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Autore: RLandH    15/08/2020    1 recensioni
Il titolo in carattere gigante – era sempre stato così gigantesco? Sembrava enorme quel giorno – “L’Eroe del Mondo Magico si sposa!”.
Come da tradizione Harry e Ginny avevano pubblicato le partecipazioni sul giornale, più per rendere contenti i suoi futuri suoceri, che per reale interesse suo e della sposa. Avevano scelto Il Cavillo – per Luna – solo che quando il ministro Shacklebolt l’aveva scoperto aveva insistito – in realtà Hermione si era confidata nel dirgli che non era stata proprio un’idea del ministro ma di una serie di machiavellici funzionari – che le partecipazioni venissero pubblicate anche sulla Gazzetta del Profeta. Senza dimenticare che una serie di tortuose situazioni, non meglio identificate, avevano trasformato il piccolo matrimonio intimo che Harry aveva pensato di consumare con Ginny, in uno un po’ più grande.
Maestoso.

Una raccolta in ordine non sequenziale degli eventi che hanno portato al matrimonio più sospirato dell’intera comunità magica. Nonostante la sempre più vana speranza di Harry Potter di poter vivere quel così delicato momento in intimità.
Tra parenti, report e gruppi sovversivi, anche un matrimonio può essere una discreta avventura.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Angelina/George, Draco/Astoria, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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Aggiorno in questo tetro orario perché non avevo altro tempo. Prima di tutto comunicazione urgente: per le prossime tre settimane sarò senza internet fisso (sad-story) quindi sicuramente non aggiornerò, proverò a ritagliare comunque il termine per scrivere.
Comunque, questo capitolo non doveva essere questo capitolo, però mi sembrava carino, se avete altri personaggi di cui vi piacerebbe vedere la reazione, ditemelo.
Detto questo, ammetto di essermi divertita nel scriverlo.
Un bacio
RLandH

E venne il giorno …

 

“Devo alzarmi” aveva detto Hermione, ma Ron le aveva messo un braccio intorno al braccio tirandola nuovamente verso di lui, “No” aveva detto chiaro.
“Anche tu devi alzarti. Devi andare al negozio” aveva chiarito Hermione, prima di lascarsi andare ad una risata frizzantina, non così interessata a sgusciare alla presa di Ron.
“No. Andrò in negozio per le dieci” aveva stabilito, “Lascerò a George tutto il piacere di godersi le urla da Fwooper di Verity” aveva riso Ron, baciandole il retro dell’orecchio.
Hermione si era rovesciata  prona sulla schiena, sfuggendo alle sue braccia, ma arrendendosi a rimanere sul letto.
“Oggi è domenica. Io non ho fretta e tu non devi andare al ministero” le aveva ricordato Ron.
Hermione aveva annuito, “E che lo sai che non mi piace stare con le mani in mano” aveva ammesso la donna, “Ci sono sempre così tante cose da fare, in una giornata” aveva aggiunto.
“Potrei andare da tua madre ed aiutarla con il pranzo” aveva proposto.
“Sareste troppe in cucina, oggi” aveva ghignato Ron, “Ci sono già Fleur e Audrey” aveva precisato.
Suo fratello Percy si era deciso a presentare alla famiglia la sua nuova fidanzatina.
Ron si era fatto un sacco di idee su come potesse essere la ragazza di suo fratello, per lo più aveva immaginato una virago, tutta spigolosa con qualche bitorzolo in faccio, una specie di Megera, doveva confessare.
Non aveva avuto torto in tutto. Audrey era una megera, nel termine più biologico possibile. Aveva sangue di Megera nelle vene, anche se non lo sembrava per niente, con il suo viso pulito, la faccia tonda e carina …
E vestiva in jeans chiari e magliette con frasi spiritose, che Harry ed Hermione avevano trovato molto divertenti, a differenza loro.
Si erano tutti un po’ preoccupati, solo quando, aveva tirato una guancia di Victoire, dicendo che erano così paffute da volerle mangiare.
“Immagino che i tuoi fratelli faranno battute per tutto il pranzo, allora” aveva detto Hermione, gonfiando le guance.
“Mica è colpa nostra se le Megere mangiano Bambini” aveva risposto Ron, scanzonato.
Grattastinchi, quatto, con le sue gambe storte aveva compiuto un balzo dal pavimento per raggiungerli sul letto.
“Ronald Bilius Weasley, sai perfettamente che sono solo fandonie” aveva replicato Hermione.
Ron si era sporto per baciarla sulla punta del naso.
“Lo so, ma mi diverte comunque” le aveva detto.
Grattastinchi aveva trovato la sua alcova sul ventre di Hermione, che aveva cominciato ad accarezzarlo mollemente.
“Mi piace Audrey, anche se mangia i fegatelli crudi” aveva concesso la ragazza.
Ron aveva ridacchiato.
“Chi sa se Audrey accetterà di diventare Audrey Weasley” aveva lasciato scivolare Ron, fuori dalle sue labbra.
“Vogliamo parlarne ancora?” aveva chiesto Hermione.
Ron si era aspettato un tono più burbero ed anche seccato, ma quello della ragazza era stato calmo, aveva sollevato una mano mostrando l’anello d’oro bianco che ornava il suo dito.
“Solo che non capisco” aveva ammesso Ron onesto.
Si erano sposati di fretta e furia, mossi da un sentimento così impellente che Ron non credeva di aver mai provato ed anche Hermione con il tempo aveva ammesso di non aver mai sentito una spontaneità così forte.
Erano andati in vacanza, letteralmente costretti, da Kingslay, e mentre giravano per le Galapagos, erano stati mossi da quella follia.
Sua madre non gli aveva ancora perdonato l’aver perso il suo matrimonio – nonostante Hermione e Ron avessero giurato più volte di rifare una cerimonia più tradizionale, meno pomposa di quella che Harry e Ginny continuavano a rimandare, probabilmente dopo questi due.
“Per quanto i Weasley siano stati percepiti come Traditori del Proprio Sangue, rimangono una famiglia appartenente alle Sacre Ventotto, con parentele con i Black ed i Prewet” aveva risposto Hermione, “Granger non vuol dire niente. Io sono Granger[1]” aveva ammesso.
“Sei solo una delle persone più note del mondo magico” aveva dichiarato Ron.
“Si, ma … lo sono io, l’ho fatto io, nessuno mi ha regalato mai nulla” aveva sussurrato Hermione.
“Hai ragione, a me, il mio cognome ha semplificato la vita e mi ha aperto tutte le porte” aveva risposto Ron, seccato.
La questione del cognome di Hermione andava avanti da mesi, ormai.
Hermione si era sporta per baciarlo sulla guancia, “Hai ragione, sono stata ingiusta” aveva ceduto, “Diciamo che è una tradizione della mia famiglia” aveva ammesso, “Anche mia madre è Helen Beuchamp e non è mai diventata Helen Granger[2]” aveva chiarito.
Ron aveva un’idea un po’ offuscata della madre di Hermione; una donna incredibilmente ordinaria rispetto alla figlia, una figura un po’ fumosa.
“Si, diceva che visto che sulla laurea c’era scritto Dottoressa Helen Beuchamp, sarebbe stato strano presentarsi come Granger, no?” aveva chiesto retorica.
“Immagino di sì” aveva ammesso Ron, non molto convinto.
Hermione si era tirata su, mettendosi a cavalcioni, per baciare poi Ron sulle labbra, “Vuoi davvero pensare a questo? In questo momento?” aveva chiesto allusiva lei.
Non era mai stata una persona sfacciata, almeno non in quell’ambito, Hermione, Ron, d’altro canto, era sempre stato più irruento di lei, anche se spesso piuttosto impacciato nell’azione; avevano dovuto lavorarci un po’, avevano decisamente trovato la loro sintonia.
“No. Direi di no. Signora Granger” lo aveva presa in giro Ron, porando una mano sulla collottola di Hermione e facendo pressione su un gomito per sollvare appena la schiena ed andarle incontro per un ulteriore bacio.
Poi qualcosa si era schiantato contro la finestra della camera.
“Ma che ..” aveva detto Hermione.
“Leo!” aveva strillato Ron, riconoscendo il suo piccolo gufo agitato, che continuava a picchiettare con il becco contro il vetro della finestrella sul soffitto.
Lui ed Hermione vivevano in una piccola mansarda a Diagon Alley.

 

“E se dovesse farci mangiare fegatelli crudi?” aveva chiesto Molly Weasley, continuando a dondolare ai piedi del letto, mentre se ne stava in piedi a spazzolarsi i capelli, al rosso ramato s’era cominciato ad aggiungere con sempre più insistenza fili, sempre più spessi, di grigio-bianco. “Allora mentre nessuno guarda, ti preoccuperai di cuocerli” aveva specificato Arthur, che non condivideva la stessa apprensione della moglie per Audrey.
A lui era sembrata proprio una brava ragazza che aveva la sua stessa smodata passione per i babbani. Sì, certo, Audrey aveva una nonna Megera, ma nella vita nessuno era perfetto. Inoltre, sia Percy sia la ragazza avevano spergiurato più volte che nessuna megera mangiasse bambini e che erano ignobili calunnie messe in giro dall’élite di maghi puristi e cattive leggende babbane.
Poi Audrey rendeva Percy felice, condizione a cui, il suo figlio mezzano, secondo Arthur, tendeva a non essere molto avvezzo. E come padre riteneva fosse quella la sua priorità.
Era sempre stato difficile entrare in relazione con Percy e gli anni precedenti alla guerra, avevano tracciato una ferita che, ancora in quel momento, di tanto in tanto sanguinava.
Era brutto pensare per Arthur che a volte, tutta l’acredine che aveva provato per il rifiuto a cui suo figlio l’aveva costretto era smorzato dal dolore di poterne perdere un altro. Avrebbe perdonato Percy sicuramente, senza ombra di dubbio, perché era il suo bambino.
Eppure a volte, pensava che lo avessero fatto, perché avevano già perso un figlio. Era un pensiero meschino, il più meschino che avesse mai avuto.

Molly, d’altronde, non parlava mai di Fred, non voleva mai parlare di Fred.
Voleva che fosse un dolore suo e solo suo, come se non pronunciandolo ad alta voce non fosse reale. Arthur l’aveva trovata diverse volte, seduta nella stanza, nel guardare le foto sorridenti dei gemelli e l’aveva vista singhiozzare, dandosi colpe che non aveva.
La verità era che anche Arthur non sapeva cosa fare, anche dopo più di quattro anni non sapeva ancora cosa fare, non sentire la sua voce, non vederlo a tavola, avere l’impressione di sentire la sua scesa pesante dalle scale la domenica mattina; qualche tempo prima sua madre, la stoica e mai emotiva Ella, gli aveva detto che quella frasaccia ignobile che il tempo l’avrebbe reso più semplice era una menzogna bella e buona.
Il tempo, Art, lo renderà solo più sopportabile” aveva detto con la sua voce gracchiante e le mani gialle come la pergamena, “Non c’è giorno in cui prima di svegliarmi io non pensi al mio Billy e le sue guanciotte rosse” aveva detto.

“Lo so, solo che non posso che essere preoccupata, no? Sono i miei bambini” aveva detto Molly apprensiva, “Ieri erano così piccoli ed oggi: Bill ha una moglie ed un figlio, Ginny sta per sposarsi, anche Harry, Ron ed Hermione che l’ha fatto di nascosto – disgraziati!” aveva cominciato ad elencare la donna, con un tono tutto sommato pieno di gioia.
“E poi ci sono quei tre sciagurati” aveva ripreso più acre, “Percy che si è invaghito di una megera dal giorno alla notte” aveva detto melodrammatica sua moglie.
“Non è proprio così Molly” aveva provato con dolcezza ad interromperla Arthur.
“George che continua a ballare con Angelina come se fossero due adolescenti invece di sistemarsi per bene” aveva ripreso mordace sua moglie.
“Tesoro, George è un uomo adulto ed anche Angelina, sono certo che i due sappiano cosa stanno facendo” aveva provato ancora lui.
“E Charlie che proprio non ne vuole sapere di farmi contenta” aveva languito la donna, “Molly, è più probabile che Charlie sposi un drago che una persona” aveva provato Arthur con un po’ più di vigore.
Anche Bilius era stato così ai suoi tempi ed anche zia Tess, certe persone della loro famiglia, le relazioni romantiche sembravano abborrirle proprio.
Poi un dolce picchiettio aveva costretto i due vecchi signori Weasley ad interrompere il loro divagare sui figli.
Un bel barbagianni panciuto stava sul loro davanzale.
Arthur si era alzato dal letto per andare ad aprire la finestra. Il freddo autunnale aveva investito in pieno la stanza, facendo sollevare la pelle d’oca sotto lo strato sottile del piggiama.
“Ti prego Arthur dimmi che sono quello che penso” aveva detto subito sua moglie, fiondandosi alle sue spalle, per strappargli direttamente dalle mani la sottile pergamena che aveva sciolto dalla zampina del gufo.

 

“Sei sicuro Lucius di non voler venire?” Narcissa Malfoy lo aveva chiesto con un tono gentile a suo marito. Draco aveva notato come suo padre avesse scosso nuovamente il capo, grigio come uno spettro, preferendo rimanere sul divanetto vicino al camino, “Sono stanco” aveva detto opaco, mentre un bel cagnone ronfava tranquillo ai suoi piedi.
“Non faremo tardi” lo aveva rassicurato Draco, allungando una mano per sfiorare quella del genitore. Gli ultimi quattro-cinque anni, erano piovuti su Lucius Malfoy come se fossero stati venti e Draco non si sentiva di biasimarlo.
“Staro bene” aveva risposto incolore suo padre.
Sua madre si era sporta sui suoi tacchetti per recuperare un elegante vaso su cui era sistemata la metro-polvere, proprio sul camino.
L’attimo dopo erano spariti in una spirale di fiamme, apparendo in un soggiorno molto più illuminato e discreto.
Villa Malfoy negli ultimi anni aveva vissuto uno stato di deterioramento, non era marcita o trasformatasi in una vecchia casa infestata, non brillava più della gloria passata. Era impoverita, come impolverati erano loro, però rimaneva una delle dimore più spettacolari del loro mondo.
Il soggiorno in cui erano giunti era invece più modesto, ma anche decisamente più fresco e ben tenuto.
“Siete arrivata!” la voce squillante di Daphne Greengrass li aveva accolti subito, indossava una lunga toga rosso rubino, particolarmente vibrante. Al suo fianco c’era l’elfa domestica della famiglia, con indosso quello che sembrava assolutamente un vestitino pieno di fiocchetti acquamarina con un cappellino abbinato, che tendeva verso di loro un vassoio argentato pieno di scones.
“Ciao Daphne, pensavo fossi in America” aveva mentito spudoratamente Draco.
Aveva saputo da Blaise Zabini, ex-compagno di scuola ed ex-fidanzato della suddetta ragazza, che Daphne era ritornata in terra natia – Astoria, invece, non ne aveva fatto menzione, stranamente.
“Oh, davvero?” aveva domandato Daphne offesa.
Avevano frequentato Hogwarts assieme per otto lunghissimi anni, lui e la maggiore dei Greengrass, ma non erano mai diventati amici.
Non che Draco fosse mai stato capace di farsi molti amici, aveva sgherri e conoscenti. Daphne non era rientrata in nessuno dei due gruppi, fino a che non aveva cominciato ad uscire con Blaise durante il loro Secondo Ultimo anno.
“Non è importante!” aveva ammesso poi Daphne, lasciandolo scivolare sulle sue spalle, prima di schioccare un bacio sulla sua guancia e su quella di sua madre.
Narcissa era rimasta piuttosto turbata da tutta quella confidenza, “Oh, Merlino, vi ho macchiato con il rossetto!” aveva ammesso divertita.

Daphne li aveva condotti fuori dal Soggiorno di Rappresentanza[3], per guidarli nella sala da pranzo. I Greengrass avevano una dimora modesta, grande un quarto di quanto era Villa Malfoy, ma non per questo meno pregiata, con pavimento di marmi grigi screziati di blu-verde proconnesio, con le pareti pieni d’arazzi con scene di caccia, altri in campo nero, esibivano in verde ed oro, il monogramma dei Greengrass, due G intrecciate, circondate da foglie d’alloro ed intrecci viminei.
Il centro della scena sulla parete era dominato però da un quadro. Una donna dal capo biondo ed il sorriso enigmatico, che somigliava a Daphne, quasi come una goccia d’acqua; Eleanor Beutville in Greengrass, la defunta madre di Ria.
“Cissy non riesco a comprendere come tu possa diventare più bella ogni anno più bella. Ringiovanisci?” aveva chiesto immediatamente Adonis Greengrass, comparendo nel loro campo visivo, con indosso un panciotto crema ed i capelli scuri tirati indietro con il lucido.
Adonis somigliava di più ad Astoria, con i ricci scurissimi, a contrasto con un incarnato quasi cereo.
I Greengrass erano una delle famiglie purosangue inglesi, ma la nonna di Astoria, Ignez Clarosangre era una strega di una nobilissima famiglia spagnola, i suoi tratti erano scivolati in Adonis e poi in Ria. Daphne invece era in toto figlia di sua madre, Eleanor, anche lei purosangue francese normanna.

“Tu mi lusinghi, Donnie” aveva risposto affabile sua madre.
Adonis Greengrass aveva frequentato Hogwarts intorno agli stessi anni dei suoi genitori, nella nobile casata di Salazar ed erano stati ottimi conoscenti, più con sua madre, che con suo padre.
Per anni, Draco aveva sentito Lucius definire Adonis Greengrass, “Un mollaccione troppo permissivo con idee insulse”.
Draco aveva scoperto cosa intendesse suo padre. Il pedigree del sangue dei Greengrass era indiscusso, purosangue intonso (per quanto, di quei tempi, questo valore fosse del tutto perso), Adonis aveva aderito al partito Augurey ed era stato abbastanza permissivo e progressista sulla questione, almeno nelle frequentazioni.
Certo in maniera più sottile, non come i Weasley, non abbastanza da essere additati come ‘Traditori del Proprio Sangue’ ed una volta Draco, che era rimasto solo con il padre della sua fidanzata, ne aveva parlato a proposito.
Oh, be, Draco, qualcosa che tuo padre ed i suoi amici’ – e lo aveva detto con un tono di sberleffo, in quelle parole – ‘Non hanno mai capito è che per essere migliori bisogna che esista qualcuno di peggiore’ gli aveva detto.
Almeno Ria, differentemente da suo padre, era onesta, in toto, nella sua dolcezza.

“L’altro giorno ho visto tua sorella ‘Dromeda, per Diagon Alley, con il nipotino, pensi che se le chiedessi di uscire di questi tempi accetterebbe, o finirei per essere rifiutato ancora?” aveva chiesto sfacciato Adonis, ma Draco non aveva ascoltato la risposta, perché la piccola elfa, Milkey, aveva allungato ancora una volta il vassoio verso di lui.
Draco aveva preso un dolcetto, “Grazie” aveva detto incerto, “Oggi non è il tuo giorno libero?” aveva domandato lui.
Per legge: tutti gli elfi domestici dovevano avere una giornata libera, a settimana – o al mese, per i più reticenti – che lo volessero o meno. “Si, ma Milkey ha piacere nell’aiutare i padroni per il pranzo” aveva rivelato, “Specialmente per il signorino Malfoy” aveva aggiunto piena di vita.
Draco che per anni aveva avuto un elfo domestico che non aveva nascosto di provare un profondo spregio per la loro famiglia, non poteva fare altro che chiedersi come Milkey provasse tanta reverenza nei suoi confronti.

Daphne si era affiancata a lui, “Theodor Nott si è trasferito a New York, non so esattamente perché” aveva cominciato lei.
Cambiare aria, immaginava Draco, suo padre era morto ad Azkaban ed anche se lui, differentemente da Draco, non si era unito a niente, sulle di lui spalle e quelle di sua madre, era caduto il fardello di aver avuto un padre mangiamorte. Mentre per Lucius e Draco la salvezza era venuta sotto le fattezze di Harry Potter, nessuno aveva salvato Theodor.
“Mi ha chiesto di uscire; dici che dovrei accettare?” aveva chiesto lei, sfacciata. “A scuola mi sembrava un bravo ragazzo, un po’ taciturno” aveva commentato.
“Theo … non è suo padre” aveva ammesso Draco, “Non è uno che entra in confidenza, però non è suo padre” aveva raccontato.
Theodore era poco incline alle chiacchiere da dormitorio, ma era una persona che non aveva problemi ad essere amichevole quando voleva. Ed era abbastanza capace sia a scuola, sia sulla scopa. “Pregiudizi sui nati-babbani?” aveva indagato ancora Daphne.
“Oh, be, in sette anni di scuola lo ho sentito parlare male solo della Granger e sono quasi sicuro che non c’entrasse il suo essere san-nata-babbana” aveva risposto Draco.
Non poteva dirlo con la mano sull’ardemonio, ma se Theodore aveva condivo gli allora pensieri di Draco, non aveva sentito il bisogno di sbandierarli al mondo.
“Di rimando, dubito che a qualcuno piaccia sul serio la Granger” aveva commentato acida Daphne, prima di cinguettare: “Allora, dirò di sì” .
Draco aveva dato per scontato che la conversazione fosse finita, ma Daphne aveva ripreso, “Lui e Blaise non erano amici, giusto?” aveva indagato, “Non vorrei gli avesse detto cose imbarazzanti come i nostri incontri sessuali” aveva ammesso poi un po’ più titubante.
“Blaise sembra un chiacchierone, ma sa quando deve tacere, di rimando a Theodore queste cose non sono mai interessate” aveva ammesso candido Draco, sentendo però un certo imbarazzo crescere su di lui.
“Ria, dov’è?” aveva domandato subito.
Daphne aveva disteso le labbra rosa confetto, “Zia Laura è tornata a vivere da queste parti, sono da lei a rifinire dei dolci per il pranzo di oggi” aveva ammesso lei, “Oggi avrai l’onore di conoscere lei, prossimamente pure nostro cugino Apollo, la sua stucchevole moglie e suo figlio Jemmy” aveva raccontato Daphne, “Grazie al quale il cognome dei Greengrass non morirà. Nonostante Apollo sia figlio di padre ignoto” aveva ammesso.
Probabilmente Theodore Nott avrebbe dato via l’infamia o magari sarebbe stato Draco a farlo.
“Possiamo cominciare a sederci a tavola” aveva detto Adonis Greengrass attirando l’attenzione di tutti, “Ria e Loulou staranno per arrivare” aveva riportato, guardando l’orologio da taschino che aveva appeso al panciotto.
Non segnava le ore, ma luoghi fondamentali ed ogni freccia era un membro della famiglia; Ria glielo aveva detto.
E dopo Portobello Road, Ria aveva preteso che una freccia fosse anche per Draco, così che potesse essere raggiunto in ogni momento.
Era stato strano per Draco, pensare che sull’orologio di famiglia dei Greengrass ci fosse anche lui. Lo rendeva più ufficiale.

Ria e sua zia si erano smaterializzate direttamente nel salotto da pranzo, la sua fidanzata era abbigliata come richiesto ad una maga rispettabile, con una lunga, fino alle caviglie, tunica, stretta alla vita da una cintura nera.
“Ei!” aveva detto subito, correndo verso di lui per schioccarli un bacio, tra le mani piccole, aveva della carta da lettera. Sua zia Laura, che sarebbe potuta sembrare sua madre, tanto le somigliava, le andava dietro, con una torta gelatinosa verde che ballonzolava tra le sue mani.
“Daphne!” aveva detto subito, ammiccando a sua sorella, “Ho una cosa che tu vuoi” aveva detto subito.
“Ne dubito” aveva risposto schietta la maggiore.
“Neanche l’invito per il matrimonio del secolo?” non aveva perso mordente Ria.

 

“Finalmente hanno scelto il giorno, credevo non lo avrebbero più fatto. L’Inverno mi piace pure pià dell’estate” aveva ammesso Seamus Finnigan, osservando la piccola busta che aveva tra le mani. Era nel soggiorno della sua cucina, un clima quasi tropicale vigeva in casa, nonostante fosse novembre. Per questo aveva rinunciato ad indossare la camicia, che inevitabilmente sarebbe finita inzuppata a causa del sudore.
“Non so se dovrei andarci, sono, tecnicamente, l’ex-fidanzato della sposa” aveva valutato Dean, a capo del tavolo, sollevando lo sguardo dal suo succo di zucca, per guardare di nuovo il suo manuale.
Le lettere le avevano ricevute entrambi, perché non avevano raccontato ancora a nessuno ciò che c’era tra loro. “Puoi venire come mio più uno” aveva scherzato Seamus.
Luna era entrata in cucina, con indosso il pigiama intero ed i capelli biondi acconciati con una serie di variopinte matite. “In questa cucina non fa troppo caldo?” aveva domandato subito Seamus, “Non ancora abbastanza” aveva chiarito subito Luna, “La sto sistemando per la cova dei Tarmuraghi” aveva chiarito subito la bionda, “Sarà pronto tra due giorni” aveva chiarito.
“Quanto durerà Luna?” aveva chiesto Dean, che al posto di Seamus trovava sempre accettabili i comportamenti della loro stravagante inquilina, “Nove giorni” aveva risposto allegra lei, prendendo posto al suo tavolo.
“Accettabile” aveva valutato Dean, meno per Seamus, ma era certo che avrebbe perso.
“Sono arrivati gli inviti di Ginny ed Harry” aveva detto poi alla fine lui, allungando la busta verso Luna, che probabilmente doveva aver saputo la data anche prima di loro.
“Oh” aveva detto quella, spalancando gli occhi grigi. Forse no.
“Hai già un accompagnatore?” aveva chiesto Seamus, “Vuoi farlo tu?” aveva risposto di rimando Luna con un sorriso gentile, “Non stuzzicarlo” aveva ridacchiato Dean, scuotendo il capo.
“In realtà ho un accompagnatore” aveva ammesso Luna, “Sono preoccupata per il mio ruolo di damigella” aveva ammesso, con palpabile disagio, “Non so cosa dovrei fare” aveva commentato.
“Ma ti daremo una mano noi” aveva detto subito Dean, “E Neville dovrà fare metà del lavoro, comunque” aveva aggiunto Seamus.
Luna si era alzata in piedi immediatamente, “Adesso, gli scrivo subito” aveva detto Luna immediatamente.

 

“Si sposano ad Hogwarts, che cosa folkloristica” aveva detto Rolf, osservando il foglietto degli inviti che aveva ricevuto Neville.
Era la settima del Ringraziamento e ne aveva approfittato per andare a trovare il suo buon amico Neville. “Penso piacerebbe anche a me sposarmi a Beuxbatons, la trovo anche più bella della vostra scuola” aveva raccontato.
Neville, che stava spremendo un bubbone della sua mimbla mimblettonia aveva sollevato lo sguardo, “Si, ci sono stato una volta, per prendere un libro dalla loro biblioteca” aveva ammesso, “Clima sicuramente migliore” aveva detto.
“Anche giardini migliori, panorama migliore” aveva difeso strenuamente Rolf.
“Sono certo che una Meleusina nella fontana abbia cercato di soffocarmi” aveva raccontato Neville, “Si, Saera ha questa abitudine” aveva ammesso il giovane Scamander, “Ma non avevamo un Troll nei sotterranei, un cane a tre teste, un basilisco nei muri ed altre pericolose creature” aveva risposto secco.
“Come?” aveva domandato Neville, genuinamente curioso.
“Hagrid ha cantato, come un uccellino in primavera, ed anche Harry Potter” aveva detto subito.
Neville aveva ridacchiato, si, aveva saputo dell’incontro avvenuto qualche settimana prima tra i due uomini ad Hogwarts.
“Ho trovato molto bello, comunque, il compendio sui Thestral” aveva comunicato poi Neville.
“Grazie, mi sono divertito moltissimo a scriverlo; questo mi ha ricordato quanto odi scrivere per la fottuta Gazzetta del Profeta” aveva raccontato Rolf, onesto.
Trovava frustratissimo il suo lavoro per il giornale.
“Comunque, vuoi venire con me al matrimonio? Se non sei già stato invitato” aveva espresso Neville.
“Allora” aveva cominciato lui, “Non conosco Harry Potter così bene, e non sono mio nonno, mica” aveva ripreso, “Anche se scommetto che lui e zia Leta avranno sicuramente un invito” aveva ripreso.
“Si, Ginny, mi ha scritto che la portata della festa è andata un po’ fuori il loro controllo” aveva ammesso Neville, “Quindi vieni con me?” aveva domandato Neville.
Rolf aveva riso, “Non abbiamo stabilito che tra noi non funziona?” aveva risposto retorico lui. Neville aveva trattenuto a malapena una risata.  “Comunque, dicevo, non ho ricevuto l’invito, ma effettivamente sono stato già invitato a partecipare come più uno” aveva ammesso Rolf.
Neville aveva aggrottato le sopracciglia, “Da qualcuno che sapeva che avrebbe ricevuto l’invito, chiaramente” aveva detto.
“Quindi, io userei questa opportunità per invitare la bella cameriera che ti piace tanto, quella bionda con le gambe lunghe che lavora a Londra … o la ninfa della foresta di Deep Creek Lake” aveva proposto Rolf.
Anche se era certo di sapere chi delle due il suo amico preferisse; infondo aveva studiato a lungo il comportamento animale.
“Hannah sarà già invitata” aveva detto Neville, carico di imbarazzo, con le guance arrossate come pomodori maturi. Assolutamente ignorante del suo aspetto.
“Sottigliezze” aveva risposto Rolf.

 

“Ma quindi non è la stessa, quella di prima, come si chiamava … Betta?” aveva chiesto Vernon.
Britta” lo aveva corretto con una smorfia Petunia.
Britta Dallon era stata il suo incubo.
Bassina, con il viso tondo, carino, all’apparenza adorabile, che aveva fatto sentire la stanca donna ancora più irritata. Confessava, solo a se stessa, che quelle ragazze così delicate, non facevano altro che ricordarle quella sorella di cui faceva finta di non provare la mancanza – o di negarne l’esistenza.
Britta Dallon con i capelli biondo fragola le era parsa un memento dei suoi comportamenti.
Almeno fisicamente.
Poi … era una ragazza invadente, faceva sempre tante domande, ignorava lo spazio personale, non si puliva mai le suole delle scarpe, non toglieva mai i piatti dal lavandino.
E straparlava.
Di qualsiasi cosa.
Ed aveva un opinione su tutto. Sulla politica estera, sulle folkland, sul colonialismo, sui pappagallini che facevano scii d’acqua.
Ed era terribilmente irrispettosa, le aveva dato perfino del tu dalla prima volta che si erano conosciute.
Vero, Petunia?’ continuava a ripetere quella frase, continuamente, come se ci fosse un qualche legame tra lei: Petunia Durslay, rispettabile donna inglese e Britta Dallon, sciatta mezza-hippie con l’ombelico da fuori.
Era stato puro giubileo quando il suo Didino-picciono e quella Spudorata si erano lasciati.
‘Britta si trasferisce in America, con la sua band’ aveva detto un giorno suo figlio.
L’orrore che aveva provato Petunia all’idea di vedere il suo adorabile bambino, preso dietro una perdigiorno che strimpellava con una chitarra per l’America. No, mai non lo avrebbe mai permesso.
Fortunatamente Didino era un giovanotto diligente e non aveva seguito quella sfacciata in America.
“Troppo spudorata per me e pure perdigiorno” aveva ammesso Vernon, dalla poltrona da cui stava leggendo il giornale, aveva ammesso appena uno sbuffo.
Lei e suo marito erano stati d’accordo su tutto nella vita.

Petunia aveva steso la tovaglia fiorazzata sul tavolo tondo dell’ingresso, “Didino ha detto che è una ragazza molto posata” aveva provato Petunia, se l’augurava.
Suo figlio non era molto sveglio in donne, aveva osato definire più volte Britta, adorabile, assicurandosi che lei, Petunia, l’avrebbe anche trovata così.
Mai nella vita.
“Ha anche detto che era un po’ esotica” aveva riportato Vernon, con il faccione rosso e l’incertezza su quell’aggettivo.
“Su via, Vernon” aveva detto lei, “Didino ha detto che ha origini orientali, ma che è nata e vissuta qui” aveva commentato, “Sono sicura si potrà soprassedere” aveva provato. “Basta che non ci riempia casa di riso-fritto ed altre cose che …” ma erano stati interrotti da un rumore.
La porta di Privet Drive numero quattro si era aperta con vigore, “Eccoci, siamo arrivati” aveva detto subito Dudley facendo capolineo in soggiorno, mentre si spogliava del cappotto.
Suo figlio si era fatto alto e spesso, grazie al pugilato.
Petunia si era subito lanciata tra le sue braccia, per schioccarli un bacio sulle guance, mentre toglieva il fetch dai suoi capelli.
Vernon si era alzato con fatica dalla sua poltrona per raggiungere il figlio; Dudley invece si era fatto da parte per presentare la sua fidanzata.
Era piccola e bassina, come era stata Britta. La donna aveva una faccia tonda ed il naso un po’ piatto, gli occhi a mandorla scuri ed i capelli nerissimi lisci. Indossava un maglioncino ed una gonna a ginocchio, entrambi in sobri colori di sabbia spento e grigio topo.
Accettabile.
“Tu devi essere Cho!” aveva provato Petunia ad essere quanto mai entusiasta, sperando di non aver sbagliato il nome. “Si” aveva risposto stucchevole la ragazza, “Lei deve essere la Signora Durslay, è un piacere conoscerla” aveva detto subito, “B-Dud parla sempre di lei” aveva detto, quella, posata, prima di allungare verso Petunia la bottiglia che aveva in mano. Grazie al cielo, non l’aveva abbracciata.

Cho Chang – che nome pittoresco – si era comportata proprio bene, aveva aiutato Petunia ad apparecchiare, aveva commentato con squisite parole la cucina, aveva fatto molti complimenti all’aredo della casa e sia era dimostrata interessata ad ascoltare Vernon parlare del suo lavoro.
Anche suo marito aveva presto messo da parte le sue riserve per l’etnia della ragazzina, quando aveva trovato in lei il suo giusto pubblico.
“Allora, che ne pensi?” aveva chiesto sussurrato Dudley verso di lei, mentre le versava dell’acqua. Sembrava cotto dall’imbarazzo, con le guance rosse e le mani sudaticce.
“Mi sembra una brava ragazza” aveva concesso Petunia.
“E come vi siete conosciuti?” aveva chiesto subito Vernon.
“In realtà è stato un po’ imbarazzante” era intervenuto Didino-piccino.
Cho aveva riso con compostezza, mettendo la mano davanti alla bocca. “Oh, be, è stato ad un concerto” aveva cominciato, voltandosi verso il fidanzato.
“Si, di … Britta” aveva detto con cocente imbarazzo il figlio.
“Ero con la mia amica Marietta, allora Piers – avete presente Piers?” aveva inquisito Cho.
“Si, cara, da quando ha sei anni” aveva risposto Petunia, senza riuscire a calmare la punta di veleno sulla lingua.
“Si, quindi, Piers cerca di approcciarsi a Marietta” aveva ripreso lei.
Dudley aveva scosso il capo, “In realtà cercava di approcciarsi a te” l’aveva corretta. Cho aveva spalancato le labbra fine, “Okay, non me l’aspettavo” aveva confessato con assoluta ingenuità.
“Fatto sta che, conquista Marietta ed io resto con Cho” aveva raccontato lui, “Ma abbiamo solo parlato quella sera” aveva precisato.
“Piers e Marietta hanno cominciato ad uscire sempre, così io ho cominciato ad uscire con loro ed ho continuato anche quando quei due hanno rotto” aveva confessato Cho, con le gote un po’ rosse, guardando languida Dudley che aveva ricambiato il medesimo sguardo.
“Il mio ragazzo ti aveva conquistato è” aveva detto Vernon con un sorriso disteso sotto i baffi, “Assolutamente” aveva confermato lei.
Prima che qualcuno potesse dire altro, però qualcosa si era fiondato in cucina, passando dalla finestra che Petunia aveva lasciato semi-aperta per permettere al calore del forno – usato per l’arrosto – di dissiparti.
“Madre del cielo!” aveva strillato Vernon, alzandosi in piedi e quasi facendo rovesciare la tavola tonda, “È un dannato gufo!” aveva gridato.
Ma tutto ciò a cui riusciva a pensare Petunia era che era sicuramente un messaggio da parte di quelli là.
Dudley era esangue in viso, mentre guardava il pennuto accomodarsi bello comodo sul tavolo della cucina tra la zuppa e l’arrosto.
Petunia aveva guardato Cho, “Giuro non ho idea di cosa significhi, noi siamo normali, non ci capitano mai queste cose” aveva strillato, per assicurarsi che la fidanzata di suo figlio non andasse a destra e manca a raccontare cosa aveva visto.
Ma la poverina era pure più granitica di loro, quasi sudava freddo.
Forse aveva paura dei volatili?
“Porta un … messaggio” aveva provato Dudley.
“Vedo” aveva sussurrato con un filo di voce Cho.
Vernon aveva preso la scopa della cucina per provare a colpire la bestia, ma era stato fermato da Petunia che già vedeva le sue porcellane per terra.
Il pennuto si era rialzato, zampettando fino a Diddino, allungando verso di lui la zampetta.
Cho aveva sgranato lo sguardo verso Dudlay.
Cosa, chi sa, quella ragazza doveva star pensando del suo bambino.
“Una faccenda complicata” aveva borbottato Dudley, colmo di imbarazzo fino ai capelli, sciogliendo il messaggio dalla zampina, “Poteva chiamare” aveva sentito a malapena Petunia.
Didino parlava di Harry?
Didino parlava con Harry?

“Ehm, cosa dice?” aveva indagato Cho, cercando di spiare con gli occhietti stretti il messaggio, “Niente” aveva risposto Petunia, cercando di strappare la pergamena dalle mani del figlio, “Mio cugino si sposa” aveva detto invece onesto Dudley.
“Aspetta tuo cugino è un … mago?” aveva provato Cho.
“Più uno stravagante nullafacente” aveva provato Vernon, non connettendo in pieno la portata della domanda di Cho.
“Noi siamo gente rispettabile, non abbiamo persone come lui nella nostra famiglia” aveva chiarito Vernon.
Cho aveva sollevato un sopracciglio, mentre Dudlay si era colpito il viso con la grossa mano, “Come signor Durslay? Come chi?” aveva chiesto Cho, leggermente irritata.
“Oh … tu … non sarai …?” aveva provato Petunia, colma di disagio.
“Si, mio cugino, è un mago” aveva invece confessato Dudley, “E a me di tutto questo non frega un cazzo” aveva chiarito, incrociando le braccia sotto al petto ampio.
Cho aveva strappato delle molliche di pane per darle al pennuto, sorridendo mesta.
“Oh, be, wow. Così non dovrò usare snasi per trovare le perle” aveva confessato lei.
“Cosa?” aveva provato a dire Vernon confuso.
Dudlaey aveva sorriso verso la sua fidanzata, “C’è qualcosa che vuoi dirmi?” aveva chiesto audace, “Sta sera” aveva risposto lei calma, “Prima vorrei mangiare un dolce” aveva provato.
“Ecco, perché ti amo” aveva risposto suo figlio, allungandosi per darle un bacio sulla punta del naso.
“’Tunia, ‘Tunia, che sta succedendo?” aveva cercato di chiamarla Vernon.
Lei però aveva disteso nuovamente la pergamena che aveva accartocciato, in un elegante corsivo in inchiostro dorato scintillava una scritta.


Alla gentile attenzione del Sig. Durslay Dudley
Harry James Potter e Ginevra Molly Weasley
sono lieti di invitarvi alla cerimonia delle loro nozze,
in data 23.12.2002, presso la Chiesa di Westminister, il ricevimento, nella medesima data, avrà luogo nella Scuola di Stregoneria e Magia di Hogwarts.



[1] Fin da prima dell’uscita di quello schifo de La Maledizione dell’Erede, pensavo che Hermione non sarebbe mai divenuta la Signora Weasley ed ho deciso di lasciare questa cosa.

[2] Beauchamp pronunciato all’Inglese ‘Bicham’ (ovvero il cognome da nubile di Claire Fraser di Outlander). Visto che la mamma di Hermione non ha nome (mi dispiace che nella serie non abbiamo visto ‘bravi babbani’ ma sempre dipinti a tinte grigissime) ho deciso di chiamarla Helen, in riferimento ad Elena di Troia, madre di Ermione di Sparta. Anche se immagino che il suo nome sia ispirato a quello de ‘Racconto di Inverno’.

[3] Allora: ho spudoratamente rubato il concetto di Soggiorno di Rappresentanza dagli Ambienti (spesso Triclini) di Rappresentanza Romani, ovvero i posti della casa riservati all’accoglienza degli Ospiti e Co. Ho pensato, visto che ci si sposta con i Camini potesse essere carino averne uno.

   
 
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