dovesse accertare sempre di tenerlo monitorato per impedire che cadesse, che non soffrisse, che non avesse bisogno di niente. Ma con l'avanzare dei giorni capì che non era esattamente quello. Lo guardava sempre come... fosse sul punto di dirgli qualcosa. Esattamente come stava facendo in quel preciso momento.

Le labbra appena dischiuse, il busto vagamente proteso nella sua direzione, riusciva a cogliere il desiderio inespresso di parlare. Ma dopo un istante, che sembrò durare più del necessario, Richie si allungò solo per recuperare uno dei suoi toast e addentarlo senza pietà.

«Le cose davvero importanti non avrai bisogno di ricordarle... torneranno in un modo o nell'altro, Eds», disse solo, prima di rimettersi in piedi, «te li rifaccio questi toast, si sono raffreddati e fanno schifo.»

Eddie non riuscì nemmeno a ribattere di non chiamarlo Eds o che proprio non c'era bisogno che si disturbasse tanto: Richie si era già rimesso all'opera, canticchiando un motivetto orecchiabile.

 

I giorni in cui Eddie rientrava dalle sue sedute di fisioterapia erano i peggiori. Era talmente esausto che appena riusciva a mangiare, prima di stendersi a letto e crollare in un mondo senza sogni.

Non che preferisse gli incubi che popolavano la maggior parte delle sue notti.

Mike e Richie gli avevano detto di essere vittime dello stesso sgradevole inconveniente e Eddie si era messo il cuore in pace. Probabilmente gli incubi si sarebbero affievoliti col tempo, nel frattempo anelava all'oblio.

Quella sera però giocavano una partita della squadra di basket preferita di Mike alla tv, in previsione della quale aveva comprato un sacco di lattine di birra e ordinato della pizza per una serata che definire un cliché fra scapoli era un eufemismo. Avrebbero assistito alla partita in videochiamata con Bill e forse, più avanti anche con Ben e Beverly se si fossero concessi una pausa dal loro viaggio attraverso gli Stati Uniti (anche Beverly stava affrontando un divorzio disastroso e non riusciva a non pensare con tenerezza al modo in Ben la stava accompagnando e appoggiando attraverso tutte le fasi di quella sgradevole esperienza). Eddie non voleva mancare all'evento, anche se probabilmente avrebbe significato dover combattere tenacemente con fasi REM a ritmi alternati.

Non assaggiò che un paio scarso di fette di pizza, sentendosene nauseato con una certa rapidità. Non toccò la birra, per ovvie ragioni, ma si divertì a osservare i commenti sulla partita. Gli scatti di esplosiva ilarità o feroce sgomento alle azioni che si susseguivano sullo schermo. I commenti esilaranti di Richie e le risate di Mike e Bill sullo sfondo. Riuscì a restare sveglio il tempo necessario, finché il suo fisico non cominciò a cedere, quando alla partita venne concessa la fine del primo tempo e le chiacchiere si fecero tranquille.

Bill, in videochiamata su Skype stava raccontando un aneddoto divertente sulla stesura di una sceneggiatura, mentre Mike commentava con puntuale sarcasmo tutto quanto.

«Terra chiama Eddie, sei ancora fra di noi?», gli chiese Richie, voltandosi a guardarlo. La sua testa si era accomodata sulla spalla di Richie senza che quasi se ne rendesse conto. Ma stava comodo e Richie non si era preoccupato di scostarlo o muoversi, negli ultimi minuti.

«Ci sono, sì, ci sono...» fece per alzare la testa, massaggiandosi gli occhi, «scusami.»

«Se non hai intenzione di andare a letto, resta pure dove sei, Spaghetti, non mi dai fastidio.»

Eddie alzò lo sguardo, sentendo un vago calore risalirgli su per il viso. Non seppe per il tono che aveva usato o lo sguardo che gli aveva rivolto o per il confortevole calore del suo corpo.

La sua coscienza gli gridava di togliersi dall'imbarazzo, il profumo di Richie lo invogliava a restare esattamente dov'era.

«Probabilmente dovrei andare a letto...» commentò solo, per prolungare il momento.

«Vuoi che ti accompagni?» gli domandò Richie in un sussurro, mentre Bill, dallo schermo esplodeva in un eccesso di risa a una qualche battuta di Mike.

Eddie scosse la testa, restando fermo con gli occhi chiusi a godersi quegli ultimi istanti.

«Aspetto che inizi il secondo tempo e poi vi lascio a sbraitare su un gruppo di uomini sudati in canottiera.»

Richie rise appena e Eddie avvertì vibrare il suo corpo tutto, sotto la sua testa.

Gli piaceva sentirlo ridere.

Prima di addormentarsi di nuovo, aveva realizzato che il calore che sentiva sprigionarsi dal suo petto non poteva essere che una cosa sola.

 

Non fu una sorpresa per Eddie, capire di essere invaghito di Richie in un modo che dovrebbe essere del tutto estraneo a una semplice amicizia. Il languore che seguiva ogni suo gesto, quell'indescrivibile desiderio di stargli accanto, di parlare con lui, di toccarlo. Il modo in cui non riusciva a distogliere lo sguardo o come si sentisse arrossire stupidamente ogni volta che sorrideva o che cercava di farlo ridere. Era riuscito a sistemare il puzzle in maniera piuttosto semplice una volta che si era concesso la possibilità di analizzare i sentimenti che provava nei suoi confronti.

Era giunto a quella conclusione senza doversi sforzare troppo, in fin dei conti. Una cosa del genere non la puoi ipotizzare, la senti. In ogni modo possibile.

Da quanto tempo provasse della reale attrazione nei suoi confronti non riusciva proprio a dirlo. Se fosse stato qualcosa che se ne era sempre sempre rimasto lì, in silenzio, in attesa di un risveglio dei sensi o se fosse qualcosa che era lentamente cresciuto in quelle ultime, intense settimane di forzata convivenza.

Quello che Eddie amava, di quella sensazione, era che lo faceva sentire vivo. E libero.

Tutto il contrario di ciò che gli avevano portato cinque anni di matrimonio. Era sempre stato consapevole di avere una vita sentimentale e sessuale piuttosto confusa. Non si era mai concesso di esplorare a fondo la cosa, non di azzardarsi ad andare al di là di vergognose e clandestine ricerche virtuali, a riguardo. Anni di abusi da parte di una madre che aveva fatto di tutto per tarpargli le ali in ogni direzione, anni a cercare di incastrarlo perfettamente in una vita omologata e sicura. Se era vero che aveva sposato Myra anche per fare dispetto a sua madre, era anche vero che lo aveva fatto per cercare in qualche modo di rispettare quei canoni. Un lavoro, una casa, una famiglia.

Ciò che non aveva realizzato, prima del suo ritorno a Derry, era di quanto questi principi fossero posti su fondamenta del tutto inconsistenti. Fragili come carta velina.

Il suo mondo era crollato così come era crollata la casa maledetta di Neibolt Street.

Per sua fortuna era riuscito a liberarsi dalle macerie, invece di restarne intrappolato, per sempre.

Quello che sentiva per Richie era nuovo, eccitante, un inedito tassello da aggiungere alla sua nuova identità, alla sua rinascita. Non era sicuro di che farsene di una simile informazione per il momento, non era certo gli fosse concesso parlarne, o anche solo sperare in uno sviluppo. Godersi la sensazione gli sembrò sufficiente. Perché esplorarla più a fondo era certo lo avrebbe trascinato in un turbine di panico non richiesto. E considerate le sue condizioni di salute, non gli sembrava saggio aggiungere ulteriori complicazioni.

Fu in un pigro pomeriggio di fine ottobre che Eddie si ritrovò, suo malgrado, ad ascoltare una conversazione che forse non avrebbe dovuto giungergli alle orecchie. Mike e Richie erano fuori, sotto al portico, a sistemare alcune decorazioni per Halloween. Mike pensava fosse divertente e facesse colore, agghindare parte della fattoria con luci, zucche e scheletrini luminosi che aveva trovato in cantina, qualche giorno prima. Ognissanti si stava avvicinando e dopotutto perché non celebrarlo ora che gli incubi erano stati sconfitti?

«Gliene hai già parlato?» stava dicendo Mike, la porta era aperta e Eddie non fece altro che fermarsi appena prima di uscire sulla soglia per raggiungerli.

«Non ancora...» la voce di Richie, bassa e rassegnata.

«Mi spieghi che diavolo aspetti a dirglielo?»

«Credi che sia così facile, Mike? Potrebbe solo peggiorare la situazione.»

«Peggiorare? E in che modo? Se quello che mi hai raccontato è vero...»

«Vero? Credi che potrei inventare una storia simile?»

«No. No, ovvio che non era quello che volevo dire...»

«Allora dimmi che diavolo volevi dire, perché non è chiaro per niente, secchione.»

«Intendevo... come potrebbe peggiorare la situazione, se glielo dicessi?»

«Potrebbe traumatizzarlo.»

«Traumatizzarlo in che modo?»

«Cristo Mike, proprio non ci arrivi, mh?»

«No io... okay, sì, forse... forse hai ragione. Non ci avevo pensato.»

Eddie riemerse sul portico solo quando capì che lo scambio era terminato.

«Buongiorno, Eddie!» esordì Mike con un gran sorriso in volto, «che ne dici?» indicò le decorazioni e due grosse zucche di carta pesta ai lati della porta. Richie si era ammutolito e lo fissava in modo strano, in fondo ai gradini che conducevano al vialetto sul retro del portico. Sul suo volto l'incertezza di qualcuno che non riesce a stabilire se è stato colto in flagrante.

Eddie era combattuto se chiedere spiegazioni o fingere di non aver sentito nulla. Stavano parlando di lui, dopotutto. E di chi altri?

Si appoggiò con una spalla allo stipite della porta, lasciando che il peso non gravasse del tutto sulla stampella.

«Che la zucca marcia e orrenda assomiglia a Richie», disse solo, prendendo la sacra decisione di non distruggere l'umore della giornata.

«Te l'avevo detto, Mike! Perché gliele imbocchi?» gridò Richie, come risvegliandosi da un'impasse temporanea. Eddie ricordò con troppa facilità, quanto anche per lui fosse facile fingere.

 

Una notte di novembre, Eddie sognò sua madre. L'incubo era piuttosto confuso, ma la donna non faceva che gridare il suo nome mentre lui attraversava labirinti oscuri. In fuga, da lei o chissà che altro. Non era un sogno più spaventoso di altri, non più di quello in cui continuava a tornare quell'orribile lebbroso, ma quando aveva aperto gli occhi si era reso conto di essere più angosciato di quanto non lo fosse mai stato. Forse aveva avuto modo di pensare così tanto alla sua vita, in quelle settimane, al suo rapporto con la famiglia, le amicizie, l'amore, che le riflessioni non avevano potuto che riassumersi nella figura di sua madre. Colei che più di chiunque altro, con la scusa di un amore iperprotettivo, l'unico amore che Eddie avesse mai pensato di meritare, aveva condizionato la sua intera esistenza. Una madre che gli chiedeva di ritornare sulle sue decisioni, come fosse davvero possibile, con la consapevolezza di ora, tornare indietro. Gli ci erano voluti quarant'anni per capire cosa volesse dalla vita, non si sarebbe lasciato ingannare da sua madre. Da uno stupido sogno.

Si era rimesso in piedi, trovando grande giovamento nel sentire il pavimento fresco, sotto i piedi scalzi. Un contatto concreto con la realtà. Fuori aveva smesso di nevicare e per un folle istante dovette reprimere l'impulso di uscire fuori, all'aria aperta e immergere i piedi nella neve ghiacciata. Non lo aveva mai fatto, chi avrebbe potuto impedirgli di farlo ora?

Sorrise rassegnato al pensiero che non sarebbe stata una decisione poi così saggia e recuperò la stampella. Fare due passi lo avrebbe aiutato comunque.

Quando era già per il corridoio colse la luce in cucina e il ticchettio frenetico dei tasti del portatile di Mike.

Richie era seduto al tavolo della cucina e stava lavorando. Una tazza di caffè ancora fumante accanto. Indossava i pantaloni del pigiama e una maglietta slavata. Aveva i capelli ancora arruffati dal cuscino, gli occhiali erano gli erano calati sul naso e le lenti riflettevano lo schermo del pc: sembrava concentrato. L'immagine, nel suo insieme diede a Eddie un'immediata sensazione di familiarità. Di nuovo quell'impressione di déjà-vu. Oltre che confermare i sentimenti nei suoi riguardi che, se possibile, sembravano rafforzarsi di giorno in giorno.

Non voleva disturbarlo ma non fece nulla per andarsene. Osservare Richie indisturbato era diventato uno dei suoi passatempi preferiti.

Ricordava perfettamente l'immagine di lui da ragazzino: magro, alto e dinoccolato. I capelli che si ammucchiavano ribelli sulla sua testa. Le lenti di quegli occhiali a fondo di bottiglia che gli ingrandivano così tanto gli occhi da dargli quell'espressione sempre estremamente sorpresa. Ma era cambiato. Nonostante fosse consapevole che alcuni dei suoi tratti caratteristici fossero rimasti gli stessi, a partire da quel suo carattere folle che si era a malapena chetato con gli anni, l'età gli aveva regalato un'immagine inedita di Richie: come aveva detto Beverly, un pomeriggio di tanti anni prima, Richie era cresciuto nella sua pelle. E Eddie amava scovare di giorno in giorno le particolarità che facevano di Richie l'uomo in cui si era trasformato. Era diventato alto, molto più di quanto potesse immaginare. Le spalle forti, la schiena larga. Il viso gli si era indurito, scolpito, ma i capelli che teneva lunghi sulla nuca lo ammorbidivano a sufficienza da dargli un'aria vivace ma gentile. Aveva scoperto di trovare gradevole la linea della sua mascella, quella sua barba che per quanto cercasse di tenere a bada non faceva che crescere con una rapidità sconcertante, i suoi occhi che si erano addolciti dietro lenti di occhiali più alla moda. Aveva le mani grandi, il ventre ammorbidito da troppi alcolici o dissennate abitudini alimentari, ma nel quale avrebbe, suo malgrado, volentieri affondato le mani. Erano pensieri che lo tenevano spesso sveglio, la notte, a chiedersi, ancora una volta che farsene di simili informazioni, di una simile consapevolezza. Cercava di credere che gli sarebbe stato sufficiente adorarlo, desiderarlo in silenzio, in segreto, per sempre, se fosse stato necessario, ma non era sicuro che una simile linea di condotta avrebbe concordato con i nuovi principi con i quali desiderava ora vivere la sua vita.

Non dovette restare fermo per molto. La sua silenziosa contemplazione venne interrotta quando Richie si sfilò gli occhiali, appoggiandoli sul tavolo con un gesto frustrato, massaggiandosi distrattamente gli occhi. Allungò le braccia sopra la testa e prese a stiracchiarsi con forza, allungando le dita intorpidite nell'aria. Fu in quel momento che sembrò notare la sua presenza. Restò per qualche istante in quella posizione, come freddato dalla visione di un fantasma per poi abbassare cautamente le braccia e lanciargli uno sguardo corrucciato.

«Che ci fai in piedi a quest'ora?» gli chiese, recuperando gli occhiali per poterlo mettere a fuoco.

«Potrei farti la stessa domanda?» ribatté Eddie, stringendo con forza la stampella, prima di decidersi a fare qualche passo verso la cucina. Ignorò volutamente il tavolo a cui era seduto per farsi strada verso il frigorifero, alla ricerca di qualcosa di fresco da bere.

«Ho avuto una folgorazione per un pezzo e ho pensato che tanto valeva alzarsi e scriverlo, prima di dimenticarmelo.»

Eddie sorrise appena, ancora un po' innervosito dall'incubo, versandosi un bicchiere d'acqua. Restò in piedi accanto al bancone della cucina, guardando Richie da una certa distanza.

«Lo fai spesso?», gli chiese, «alzarti nel bel mezzo della notte per scrivere.»

Richie si passò una mano fra i capelli, arruffandoli, se possibile, ancora di più.

«Non così spesso come in quest'ultimo periodo.»

«Ah giusto, è vero che non li scrivi sempre tu, i tuoi pezzi», lo prese in giro, ricordando una vecchia conversazione.

Richie sorrise timidamente: «L'idea è quella di metterci un po' più di iniziativa personale, nei miei spettacoli, da oggi in poi», disse, e guardò Eddie come cercasse una sorta di approvazione.

«Cosa ti ha impedito di farlo prima?» gli domandò invece di assecondarlo.

Lo vide scrollare le spalle.

«Regole di mercato?»

«Quello dovrebbe essere più il mio campo che il tuo.»

Richie grugnì qualcosa che sembrava una risata.

«Sì bé, per quello pagavo qualcuno per farlo al posto mio. Capire cosa ama la gente e rielaborarlo per il grande pubblico. Non è solo il talento a renderti famoso, di questi tempi.»

Eddie continuò a cogliere dell'amarezza nella sua voce.

«Significa che ora sei abbastanza famoso da poter scrivere quello che ti pare?»

«Qualcosa del genere... anche se nel mondo dello spettacolo basta una parola sbagliata per farti fuori», lo guardò fare un gesto distratto con la mano, «ma adesso ho intenzione di far sentire la mia voce più di quanto non lo abbia mai fatto prima.»

Gli rivolse uno sguardo esitante. Eddie si trattenne dal dire che aveva una gran bella voce. Che era un peccato nasconderla a chicchessia.

«Quindi basta fingere?»

«Basta fingere.»

Eddie avvertì una sensazione di calore all'altezza dello sterno, in prossimità del cuore. Il sorriso di Richie a quell'affermazione si era fatto caldo, arreso ma soddisfatto. Avrebbe voluto abbracciarlo. Forse avrebbe voluto baciarlo. L'immagine era così perfetta e confortante che se ne sentì sopraffatto e dovette poggiare il bicchiere d'acqua sul bancone per impedirsi di rovesciarlo, tanto gli tremavano le mani.

«Dovrò tornare a Los Angeles per un paio di settimane», disse Richie, risvegliandolo da quel caldo torpore.

«Come?»

«Sì... scusami, avrei dovuto dirtelo prima, ma non ero ancora sicuro delle date. Se voglio avere ancora un lavoro, devo tornare per discutere un paio di cose con il mio agente, i pubblicitari e i tour che ho lasciato in sospeso, prima di tornare a Derry.»

Eddie si sentì uno stupido per aver anche solo pensato male di una simile affermazione.

«Ah, piantala Richie, di che ti stai scusando esattamente?», gli disse, andandogli incontro. Abbandonò la stampella accanto al tavolo, mettendosi seduto accanto a lui.

«Tornerò prima che ti levino quella stampella, promesso.»

«Rich... prenditi tutto il tempo che ti serve. Non era necessario che restassi, tanto per cominciare. Ho Mike e tutto lo staff dell'ospedale di Derry ai miei piedi.»

«Nel senso che li hai fatti fuori? Sapevo che prima o poi avresti commesso un atto sconsiderato.»

Gli lanciò uno sguardo fulminante.

«Dico davvero, torna alla tua vita, Richie. Dobbiamo tutti ricominciare a viverla. E prima o poi riuscirò anche a convincere Mike a fare altrettanto» si sentiva in colpa al pensiero di averli trattenuti così a lungo. L'idea di averli accanto tutti i giorni era stata piacevole. Quella di perdere quella quotidianità gli spezzava il cuore. Ma sapere Mike e Richie intrappolati a Derry, in attesa, quando lui stesso stava tentando di liberarsi da tutte le catene che lo avevano tenuto fermo per quasi quarant'anni, gli sembrava un atto di estremo egoismo. Gli tornò in mente il sogno di poco prima, sua madre che gridava il suo nome, che lo supplicava di non lasciarla sola. Non le somigliava, non voleva somigliarle. La rabbia e la vergogna a ribollirgli dentro, latenti al pensiero.

Richie gli rivolse di nuovo quello sguardo, quello triste e gentile.

«Continui a parlare come se fosse un peso per noi, dovresti smetterla, Eddie.»

«Perché, non lo è?» esalò in uno scatto frustrato. La voce di sua madre che gli rimbombava ancora nelle orecchie.

«No che non lo è. Devi smetterla di credere che sia per pietà se siamo rimasti. Siamo qui perché siamo tuoi amici, perché...»

«Ho sentito come parlavi con il tuo agente: eri preoccupato. Ho sentito che parlavi con Mike. Avevi paura di dirmi che saresti partito? Era di questo che stavate parlando, prima di Halloween, era questo che credevi mi avrebbe traumatizzato?»

Vide Richie sgranare gli occhi con consapevolezza. Aprire e chiudere le labbra, un paio di volte, prima di rinunciare. Non sapeva che rispondere perché era vero? Stavano cercando di proteggerlo da cosa, esattamente? Pensavano che non sarebbe stato in grado di assorbire altri colpi?

Fu quel pensiero, più di ogni altro, ad accendere il gas e far esplodere il coperchio, come una bomba.

«Potete smetterla di camminarmi attorno in punta di piedi, non siete in una cazzo di cristalleria, non ho le ossa fatte di ghiaccio!», cercò di rimettersi in piedi, la rabbia e la frustrazione che gli fluivano nelle vene sempre più rapidamente, «sono sopravvissuto a un cazzo di clown assassino! Non ho bisogno che vi immolate, posso cavarmela benissimo anche da solo.»

Cercò di non far caso all'espressione di Richie, né al fatto che avesse allungato una mano per trattenerlo. O che lo avesse richiamato con la voce tremante, quando era già per il corridoio.

Quando si chiuse la porta della stanza alle spalle, sentì la voce di Mike che probabilmente si era svegliato e il borbottio scomposto di Richie dalla cucina. Lanciò la stampella da qualche parte, prima di aprire la finestra della camera da letto e prendere ampie boccate d'aria gelida.

 

La mattina seguente Eddie si sentiva uno schifo. Per via dell'incubo con sua madre, dell'incomprensibile sfuriata nei confronti di Richie o per il fatto che non era riuscito a chiudere occhio, quella notte. Troppo agitato dai suoi stessi pensieri. Perché gli aveva gridato dietro a quel modo? Forse le premure che Mike e Richie gli avevano riservato non erano così azzardate se per una sciocchezza simile Eddie riusciva ad andare in escandescenze.

Sapeva di essere nervoso perché le terapie si stavano prendendo troppo tempo. Consapevole che questo avrebbe intrappolato Mike in quel posto infame ancora troppo a lungo. Era nervoso perché era costretto a seguire Myra con le pratiche per un divorzio che sarebbe stato tutt'altro che semplice. E si sentiva frustrato dall'idea che Richie se ne sarebbe andato per tornare a Los Angeles. Un circolo vizioso senza fine. In più non riusciva ancora ad accettare l'assurdità che uno stupido alieno prima e un incidente poi gli avessero strappato dei ricordi che lo facevano sentire incompleto.

Si alzò dal letto solo per dare sollievo alla sua schiena a pezzi. Perché aveva bisogno di andare in bagno e perché il suo stomaco aveva preso a brontolare per la mancanza di cibo.

Dopo qualche minuto si spostò con cautela verso la cucina. Intravide la sagoma di Mike, fuori dalla finestra, intento a spalare il vialetto di casa dalla neve accumulata. Rilasciò piano il fiato per il sollievo di non dover interagire con Richie. Ancora troppo imbarazzato dal suo stesso comportamento per chiedere scusa.

«Ehi, Eddie, buongiorno» Mike rientrò qualche minuto dopo, intirizzito ma gioviale. Si tolse di dosso gli stivali da neve, i guanti e la giaccia e si strofinò le mani una sull'altra, cercando di riscaldarle.

«Ho fatto della cioccolata calda, se te ne va un po'», lo mise al corrente Eddie, indicandogli il pentolino ancora caldo sul fornello.

«Non sarò tanto sciocco da rifiutarla...» si spinse verso la credenza per recuperare una tazza e poi avvicinarlo per fargli compagnia, «ha nevicato ancora stanotte. Ma le previsioni meteo dicono che dovrebbe migliorare entro il fine settimana.»

Eddie annuì appena, sorridendo timidamente, incerto su cosa dire. Richie gli aveva parlato di quello che era successo la sera precedente?

Inspirò a fondo e mise da parte la colazione.

«Richie sta ancora dormendo?» domandò casualmente, nascondendosi dietro un bicchiere d'acqua con la scusa di dover prendere le sue pastiglie.

«Uh, no, Richie è uscito presto stamattina. Doveva comprare una valigia nuova e stampare i biglietti per il viaggio... non abbiamo internet, né stampante qui. Avrei dovuto pensarci prima.»

I biglietti. Chissà per quando era fissata la partenza di Richie. Non ebbe il cuore di chiederlo a Mike. Forse non voleva sapere quanto tempo gli restava, dopotutto.

Si limitò ad annuire di nuovo, giocherellando con la scatola delle pastiglie che gli aveva fornito l'ospedale.

«Abbiamo discusso, ieri sera...» decise di togliersi il dubbio rapidamente. Uno strappo secco, come si fa con un cerotto.

«Mh...», esalò Mike, posando con cautela la sua tazza sul tavolo. Gli stringeva le mani attorno per assorbirne il calore. Richie doveva avergliene parlato eccome. Dopotutto dov'era la novità? Non parlavano di lui quando non poteva ascoltare? Non era questo che lo aveva mandato in bestia la sera precedente? Si impose di calmarsi, perché sapeva di essere tremendamente ingiusto, sopratutto ora, che vedeva le cose alla luce del mattino.

«Non avrei dovuto urlare così. Sono... credo di essere molto nervoso, in questo periodo. Ma non avrei dovuto urlargli contro.»

«È comprensibile Eddie, a tutti capita di perdere il controllo di tanto in tanto, nelle tue condizioni poi...»

Eddie si passò una mano sul viso. Non era quello il punto? Non era quello il fottuto punto?

«E quali sono le mie condizioni, Mike?» si trovò a ribattere, il cuore che aveva ripreso a battere un po' troppo rapido. Stava lottando per non lasciarsi trascinare dalla stessa esplosiva furia della sera precedente.

«Quelle di un uomo che sta affrontando una lunga convalescenza».

Si scoprì il viso e gli puntò uno sguardo confuso addosso.

«Una convalescenza che sembra infinita, Mike.»

«Ti aspettavi che fosse più facile, Eddie?» rispose con il suo stesso tono, pacato ma senza tracce di commiserazione, «è un miracolo che tu sia ancora vivo, lo sai questo vero?»

Eddie serrò le labbra, colpito sul vivo. Perché gli stava parlando in quel modo, voleva farlo esplodere di nuovo?

«Non mi aspettavo sarebbe stato facile», disse, «volevo solo liberarvi dell'obbligo di starmi appresso.»

«Pensi che sia per obbligo se Richie ed io siamo rimasti? Ti prego, Eddie, pensavo che la tua fiducia nei nostri confronti andasse ben oltre questo.»

«Non era quello che volevo dire, io...»

«Quando ti abbiamo portato in ospedale i medici ci hanno detto chiaro e tondo che sarebbe stato un miracolo, se fossi riuscito a superare la notte», lo interruppe «il tuo cuore si era già fermato una volta, avrebbe potuto farlo di nuovo. Ma al giorno dopo ci sei arrivato eccome e a quello dopo ancora. I medici non riuscivano a crederci e noi nemmeno. Sai chi invece non ha mai dubitato?», Mike cercò il suo sguardo, «Richie. Richie non ha mai dubitato, per un solo istante che ce l'avresti fatta. È stato lui a insistere affinché ti trascinassimo fuori dalla casa di Neibolt Street, è stato lui a sobbarcarsi il peso di portarti fuori da lì. Noi ti credevamo morto, Richie non ha mai nemmeno voluto valutare la possibilità.»

Eddie sentiva a malapena le parole di Mike, tanto il cuore gli batteva forte nel petto.
«Quella di sistemare questa casa per ospitare la tua convalescenza è stata una scelta talmente semplice. Ero e sono così felice di non averti perso che... al diavolo la Florida! Quel posto ha aspettato per quarant'anni, potrà aspettare che io mi goda un amico appena ritrovato. E per Richie il pensiero non è stato diverso. Perciò è ingiusto se credi che sia rimasto per qualche assurdo obbligo nei tuoi confronti. Non ha mai sottovalutato la tua forza. La tua tenacia. Richie è rimasto perché non poteva sopportare l'idea di lasciarti andare. Non ha mai sopportato l'idea di lasciarti andare.»

Eddie si strinse le braccia allo stomaco, incapace di contenere tutte quelle informazioni. Mike non avrebbe potuto essere più diretto e brutale, ma mai così chiarificatore.

«Sono un idiota...» esalò solamente, serrando le palpebre per evitare di mettersi a piangere come uno stupido.

«No che non lo sei», mormorò Mike, prima di sentire il calore della sua mano sulla propria, «devi solo arrenderti al fatto che dovrai concederti del tempo per guarire. E che siamo qui perché ti vogliamo bene, non perché ci aspettiamo una solida ricompensa, una volta che tornerai ai tuoi super affari a New York.»

Eddie aprì gli occhi e guardò Mike fare una smorfia talmente assurda che gli strappò una risata distorta, fra le lacrime.

 

Quando Eddie sentì il rumore delle gomme della macchina di Richie nel cortile della fattoria, era già pomeriggio inoltrato. Con uno stringato messaggio li aveva avvisati che si sarebbe fermato in città, per pranzo, ma evidentemente la sua spedizione si era prolungata più a lungo del previsto.

Non ci fece granché caso, poiché i suoi sensi erano piuttosto intorpiditi dai farmaci che aveva dovuto prendere e che, dopo pranzo gli facevano venire sempre un gran sonno. Si era accomodato sul divano in salotto con una coperta sulle spalle e aveva acceso la tv su un film pomeridiano qualsiasi, prima di addormentarsi.

Per alcuni minuti credette di esserselo solamente immaginato il ritorno di Richie. Quello e il rumore della porta che si apriva e richiudeva, il tintinnio delle chiavi di casa, i passi all'ingresso che si facevano cauti, nel silenzio. Gli ci volle qualche istante per rendersi conto che la televisione era stata spenta, un altro ancora per realizzare che qualcuno gli si era seduto accanto.

Non aprì gli occhi immediatamente, si concesse tutto il tempo per tornare in sé. Di risvegliare uno per uno i sensi, di lasciar scivolare via lo stordimento dei farmaci.

Quando riaprì gli occhi non fu nemmeno troppo sorpreso di trovare Richie, seduto sulla poltrona accanto al divano. I gomiti posati alle ginocchia, le mani che gli reggevano il viso, plasmato in un'espressione indecifrabile. E lo stava guardando. Non sembrò prendersela a male quando si rese conto che Eddie gli stava restituendo un'occhiata assonnata. Non sembrò voler abbassare lo sguardo, in imbarazzo per essere stato scoperto a guardarlo mentre dormiva.

«Ehi...» mormorò Eddie, per spezzare il silenzio, odiando il suono della sua stessa voce. Indeciso se rimettersi seduto o meno, decise di restare esattamente dov'era, quando nemmeno Richie sembrò intenzionato a muoversi.

«Ehi», gli rispose, raddrizzando la schiena per sistemarsi meglio sulla vecchia poltrona che doveva essere appartenuta al nonno di Mike.

«Sei appena arrivato?» gli chiese, in un mugolio confuso. Richie annuì. Aveva gli occhi stanchi e arrossati, si sentì vagamente presuntuoso a pensare che forse, potesse essere un po' colpa sua.

«Ho voluto sbrigare un po' di faccende mentre ero in città», gli disse, «con il fatto che Mike non ha la connessione internet mi sono tenuto un po' di corrispondenza da sbrigare tutta insieme al pc della biblioteca. Era pieno di ragazzini. Una generazione del tutto sprecata, da quando hanno chiuso la sala giochi», cercò di stemperare con un mezzo sorriso.

Eddie non ebbe l'impressione che Richie ce l'avesse con lui per la faccenda della sera precedente, ma era anche vero che aveva imparato a capire quanto Richie fosse bravo a fingere.

«Rich... volevo chiederti scusa per ieri sera», esalò in un mormorio sommesso, abbassando di poco la coperta che gli teneva al caldo le spalle. Cercò disperatamente di non abbassare lo sguardo, non ora che Richie non faceva che guardarlo, «sono stato ingiusto e ingrato, probabilmente. Mi dispiace.»

Lo guardò serrare le labbra in una smorfia che forse voleva sembrare un sorriso. Annuì soltanto, senza dire niente. Per un terribile attimo Eddie ebbe come l'impressione che stesse trattenendo le lacrime.

«È okay, Eddie, non preoccuparti», l'accondiscendenza gli fece più male di un rimprovero.

Cercò di rimettersi seduto, tentando di mantenere salda la presa alla coperta, affatto propenso a volerne abbandonare il calore.

«Invece dovrei... non è mia intenzione far sentire la gente uno schifo solo perché... sto passando un periodo... difficile.»

«Credi di avermi fatto sentire uno schifo?»

«Non lo so. Non è stato carino comunque.»

«Credevo fosse un tuo marchio di fabbrica, quello di non essere affatto gentile, dottor Kaspbrak.»

«Richie, per piacere...»

«D'accordo, d'accordo, scuse accettate.» Eddie gli rivolse uno sguardo incerto, «Avanti, Eds, pensi che potrei mai essere davvero arrabbiato con te? Uno potrebbe pensare che è a causa di quei tuoi occhioni da Bambi o perché sei piccolo e carino come un Chihuahua imbestialito, ma davvero non posso essere arrabbiato con te... soprattutto per una sciocchezza simile.»

Eddie non riuscì a fare a meno di sbuffare spazientito agli epiteti, la sonnolenza ancora lì, a vagargli nell'organismo ma meno pressante di qualche minuto prima.

«Non era una sciocchezza. Le parole hanno un peso. Ed io spesso esagero, soprattutto con te.»

«Perché sono l'unico a tenerti testa, Spaghetti...»

«Richie.» gli rivolse uno sguardo di rimprovero. Lo stava facendo di nuovo: sminuire. «Mike mi ha detto che sei stato tu a trascinarmi fuori dalle fogne, dalla casa che stava crollando, dopo aver sconfitto il clown.»

Vide il suo sorriso svanire di nuovo, farsi serio e imperscrutabile. Un altro modo per impedirgli di leggere quello che provava veramente.

«Se non fosse stato per te non ci sarei mai uscito vivo... da là sotto», proseguì, «per quanto mi piaccia pensare di potermela cavare da solo, sono consapevole del fatto che non sia affatto così. Solo... che ho passato una vita intera a sentirmi dire quello che dovevo o non dovevo fare. Abituato a persone che non facevano altro che tenermi sotto controllo per evitare che mi facessi male. Ribellarmi a questa cosa mi ha solo fatto diventare più ostinato... nel senso contrario.»

«Eddie...», sentì mormorare Richie.

«Fammi... fammi finire», si passò una mano sul viso, inspirando a fondo, il cuore che batteva più rapido in anticipazione, «volevo solo ringraziarti, Richie. Per essere... rimasto, per essere mio amico...» si morse il labbro inferiore, «per non avermi lasciato andare.»

Il silenzio che seguì le sue parole non riuscì proprio a interpretarlo, ma quando alzò lo sguardo Richie si era tolto gli occhiali e coperto il viso con entrambe le mani. E fu solo quando le notò le sue spalle scuotersi in un sussulto che Eddie capì che stava piangendo davvero. E la cosa lo mandò in pezzi.

Di tutte le cose che odiava al mondo, vedere Richie piangere era una delle peggiori. Essere a conoscenza del fatto di aver ignorato fino ad ora quello che doveva aver passato, sofferto, e sapere di non averlo fatto intenzionalmente, era anche peggio.

Si lasciò scivolare di dosso la coperta e si aggrappò al bracciolo del divano per tirarsi in piedi. Ignorò la stampella al suo fianco e in un paio di passi gli fu accanto, lasciandosi scivolare ai suoi piedi, sul tappeto.

«Richie...» disse solo afferrandogli i polsi, senza forzare la mano, senza obbligarlo a scoprirsi ma con l'intenzione di fargli capire che avrebbe preferito poterlo guardare.

Ci mise qualche istante per riuscire a convincerlo, qualcuno di più per fargli abbassare le mani e quando fu certo di averlo a portata di mano, Eddie si spinse verso di lui, issandosi sulle ginocchia, passandogli le braccia attorno al collo per poterlo abbracciare. Non come avrebbe voluto, con gli impedimenti di quegli stupidi bendaggi al petto, quegli ferita sotto quegli orribili punti che ancora gli indolenzivano lo sterno e la schiena, ma più di quanto avesse potuto fare mai in quelle condizioni. Richie esitò fra le sue braccia prima di muoversi cautamente verso di lui e passargli le mani sui fianchi, stringere i pugni nella stoffa del suo cardigan, trattenendole lì, dove sapeva di non potergli fare male. Eddie si rese conto che avrebbe sopportato qualsiasi cosa, pur di sentir le sue mani addosso, e le sue braccia avvolgerlo. Sentiva la mancanza degli abbracci di Richie, di quelli così impetuosi da togliergli il respiro, ne aveva mai avuti abbastanza? Ne aveva mai avuti... in primo luogo? Poteva riconoscerne la sensazione, senza ricordarne esattamente le dinamiche? Si limitò a nascondere il suo viso nell'incavo della sua spalla, a respirare il suo profumo, mai così familiare e a stringerlo quanto più riuscisse, rincorrendo quella sensazione, ciò che di più vicino ci fosse a un ricordo.

Richie fu scosso dai singhiozzi a lungo, un pianto inconsolabile che aveva trattenuto troppo a lungo, prima di placarsi del tutto, mentre Eddie lo teneva stretto e gli sussurrava all'orecchio: è tutto okay, Richie, adesso è tutto okay.

Si sorprese solo quando le mani di Richie gli risalirono su per i fianchi. Trattenne il respiro quando le sentì accarezzargli il collo, la nuca, i capelli. Cercò disperatamente di reprimere il brivido lungo la schiena, quando, scostandosi lentamente, cautamente, facendo scivolare via le braccia da quel lungo abbraccio, catturò il suo sguardo. Uno sguardo che Eddie non gli aveva visto mai, eppure così incredibilmente conosciuto. Ci lesse dentro tutto ciò che gli serviva per scacciare via la paura. Richie posò la fronte contro la sua, il soffio caldo del suo respiro a un centimetro dal viso. Una pausa, una tacita richiesta. Il cuore che ora era tutt'uno con il rimbombo frastornante dei suoi stessi pensieri.

Non dovette spostarsi di molto per incontrare le sue labbra a metà strada.

Fu come se tutto tornasse in asse, dopo tanto tempo. Una luce nelle tenebre. Il calore di un bacio che aveva sempre e solo immaginato ma che gli era sempre sembrato a un passo dall'essere reale.

Eddie, con quel bacio, ebbe la sensazione di tornare a casa.

«Tornerò in un paio di settimane, promesso...», lo sentì borbottare in un soffio, quando furono costretti a riprendere fiato.

Eddie sorrise, mantenendo una distanza di sicurezza per impedirsi di baciarlo di nuovo, concedendosi di asciugargli via le lacrime. Incredulo di averlo fatto davvero. Più sorpreso ancora che Richie non lo avesse rifiutato e accolto invece, come se non stesse aspettando che quello.

«Ottimo», commentò in un sussurro, «perché io non potrò scappare troppo lontano, mi toccherà aspettarti qui», lo prese in giro, adocchiando il suo, finalmente, di sorriso.

«Ma se potresti gareggiare i cento metri con una stampella?»

«Non in questo momento, direi...»

«In qualsiasi momento, Eds.»

«No, sul serio», fece una smorfia, scostandosi definitivamente da lui, «credo di non riuscire a rimettermi in piedi, se non mi dai una mano.»

Lo guardò formare una O con le labbra, mentre la consapevolezza delle sue parole gli scivolava addosso. Si mise in piedi in tutta fretta e lo prese per le mani, aiutandolo a rimettersi dritto. Eddie cominciò a ridere e Richie fece lo stesso quando malgrado la presa salda si sbilanciò e quasi gli gli caracollò addosso, costretto a posargli le mani sul ventre per evitarlo.

«Fai veramente schifo come badante», gli disse.

«Non è colpa mia se sei una mezza calzetta», gli rispose con un sorriso tale da farlo arrossire di nuovo.

Posò la testa contro il suo petto, e socchiuse gli occhi. Ignaro del tempo che passarono l'uno nelle braccia dell'altro.

 

I preparativi per la partenza di Richie furono piuttosto rapidi.

Aveva impacchettato la sua roba in una grossa valigia che Mike aveva sistemato nel bagagliaio della sua macchina. Pronto per accompagnarlo all'aeroporto di Bangor.

Eddie non era riuscito a comprendere l'angoscia che era cresciuta a dismisura nell'arco di quell'ultima settimana. Inizialmente era convinto fosse solo triste all'idea di non poter vedere Richie per due intere settimane, quando gli ultimi due mesi li avevano praticamente passati in simbiosi. Poi aveva ricordato in parte il giorno in cui Richie era partito da Derry, quando i suoi genitori avevano progettato di trasferirsi in California e aveva deciso che probabilmente vederlo partire di nuovo per Los Angeles gli ricordava inconsciamente, proprio quell'episodio, e per quello lo associava a sensazioni tanto negative.

Ma man mano che la vigilia di quel viaggio si avvicinava, Eddie si era reso conto di dover reprimere quello che sarebbe sfociato in vero e proprio panico, all'idea che si allontanasse di nuovo.

Non era una sensazione razionale, ma gli era cresciuta dentro inarrestabile. Come se una forza oscura gli suggerisse che se Richie fosse partito non lo avrebbe rivisto mai più.

«Certo che torno», gli aveva detto, quando la sera prima era stato costretto a esporgli i suoi dubbi, «questa volta torno».

Ancora con quel tono, con quell'espressione che sembrava sapere più di quanto non lasciasse trasparire. Un giorno gli avrebbe chiesto cosa non gli stava dicendo. Quando sarebbe tornato gli avrebbe chiesto... cosa non gli stava dicendo.

Lo aveva abbracciato sulla porta di casa, Mike che aveva discretamente volto lo sguardo. Non che gli avessero parlato degli sviluppi del loro rapporto: dei baci rubati per i corridoi di casa, prima di dormire, le mani intrecciate sotto la coperta, mentre guardavano un film alla televisione. I sorrisi, consapevoli e timidi lanciati da un capo all'altro della stanza, quando Richie scriveva, quando Eddie leggeva un libro. Ma Mike sembrava aver capito o forse sempre saputo. Eddie non si scoprì imbarazzato dalla cosa men che meno alla vigilia di un congedo.

Lo aveva guardato partire, osservato la sagoma di Richie sparire all'interno della vettura di Mike.

Quando si erano allontanati lungo il vialetto e poi sulla strada, Eddie aveva dovuto reprimere l'impulso di lanciare la stampella e rincorrerli. Come se avesse poi davvero potuto raggiungerli.

Quella sera stessa Richie lo aveva chiamato, una volta arrivato a Los Angeles. Sentire la sua voce riuscì a tranquillizzarlo.

Non è come le altre volte... pensò. Ma quali altre volte?

Si chiese da cosa lo stesse proteggendo la sua memoria, se tutto ciò che voleva era ricordare.

 

Il giorno in cui Richie tornò a Derry lo fece a bordo di una vettura che definire anacronistica forse non gli rendeva davvero giustizia. Non era nemmeno sceso dalla macchina, ma si era limitato a suonare il clacson per attirare la loro attenzione.

Eddie era uscito con Mike dall'ingresso principale e lo aveva accolto con un'espressione incredula.

«Non ci credo che tu lo abbia fatto davvero!» esclamò Mike, battendo le mani una sull'altra, soffocando un entusiasmo che Eddie non riusciva ancora a comprendere.

«Quando dico una cosa la faccio, Mikey, non sono solo chiacchiere e distintivo!» rispose Richie, mandando poi uno sguardo carico d'aspettativa a Eddie, «che ne dici, Spaghetti?»

Eddie si limitò a osservare la macchina e scendere i gradini del porticato per raggiungerlo sul vialetto.

«È una vecchia Ford Sierra, questa?» si limitò a chiedere. Il colore era rosso fuoco, doveva essere stata riverniciata di recente. A Eddie erano sempre piaciute le macchine.

«Già...»

Eddie analizzò la vettura, cercando di capire cosa gli sfuggisse. Una sensazione chiara in fondo allo stomaco.

«Avevi... una Ford Sierra, da ragazzo... ?» azzardò, mentre il ricordo cominciava a farsi strada nella sua mente, emergendo dalle nebbie con una lentezza disarmante, «la macchina che ti aveva regalato tuo padre?»

Richie rivolse a Mike un sorriso aperto e riconoscente, e poi tornò su Eddie, annuendo in conferma.

«Non è la stessa macchina, purtroppo. Ma prima di partire per Los Angeles sono passato dal concessionario di Derry per chiedere se potessero procurarmene una. Ci sono riusciti in un paio di settimane, in tempo per il mio ritorno.»

Eddie sorrise.

«Sentivi nostalgia del passato?»

Richie si limitò a rivolgergli uno sguardo docile da dietro il finestrino abbassato.

«Anche», gli rispose criptico, «ti va di farci un giro, Spaghetti? Come ai vecchi tempi.»

Eddie guardò Richie e poi Mike al suo fianco che fece un passo indietro come a rifiutare un invito che non gli era ancora stato offerto.

«Vai Eddie, sarà divertente insultare Boccaccia per la sua guida, dopo tutti questi anni.»

Eddie non gli chiese se voleva unirsi a loro, sembrava che i due avessero in mente qualcosa di cui Eddie non era stato informato. E per una volta tanto non volle farsi troppe domande. Era così felice del ritorno di Richie, che non vedeva perché rovinarsi il momento con stupide paranoie.

Si spostò verso la portiera e salì sul sedile del passeggero. Gli interni gli sembrarono così confortevoli. Capì che non poteva essere la prima volta che saliva su quel tipo di macchina.

«Ciao...» gli disse solo, rivolgendogli un sorriso.

«Ciao», mormorò Richie. Un benvenuto che non aveva bisogno di troppe parole. Tante ne erano dette durante le lunghe telefonate da un capo all'altro degli Stati Uniti.

Richie si limitò a stringergli la mano e dopo aver rivolto un saluto a Mike aveva rimesso in moto la vettura, per fare manovra e ripartire.

«Tieniti forte, ora si vola», disse, spingendo la Ford sulla strada.

Il paesaggio del Maine si snodava in tutta la sua gloriosa bellezza ai lati delle strade. Eddie capì che Richie non voleva riportarlo in città ma lasciar vagare la macchina in quello scenario ancora imbiancato dalla neve invernale.

Il rumore del motore sulla strada, l'autoradio che mandava una vecchia canzone. La solida presenza di Richie al suo fianco e quella vaga sensazione di nostalgia.

Eddie avvertì un brivido non appena passarono il cartello di Derry che salutava i visitatori.

 

«Mia madre mi ammazza se non torniamo prima del tramonto, Richie.»

«Posso andare più veloce di così, Spaghetti.»

«Non voglio che finiamo ammazzati perché sei un deficiente. Torniamo indietro.»

«Sei veramente un guastafeste, Eds... volevo portarti a Bangor.»

«Bangor non scappa, ci possiamo tornare un'altra volta.»

 

Si voltò a guardare Richie, che inspiegabilmente ora sembrava somigliare più all'adolescente che aveva conosciuto più di vent'anni prima. I capelli spettinati in ciocche disordinate, i lineamenti morbidi, un vago accenno di barba, che cercava timidamente di crescere su quel giovane volto.

Avevano ancora diciassette anni in quella porzione di mondo.

Si chiese se non stesse sognando o se stesse solo impazzendo. Avrebbe potuto allungare una mano per toccarlo per far svanire quel ricordo, ma non lo fece.

E fu allora che i ricordi sembrarono mutare ancora. Richie stesso sembrò trasformarsi di nuovo. Le sue spalle divennero più ampie, il viso più spigoloso. Sulle labbra un sorriso triste.

Attorno a loro non più il Maine, ma una lunga costa della California.

Gli teneva la mano e fuori stavano calando le tenebre. Avevano solo venticinque anni.

 

«Siamo quasi arrivati, Eds... non metterti a dormire»

«Non mi metto a dormire ti sto solo guardando.»

«Dovresti guardare il paesaggio.»

«Sei più interessante tu del paesaggio...»

«Quanto sei sdolcinato.»

«... disse quello che voleva andare a vedere la luna sull'oceano.»

 

Eddie riemerse anche da quel ricordo, come da una lunga apnea.

Richie era ancora un adolescente.

 

«Dovresti venire con me in California»

«Ci verrò in California, un giorno. Ma devi concedermi del tempo.»

 

E poi ancora venticinque.

 

«Mi piacerebbe molto se venissi a New York, Richie.»

«Quando. Non se. Quando.»

 

E quaranta.

 

«Sai che mi è tornata in mente, Richie?»

«No, che ti è tornato in mente... ?»

«Quella tua Ford Sierra... rosso sbiadito»

 

«Ti avrei scarrozzato fino all'Oceano e ritorno...»

«Lo hai fatto.»

 

Echi di voci e di episodi cominciarono a dispiegarsi nella sua mente. Richie era adolescente e poi adulto, e poi di nuovo adolescente.

Baci rubati, corpi fra le lenzuola, parole sussurrate, imbevute di sangue.

Eddie se ne sentì sopraffatto, mentre la consapevolezza di ciò che aveva dimenticato cominciava a serpeggiargli dentro come un flusso di coscienza ininterrotto.

Più di vent'anni. Più di vent'anni in cui si erano rincorsi e ritrovati. Vent'anni in cui non avevano fatto altro che entrare e uscire da un labirinto di ricordi perduti.

«Richie...» gli sfuggì dalle labbra, «Richie, ferma la macchina.»

Lo guardò voltarsi, vagamente confuso.

«Ferma la macchina, per favore. Ferma la macchina!»

Registrò appena che stava accostando ai lati della strada, lo afferrò per un braccio con forza.

«Lo sapevi?» gli chiese consapevole, adesso, che non poteva essere stato solo un caso se Richie aveva deciso di prendere quella vettura. Di portarlo a fare un giro.

«Dimmelo, Richie: lo sapevi?» cercava di strappargli una conferma di cui non aveva realmente bisogno, «perché non mi hai detto niente? Perché non me ne hai parlato? Del giorno del ballo di fine anno, della California! Dell'oceano.»

Richie lo stava guardando senza dire niente.

«Lo hai saputo per tutto questo tempo e non hai detto niente?»

E improvvisamente gli fu chiaro il discorso che aveva sentito fra lui e Mike prima di Halloween, su cosa Richie avesse paura scoprisse, che lo traumatizzasse.

«Perché non hai detto niente... ?» singhiozzò ora Eddie, senza sapere che altro fare per reprimere le lacrime.
«Perché sapevo che sarebbe successo prima o poi...» rispose Richie in un sussurro commosso, emozionato «perché non volevo istigarti ricordi, perché volevo fosse reale, c-come tutte le altre volte.»

Reale. Lo era sempre stato. Gli furono così chiari tutti quei sentimenti che lo avevano spinto nella sua direzione, quelle sensazioni, di come il suo corpo non avesse mai dimenticato Richie, sebbene la sua mente avesse cercato di tenerlo lontano per così tanto tempo. Come tutto si incastrasse alla perfezione.

Slacciò la cintura di sicurezza che teneva assicurata alla vita e si gettò nelle braccia di Richie, un incontro di anime che si ritrovano dopo dieci, venti, trent'anni. Da ragazzini, adolescenti, giovani adulti, uomini.

Permettimi di rivederlo di nuovo.

L'universo lo aveva ascoltato.

Permettimi di non lasciarlo di nuovo.

Formulò nella sua testa, mentre Richie gli baciava il viso, le lacrime, le labbra umide e salate, colmando un vuoto durato ventisette lunghissimi anni.

Permettimi di non lasciarlo mai più.

Riformulò.

Mai più.

 

Epilogo

Costa della California, 2017

 

Eddie aveva scoperto di amare la California più di quanto amasse New York.

La seconda era stata una fuga, un'affermazione di indipendenza. Non l'avrebbe mai rinnegata, ci sarebbe tornato, un giorno o l'altro.

La seconda aveva stabilito il rispetto di una promessa. Los Angeles era diventata, in breve tempo, un posto che sentiva di poter chiamare casa.

Perché Richie era la sua casa.

Si era trasferito da lui verso la fine della primavera, dopo aver concluso con successo le sue terapie. Dopo aver apposto la firma sulle carte del divorzio, augurato a Myra una buona vita, senza ricevere la stessa premura in ritorno.

Le stampelle erano state abbandonate in cantina a prendere polvere, quando aveva ripreso a camminare sulle sue stesse gambe. Un giorno, forse, sarebbe tornato a correre. Per il momento si concedeva lunghe passeggiate, godendosi il tempo libero che gli regalava quell'anno sabbatico.

Per una volta tanto, affatto ansioso di dover dimostrare qualcosa. Si sarebbe preso tutto il tempo necessario per capire che fare della sua vita.

Aveva imparato ad amare quel suo nuovo corpo. Amarlo anche grazie alle sue debolezze, non nonostante quelle. A guardare con orgoglio le cicatrici che testimoniavano il fatto di essere ancora vivo.

Richie non lo aveva mai fatto sentire disgustoso. Richie amava lui e il suo corpo con o senza cicatrici.

Pensare a quanto, per anni, avesse creduto di non poter meritare nessun altro tipo di amore che non fosse simile a quello che gli aveva riservato sua madre o la sua ex moglie. Pieno di compromessi e obblighi. Amare ed essere amato da Richie era semplice. Era naturale.

Naturale come aprire gli occhi e sorridere, nel riconoscere il volto di Richie mentre i raggi del sole filtravano attraverso i finestrini di un auto in corsa lungo una statale assolata.

«Mi sono addormentato di nuovo...» constatò con una punta di fastidio.

Richie si era concesso un fine settimana libero per passare del tempo con lui, dopo alcune intense settimane di lavoro. Di ritorno da Derry aveva organizzato un tour californiano d'esordio per un nuovo show che lo aveva impegnato per più di un mese. Alcuni dei monologhi su cui aveva lavorato durante le settimane passate nel Maine. Spettacoli con i quali aveva finalmente trovato la sua voce e aveva raccontato a tutti chi Richie Tozier fosse veramente. Eddie non avrebbe potuto essere più orgoglioso di lui.

«Non è un crimine in California, addormentarsi in macchina se non sei il conducente, che io sappia», Richie accolse il suo risveglio con un largo sorriso sul volto. Limpido e privo di ombre.

«No, però potevi svegliarmi», si passò una mano sul viso, affatto convinto di volersi appisolare di nuovo e mancare tutti quegli scenari da cartolina.

«E perdermi l'occasione di farti stare zitto sugli itinerari più veloci da prendere? Dio non voglia.»

«Vaffanculo, Richie...» allungò una mano per tirargli i peli sulle gambe, facendolo sobbalzare con una certa soddisfazione.

«Stavo per aggiungere che sei così carino quando dormi, ma me lo rimangio immediatamente.»

«Bravo, rimangiatelo...»

«Sei un villano.»

«E io ti amo.»

Richie sorrise imbarazzato, come ogni volta che Eddie glielo diceva. E Eddie non faceva che dirglielo, di continuo, godendosi la sua ingenua sorpresa, mentre Richie glielo dimostrava, di continuo, senza mai chiedere nulla in cambio.

«Siamo quasi arrivati, Eds», mormorò di rimando, allungando una mano per prendere la sua. Il suo: anch'io ti amo. Lo scenario di un tramonto su un oceano fatto d'argento e oro, all'orizzonte. «Non è bellissimo?»

Eddie annuì, stringendo forte la sua mano.

La Ford Sierra correva spedita sulla strada, il vento entrava dai finestrini abbassati, scompigliandogli i capelli. Il sole gli scottava la pelle.

«Sì...», disse.

Mai così in pace, mai così felice.

 

Fine.

 

Note:

Sono riuscita a finirla! Ci ho messo un po' più del previsto ma non ero mai completamente soddisfatta di quello che scrivevo, perché avevo paura di non rendere giustizia a Eddie. Spero di averlo fatto, nonostante i mille intoppi e i giri di parole. E ora non ce la faccio più a rileggerla e spero vada bene così. Grazie a chi è arrivato fino alla fine di questo lungo capitolo e di questa storia. Di cuore.

  
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