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Autore: AdelaideMiacara    11/09/2020    0 recensioni
«Prova a sforzarti, Benjamin» disse la donna seduta sulla poltrona, poco protesa in avanti, attenta a scrutare da dietro le sue lenti l'uomo per cogliere anche la minima espressione facciale, «che cosa è successo la notte del 13 luglio?».
Sulla poltrona davanti a lei sedeva un uomo poco più che trentenne, nel pieno della sua bellezza, lo sguardo vacuo verso la finestra alla sua destra. Apparentemente rilassato e a proprio agio, il piede destro sul ginocchio sinistro come se fosse seduto nel salotto di casa propria, l'unica cosa che lo tradiva erano le mani: la sinistra stringeva con forza il bracciolo della poltrona, mentre con il pollice destro si accarezzava il labbro inferiore, in un vano tentativo di sostituire un gesto alle parole. Ma Ben non era mai stato abituato a parlare apertamente delle proprie emozioni, nonostante fosse un tipo abbastanza estroverso. A cosa serve essere espansivi, si chiedeva, se quando hai bisogno di mostrare la tua anima non ne hai il coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"La mente è un paracadute: funziona quando è aperta".

 

Ben non credeva che si potessero provare così tante emozioni in un solo istante. La paura crescente davanti al pensiero di non avere notizie da Deva da giorni, mista al senso di colpa per non essersene preoccupato e ritrovarsi davanti suo fratello terrorizzato. Per non parlare della piacevole scoperta del carattere di Amelia...

«Chi parla?» rispose al numero sconosciuto che da diversi giorni continuava a chiamarlo, ma lui continuava ad ignorare. Mille pensieri oscuri si insinuarono nella sua mente: e se avesse risposto prima? E se adesso fosse troppo tardi?

«La tua tipa è una tosta...» commentò la voce gelida di un uomo.

«Puoi dirlo forte» ribatté Ben fiero e sempre più impaurito, «dov'è? Cosa sta succedendo?».

«...tranne quando non è cosciente».

Ben si sentì crollare il pavimento sotto i piedi, tanto che dovette sedersi. Cercava con tutte le forze di non farsi vedere così sconvolto da Luke, che continuava a fissarlo in attesa di una buona notizia sulla sorella.

«Non è lei che voglio. Se farai tutto quello che ti dico ne uscirà indenne».

La hall si andava svuotando piano di tutte le persone che prima vi avevano cercato riparo, mentre i due uomini e Amelia stavano seduti in disparte attenti a non farsi ascoltare da nessuno.

«Prenderai il treno delle 20 di stasera diretto a Manchester. Quando arriverai a destinazione, riceverai altre informazioni. Non farai fatica a trovarci. E ricorda bene: fai un solo passo falso e la tua amica è morta».

Quell'ultima frase risuonò nella testa di Ben prolungata all'infinito, come al rallentatore. Era un uomo razionale, cercava sempre di trovare spiegazioni logiche dietro le più strane situazioni, ma in quel momento era fuori di sé: non riusciva a ragionare, non capiva cosa e perché stesse succedendo. Fu riportato alla realtà dalla voce roca e nervosa di Luke Thompson che gli chiedeva spiegazioni.

Raccontò ai due la breve conversazione con lo sconosciuto, quando all'improvviso ebbe un'illuminazione.

«Amelia, tu puoi aiutarci!» esclamò saltando in piedi dalla poltrona e inginocchiandosi vicino la ragazza dai corti capelli biondi, «questo è un sequestro, e tu ti occupi di diritti umani, quindi forse...».

«Frena, Ben» lo interruppe, e tutta la speranza riaffiorata negli occhi del ragazzo svanì di colpo, «non è così semplice. Io mi occupo di prigionieri di guerra, questo è un caso di competenza della polizia...».

«Se avvertiamo la polizia la uccideranno» osservò Luke, improvvisamente calmo.

Amelia era visibilmente combattuta: da un lato la paura di mettere a rischio la propria vita e la propria carriera per degli sconosciuti, dall'altro la consapevolezza di avere le capacità per farli uscire da quel casino. Era vero che quello non fosse un caso di sua competenza, ma era anche vero che lei fosse ugualmente una negoziatrice per sconosciuti, a prescindere dalla guerra. Quello era il suo campo di battaglia, era capace di tirarsi indietro davanti a una richiesta d'aiuto?

«Ti prego, Amelia» continuava a supplicarla Ben mentre la ragazza cercava di prendere una decisione dalla quale non avrebbe potuto tornare indietro.

«D'accordo, ti aiuterò» sentenziò infine, «ma sappiate che dovrete stare alle mie regole per evitare di peggiorare la situazione. Fidatevi di me, so come vanno a finire queste cose. Nessuna improvvisazione, sono stata chiara?».

Luke imitò Ben e le si inginocchiò ai piedi, baciandole le mani. Ben non riusciva ancora a credere in che casino si fosse cacciato, ancora una volta, ma adesso il suo unico pensiero era andare a prendere Deva, dovunque fosse.

 

Passarono il pomeriggio nello studio della suite di Ben, che diventò la sala operativa di una missione di salvataggio. Amelia riuscì a rintracciare il numero e confermò che la telefonata fosse arrivata da Manchester, ma non potevano dire con certezza da quanto tempo Deva avesse lasciato Brighton. Scoprirono che nessuno dei suoi colleghi avevano denunciato la sua scomparsa, probabilmente si erano perse le tracce anche di loro.

Ben era estremamente nervoso, e più passavano le ore più si sentiva infastidito dalla presenza di quelle due nuove persone dentro il suo spazio privato. Continuava a chiedersi se avesse preso la decisione giusta scegliendo di non chiamare la polizia, o se avesse peggiorato le cose. Tutto dipendeva da lui in quel momento: ogni scelta presa poteva condizionare la vita di Deva. Eppure Ben non sottovalutava le parole che l'uomo gli disse al telefono, "non è lei che voglio". Sapeva di essere lui la preda.

Luke Thompson non era certo d'aiuto in questa storia. Continuava a camminare freneticamente per tutta la suite, proponeva strategie discutibili e creava ogni genere di complotto dietro la scomparsa di sua sorella. Per quanto Ben provasse ad entrare in empatia con le sue emozioni, avrebbe preferito di gran lunga se fossero stati soli lui e Amelia.

«Ben, assicurati di avere la localizzazione disattivata sul tuo cellulare» lo avvisò la ragazza, adesso di nuovo con il suo completo asciutto blu notte, «se questi fanno sul serio, ti staranno già controllando. Luke, tu invece tienila attiva. Un mio collega ci copre le spalle e tiene d'occhio i nostri spostamenti dal tuo telefono».

Dal volto pallido e l'espressione vacua di Luke si poteva intuire che non aveva capito nulla di quello che Amelia aveva raccomandato. Ben lo trovò quasi buffo, ma si trattenne dal ridere: doveva continuare a mostrare la sua faccia seria e dura.

Alle 20 in punto presero il treno per Manchester, quasi del tutto vuoto ad eccezione di poche persone sparse per i vagoni. Ben, Amelia e Luke presero posto in una carrozza vuota e aspettarono in silenzio la partenza. Formavano un trio così strano che era inevitabile pensare che si trovassero insieme per una serie di circostanze. Ben era silenzioso e teneva lo sguardo fisso fuori il finestrino, mentre Luke continuava a cercare argomenti di conversazione per paura del silenzio. Amelia, come una perfetta bilancia in mezzo a loro, di tanto in tanto rispondeva a Luke e rispettava il silenzio di Ben.

«Andrà tutto bene» gli disse la ragazza sorridendo dolcemente, dopo avergli afferrato la mano posata sul ginocchio. Ben ricambiò il sorriso e strinse la mano delicata nella sua. Apprezzava i suoi tentativi di conforto, e il più delle volte funzionavano: Amelia si era guadagnata la sua fiducia e la sua stima. Sperava solo di poter dire lo stesso al contrario...

«Conoscete il riflesso pavloviano?» disse d'un tratto Luke, non più agitato come prima. Sembrava che le parole di Amelia dette a Ben avessero rincuorato anche lui.

«Il che?» domandò Ben stizzito.

«Il riflesso di Pavlov, o riflesso condizionato. È una reazione che viene prodotta da un elemento esterno e che viene associata a uno stimolo».

Ben e Amelia continuavano a non capire, ma lo ascoltavano con attenzione, improvvisamente interessati dalle sue speculazioni.

«Secondo lo scienziato Pavlov, animali e umani imparano ad associare uno stimolo con un altro. Fece un esperimento con un cane e la sua salivazione, gli dava da mangiare ogni volta che suonava un campanello. Una volta che l'animale apprese che al suono del campanello corrispondeva il cibo, ogni volta che lo sentiva iniziava a salivare. Così, Pavlov riuscì a dimostrare che è possibile determinare reazioni negli animali e negli umani artificialmente».

Luke fece una pausa, e Amelia e Ben si scambiarono uno sguardo confuso di sottecchi.

«Ogni volta che mia sorella scompare, c'è sempre qualcosa di brutto dietro. La prima volta a diciott'anni, e dopo successe il casino in quella discoteca. Tante altre volte durante questi anni, adesso questo... sono abituato ad aspettarmi dolore, ogni volta che ci allontaniamo. Per questo ultimamente mi facevo vivo più del solito, ma purtroppo rientro anche io nella categoria di quelli che l'hanno abbandonata. Non mi perdonerà mai».

Ben capì che il riflesso di Pavlov era solo la premessa di Luke per poi sfogarsi come non gli avevano permesso finora lui e Amelia. Si sentì in colpa per essersi mostrato disinteressato nei suoi confronti ed egoista, mentre in quella situazione non era l'unico a stare soffrendo.

Le due ore di viaggio continuarono ad essere tese, ma i tre conversarono per tutta la durata per allentare la tensione e il nervosismo, tanto che si accorsero a malapena di essere in compagnia. Due uomini vestiti di nero erano entrati nel loro scompartimento e si facevano strada piano verso di loro quando il treno si fermò alla stazione di Manchester.

«Il vostro viaggio termina qui» disse uno dei due, gli occhi scuri puntati su Ben, «scendete insieme a noi».

Ben, Amelia e Luke obbedirono, dopo essersi scambiati uno sguardo incerto. Scesero dal treno seguendo quelle due nuove figure misteriose e si riversarono nella banchina trafficata. Uno dei due li conduceva fuori dalla stazione, mentre l'altro li seguiva alle spalle. Mai sentirono il cuore battere così forte, accompagnati da una spiacevole e inquietante sensazione.

Quando furono fuori, li condussero fino a un vicolo buio e isolato, e Ben capì solo in quel momento di essere in trappola. Rivisse i tremendi attimi di panico al Bittersweet Hotel quando, in quello stesso vicolo, si vide puntato di sopra un'altra pistola. Questa volta non era stato preso alla sprovvista, quasi se lo aspettava, ma il tempo iniziò a rallentare come l'ultima volta: è questo, allora, quello che si prova quando capisci che stai per morire? La paura che ti paralizza e ti blocca il respiro, l'incapacità di reagire e tentare di difenderti... ma come si può davanti un'arma?

Questa volta, però, il destino fu più clemente con Ben e gli diede un aiuto del tutto inaspettato. Vide Luke Thompson aggredire l'uomo armato e mandarlo a terra in poche e semplici mosse, poi scagliarsi contro l'altro intento a scappare. Alla sua destra, Amelia era pietrificata proprio come lui.

«Cintura nera» spiegò Luke vittorioso, lasciandosi alle spalle due corpi vivi ma privi di sensi. Ben pensò di aver sottovalutato troppo quel ragazzo che gli aveva appena salvato la vita. «Ti vogliono proprio morto, eh?».

Vide Amelia avvicinarsi a uno dei due uomini e frugare nelle sue tasche, per poi estrarne il cellulare. Avvicinò il sensore al dito dell'uomo per sbloccare il telefono e si allontanò a passo spedito, per poi ordinare a Ben e Luke di seguirla.

«Adesso si gioca con le nostre regole» affermò la ragazza con un sorriso compiaciuto, poi copiò un numero di telefono dal cellulare dell'uomo e lo inoltrò dal telefono di Luke al suo collega che li aiutava da lontano.

«Per la cronaca, la pistola era scarica» disse Luke ancora con l'affanno, mentre vagavano per le strade sconosciute della città alla ricerca di un posto dove poter riposare.

Amelia mandò un sms dal telefono rubato al numero del loro capo, fingendosi l'uomo stesso, e chiedendo indicazioni su dove portare Ben e gli altri.

«E adesso?» chiese Ben, tornando ad avvertire tutta l'ansia e lo spavento repressi fino a quel momento.

«Adesso aspettiamo».

   
 
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