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Autore: LeanhaunSidhe    23/07/2020    5 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Non avrebbe saputo dire quanti secondi, esattamente, fossero trascorsi. Qualcosa di caldo inzuppava celere i suoi vestiti. L’odore ferrigno del sangue che le aveva disgustato le narici spariva in fretta. Le dita stringevano forsennate la pelliccia di Haldir. Confusa, non sentiva il dolore delle zanne che affondavano nella carne.

Poi, però, il mutare della consistenza del manto soffice sotto ai polpastrelli, l’impressione che dimensioni e forme si modificassero repentini sotto al suo tocco, la costrinsero ad aprire gli occhi. Doveva sapere. Conoscere cosa stesse davvero accadendo. Lentamente schiuse le palpebre, incrociando le iridi del suo signore. Non c’era più la furia nella mente di Haldir. Nella sua, per la prima volta dopo un tempo apparentemente infinito, rimaneva solo silenzio. Spalancò la bocca, prima che le braccia tentassero disperatamente di avvolgere il suo torace ampio. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riuscire a sostenere il suo signore ma la debolezza si impadronì di lei. Le gambe cedettero sotto un peso che avrebbe dovuto essere in grado di sostenere, seppur fiaccata dalla battaglia. Credeva di possedere il corpo di una Dunedain, dopotutto. Con orrore, si rese conto di essere umana.

Haldir, allora, aveva disteso le labbra in un modo che non gli aveva mai visto fare prima: sorrideva. Seleina non poteva leggere nella sua anima. In quegli attimi, si rese conto, non ci sarebbe riuscita con nessuno. Aveva inarcato le sopracciglia mentre Imuen arrivava a sottrargli il suo gemello, a pretendere di onorare quel vincolo di sangue che per troppi secoli si era ostinato a dimenticare. Haldir le aveva passato la mano sopra la testa, sporca di sangue. In una carezza che da molto non concedeva neppure a se stesso.

“Finalmente è come avrebbe dovuto essere. Sei una normale mezzosangue, ora, come quel ragazzo che ti sei scelta. Apprenderai da lui ciò che non potrò più insegnarti. Sei libera dal patto. Sono libero. Sei stata brava. Hai sciolto un vincolo che opprimeva entrambi.”

Seleina aveva negato, con quanta più decisione le forze che calanti le consentissero. A ripetere un no che non voleva assolutamente accettare. Ma Imuen era arrivato, ineluttabile, e aveva preteso che l’ultimo istante su quella terra di Haldir appartenesse a lui e lui soltanto. Le ribadì di tornare al campo, che era un ordine che non ammetteva repliche. Il gigante nero si caricò tra le braccia il fratello ed iniziò ad allontanarsi lentamente da quel luogo, lasciandola sola, con troppe lacrime e la consapevolezza di aver fallito. Il suo signore l’aveva guardata un’ultima volta, prima di posare poi lo sguardo sul cielo di fiamma e alla fine sul viso terreo del gemello. Era davvero andato tutto come doveva. Nel verde scintillante delle iridi di Imuen, finalmente ricongiunto col proprio sangue, avrebbe trovato riposo.

❄️❄️❄️

Aveva sempre avuto poche e scarne certezze nella sua lunga esistenza. Una era quella di conoscere perfettamente suo fratello. Quando si era ritrovato davanti quella specie di demonio, puro istinto, qualcosa in lui si era spezzato. Era dovuto arrivare quel mostro furioso, privo di senno, con le sembianze animale ed i poteri di Haldir a svelargli che, persino lui, uno dei signori dei Dunedain, era stato un idiota. Aveva sempre creduto che Haldir fosse incrollabile.

Per quello, per troppi secoli, aveva lasciato a lui il dominio completo della razza. Non aveva pensato che la perdita dei suoi figli poteva averlo fiaccato talmente tanto. Aveva dimenticato quanto logorante poteva essere, per il proprio gemello, servirsi delle facoltà che la sua natura gli concedeva. Quante vite che amava, spezzate, aveva rivissuto Haldir nel momento stesso in cui erano stati generati i perduti e poi ogni volta che si svegliavano? Lui aveva subito la perdita della donna che amava. Ma era una. Non si era mai neppure fermato a riflettere sul fatto che persino Haldir potesse aver affrontato un dolore altrettanto devastante. Anestetizzato al male. Tale definivano Haldir. Insensibile, crudele, spietato. In realtà solo incapace di comunicare. C’erano stati i rimproveri inascoltati di Taka, che definiva sciocco Haldir e menefreghista lui. Che quella dannata vecchia per certe cose ceca ci vedeva fin troppo bene, con la testa e col cuore. Se mai ne avesse avuto uno.

Si era ritrovato davanti quel demonio e per la sorpresa aveva esitato. Cosa che quella assurda ragazzina, invece, non si era concessa. Era scivolata via dal suo braccio saldo come piccole gocce di pioggia. Sorda e incurante all’orrore dell’ignoto. A differenza sua, la principessina aveva ritenuto Haldir troppo importante. Ne aveva compreso a pieno la debolezza. Ma non l’orrore che era diventato. Non la furia che gli dilaniava il petto ed il senno. Non c’era più nulla del gemello che rispettava, del condottiero che infiammava con pochi parole e gesti tutta la sua razza. Non sarebbe rimasto nulla persino di quella ragazzina per cui tutto era iniziato. A cui, invece, Haldir voleva bene.

Nel momento esatto in cui levò la falce su quella belva dalle fauci spalancate ed il manto bruciato Imuen decise che no, quello non poteva essere il suo gemello. Per onorarlo, avrebbe difeso lui una dei piccoli del clan, di quelli che andavano protetti. Le nuove generazioni. La vita che perpetua oltre la morte. Per proteggere qualcuno che Haldir amava ed onorarne la memoria. Perché quel mostro non poteva, davvero, essere il suo valoroso gemello perduto sotto alle fiamme. Calò la falce su quel demonio che però era anche la sua famiglia, le sue radici. Ne trafisse due con un colpo: lui e se stesso.

Era possente Haldir da trasportare. Avevano lo stesso peso. Due giganti identici persino negli ultimi attimi. Pallidi entrambi alla stessa maniera. Imuen aveva allontanato quella ragazzina. Troppo dolore c’era stato a causa di quella magia che aveva compreso poco. Se avessero avuto più tempo, avrebbe trascinato suo fratello in una delle tante bettole degli uomini, a travestirsi e prenderli in giro. Bere il loro sidro alla loro faccia e farsi spiegare ogni cosa. Come tanti secoli fa, quando erano ancora uniti ed il loro nome sconosciuto agli uomini, indifferente agli dei.

Haldir gli avrebbe spiegato anche lui aveva provato interesse per una mortale. Una capace di padroneggiare la loro magia, che i suoi simili consideravano una strega. Più vicina nell’animo alle femmine libere ed intelligenti dei Dunedain invece che a quelle sottomesse ed ignoranti degli esseri umani. Una che avrebbe voluto far diventare come loro, da tenere al proprio fianco. Ma gli esseri umani erano deboli, nel corpo e nella volontà. Era bastato che i suoi la spaventassero per mutarne gli intenti. L’amore tra loro era diventato odio, l’affetto inganno. Se avessero avuto tempo, ne avrebbero parlato davanti a del liquore scadente neppure lontanamente capace di ottenebrare la mente. Figurarsi strappare un sorriso.

Il suo gemello diventava sempre più debole via via che raccontava. Gli aveva chiesto di trasportarlo ad Asgard, la dove ghiaccio e fuoco si univano. Li dove era nato voleva pure terminare il suo viaggio. Haldir raschiò la voce. Tra i denti sputò le ultime parole. Gli raccontò di un patto che doveva servire solo ad unirlo a quella Polaris, antenata di Seleina. Invece, l’aveva solo reso schiavo per generazioni. Non aveva svelato nulla perché non era importante. Imuen sentì le viscere attorcigliarsi. Adesso che poteva osservarlo senza filtri, per lui era semplice orgoglio, mera vergogna.

Mano a mano che i suoi passi lo portavano più prossimo a quella grotta e la luce digradava fin quasi a spegnersi nelle viscere della terra, anche i pensieri diventavano più cupi. Imuen capiva solo di aver perso definitivamente suo fratello e di essere stato un egoista, del tutto sordo ai problemi palesi dell’altro. Mentre Haldir aveva sempre cercato di sistemare le cose, anche senza il suo aiuto.

“Che vuoi che faccia ora?”

Stravolto, con le palpebre mezze abbassate, Haldir gli aveva spiegato di portarlo più vicino possibile al punto dove si apriva un lago di lava. Di lasciarlo li e poi andarsene fuori. Come sarebbe finito poi non doveva interessargli.

Imuen aveva negato. Gli aveva dato del pazzo, imprecando mentre lo obbligava a svelargli che intenzioni avesse. Haldir però aveva sorriso, in un modo che non gli aveva mai conosciuto. Con un gesto della mano che poteva essere un addio o un arrivederci, aveva richiamato a sé un vento gelido. Sicuramente, le ultime energie rimaste. La nebbia aveva avvolto l’ambiente, mascherato il calore opprimente della grotta. Imuen era stato solo in grado di distinguere la sua ombra che si gettava nel fuoco. Aveva provato ad afferrare il gemello ma non strinse mai il suo braccio. Solo aria. Presto, la nebbia sparì. La stessa leggerezza di un sogno. Eppure il gorgogliare della lava era reale mentre gli disturbava gli orecchi. Di Haldir, ormai, più nessuna traccia. Il gigante nero restò in ascolto per qualche secondo, se fosse stato in grado di percepire qualche minimo indizio della presenza del fratello, fosse anche solo un osso sfuggito alla morsa della lava. Alzò il viso verso il soffitto ricco di stalattiti che pendevano grige dal soffitto. Sospirando, si avviò all’esterno. Persino nella morte Haldir non aveva rinunciato ad essere incomprensibile.

❄️❄️❄️

Alla danza delle dita di Taka, la terra aveva risposto scuotendosi vigorosa. I cavalieri si erano fissati sconcertati l’un l’altro. Le rocce erano emerse dal suolo a circondare nuovamente il villaggio. Veloci, quasi fossero state lance che spuntavano dal terreno ad abbracciare il perimetro del campo, rendendolo inaccessibile. Il verde rigoglioso della vegetazione era sbocciato tutt’intorno, ad occultare i Dunedain tutti col fascino selvaggio della sua bellezza.

Taka aveva abbassato le braccia, sfinita, prima di puntare il viso grinzoso verso suo figlio.

“Comanda alle anime dell’acqua e speriamo che basti a difenderci tutti.”

Lo Scorpione, in particolare, incuriosito già prima da Tabe, lo aveva studiato mentre superava la madre di pochi passi e batteva il piede a terra, per poi poggiare la mano sul fianco inarcando la schiena dal lato corrispondente. Sottile, sciolto, come le creature d’acqua che sbucarono dal terreno, oltre la vegetazione creata da Taka, a disegnare un torrente impetuoso che avesse trascinato nelle sue viscere chiunque avesse osato attraversarlo.

Poi, si era girato beffardo verso il suo più attento spettatore.

“Ereditiamo le caratteristiche delle anime della natura con cui siamo più affini. Gli occhi di mia madre non distinguono più la luce perché la terra è potente nel suo ventre buio. Così, nell’imparare a dominarla, ha perso la vista. Io sono simile all’acqua, al suo essere mutevole e senza forma. Così, anche la mia mente ha perso ogni argine. Ora mi definiscono matto.”

Del tutto indifferente al fatto che Tabe stesse spifferando amabilmente i segreti di casa loro, Taka aveva ricominciato a vagare lontana con la mente. Divenuta finalmente consapevole degli eventi all’esterno, sorrise beffarda e scosse il capo.

“Tutta fatica inutile: la profezia di questa vecchia petulante è diventata realtà.”

Ammise, rivolta a se stessa. Si sbrigò ad allontanarsi da quel gruppo. Non le importava degli stranieri. Era offesa e stanca. Sbatté la porta dell’infermeria alle proprie spalle mentre il cicaleccio cresceva di intensità per il campo. Ormai, anche gli ultimi figli di Haldir iniziavano a rendersi conto che non sarebbe tornato più indietro il loro signore. Negò col capo, afflosciando le spalle. Non si era mai sentita così decrepita. Era caduto anche l’ultimo amico della sua lunga esistenza. Lei c’era quando Haldir era giovane ed incosciente, quando era il condottiero ed il bagatto. Era rimasta al suo fianco quando si era dannato e poi abbassato ad essere il cane da guardia delle Polaris, anche se aveva scoperto quel fatto da pochissimo. Si sentì per la prima volta come il retaggio di un’epoca ormai perduta.

Quando il suo udito fine percepì i passi di Zalaia vicini, si asciugò in fretta gli occhi da lacrime che non credeva fosse più capace di versare e cercò di portarsi eretta, per quanto possibile.

Il suo bambino dalle dita di miele arrivava per chiedere chiarimenti. Le aveva sempre dato soddisfazioni, insieme a Mnemosine. Loro erano sempre stati tra i pochi ad ascoltare i suoi consigli. Appena fu dentro, gli fece cenno di prendere una sedia e portarla vicino.

“Vuoi sapere della principessina, vero?”

Il ragazzo aveva annuito. Era certo che pure Imuen fosse ormai sulla via del ritorno.

“Lei ora soffre e il suo nuovo stato la confonde: ecco cosa le impedisce di tornare.”

Zalaia si era allarmato immediatamente. Cuore impetuoso ed affezionato. A volte troppo, per un guerriero del suo rango.

“Sciolto il patto, è rimasta una semplice mezzosangue. E’ umana in questo momento. Umana e basta. Per quelli come voi è così: una settimana da umani e tutto il resto del mese da Dunedain. Adesso è confusa. Non sa bene se tornare o no. Non ha voglia di vedere i cavalieri della dea bambina in quello stato. Troppe domande di cui neppure lei conosce le risposte. Da sola non rientrerà fino a quando non riprenderà le sembianze dei Dunedain. Se vuoi vederla, valle incontro. Avvicinati piano: si sente come se le avessero strappato un pezzo d’anima. Io lo so bene ...”

Aveva chiosato Taka, occultando il profilo adunco nella matassa grigia dei capelli, mano a mano che le sue spalle si curvavano ancora, per il peso degli eventi, degli anni.

“So bene come ci si sente.”

Aveva fatto leva sulle ginocchia, per alzarsi con una certa fatica. Voleva restare sola. Anche lei aveva dovuto abbandonare persone amate, amici, affetti. Davvero, comprendeva bene cosa provasse quella ragazzina.

❄️❄️❄️

Il cavaliere dello Scorpione aveva osservato il rapido succedersi degli eventi e aveva dedotto che, sicuramente, l’organizzazione dei Dunedain era carente quanto a gerarchia. L’anziana che sembrava avere un ruolo di comando in assenza dei signori gemelli li aveva lasciati praticamente da soli, dopo aver dato sfoggio di abilità sorprendenti. Probabilmente aveva di meglio da fare che ritenerli una minaccia. Gli spadaccini di Haldir se ne stavano uno in disparte a passeggiare per le mura di cinta e l’altro a raccontare qualche aneddoto nella loro lingua ad un gruppetto di ragazzini. Zalaia aveva seguito la vecchia maga abbandonandoli a loro stessi.

Quell’atmosfera strana, in un certo senso pareva aver contagiato persino i suoi compagni: l’Ariete se ne restava più silenzioso del solito, di sicuro sollevato ma sempre allerta per le condizioni del fratello. Aldebaran, non immaginava neppure come, stava avendo una sorta di dialogo con quell’amazzone statuaria che li squadrava tutti da capo a piedi. Anche se sembrava che il Toro parlasse e l’altra rispondesse si e no a monosillabi. Il cavaliere dei Pesci rigirava distratto lo stelo di una delle sue rose tra le dita. Probabilmente non vedeva l’ora di darsi una lavata. Fu il fatto di vederlo da solo che colpì lo Scorpione. Di solito il Cancro era sempre li nei pressi. Notando anche l’assenza della madre di Zalaia, alzò gli occhi al cielo. Ovvio che il cavaliere della quarta casa cercasse di ritagliarsi più tempo possibile con quella donna, prima di partire.

Sconsolato, sospirò incrociando lo sguardo di Camus. Gli chiese come, secondo lui, potevano organizzarsi su come rientrare visto che, ormai, la loro presenza sembrava essere diventata all’improvviso del tutto inutile. Si rese immediatamente conto che l’amico condivideva perfettamente le sue considerazioni.

“Credo ci convenga rientrare al Grande Tempio.”

Aveva espresso la voce raffinata di Camus, dando senso compiuto anche al suo pensiero.

“Almeno chi di noi non ha questioni da sistemare in questo posto.”

Ovvio che Death Mask avrebbe appeso la faccia di chiunque osasse disturbarlo fino a che non avesse terminato di sistemare i fatti propri.

Battendosi le mani sulle ginocchia, il cavaliere dello Scorpione risolse che lui apparteneva sicuramente al gruppo di quelli che se ne sarebbero andati via per primi. Allora, Tabe li aveva raggiunti, con l’espressione di chi la sa lunga.

“Siete liberi di andarvene in qualsiasi momento. Siete sicuri però di essere in grado di ritrovare la strada?”

Quando gli fu a pochi passi, ricordò loro che erano in grado di sondare ogni recesso della loro anima.

“Saremo anche disorganizzati ma qui non si muove paglia se noi non lo permettiamo. “

Precisò, indicando l’ingresso principale del villaggio.

“Decidete chi e quando ve ne volete andare. Vi accompagno io. E’ da un po’ che non vedo i territori degli umani.”

Lo scorpione ci avrebbe sarebbe stato anche felice della compagnia se non che, per sua esplicita ammissione, a quel guerriero mancava qualche venerdì.

❄️❄️❄️

Aveva percepito il suo odore nei pressi di un corso d’acqua. L’istinto gli suggeriva di avvicinarsi lentamente e palesare la propria presenza.

Come Taka gli aveva indicato, Seleina se ne stava ferma sulla riva, seduta con la fronte poggiata sulle ginocchia. Del tutto concentrata su se stessa, non si era minimamente accorta del suo arrivo. Al suo richiamo si era stretta nelle spalle, alzando la fronte solo di pochi centimetri. Zalaia si portò a pochi passi da lei. Sedendosi silenzioso al suo fianco, la studiava con attenzione, non capendo bene perché si ostinasse a rimanere in quella posizione assurda, come se si vergognasse non tanto di lui, quanto di se stessa. Attese che i minuti diventassero una buona mezz’ora, prima di iniziare a strappare i fili d’erba e contare i sassi li vicino. Probabilmente, fosse stato un lago avrebbe passato il tempo facendoli rimbalzare sul pelo dell’acqua. La pazienza non era certo una virtù che gli appartenesse. Non fosse stato per il respiro della ragazza, sarebbe stato certo di essere solo. L’aveva osservata ancora. Gli era sembrata ancora più magra, pallida e provata come era dallo scontro.

“Hai fame?”

Le chiese all’improvviso, senza comprenderne bene neppure lui il motivo, solo perché gli era uscito. Seleina aveva finalmente alzato del tutto il viso, anche se ancora non si girava. Si era asciugata gli occhi col dorso della mano. Pareva esitare. Con la voce di chi aveva pianto troppo e finito pure le lacrime, aveva ammesso di sì, annuendo appena. Aveva sospirato impercettibilmente e si era morsa il labbra, prima di voltarsi verso la persona che l’aveva cercata e di cui, in quel momento, aveva davvero bisogno. Mostrarsi con quel piccolo e nuovo particolare avrebbe significato rendere reale una volta per tutte l’ultimo cambiamento che era toccato al suo corpo, la testimonianza che, davvero, il suo vincolo con Haldir era sciolto e lei ed il suo signore erano entrambi liberi, uno nella morte e lei nella vita. Si fece coraggio, perché la reazione di Zalaia, per lei, voleva dire davvero tanto. Troppo in un colpo solo. Si era riavviata i capelli dietro all’orecchio e, smettendo di esitare, finalmente si era girata. Aveva incrociato il suo viso rilassato che le sorrideva, davvero in attesa di una sua qualsiasi reazione. Aveva temuto curiosità, domande. Zalaia, invece, aveva solo insistito sul chiederle se preferiva carne o pesce, glissando completamente su quel particolare che temeva essere tremendamente evidente. Si lasciò abbracciare, ricambiando il gesto. Aveva finto di ignorare per farle piacere. In quel momento, la sua vicinanza solare e discreta era tutto ciò di cui aveva bisogno. Lacrime per Haldir ne avrebbe piante ancora tante. Al fianco di Zalaia, tuttavia, quel vuoto che aveva nell’anima forse sarebbe stato più semplice da riempire.

❄️❄️❄️

Non era ceco e neppure sciocco. Si era accorto perfettamente che il colore degli occhi di Seleina, adesso che era umana, erano diversi dalla prima volta che l’aveva vista umana, in quell’abisso. Non somigliavano più a quelli di Haldir. Erano di un bell’azzurro carico, profondo. Ma chiaramente umani. Li per li si chiese da quale dei genitori Seleina li avesse ereditati. Di certo non doveva vergognarsi come lui, se anche si fosse trattato del padre. Aveva ricambiato il suo abbracciato, contando una per una le vertebre della sua schiena con le dita, causandole forse un brivido. Se era eccitazione o fame poco importava. Bastava che non fosse scappata via. Forse era perché non aveva più molte cose da nascondere.

“Senti ma...”

Iniziò titubante, prendendola alla larga. Sapeva che era meglio star zitto ma lo doveva sapere.

“Quel patto che la tua famiglia aveva con Haldir… Da umana non gli somigli più perché è sciolto?”

L’aveva vista annuire e ricominciare a piangere per qualche istante, prima di darsi dell’idiota.

“Quel patto si sarebbe sciolto solo con la mia morte o con quella del nostro signore. Non me n’ero mai servita. Lo consideravo un abominio. L’ho usato solo oggi, per spronarlo a salvarsi ma poi non sono riuscita ad aiutarlo davvero. Era una magia troppo potente per me.”

Zalaia aveva teso le labbra, intuendo quanto era stato taciuto: che Haldir aveva preferito morire lui piuttosto che sacrificare lei.

“Capisco. E’ per questo che Sire Imuen sta così male.”

Aveva chiosato, osservando una fila di formiche che si confondeva nel terreno.

“Tu ci hai provato. Hai fatto quanto hai potuto.”

Ribadì carezzandole i capelli.

A volte bisognava arrendersi al fatto che non si possono controllare gli eventi e la nostra volontà, per quanto salda, non è abbastanza.


 


 

   
 
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