Aggiorno in
questo tetro orario perché non avevo altro
tempo. Prima di tutto comunicazione urgente: per le prossime tre
settimane sarò
senza internet fisso (sad-story) quindi sicuramente non
aggiornerò, proverò a
ritagliare comunque il termine per scrivere.
Comunque, questo capitolo non doveva essere questo capitolo,
però mi sembrava
carino, se avete altri personaggi di cui vi piacerebbe vedere la
reazione,
ditemelo.
Detto questo, ammetto di essermi divertita nel scriverlo.
Un bacio
RLandH
E
venne il giorno …
“Devo
alzarmi” aveva detto Hermione, ma Ron le aveva messo un
braccio intorno al
braccio tirandola nuovamente verso di lui, “No”
aveva detto chiaro.
“Anche tu devi alzarti. Devi andare al negozio”
aveva chiarito Hermione, prima
di lascarsi andare ad una risata frizzantina, non così
interessata a sgusciare
alla presa di Ron.
“No. Andrò in negozio per le dieci”
aveva stabilito, “Lascerò a George tutto il
piacere di godersi le urla da Fwooper di Verity” aveva riso
Ron, baciandole il
retro dell’orecchio.
Hermione si era rovesciata prona
sulla
schiena, sfuggendo alle sue braccia, ma arrendendosi a rimanere sul
letto.
“Oggi è domenica. Io non ho fretta e tu non devi
andare al ministero” le aveva
ricordato Ron.
Hermione aveva annuito, “E che lo sai che non mi piace stare
con le mani in
mano” aveva ammesso la donna, “Ci sono sempre
così tante cose da fare, in una
giornata” aveva aggiunto.
“Potrei andare da tua madre ed aiutarla con il
pranzo” aveva proposto.
“Sareste troppe in cucina, oggi” aveva ghignato
Ron, “Ci sono già Fleur e
Audrey” aveva precisato.
Suo fratello Percy si era deciso a presentare alla famiglia la sua
nuova
fidanzatina.
Ron si era fatto un sacco di idee su come potesse essere la ragazza di
suo
fratello, per lo più aveva immaginato una virago, tutta
spigolosa con qualche
bitorzolo in faccio, una specie di Megera, doveva confessare.
Non aveva avuto torto in tutto. Audrey era una megera, nel termine
più biologico
possibile. Aveva sangue di Megera nelle vene, anche se non lo sembrava
per
niente, con il suo viso pulito, la faccia tonda e carina …
E vestiva in jeans chiari e magliette con frasi spiritose, che Harry ed
Hermione avevano trovato molto divertenti, a differenza loro.
Si erano tutti un po’ preoccupati, solo quando, aveva tirato
una guancia di
Victoire, dicendo che erano così paffute da volerle mangiare.
“Immagino che i tuoi fratelli faranno battute per tutto il
pranzo, allora”
aveva detto Hermione, gonfiando le guance.
“Mica è colpa nostra se le Megere mangiano
Bambini” aveva risposto Ron, scanzonato.
Grattastinchi, quatto, con le sue gambe storte aveva compiuto un balzo
dal
pavimento per raggiungerli sul letto.
“Ronald Bilius Weasley, sai perfettamente che sono solo
fandonie” aveva
replicato Hermione.
Ron si era sporto per baciarla sulla punta del naso.
“Lo so, ma mi diverte comunque” le aveva detto.
Grattastinchi aveva trovato la sua alcova sul ventre di Hermione, che
aveva
cominciato ad accarezzarlo mollemente.
“Mi piace Audrey, anche se mangia i fegatelli
crudi” aveva concesso la ragazza.
Ron aveva ridacchiato.
“Chi sa se Audrey accetterà di diventare Audrey
Weasley” aveva lasciato scivolare
Ron, fuori dalle sue labbra.
“Vogliamo parlarne ancora?” aveva chiesto Hermione.
Ron si era aspettato un tono più burbero ed anche seccato,
ma quello della
ragazza era stato calmo, aveva sollevato una mano mostrando
l’anello d’oro
bianco che ornava il suo dito.
“Solo che non capisco” aveva ammesso Ron onesto.
Si erano sposati di fretta e furia, mossi da un sentimento
così impellente che
Ron non credeva di aver mai provato ed anche Hermione con il tempo
aveva
ammesso di non aver mai sentito una spontaneità
così forte.
Erano andati in vacanza, letteralmente costretti, da Kingslay, e mentre
giravano per le Galapagos, erano stati mossi da quella follia.
Sua madre non gli aveva ancora perdonato l’aver perso il suo
matrimonio –
nonostante Hermione e Ron avessero giurato più volte di
rifare una cerimonia
più tradizionale, meno pomposa di quella che Harry e Ginny
continuavano a
rimandare, probabilmente dopo questi due.
“Per quanto i Weasley siano stati percepiti come Traditori
del Proprio Sangue,
rimangono una famiglia appartenente alle Sacre Ventotto, con parentele
con i
Black ed i Prewet” aveva risposto Hermione,
“Granger non vuol dire niente. Io
sono Granger[1]”
aveva ammesso.
“Sei solo una delle persone più note del mondo
magico” aveva dichiarato Ron.
“Si, ma … lo sono io, l’ho fatto io,
nessuno mi ha regalato mai nulla” aveva
sussurrato Hermione.
“Hai ragione, a me, il mio cognome ha semplificato la vita e
mi ha aperto tutte
le porte” aveva risposto Ron, seccato.
La questione del cognome di Hermione andava avanti da mesi, ormai.
Hermione si era sporta per baciarlo sulla guancia, “Hai
ragione, sono stata
ingiusta” aveva ceduto, “Diciamo che è
una tradizione della mia famiglia” aveva
ammesso, “Anche mia madre è Helen Beuchamp e non
è mai diventata Helen Granger[2]”
aveva chiarito.
Ron aveva un’idea un po’ offuscata della madre di
Hermione; una donna
incredibilmente ordinaria rispetto alla figlia, una figura un
po’ fumosa.
“Si, diceva che visto che sulla laurea c’era
scritto Dottoressa Helen Beuchamp,
sarebbe stato strano presentarsi come Granger, no?” aveva
chiesto retorica.
“Immagino di sì” aveva ammesso Ron, non
molto convinto.
Hermione si era tirata su, mettendosi a cavalcioni, per baciare poi Ron
sulle
labbra, “Vuoi davvero pensare a questo? In questo
momento?” aveva
chiesto allusiva lei.
Non era mai stata una persona sfacciata, almeno non in
quell’ambito, Hermione,
Ron, d’altro canto, era sempre stato più irruento
di lei, anche se spesso
piuttosto impacciato nell’azione; avevano dovuto lavorarci un
po’, avevano decisamente
trovato la loro sintonia.
“No. Direi di no. Signora Granger” lo aveva presa
in giro Ron, porando una mano
sulla collottola di Hermione e facendo pressione su un gomito per
sollvare
appena la schiena ed andarle incontro per un ulteriore bacio.
Poi qualcosa si era schiantato contro la finestra della camera.
“Ma che ..” aveva detto Hermione.
“Leo!” aveva strillato Ron, riconoscendo il suo
piccolo gufo agitato, che
continuava a picchiettare con il becco contro il vetro della
finestrella sul
soffitto.
Lui ed Hermione vivevano in una piccola mansarda a Diagon Alley.
“E
se
dovesse farci mangiare fegatelli crudi?” aveva chiesto Molly
Weasley,
continuando a dondolare ai piedi del letto, mentre se ne stava in piedi
a spazzolarsi
i capelli, al rosso ramato s’era cominciato ad aggiungere con
sempre più
insistenza fili, sempre più spessi, di grigio-bianco.
“Allora mentre nessuno guarda,
ti preoccuperai di cuocerli” aveva specificato Arthur, che
non condivideva la
stessa apprensione della moglie per Audrey.
A lui era sembrata proprio una brava ragazza che aveva la sua stessa
smodata
passione per i babbani. Sì, certo, Audrey aveva una nonna
Megera, ma nella vita
nessuno era perfetto. Inoltre, sia Percy sia la ragazza avevano
spergiurato più
volte che nessuna megera mangiasse bambini e che erano ignobili
calunnie messe
in giro dall’élite di maghi puristi e cattive
leggende babbane.
Poi Audrey rendeva Percy felice, condizione a cui, il suo figlio
mezzano,
secondo Arthur, tendeva a non essere molto avvezzo. E come padre
riteneva fosse
quella la sua priorità.
Era sempre stato difficile entrare in relazione con Percy e gli anni
precedenti
alla guerra, avevano tracciato una ferita che, ancora in quel momento,
di tanto
in tanto sanguinava.
Era brutto pensare per Arthur che a volte, tutta l’acredine
che aveva provato
per il rifiuto a cui suo figlio l’aveva costretto era
smorzato dal dolore di
poterne perdere un altro. Avrebbe perdonato Percy sicuramente, senza
ombra di
dubbio, perché era il suo bambino.
Eppure a volte, pensava che lo avessero fatto, perché
avevano già perso un
figlio. Era un pensiero meschino, il più meschino che avesse
mai avuto.
Molly,
d’altronde,
non parlava mai di Fred, non voleva mai parlare di Fred.
Voleva
che
fosse un dolore suo e solo suo, come se non pronunciandolo ad alta voce
non
fosse reale. Arthur l’aveva trovata diverse volte, seduta
nella stanza, nel
guardare le foto sorridenti dei gemelli e l’aveva vista
singhiozzare, dandosi
colpe che non aveva.
La verità era che anche Arthur non sapeva cosa fare, anche
dopo più di quattro
anni non sapeva ancora cosa fare, non sentire la sua voce, non vederlo
a
tavola, avere l’impressione di sentire la sua scesa pesante
dalle scale la
domenica mattina; qualche tempo prima sua madre, la stoica e mai
emotiva Ella,
gli aveva detto che quella frasaccia ignobile che
il tempo l’avrebbe
reso più semplice era una menzogna bella e buona.
“Il tempo, Art, lo renderà solo
più sopportabile” aveva detto con la sua
voce gracchiante e le mani gialle come la pergamena, “Non
c’è giorno in cui
prima di svegliarmi io non pensi al mio Billy e le sue guanciotte rosse”
aveva detto.
“Lo
so, solo
che non posso che essere preoccupata, no? Sono i miei
bambini” aveva detto
Molly apprensiva, “Ieri erano così piccoli ed
oggi: Bill ha una moglie ed un
figlio, Ginny sta per sposarsi, anche Harry, Ron ed Hermione che
l’ha fatto di
nascosto – disgraziati!” aveva
cominciato ad elencare la donna, con un
tono tutto sommato pieno di gioia.
“E poi ci sono quei tre sciagurati” aveva ripreso
più acre, “Percy che si è
invaghito di una megera dal giorno alla notte” aveva detto
melodrammatica sua
moglie.
“Non è proprio così Molly”
aveva provato con dolcezza ad interromperla Arthur.
“George che continua a ballare con Angelina come se fossero
due adolescenti invece
di sistemarsi per bene” aveva ripreso mordace sua moglie.
“Tesoro, George è un uomo adulto ed anche
Angelina, sono certo che i due
sappiano cosa stanno facendo” aveva provato ancora lui.
“E Charlie che proprio non ne vuole sapere di farmi
contenta” aveva languito la
donna, “Molly, è più probabile che
Charlie sposi un drago che una persona”
aveva provato Arthur con un po’ più di vigore.
Anche Bilius era stato così ai suoi tempi ed anche zia Tess,
certe persone
della loro famiglia, le relazioni romantiche sembravano abborrirle
proprio.
Poi un dolce picchiettio aveva costretto i due vecchi signori Weasley
ad interrompere
il loro divagare sui figli.
Un bel barbagianni panciuto stava sul loro davanzale.
Arthur si era alzato dal letto per andare ad aprire la finestra. Il
freddo
autunnale aveva investito in pieno la stanza, facendo sollevare la
pelle d’oca
sotto lo strato sottile del piggiama.
“Ti prego Arthur dimmi che sono quello che penso”
aveva detto subito sua
moglie, fiondandosi alle sue spalle, per strappargli direttamente dalle
mani la
sottile pergamena che aveva sciolto dalla zampina del gufo.
“Sei
sicuro
Lucius di non voler venire?” Narcissa Malfoy lo aveva chiesto
con un tono
gentile a suo marito. Draco aveva notato come suo padre avesse scosso
nuovamente
il capo, grigio come uno spettro, preferendo rimanere sul divanetto
vicino al
camino, “Sono stanco” aveva detto opaco, mentre un
bel cagnone ronfava
tranquillo ai suoi piedi.
“Non faremo tardi” lo aveva rassicurato Draco,
allungando una mano per sfiorare
quella del genitore. Gli ultimi quattro-cinque anni, erano piovuti su
Lucius
Malfoy come se fossero stati venti e Draco non si sentiva di biasimarlo.
“Staro bene” aveva risposto incolore suo padre.
Sua madre si era sporta sui suoi tacchetti per recuperare un elegante
vaso su
cui era sistemata la metro-polvere, proprio sul camino.
L’attimo dopo erano spariti in una spirale di fiamme,
apparendo in un soggiorno
molto più illuminato e discreto.
Villa Malfoy negli ultimi anni aveva vissuto uno stato di
deterioramento, non
era marcita o trasformatasi in una vecchia casa infestata, non brillava
più
della gloria passata. Era impoverita, come impolverati
erano loro, però
rimaneva una delle dimore più spettacolari del loro mondo.
Il soggiorno in cui erano giunti era invece più modesto, ma
anche decisamente
più fresco e ben tenuto.
“Siete arrivata!” la voce squillante di Daphne
Greengrass li aveva accolti
subito, indossava una lunga toga rosso rubino, particolarmente
vibrante. Al suo
fianco c’era l’elfa domestica della famiglia, con
indosso quello che sembrava
assolutamente un vestitino pieno di fiocchetti acquamarina con un
cappellino
abbinato, che tendeva verso di loro un vassoio argentato pieno di
scones.
“Ciao Daphne, pensavo fossi in America” aveva
mentito spudoratamente Draco.
Aveva saputo da Blaise Zabini, ex-compagno di scuola ed ex-fidanzato
della
suddetta ragazza, che Daphne era ritornata in terra natia –
Astoria, invece,
non ne aveva fatto menzione, stranamente.
“Oh, davvero?” aveva domandato Daphne offesa.
Avevano frequentato Hogwarts assieme per otto lunghissimi anni, lui e
la
maggiore dei Greengrass, ma non erano mai diventati amici.
Non che Draco fosse mai stato capace di farsi molti amici, aveva
sgherri e
conoscenti. Daphne non era rientrata in nessuno dei due gruppi, fino a
che non
aveva cominciato ad uscire con Blaise durante il loro Secondo Ultimo
anno.
“Non è importante!” aveva ammesso poi
Daphne, lasciandolo scivolare sulle sue
spalle, prima di schioccare un bacio sulla sua guancia e su quella di
sua
madre.
Narcissa era rimasta piuttosto turbata da tutta quella confidenza,
“Oh,
Merlino, vi ho macchiato con il rossetto!” aveva ammesso
divertita.
Daphne
li
aveva condotti fuori dal Soggiorno di Rappresentanza[3],
per guidarli nella sala da pranzo. I Greengrass avevano una dimora
modesta,
grande un quarto di quanto era Villa Malfoy, ma non per questo meno
pregiata,
con pavimento di marmi grigi screziati di blu-verde proconnesio, con le
pareti
pieni d’arazzi con scene di caccia, altri in campo nero,
esibivano in verde ed
oro, il monogramma dei Greengrass, due G intrecciate, circondate da
foglie
d’alloro ed intrecci viminei.
Il centro della scena sulla parete era dominato però da un
quadro. Una donna
dal capo biondo ed il sorriso enigmatico, che somigliava a Daphne,
quasi come
una goccia d’acqua; Eleanor Beutville in Greengrass, la
defunta madre di Ria.
“Cissy non riesco a comprendere come tu possa diventare
più bella ogni anno più
bella. Ringiovanisci?” aveva chiesto immediatamente Adonis
Greengrass, comparendo
nel loro campo visivo, con indosso un panciotto crema ed i capelli
scuri tirati
indietro con il lucido.
Adonis somigliava di più ad Astoria, con i ricci scurissimi,
a contrasto con un
incarnato quasi cereo.
I Greengrass erano una delle famiglie purosangue inglesi, ma la nonna
di
Astoria, Ignez Clarosangre era una strega di una nobilissima famiglia
spagnola,
i suoi tratti erano scivolati in Adonis e poi in Ria. Daphne invece era
in toto
figlia di sua madre, Eleanor, anche lei purosangue francese normanna.
“Tu
mi
lusinghi, Donnie” aveva risposto affabile sua madre.
Adonis Greengrass aveva frequentato Hogwarts intorno agli stessi anni
dei suoi
genitori, nella nobile casata di Salazar ed erano stati ottimi
conoscenti, più
con sua madre, che con suo padre.
Per anni, Draco aveva sentito Lucius definire Adonis Greengrass,
“Un
mollaccione troppo permissivo con idee insulse”.
Draco aveva scoperto cosa intendesse suo padre. Il pedigree del sangue
dei
Greengrass era indiscusso, purosangue intonso (per quanto, di quei
tempi,
questo valore fosse del tutto perso), Adonis aveva aderito al partito
Augurey
ed era stato abbastanza permissivo e progressista sulla questione,
almeno nelle
frequentazioni.
Certo in maniera più sottile, non come i Weasley, non
abbastanza da essere additati
come ‘Traditori del Proprio Sangue’ ed una volta
Draco, che era rimasto solo
con il padre della sua fidanzata, ne aveva parlato a proposito.
‘Oh, be, Draco, qualcosa che tuo padre ed i suoi
amici’ – e lo aveva
detto con un tono di sberleffo, in quelle parole – ‘Non
hanno mai capito è
che per essere migliori bisogna che esista qualcuno di
peggiore’ gli aveva
detto.
Almeno Ria, differentemente da suo padre, era onesta, in toto, nella
sua
dolcezza.
“L’altro
giorno ho visto tua sorella ‘Dromeda, per Diagon Alley, con
il nipotino, pensi
che se le chiedessi di uscire di questi tempi accetterebbe, o finirei
per
essere rifiutato ancora?” aveva chiesto sfacciato Adonis, ma
Draco non aveva
ascoltato la risposta, perché la piccola elfa, Milkey, aveva
allungato ancora
una volta il vassoio verso di lui.
Draco aveva preso un dolcetto, “Grazie” aveva detto
incerto, “Oggi non è il tuo
giorno libero?” aveva domandato lui.
Per legge: tutti gli elfi domestici dovevano avere una giornata libera,
a
settimana – o al mese, per i più reticenti
– che lo volessero o meno. “Si, ma
Milkey ha piacere nell’aiutare i padroni per il
pranzo” aveva rivelato,
“Specialmente per il signorino Malfoy” aveva
aggiunto piena di vita.
Draco che per anni aveva avuto un elfo domestico che non aveva nascosto
di
provare un profondo spregio per la loro famiglia, non poteva fare altro
che
chiedersi come Milkey provasse tanta reverenza nei suoi confronti.
Daphne
si
era affiancata a lui, “Theodor Nott si è
trasferito a New York, non so
esattamente perché” aveva cominciato lei.
Cambiare aria, immaginava Draco, suo padre era morto
ad Azkaban ed anche
se lui, differentemente da Draco, non si era unito a niente, sulle di
lui
spalle e quelle di sua madre, era caduto il fardello di aver avuto un
padre mangiamorte.
Mentre per Lucius e Draco la salvezza era venuta sotto le fattezze di
Harry
Potter, nessuno aveva salvato Theodor.
“Mi ha chiesto di uscire; dici che dovrei
accettare?” aveva chiesto lei,
sfacciata. “A scuola mi sembrava un bravo ragazzo, un
po’ taciturno” aveva
commentato.
“Theo … non è suo padre”
aveva ammesso Draco, “Non è uno che entra in
confidenza, però non è suo padre” aveva
raccontato.
Theodore era poco incline alle chiacchiere da dormitorio, ma era una
persona
che non aveva problemi ad essere amichevole quando voleva. Ed era
abbastanza
capace sia a scuola, sia sulla scopa. “Pregiudizi sui
nati-babbani?” aveva
indagato ancora Daphne.
“Oh, be, in sette anni di scuola lo ho sentito parlare male
solo della Granger
e sono quasi sicuro che non c’entrasse il suo essere
san-nata-babbana” aveva
risposto Draco.
Non poteva dirlo con la mano sull’ardemonio, ma se Theodore
aveva condivo gli
allora pensieri di Draco, non aveva sentito il bisogno di sbandierarli
al
mondo.
“Di rimando, dubito che a qualcuno piaccia sul serio la
Granger” aveva
commentato acida Daphne, prima di cinguettare: “Allora,
dirò di sì” .
Draco aveva dato per scontato che la conversazione fosse finita, ma
Daphne aveva
ripreso, “Lui e Blaise non erano amici, giusto?”
aveva indagato, “Non vorrei
gli avesse detto cose imbarazzanti come i nostri incontri
sessuali” aveva
ammesso poi un po’ più titubante.
“Blaise sembra un chiacchierone, ma sa quando deve tacere, di
rimando a
Theodore queste cose non sono mai interessate” aveva ammesso
candido Draco,
sentendo però un certo imbarazzo crescere su di lui.
“Ria, dov’è?” aveva domandato
subito.
Daphne aveva disteso le labbra rosa confetto, “Zia Laura
è tornata a vivere da
queste parti, sono da lei a rifinire dei dolci per il pranzo di
oggi” aveva
ammesso lei, “Oggi avrai l’onore di conoscere lei,
prossimamente pure nostro
cugino Apollo, la sua stucchevole moglie e suo figlio Jemmy”
aveva raccontato
Daphne, “Grazie al quale il cognome dei Greengrass non
morirà. Nonostante
Apollo sia figlio di padre ignoto” aveva
ammesso.
Probabilmente Theodore Nott avrebbe dato via l’infamia o
magari sarebbe stato
Draco a farlo.
“Possiamo cominciare a sederci a tavola” aveva
detto Adonis Greengrass
attirando l’attenzione di tutti, “Ria e Loulou
staranno per arrivare” aveva
riportato, guardando l’orologio da taschino che aveva appeso
al panciotto.
Non segnava le ore, ma luoghi fondamentali ed ogni freccia era un
membro della
famiglia; Ria glielo aveva detto.
E dopo Portobello Road, Ria aveva preteso che una freccia fosse anche
per
Draco, così che potesse essere raggiunto in ogni momento.
Era stato strano per Draco, pensare che sull’orologio di
famiglia dei
Greengrass ci fosse anche lui. Lo rendeva più ufficiale.
Ria
e sua
zia si erano smaterializzate direttamente nel salotto da pranzo, la sua
fidanzata era abbigliata come richiesto ad una maga rispettabile, con
una
lunga, fino alle caviglie, tunica, stretta alla vita da una cintura
nera.
“Ei!” aveva detto subito, correndo verso di lui per
schioccarli un bacio, tra
le mani piccole, aveva della carta da lettera. Sua zia Laura, che
sarebbe
potuta sembrare sua madre, tanto le somigliava, le andava dietro, con
una torta
gelatinosa verde che ballonzolava tra le sue mani.
“Daphne!” aveva detto subito, ammiccando a sua
sorella, “Ho una cosa che tu
vuoi” aveva detto subito.
“Ne dubito” aveva risposto schietta la maggiore.
“Neanche l’invito per il matrimonio del
secolo?” non aveva perso mordente Ria.
“Finalmente
hanno scelto il giorno, credevo non lo avrebbero più fatto.
L’Inverno mi piace
pure pià dell’estate” aveva ammesso
Seamus Finnigan, osservando la piccola
busta che aveva tra le mani. Era nel soggiorno della sua cucina, un
clima quasi
tropicale vigeva in casa, nonostante fosse novembre. Per questo aveva
rinunciato ad indossare la camicia, che inevitabilmente sarebbe finita
inzuppata a causa del sudore.
“Non so se dovrei andarci, sono, tecnicamente,
l’ex-fidanzato della sposa”
aveva valutato Dean, a capo del tavolo, sollevando lo sguardo dal suo
succo di
zucca, per guardare di nuovo il suo manuale.
Le lettere le avevano ricevute entrambi, perché non avevano
raccontato ancora a
nessuno ciò che c’era tra loro. “Puoi
venire come mio più uno” aveva scherzato
Seamus.
Luna era entrata in cucina, con indosso il pigiama intero ed i capelli
biondi
acconciati con una serie di variopinte matite. “In questa
cucina non fa troppo
caldo?” aveva domandato subito Seamus, “Non ancora
abbastanza” aveva chiarito
subito Luna, “La sto sistemando per la cova dei Tarmuraghi”
aveva chiarito
subito la bionda, “Sarà pronto tra due
giorni” aveva chiarito.
“Quanto durerà Luna?” aveva chiesto
Dean, che al posto di Seamus trovava sempre
accettabili i comportamenti della loro stravagante inquilina,
“Nove giorni”
aveva risposto allegra lei, prendendo posto al suo tavolo.
“Accettabile” aveva valutato Dean, meno per Seamus,
ma era certo che avrebbe
perso.
“Sono arrivati gli inviti di Ginny ed Harry” aveva
detto poi alla fine lui,
allungando la busta verso Luna, che probabilmente doveva aver saputo la
data
anche prima di loro.
“Oh” aveva detto quella, spalancando gli occhi
grigi. Forse no.
“Hai già un accompagnatore?” aveva
chiesto Seamus, “Vuoi farlo tu?” aveva
risposto di rimando Luna con un sorriso gentile, “Non
stuzzicarlo” aveva
ridacchiato Dean, scuotendo il capo.
“In realtà ho un accompagnatore” aveva
ammesso Luna, “Sono preoccupata per il mio
ruolo di damigella” aveva ammesso, con palpabile disagio,
“Non so cosa dovrei
fare” aveva commentato.
“Ma ti daremo una mano noi” aveva detto subito
Dean, “E Neville dovrà fare metà
del lavoro, comunque” aveva aggiunto Seamus.
Luna si era alzata in piedi immediatamente, “Adesso, gli
scrivo subito” aveva
detto Luna immediatamente.
“Si
sposano
ad Hogwarts, che cosa folkloristica” aveva detto Rolf,
osservando il foglietto
degli inviti che aveva ricevuto Neville.
Era la settima del Ringraziamento e ne aveva approfittato per andare a
trovare
il suo buon amico Neville. “Penso piacerebbe anche a me
sposarmi a Beuxbatons,
la trovo anche più bella della vostra scuola”
aveva raccontato.
Neville, che stava spremendo un bubbone della sua mimbla
mimblettonia
aveva sollevato lo sguardo, “Si, ci sono stato una volta, per
prendere un libro
dalla loro biblioteca” aveva ammesso, “Clima
sicuramente migliore” aveva detto.
“Anche giardini migliori, panorama migliore” aveva
difeso strenuamente Rolf.
“Sono certo che una Meleusina nella fontana abbia cercato di
soffocarmi” aveva
raccontato Neville, “Si, Saera ha questa abitudine”
aveva ammesso il giovane
Scamander, “Ma non avevamo un Troll nei sotterranei, un cane
a tre teste, un
basilisco nei muri ed altre pericolose creature” aveva
risposto secco.
“Come?” aveva domandato Neville, genuinamente
curioso.
“Hagrid ha cantato, come un uccellino in primavera, ed anche
Harry Potter”
aveva detto subito.
Neville aveva ridacchiato, si, aveva saputo dell’incontro
avvenuto qualche
settimana prima tra i due uomini ad Hogwarts.
“Ho trovato molto bello, comunque, il compendio sui
Thestral” aveva comunicato
poi Neville.
“Grazie, mi sono divertito moltissimo a scriverlo; questo mi
ha ricordato
quanto odi scrivere per la fottuta Gazzetta del
Profeta” aveva
raccontato Rolf, onesto.
Trovava frustratissimo il suo lavoro per il giornale.
“Comunque, vuoi venire con me al matrimonio? Se non sei
già stato invitato”
aveva espresso Neville.
“Allora” aveva cominciato lui, “Non
conosco Harry Potter così bene, e non sono
mio nonno, mica” aveva ripreso, “Anche se scommetto
che lui e zia Leta avranno
sicuramente un invito” aveva ripreso.
“Si, Ginny, mi ha scritto che la portata della festa
è andata un po’ fuori il
loro controllo” aveva ammesso Neville, “Quindi
vieni con me?” aveva domandato
Neville.
Rolf aveva riso, “Non abbiamo stabilito che tra noi non
funziona?” aveva
risposto retorico lui. Neville aveva trattenuto a malapena una risata. “Comunque, dicevo,
non ho ricevuto l’invito,
ma effettivamente sono stato già invitato a partecipare come
più uno” aveva
ammesso Rolf.
Neville aveva aggrottato le sopracciglia, “Da qualcuno che
sapeva che avrebbe
ricevuto l’invito, chiaramente” aveva detto.
“Quindi, io userei questa opportunità per invitare
la bella cameriera che ti
piace tanto, quella bionda con le gambe lunghe che lavora a Londra
… o la ninfa
della foresta di Deep Creek Lake” aveva proposto Rolf.
Anche se era certo di sapere chi delle due il suo amico preferisse;
infondo
aveva studiato a lungo il comportamento animale.
“Hannah sarà già invitata”
aveva detto Neville, carico di imbarazzo, con le
guance arrossate come pomodori maturi. Assolutamente ignorante del suo
aspetto.
“Sottigliezze” aveva risposto Rolf.
“Ma
quindi
non è la stessa, quella di prima, come si chiamava
… Betta?” aveva chiesto
Vernon.
“Britta” lo aveva corretto con
una smorfia Petunia.
Britta Dallon era stata il suo incubo.
Bassina, con il viso tondo, carino, all’apparenza adorabile,
che aveva fatto
sentire la stanca donna ancora più irritata. Confessava,
solo a se stessa, che
quelle ragazze così delicate, non facevano altro che
ricordarle quella sorella
di cui faceva finta di non provare la mancanza – o di negarne
l’esistenza.
Britta Dallon con i capelli biondo fragola le era parsa un memento dei
suoi
comportamenti.
Almeno fisicamente.
Poi … era una ragazza invadente, faceva sempre tante
domande, ignorava lo
spazio personale, non si puliva mai le suole delle scarpe, non toglieva
mai i
piatti dal lavandino.
E straparlava.
Di qualsiasi cosa.
Ed aveva un opinione su tutto. Sulla politica estera, sulle folkland,
sul
colonialismo, sui pappagallini che facevano scii d’acqua.
Ed era terribilmente irrispettosa, le aveva dato perfino del tu dalla
prima
volta che si erano conosciute.
‘Vero, Petunia?’ continuava a
ripetere quella frase, continuamente, come
se ci fosse un qualche legame tra lei: Petunia Durslay, rispettabile
donna
inglese e Britta Dallon, sciatta mezza-hippie con l’ombelico
da fuori.
Era stato puro giubileo quando il suo Didino-picciono e quella
Spudorata si erano
lasciati.
‘Britta si trasferisce in America, con la sua band’
aveva detto un giorno suo
figlio.
L’orrore che aveva provato Petunia all’idea di
vedere il suo adorabile bambino,
preso dietro una perdigiorno che strimpellava con una chitarra per
l’America.
No, mai non lo avrebbe mai permesso.
Fortunatamente Didino era un giovanotto diligente e non aveva seguito
quella
sfacciata in America.
“Troppo spudorata per me e pure perdigiorno” aveva
ammesso Vernon, dalla poltrona
da cui stava leggendo il giornale, aveva ammesso appena uno sbuffo.
Lei e suo marito erano stati d’accordo su tutto nella vita.
Petunia aveva steso la tovaglia fiorazzata sul tavolo tondo
dell’ingresso, “Didino
ha detto che è una ragazza molto posata” aveva
provato Petunia, se l’augurava.
Suo figlio non era molto sveglio in donne, aveva osato definire
più volte
Britta, adorabile, assicurandosi che lei, Petunia, l’avrebbe
anche trovata
così.
Mai nella vita.
“Ha anche detto che era un po’ esotica”
aveva riportato Vernon, con il
faccione rosso e l’incertezza su quell’aggettivo.
“Su via, Vernon” aveva detto lei, “Didino
ha detto che ha origini orientali, ma
che è nata e vissuta qui” aveva commentato,
“Sono sicura si potrà soprassedere”
aveva provato. “Basta che non ci riempia casa di riso-fritto
ed altre cose che …”
ma erano stati interrotti da un rumore.
La porta di Privet Drive numero quattro si era aperta con vigore,
“Eccoci,
siamo arrivati” aveva detto subito Dudley facendo capolineo
in soggiorno,
mentre si spogliava del cappotto.
Suo figlio si era fatto alto e spesso, grazie al pugilato.
Petunia si era subito lanciata tra le sue braccia, per schioccarli un
bacio
sulle guance, mentre toglieva il fetch dai suoi capelli.
Vernon si era alzato con fatica dalla sua poltrona per raggiungere il
figlio;
Dudley invece si era fatto da parte per presentare la sua fidanzata.
Era piccola e bassina, come era stata Britta. La donna aveva una faccia
tonda
ed il naso un po’ piatto, gli occhi a mandorla scuri ed i
capelli nerissimi
lisci. Indossava un maglioncino ed una gonna a ginocchio, entrambi in
sobri
colori di sabbia spento e grigio topo.
Accettabile.
“Tu devi essere Cho!” aveva provato Petunia ad
essere quanto mai entusiasta,
sperando di non aver sbagliato il nome. “Si” aveva
risposto stucchevole la
ragazza, “Lei deve essere la Signora Durslay, è un
piacere conoscerla” aveva
detto subito, “B-Dud parla sempre di lei” aveva
detto, quella, posata, prima di
allungare verso Petunia la bottiglia che aveva in mano. Grazie al
cielo, non l’aveva
abbracciata.
Cho
Chang –
che nome pittoresco – si era comportata proprio bene, aveva
aiutato Petunia ad
apparecchiare, aveva commentato con squisite parole la cucina, aveva
fatto
molti complimenti all’aredo della casa e sia era dimostrata
interessata ad
ascoltare Vernon parlare del suo lavoro.
Anche suo marito aveva presto messo da parte le sue riserve per
l’etnia della
ragazzina, quando aveva trovato in lei il suo giusto pubblico.
“Allora, che ne pensi?” aveva chiesto sussurrato
Dudley verso di lei, mentre le
versava dell’acqua. Sembrava cotto dall’imbarazzo,
con le guance rosse e le
mani sudaticce.
“Mi sembra una brava ragazza” aveva concesso
Petunia.
“E come vi siete conosciuti?” aveva chiesto subito
Vernon.
“In realtà è stato un po’
imbarazzante” era intervenuto Didino-piccino.
Cho aveva riso con compostezza, mettendo la mano davanti alla bocca.
“Oh, be, è
stato ad un concerto” aveva cominciato, voltandosi verso il
fidanzato.
“Si, di … Britta” aveva detto con
cocente imbarazzo il figlio.
“Ero con la mia amica Marietta, allora Piers –
avete presente Piers?” aveva
inquisito Cho.
“Si, cara, da quando ha sei anni” aveva risposto
Petunia, senza riuscire a
calmare la punta di veleno sulla lingua.
“Si, quindi, Piers cerca di approcciarsi a
Marietta” aveva ripreso lei.
Dudley aveva scosso il capo, “In realtà cercava di
approcciarsi a te” l’aveva
corretta. Cho aveva spalancato le labbra fine, “Okay, non me
l’aspettavo” aveva
confessato con assoluta ingenuità.
“Fatto sta che, conquista Marietta ed io resto con
Cho” aveva raccontato lui, “Ma
abbiamo solo parlato quella sera” aveva precisato.
“Piers e Marietta hanno cominciato ad uscire sempre,
così io ho cominciato ad
uscire con loro ed ho continuato anche quando quei due hanno
rotto” aveva
confessato Cho, con le gote un po’ rosse, guardando languida
Dudley che aveva
ricambiato il medesimo sguardo.
“Il mio ragazzo ti aveva conquistato è”
aveva detto Vernon con un sorriso
disteso sotto i baffi, “Assolutamente” aveva
confermato lei.
Prima che qualcuno potesse dire altro, però qualcosa si era
fiondato in cucina,
passando dalla finestra che Petunia aveva lasciato semi-aperta per
permettere
al calore del forno – usato per l’arrosto
– di dissiparti.
“Madre del cielo!” aveva strillato Vernon,
alzandosi in piedi e quasi facendo
rovesciare la tavola tonda, “È un dannato
gufo!” aveva gridato.
Ma tutto ciò a cui riusciva a pensare Petunia era che era
sicuramente un
messaggio da parte di quelli là.
Dudley era esangue in viso, mentre guardava il pennuto accomodarsi
bello comodo
sul tavolo della cucina tra la zuppa e l’arrosto.
Petunia aveva guardato Cho, “Giuro non ho idea di cosa
significhi, noi siamo
normali, non ci capitano mai queste cose” aveva strillato,
per assicurarsi che
la fidanzata di suo figlio non andasse a destra e manca a raccontare
cosa aveva
visto.
Ma la poverina era pure più granitica di loro, quasi sudava
freddo.
Forse aveva paura dei volatili?
“Porta un … messaggio” aveva provato
Dudley.
“Vedo” aveva sussurrato con un filo di voce Cho.
Vernon aveva preso la scopa della cucina per provare a colpire la
bestia, ma
era stato fermato da Petunia che già vedeva le sue
porcellane per terra.
Il pennuto si era rialzato, zampettando fino a Diddino, allungando
verso di lui
la zampetta.
Cho aveva sgranato lo sguardo verso Dudlay.
Cosa, chi sa, quella ragazza doveva star pensando del suo bambino.
“Una faccenda complicata” aveva borbottato Dudley,
colmo di imbarazzo fino ai
capelli, sciogliendo il messaggio dalla zampina, “Poteva
chiamare” aveva sentito
a malapena Petunia.
Didino parlava di Harry?
Didino parlava con Harry?
“Ehm,
cosa
dice?” aveva indagato Cho, cercando di spiare con gli
occhietti stretti il
messaggio, “Niente” aveva risposto Petunia,
cercando di strappare la pergamena
dalle mani del figlio, “Mio cugino si sposa” aveva
detto invece onesto Dudley.
“Aspetta tuo cugino è un …
mago?” aveva provato Cho.
“Più uno stravagante nullafacente” aveva
provato Vernon, non connettendo in
pieno la portata della domanda di Cho.
“Noi siamo gente rispettabile, non abbiamo persone come lui
nella nostra
famiglia” aveva chiarito Vernon.
Cho aveva sollevato un sopracciglio, mentre Dudlay si era colpito il
viso con
la grossa mano, “Come signor Durslay? Come chi?”
aveva chiesto Cho, leggermente
irritata.
“Oh … tu … non sarai
…?” aveva provato Petunia, colma di disagio.
“Si, mio cugino, è un mago” aveva invece
confessato Dudley, “E a me di tutto
questo non frega un cazzo” aveva chiarito, incrociando le
braccia sotto al
petto ampio.
Cho aveva strappato delle molliche di pane per darle al pennuto,
sorridendo
mesta.
“Oh, be, wow. Così non dovrò usare
snasi per trovare le perle” aveva
confessato lei.
“Cosa?” aveva provato a dire Vernon confuso.
Dudlaey aveva sorriso verso la sua fidanzata,
“C’è qualcosa che vuoi dirmi?”
aveva chiesto audace, “Sta sera” aveva risposto lei
calma, “Prima vorrei
mangiare un dolce” aveva provato.
“Ecco, perché ti amo” aveva risposto suo
figlio, allungandosi per darle un
bacio sulla punta del naso.
“’Tunia, ‘Tunia, che sta
succedendo?” aveva cercato di chiamarla Vernon.
Lei però aveva disteso nuovamente la pergamena che aveva
accartocciato, in un
elegante corsivo in inchiostro dorato scintillava una scritta.
Alla gentile attenzione del
Sig. Durslay Dudley
Harry
James Potter e Ginevra Molly Weasley
sono lieti di invitarvi alla cerimonia delle loro nozze,
in data 23.12.2002, presso la Chiesa di Westminister, il ricevimento,
nella
medesima data, avrà luogo nella Scuola di Stregoneria e
Magia di Hogwarts.
[1]
Fin da
prima dell’uscita di quello schifo de La
Maledizione dell’Erede, pensavo
che Hermione non sarebbe mai divenuta la Signora Weasley ed ho deciso
di
lasciare questa cosa.
[2]
Beauchamp pronunciato all’Inglese
‘Bicham’ (ovvero il cognome da nubile di
Claire Fraser di Outlander). Visto che la mamma di Hermione non ha nome
(mi
dispiace che nella serie non abbiamo visto ‘bravi
babbani’ ma sempre dipinti a
tinte grigissime) ho deciso di chiamarla Helen, in riferimento ad Elena
di
Troia, madre di Ermione di Sparta. Anche se immagino che il suo nome
sia
ispirato a quello de ‘Racconto di Inverno’.
[3]
Allora:
ho spudoratamente rubato il concetto di Soggiorno di Rappresentanza
dagli
Ambienti (spesso Triclini) di Rappresentanza Romani, ovvero i posti
della casa
riservati all’accoglienza degli Ospiti e Co. Ho pensato,
visto che ci si sposta
con i Camini potesse essere carino averne uno.