Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    02/09/2020    1 recensioni
Al piano di sopra Tyrion esordì preoccupato: "Ancora nulla?"
Jaime non riusciva a staccare gli occhi dalla porta e dal corridoio, dal vuoto che Brienne aveva lasciato, da uno strano vuoto da cui si sentiva irrimediabilmente attratto. Non riusciva a staccare gli occhi da quel punto nel vuoto. Si sentiva turbato. [...] "Qualcosa." rispose Jaime vago. Qualcosa lo ricordava, qualcosa provava, era qualcosa a livello viscerale, un istinto, una forza che lo spingeva a proteggerla da sé stesso. Poi però c'era lei, c'era Cercei. Cercei occupava i suoi sogni, i suoi desideri, il suo cuore. Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarla, qualunque cosa lei gli avesse chiesto.
"Ti ama." spiegò Tyrion "Più di quello che meriteresti." aggiunse.
Era di Brienne che stava parlando e Jaime si concentrò per ricordarlo. "Lo so." rispose colto in fallo.

AU moderna in cui Jaime ha un incidente e perde la memoria, dimenticandosi di Brienne. E' banale, ma la sua semplicità mi pareva ideale per questo periodo.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister, Tyrion Lannister
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4
 
 
Quando non ricordi più niente i giorni corrono veloci. La mattina arriva troppo presto, la sera segue in un battibaleno. È come avere la mente vuota, pronta a ricevere così tante informazioni, buttate confuse dentro un calderone, che pare tutto possa succedere insieme. Tutta quella confusione gli provocava l’emicrania. Per fortuna, il dolore era una delle possibilità attese per i dottori, tanto da trovare medicine per combatterla tra le loro prescrizioni. Questo rassicurava Jaime del fatto che la sua mente stesse guarendo com’era previsto da manuale e che quindi prima o poi si sarebbe riappropriato dei suoi ricordi.
Una notte la sognò. Sognò Cercei di nuovo. Ritrovarla fu come prendere una boccata d’aria, gli diede un senso di libertà e di leggerezza, facendolo fuggire dal quella opprimente sensazione di ignoranza. Era diverso però, c’era qualcosa che non andava, come se un po’ di quella tristezza quotidiana se la stesse trascinando nel suo mondo onirico.
“Sei lontana.” Le disse Jaime cupo, amareggiato.
Cercei inclinò il capo di lato, delusa, da qualcosa che lui aveva fatto o non aveva fatto. I lunghi capelli le ricaddero davanti al volto corrucciato. Fece per spostarli con le dita, dandogli modo di vedere la sua espressione, che gli animò qualcosa dentro. Si portò poi una mano sul ventre e si guardò indietro. Poi scomparve.
Quella mattina Jaime ebbe uno dei peggiori attacchi di emicrania che riusciva a ricordare. Aveva preso quelle pillole, forse troppe tutte insieme. Aveva vomitato e non aveva mangiato. Non si era sciacquato neanche la bocca. Si era chiuso in stanza ed aveva oscurato le finestre. Non voleva vederlo tutto quel bianco. Non c’era niente di bello, candido o affascinante quel giorno.
Più tardi Brienne l’aveva raggiunto in stanza. Jaime occupava ancora quella matrimoniale. C’erano diverse confezioni di pillole sul comodino, una bottiglia d’acqua e sul pavimento, disseminato qua e là, album di fotografie vecchie. C’era buio, com’era ovvio, intervallato solo da piccoli cerchi di luce che filtravano tra le doghe della tapparella.
L’aveva trovato semi seduto sul letto con una mano sulla fronte e la schiena poggiata sul cuscino. Brienne aveva parlato più e più volte coi dottori. Quegli attacchi di emicrania erano segno che la sua mente provava ad accedere ai suoi ricordi. Le avevano suggerito di parlargli in quelle situazioni, di raccontargli fatti passati. A lui sarebbero parsi come dei déjà-vu, ma presto sarebbero tornati. Anche Jaime lo sapeva e forse per questa ragione si era messo a sfogliare le fotografie.
Brienne si era messa a sedere dall’altro lato del materasso, una mano all’indietro, inclinata per potergli stare vicino, un po’ per egoismo, un po’ per dargli sostegno. Sapeva cosa c’era in quegli album di foto. In passato, certe volte, l’aveva trovato a guardarle così tanto che poi aveva deciso di prenderne una e nasconderla nel portafogli. Brienne non aveva ancora avuto il coraggio di renderglielo, ma sapeva che era tempo. Ormai aveva capito.
“Vuoi una mano?” gli chiese in sussurro: gli antidolorifici avevano appena cominciato a fargli effetto e non voleva che la sua voce gli rimbombasse nel cranio.
“Una testa.” Le rispose lui. Aprì gli occhi per controllare nel buio e quando la vide sorridere, accennò anche lui ad un sorriso.
Jaime non si faceva la barba da diversi giorni. I suoi denti bianchi spuntavano appena sul suo viso biondo e grigio. Brienne ce l’aveva davanti eppure non riusciva a smettere di pensare a quando rideva per davvero insieme a lei. “Vuoi che ti racconti qualcosa?” chiese poi.
Jaime si rabbuiò immediatamente. Prese un respiro profondo, cercando il coraggio di parlare, forse prendendo il discorso troppo alla lontana. “Tu sai tutto di me, non è vero?” aspettò che lei facesse un segno di sì col capo e poi andò avanti “Sono…” fece per chiedere, ma gli mancava il coraggio. Se chiudeva gli occhi, lo sentiva: quel senso di inadeguatezza, di incompletezza, un senso di colpa fisso e costante. Accennò agli album di fotografie. Erano pieni zeppi delle stesse foto, tutte uguali. Geoffrey, Myrcella e Tommen recitava l’intestazione che era scritta in quella che riconosceva come sua grafia. Le foto seguivano la crescita di quei bambini. Il più grande pareva avere almeno quindici anni. Una fitta gli attraversò di nuovo il cuore. Aveva sempre saputo che avrebbe potuto fare qualcosa di più, ribellarsi, urlare e strepitare, ma se l’era sempre fatto andare bene.
Cercei. Era lei, gli aveva chiesto di non dire niente. La prima volta, quando era incinta di Geoffrey, si era fatta prendere dal panico. Jaime l’aveva rassicurata, le aveva detto che avrebbe aspettato e che presto sarebbero potuti stare insieme per davvero. Poi lei lo aveva spiazzato. Gli aveva detto che avrebbe dovuto andare a letto con l’altro, suo marito, per far finta che fosse suo. Avrebbe dovuto lasciare che lui se la scopasse. Quella montagna bruna di barba, schifosamente ricco, schifosamente potente. Jaime non era nessuno a confronto. Al pensiero strinse di nuovo i pugni come aveva fatto con lei quella volta.
Era stata la seconda volta che Cercei gli aveva spezzato il cuore. La prima fu quando invece lei aveva sposato quella montagna bruna ed incivile. Jaime era in missione, ma sarebbe tornato, sarebbe tornato da lei, gliel’aveva promesso e glielo diceva in ogni lettera che le scriveva. Ed invece al suo ritorno l’aveva trovata sposata. Si era detto che prima o poi sarebbe finita, non sarebbe durata. Poi era rimasta incinta ed il bambino era suo. Quando arrivarono Myrcella e Tommen, Jaime ormai ci aveva fatto l’abitudine. Non osava neanche avvicinarsi a lei durante tutta la gravidanza. Aveva paura di pensare a quelli come figli suoi. Aveva paura di sentirli muoversi nella pancia, di guardarli negli occhi, di studiare le sue foto da bambino ed i loro visi.
Era sorprendente come era riuscito a ricordare così tante cose, così tanti anni guardando semplici fotografie. Si era concentrato su quello che gli muovevano dentro e c’era arrivato.
Ogni volta gli faceva male ricordare che non aveva fatto niente, aveva accettato passivamente. Piuttosto che urlare, dirle che erano anche i suoi figli, che era suo diritto, che suo marito non ne era mai stato capace e che i bambini dovevano sapere chi era il loro padre. Avrebbe potuto dirlo, avrebbe dovuto, ma non l’aveva mai fatto. Per amor suo. Prima o poi sarebbero stati insieme, prima o poi loro l’avrebbero saputo. Ci credeva e non aveva sentito quel senso di colpa fino a quando… Alzò gli occhi e c’era Brienne davanti, col volto speranzoso e ferito insieme.
Si era ricordato di Cercei, dei suoi figli, ma non ancora di lei. Certo, era naturale, era ovvio che sarebbe andata così. Eppure, non poteva fare a meno di provare una fitta di dolore. Era come se quella vicenda le rivelasse l’inconscio di Jaime, le sue priorità, tutto. In fondo in fondo, sapeva di non essere mai stata così importante per lui.
Brienne prese il suo portafogli dalle tasche e glielo rese. Lo custodiva tra le mani come se fosse un oggetto importante. Jaime fu colpito da così tanta premura.
“E’ mio?” chiese stupidamente lui.
“H-hm.” Mugugnò Brienne. Le sarebbe mancato, un altro degli oggetti del vecchio Jaime. Profumava di lui e dei suoi vestiti, di pino, di vento.
Jaime lo aprì. La foto era là. Riconosceva la luce, i colori. Non solo perché aveva visto tante altre immagini simili sparse sul pavimento in quegli album, scattate forse tutte con la stessa macchina. La guardava spesso, se lo ricordava. I tre ragazzini erano là e lo guardavano anche. Si ricordava anche il giorno in cui l’aveva scattata. Ricordava Brienne che gli diceva che Myrcella aveva il suo stesso colore e taglio degli occhi. Myrcella era dolce, sensibile, premurosa, affettuosa. Lo riconosceva persino nel suo carattere, sopravvalutandolo come sempre.
Chiuse poi il portafogli di colpo per non doverla più guardare. Il dolore era troppo grande per riuscirlo a sopportare. Sbuffò e si guardò attorno. Se Jaime aveva bisogno di farsi la barba, Brienne aveva bisogno di tagliarsi i capelli. Continuava a pettinarseli all’indietro per nascondere la coda che le si allungava solo sul collo, in una brutta imitazione di quelle acconciature punk anni Ottanta. “Sì, raccontami qualcosa.”
“Che cosa?”
“Non lo so,” rispose solo, evitando di puntualizzare che se l’avesse saputo non gliel’avrebbe chiesto di certo “ci conosciamo da così tanto e non trovi qualcosa da raccontarmi?” chiese invece, sperando che in uno qualunque dei suoi racconti riuscisse a trovare una traccia di sé stesso.
“Uhm…” fece per pensare lei, guardando altrove, cercando tra i suoi ricordi più belli quello da potergli raccontare. Non riusciva ad isolarne uno. Non avevano mai fatto viaggi, cene romantiche o plateali dichiarazioni d’amore da poter raccontare. La loro felicità era nella quotidianità, stava nel tenersi la mano per strada, nel fare le compere e cucinare insieme, nello svegliarsi l’uno accanto all’altra, essere instancabili o nel guardare un film. Se avesse dovuto raccontare qualunque di quelle cose, sarebbero parse noiose.
“Come ci siamo conosciuti?” le diede lui l’input, pensando che magari partire dall’inizio l’avrebbe riportato indietro al punto da riuscire a capire più cose del presente.
Brienne rispose freddamente come se fosse un elenco di cose accadute, lette magari da un libro di storia. “Nell’esercito, tu col tuo reggimento, io col mio…”
“No, no. Questo lo so.” La fermò Jaime “Quando è iniziata?” chiese, accennando ad un minimo gesto col dito tra loro “Siamo mai stati amici?” continuò ad insistere, sperando con poche risposte di poter ricostruire i pezzi.
Brienne cominciò a pensarci su. La tentazione di dire sì era forte, anche se in effetti così non era mai stato. C’era stima, passavano del tempo insieme e sì, forse basta questo per definirti amico di una persona, eppure c’era qualcosa di più. Si ruotavano attorno come corpi celesti, attratti dalla reciproca gravità, spinti via da quella energia cinetica che distingueva entrambi. C’era sempre stato qualcosa di più. C’era stima, fiducia ed una strana energia che era nell’aria.
 
***
 
La notte dopo quel loro primo bacio davanti al televisore acceso, dopo che Jaime si era presentato alla sua porta dopo aver litigato, si addormentarono entrambi su quel divano. Il tessuto era scucito in più punti, la spugna esposta ed odorava di polvere. Briciole delle cene precedenti erano accumulate tra le pieghe, pizzicavano la pelle e se le sarebbero dovute togliere di dosso al mattino.
In realtà Brienne era rimasta sveglia quasi tutta la notte e non fu per via del divano vecchio. Stava pensando a quello che era successo ed a cosa comportasse. Era strano averlo lì, così vicino. Era normale eppure insieme, come se non fosse la prima volta, come se succedesse tutte le sere. Jaime aveva il viso finalmente rilassato, non una smorfia a turbarlo. Il viso pulito dalla barba, i capelli tagliati di recente. Aveva la pelle ancora dorata, baciato dal sole, nonostante l’autunno fosse ormai inoltrato. Se ne stava steso sul fianco, la schiena schiacciata contro i cuscini, le braccia aperte perché lei dormisse col capo sul suo petto. Le mani grandi erano nascoste una sotto al fianco e l’altra dietro la sua schiena ad abbracciarla. L’odore che emanava era inebriante. Non usava profumi, dopobarba o oli particolari, era l’odore della sua pelle calda che la colpiva tanto.
Quando si erano ormai fatte le quattro del mattino, Brienne decise di alzarsi. Lesse l’orario sul piccolo schermo del video registratore e si arrese ad una notte insonne. Allontanò le mani, senza girarsi cercò di toccare terra prima con un piede e poi con l’altro, fino a mettersi seduta. La mano di Jaime ricadde sul divano accanto a lui. Si strinse e si risistemò, finendo con la guancia schiacciata al divano, abbracciato ad un cuscino.
Brienne guardò l’alba quel giorno. Abitava ancora nella sua vecchia casa di città ad Approdo del Re. Comprava macina di caffè di seconda scelta e lo preparava in una macchinetta che ormai sapeva di bruciato, però tutte quelle cose avevano un sapore confortevole. Mentre rifletteva sul suo prossimo passo, Jaime la raggiunse. Doveva aver fatto rumore o forse erano stato proprio l’odore di caffè bruciato ad averlo svegliato.
“Già in piedi?” chiese lei in un tentativo di mantenere le cose identiche a sempre.
“E tu?” rispose lui piano, con la bocca ancora impastata di saliva appiccicosa e densa “Non hai dormito?” si grattava il capo in modo adorabile, scompigliandosi i capelli con fare assonnato. L’alba lo rendeva ancora più affascinante e Brienne detestava pensare quelle cose quando avrebbe dovuto soltanto prenderne le distanze per non soffrire ancora una volta.
La donna scosse il capo e tornò a guardare fuori. I tenui raggi del sole facevano ancora difficoltà a superare l’altezza delle palazzine. Il nero delle strade diventava grigio e piano piano celestino. La luce entrava attraverso la finestra illuminando la polvere che danzava in aria indisturbata.
“Ehi.” La chiamò lui, accarezzandole il braccio col dorso delle dita, sperando di poter replicare con quel gesto la morbidezza e la dolcezza dell’alba. La carezza divenne poi pian piano un abbraccio, fino a quando non fu con il petto contro la schiena di lei e con il mento sulla sua spalla ad annusare quel brutto aroma di caffè. Brienne gli allungò la tazza e Jaime ne prese un sorso, sforzandosi poi di non sputarlo abbozzando una smorfia.
Erano strani tutti quei gesti, proprio come quel bacio, proprio come la sua presenza lì. Erano nuovi, eppure così semplici, come se Brienne li avesse sempre conosciuti. Le sue labbra erano là, arricciate sulla sua spalla, a mezza spanna dalle sue. Respiravano la stessa aria. Chiuse gli occhi e si avvicinò ancora di più, finché fu lui a baciarla di nuovo.
Durante la notte la barba gli era appena cresciuta, diventando da solo un’ombra sulle guance una irregolarità palpabile. Le pizzicava le guance e la bocca ed era perfetto così. Aveva il sapore di quel caffè e del sonno. Si muoveva piano, ma in maniera sempre più audace, avida ed eccitante. C’era il silenzio attorno a loro, l’unico rumore nella casa silenziosa erano le bocche umide che si muovevano. Pareva irreale, sospeso tra un sogno e la realtà.
“Jaime?” lo interruppe lei, senza mai allontanarsi o aprire gli occhi, in una supplica quasi. Odiò come le uscì il suo nome dalle labbra.
“Shh.” La pregò lui.
“Per favore?” insistette lei di nuovo, ma nonostante tutto continuò a baciarlo. Erano le prime volte, sembrava non essere in grado di smettere. Lo guardava mentre con gli occhi chiusi la baciava anche lui, come da una prospettiva diversa. Poi lui si staccò da lei, aprì gli occhi verdi e la fissò intensamente nei suoi. “Non riesco a guardarti così.” Gli confidò Brienne spontaneamente, sorridendo imbarazzata.
Anche Jaime sorrise allo stesso modo, divertito poi dalle reazioni di entrambi. Le cinse la vita con le mani e si nascose con la fronte poggiata contro la nuca di lei. “Ora non devi guardarmi.”
Era stata una trovata poco seria, infantile, evitante, ma spiritosa. Sorrise e sperò che lui l’avesse sentito. C’era così tanto da dire, ma Brienne rimase in silenzio, non sapendo assolutamente da dove cominciare. Guardò le sue mani incrociate, una appesa all’altra e con un palmo contro la sua pancia in un’intima carezza. Avrebbe voluto non esserne così distratta.  Pareva emanare scintille ovunque la toccasse, in quel silenzioso appartamento alle prime luci del mattino.
“Vuoi chiedermi se faccio sul serio?” le domandò poi composto, così imperturbabile da parere arrogante o aggressivo, da fargli sentire che riuscisse a pilotare la conversazione in una insolita situazione di potere, una maschera come tante altre. “Perché sono qui, perché ti bacio e…”
Brienne si girò, sciolse l’abbraccio e lo guardò. Sembrava imbarazzato anche lui, improvvisamente scoperto e senza una parte da recitare. Stava quasi per indietreggiare e lo afferrò. “Voglio chiederti perché ora.”
“Ora?” ripeté lui incredulo e stupito. Sembrava superficiale per lui dover spiegare. Non sapeva come dirle che da quando l’aveva conosciuta qualcosa era sempre andato storto, tutte le sue convinzioni erano state messe in dubbio e quello in cui credeva all’improvviso non era più così importante. Si era raccontato tante balle per restare con Cercei, si era messo in discussione così tante volte da sentirsi diverso, ma con Brienne era di nuovo quello di prima, quello di sempre, protagonista della sua storia, coi suoi ideali ed i suoi obiettivi. All’inizio pensava spesso a lei, poi l’idea di baciarla era diventata semplice e costante, fino a diventare ossessionante. Parlava con lei, si fingeva suo amico ed intanto immaginava di fare l’amore. Non tollerava più le assurde richieste di Cercei, la sua presenza era diventata opprimente, le sue mani lo manovravano come le grinfie di un burattinaio. Non c’era mai stato un perché ora e non prima. Era stato piuttosto un crescendo di emozioni che si accumulavano goccia dopo goccia fino a traboccare. Prima o poi sarebbero uscite fuori ed era quello che era successo. Ed era dolce, perfetto, liberatorio.
Guardare Jaime indifeso davanti a lei sembrava sbagliato. Forse era la sua vulnerabilità a darle la forza necessaria. “Ho sempre provato qualcosa per te.” Gli disse in un impeto di coraggio.
“Anch’io.” Si affrettò a dire lui. Sembravano due imbranati. Si sorrisero a vicenda ed abbassarono lo sguardo.
“Ora che si fa?” chiese spiandolo timidamente da sotto le palpebre.
Jaime scrollò le spalle, le prese la mano, le sorrise e si avvicinò per baciarla di nuovo.
 
***
 
Tyrion arrivò qualche giorno dopo. L’emicrania aveva abbandonato Jaime e finalmente qualche nodo cominciava a venirgli al pettine, qualche pezzo ad incastrarsi ed un po’ alla volta il passato pareva avere senso. Quello che non quadrava, quello che sentiva di aver perso più che i suoi ricordi, era però il presente. Non solo aveva passato mesi in ospedale, in coma o sotto i ferri. Non solo aveva perso giorni di fisioterapia ed emicrania in una casa che non riconosceva neanche più come sua, ma era ancora fermo là a guardarsi la vita scorrere accanto ad aspettare insieme a Brienne di tornare ad essere quella persona che ormai non conosceva più.
“Sei migliorato.” Gli fece Tyrion raggiungendolo in cucina, al tavolo ed arrampicandosi sopra alla sedia. Era tutto imbacuccato di abiti pesanti: la maglia di lana, i corti pantaloni a coste, stivali alti ed un giubbino gonfio e pesante che non si toglieva neanche in casa. Aveva lasciato solo le mani scoperte, lanciando i guanti sul tavolo davanti a sé che Jaime si fissò a guardare.
Jaime sorrise sardonico. Si alzò e recuperò una bottiglia di vino, mal conservata nel frigorifero. Sbuffò e con due bicchieri lo raggiunse di nuovo. “In che modo?” Chiese, pensando che suo fratello si riferisse alla sua testa, come faceva sempre Brienne. Non che a lei interessasse solo quello, anzi lo incoraggiava quotidianamente a fare tutti i suoi esercizi, lo spronava ad essere indipendente ed a prendere le sue medicine.
“Cammini di nuovo più veloce di me, tanto per cominciare.” Scherzò Tyrion, senza ricevere però risposte ugualmente entusiaste dal fratello, che al contrario ricambiò con uno sguardo malinconico. “Allora, come va con la…” chiese portandosi due dita della mano destra alla tempia, finalmente rivelandogli il motivo di quella visita. Controllarlo, controllarlo ed ancora controllarlo, come faceva costantemente anche Brienne e praticamente chiunque altro incontrasse.
Jaime era stanco della gente che voleva controllarlo, che sperava che si risvegliasse una mattina con tutti i suoi ricordi, che tornasse ad essere quella persona che tanto mancava a tutti, che tanto riconoscevano in lui. Sbuffò. Non ne poteva più. “Mi sento in trappola.” Disse alla fine.
“Ironico.” Commentò subito Tyrion.
“Perché?” rispose Jaime con fare polemico.
“Mi hai detto le stesse parole quando hai deciso di trasferirti qui con la tua dolcissima metà.” Ironizzò l’altro.
Jaime sospirò. Forse era davvero ancora la stessa persona che gli altri conoscevano. Chiuse gli occhi e si rese conto quanto questi gli bruciavano dietro alle palpebre. Il ricordo dei tre ragazzi lo tormentava e lo faceva uscire fuori di testa. Come i suoi occhi, anche le sue tasche bruciavano. E poi c’era lei, ancora ed ancora. Cercei, quel ricordo costante, quel sogno che ormai faceva ogni notte. Doveva trovarla. Non gli importava più niente di chi gli stava attorno e quello che dicevano. Tyrion e Brienne avrebbero dovuto accettare la sua decisione. Sarebbe stato triste, avrebbero sofferto, ma la vita è imprevedibile e Jaime abbracciava quella imprevedibilità. Si tenne la testa con le mani, poi si arrese ad un altro mal di testa che era in agguato. Raccolse poi il portafogli dalle sue tasche, lo aprì e mostrò a Tyrion quella fotografia. Dalla sua espressione capì che anche suo fratello doveva averla riconosciuta a primo colpo. Un flashback improvviso ricordò a Jaime della prima volta in cui aveva gliel’aveva mostrata. Era impossibile non notare la somiglianza sfacciata tra lui ed i suoi ragazzi.
“Credono che tu sia loro zio.” Gli spiegò Tyrion, poi ci pensò “Zio acquisito.”
Sebbene già lo sapesse faceva male sentirlo. “Lo so.” Si avvicinò di nuovo la foto e guardò più da vicino. Myrcella era quella che gli somigliava di più, con lei aveva sempre avuto un rapporto più stretto. Era con lei che doveva parlare. Lei e Cercei l’avrebbero capito ed aiutato con i due ragazzi. “Tu capisci che devo tornare da lei.” Disse come fosse un’affermazione più che una domanda. “Da Cercei.” Sottolineò poi. L’idea di averla vicino, di stringere la madre dei suoi figli, di poterla finalmente toccare, abbracciare, baciare lo faceva sentire subito euforico. Avrebbe fatto di tutto pur di riuscirci. Sarebbe andato in capo al mondo. Le avrebbe chiesto scusa, le avrebbe detto di amarla e lei avrebbe capito. Avrebbe lasciato suo marito e sarebbero vissuti tutti insieme, tutti e cinque come una vera famiglia.
C’era qualcosa che rabbuiò il volto di Tyrion. Non era più sorpreso come i primi giorni, ma neanche così felice di aiutarlo. “Io non so neanche dove vive.” Disse con una pallida scusa per allontanarlo dai suoi intenti.
“Ma hai un numero di telefono.”
Tyrion si agitò. Avrebbe voluto dirgli di no e basta. Se lo ricordava Jaime durante quei lunghi in anni. Viveva nell’ombra, amava di notte e si nascondeva sotto la luce del sole di giorno. Era diventato un’ombra. Quando divenne ormai ovvio difendeva quella donna con le unghie e con i denti. Difendeva lei e per certi versi denigrava sé stesso. Parlava spesso dei suoi non-figli, sosteneva di poter uccidere per lei o per loro, voleva che lui li conoscesse. Eppure, non era mai stato felice, solo più triste giorno dopo giorno, gravidanza dopo gravidanza. Poteva toccare l’amore, la famiglia, ma mai averla. Assaporava il sapore della felicità per lasciarla andar via ogni volta e tornare a casa da solo, dove tutto quello che gli rimaneva erano un mucchio di foto a cui cantare la ninnananna. Da quando stava con Brienne invece, l’aveva visto finalmente felice. Rideva e sorrideva, ma con tutto il volto. Era tornato ad essere il ragazzino con cui era cresciuto insieme. Non era per sé stesso però che gli dispiaceva, ma per lui. L’avrebbero atteso ancora una volta anni di patimenti ed umiliazioni dietro alla gonna di Cercei. Tyrion sospirò: se non per lei, per quella donna, doveva farlo quanto meno per i tre ragazzi. Cercò sul cellulare, prese un pezzo di carta, trascrisse un numero di telefono e poi se ne andò.
Fuori dalla porta c’era Brienne, seduta a terra con le spalle al muro contro le assi di legno verniciate di bianco sbriciolata, un’espressione indecifrabile e la bocca salata di lacrime. Non lo guardava neanche in faccia, come se fosse colpevole per le richieste mossegli dal fratello. “Non sono tuo nemico, Brienne.” Le disse, cerando un appiglio. Non è colpa mia, avrebbe voluto aggiungere.
“Neanche mio amico però.” Rispose amaramente lei, che non sapeva che altro commentare. Non c’era rabbia sul suo volto.
“Sono suo fratello.” Protestò Tyrion. Se avesse avuto voce in capitolo, se avesse dovuto scegliere quale tra le due donne gli piacesse di più per Jaime, avrebbe risposto Brienne ad occhi chiusi.
“Ok.” Rispose solo lei e questo gli parve strano. Non strepitava, non urlava come aveva fatto coi dottori in quei giorni in ospedale. S’era arresa e soffriva. S’era arresa fin troppo facilmente per una che aveva aspettato che Jaime si accorgesse di lei sin dai primi giorni in cui s’erano conosciuti. L’aveva notato Tyrion come lei lo guardava, lo amava sin dall’inizio. E allora perché arrendersi così? Perché Jaime lottava per Cercei e Brienne non lottava per lui? Un dubbio cominciava a farsi strada nella sua testa. Che fosse colpa sua? Che in realtà lo sapesse? Che si incolpasse dell’incidente di Jaime? La guardò per la prima volta dall’alto verso il basso e per la prima volta le sembrò piccola. L’idea di chiederlo se ne andò così come venne. Doveva essere proprio un insensibile anche solo per pensare ad una cosa del genere. Girò i tacchi e se ne andò.
Poco più tardi Brienne fece uno sforzo per pulirsi la faccia. Si portò le mani fredde sugli occhi per nascondere il gonfiore delle lacrime e tornò in casa. Trovò Jaime che si rigirava quel foglietto tra le mani davanti ad un bicchiere di vino ancora pieno. Pareva non averla notata, quando invece disse ad alta voce. “Devo chiederti un favore.” Fece con voce ferma, non togliendo gli occhi da quella foto e dall’appunto di Tyrion “Devo parlare con lei.”
Sembrava un tuffo nel passato, un dolorosissimo déjà-vu. “E me lo dici perché…” non era una domanda, piuttosto l’offerta di darle una risposta
“Sento che con te devo essere onesto.” Disse solo. Sapeva che questa era una sua caratteristica, sapeva che lei lo spingeva sempre ad essere la versione migliore di sé, che forse era sempre stato questo ad averlo attratto di lei. Eppure, c’era dell’altro. “E se non recuperassi mai tutto?” chiese. Non trovò sorpresa sul volto di Brienne, come se lei ci avesse già pensato, se non ne fosse addirittura convinta. “E se ricordassi tutto e non fossi comunque più la stessa persona?” Sapeva che prima o poi le sue memorie sarebbero tornate. Sapeva che prima o poi avrebbe ricordato tutto e che sarebbe tornato quel Jaime che Brienne aspettava, ma nel frattempo lui era là. Respirava, parlava, viveva nuove o vecchie esperienze, sviluppava ricordi e provava emozioni. Avrebbe dovuto ignorare quelle emozioni?
Brienne si guardò attorno. Distolse lo sguardo per non dovergli mostrare di nuovo le lacrime. Cercò il telefono, lo staccò dalla corrente e glielo porse. Jaime la guardava. Doveva prenderlo? Doveva chiamarla?
Brienne premette un pulsante, il rumore dei tasti riempì l’ambiente. Finalmente l’inverno pareva come doveva essere: vuoto, freddo e fin troppo silenzioso. Se avesse emesso anche solo un singhiozzo, questo le sarebbe ritornato con l’eco. Abbandonò lì la cornetta, sul tavolo accanto al vino, e se ne andò seguita dal suo sguardo sorpreso.



 


Angolo dell'autrice
Eccola che a volte ritornano parte 2. 
Beh, sto mettendo su un po' di angst, devo ammetterlo. Onestamente a me sta piacendo molto scrivere questa storia, mi auguro che a voi stia invece facendo piacere leggerla. 
Dunque non saprei che altro scrivere o commentare. Ringrazio solo chi è arrivato fin qui. Se c'è qualcosa che non va spero sempre che qualcuno mi dia una voce e... buona giornata :) un bacio 
  
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