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Autore: mgrandier    21/09/2020    10 recensioni
La vita è un rincorrersi di fasi differenti, nelle quali si alternano sentimenti, emozioni e priorità diverse, che ci inducono a compiere scelte e finiscono per dare un’immagine di noi parziale, evidenziando un aspetto piuttosto che un altro. Per questo, in un puzzle di fasi e punti di vista, ogni storia corre tra alti e bassi e modifica continuamente lo spunto per la lettura di quello che sta accadendo; per questo, volta per volta, è questione di …
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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13 - … impegno
 
(Giugno, le sera del rientro)
 
Sciogliere l’abbraccio che li aveva uniti non era stato impresa semplice; scivolare dalla stretta della sue mani, mentre muoveva lento le proprie dalle sue spalle esili, per risalire leggero lungo il collo, fino a fermarsi sulle guance, gli aveva concesso il tempo di realizzare quanto ciò che era accaduto avesse cambiato il loro modo di sfiorarsi e di restare vicini, una nelle braccia dell’altro.
Negli occhi scuri di Yuki aveva letto quello stesso disorientamento, l’attimo unico in cui lei stessa aveva certamente compreso che il loro starsi accanto era tramutato in qualcosa di nuovo, ai quali loro stessi avrebbero dovuto dare dei contorni a partire da quel preciso istante. E se, dopo i primissimi baci in cui si erano ritrovati, nel suo sguardo aveva letto una sorta di sorpresa, legata a doppio filo a quella incertezza con cui aveva reagito a quelli con cui le aveva chiesto più che un leggero contatto, in seguito Genzo aveva sentito chiaramente crollare ogni barriera. Perché le poche parole che si erano scambiati, mentre ancora erano piantati davanti alla porta d’ingresso, non avevano fatto altro che aprire la strada a nuovi baci intrecciati a sorrisi, che non lasciavano spazio a nessun dubbio, ma spazzavano via, invece, le incertezze nelle quali entrambi avevano rischiato di sotterrare i loro sentimenti.
Qualche rumore confuso proveniente dal corridoio del piano li indusse a fermarsi separando le labbra e lasciando che i respiri di entrambi tornassero quieti. Genzo chinò il capo, sfiorando i suoi capelli con la guancia, mentre lei poggiava la fronte alla sua spalla e attesero che, oltre l’uscio, il silenzio tornasse ad avvolgere il disimpegno. Difficile valutare lo scorrere del tempo, mentre il cuore cercava di recuperare il ritmo consueto …
Dopo qualche istante, tuttavia, con un profondo sospiro Genzo si sollevò, indietreggiando appena ma lasciando che una mano si adagiasse sulla sua spalla, in un istintivo tentativo di non sciogliere del tutto il contatto – Forse è il caso che ci spostiamo da qui … che ne dici? –
La vide annuire, le labbra strette in un sorriso divertito e lo sguardo felice, velato di leggero imbarazzo.
- Potremmo anche preparare qualcosa da mangiare: io ho pranzato prestissimo, prima della partenza e sono a digiuno da ore … Cosa c’è in casa? –
- Hai ragione. – convenne lei – Meglio preparare qualcosa … -
Si mossero verso il soggiorno e Yuki assottigliò lo sguardo, ma sembrava difficile spostare l’attenzione da Genzo, e dai suoi baci, alla dispensa – Credo che ci sia del pollo da cucinare alla piastra e pure dell’insalata già pronta … Ti va una Caesar? Ci metto un attimo … -
- Perfetto. – le rispose subito – Lasciami dieci minuti per disfare la borsa e poi sono da te. -
 
Tolse dalla piastra le fette di carne, disponendole su un tagliere; poco distante, sul ripiano, aveva già preparato due ciotole capienti con insalata mista e uova sode spezzettate. Scelse il coltello adatto e iniziò a sfilettare la carne, per farne delle listarelle, quando si sentì avvolgere in un abbraccio che la fece sussultare. Il coltello le scivolò di mano, rovesciandosi sul ripiano con un tonfo, e il respiro rimase incastrato sotto lo sterno.
- Ehi … sono io! – la tranquillizzò Genzo, che si era poggiato alla sua schiena circondandola con le braccia – Sei così impegnata che non mi hai sentito arrivare? –
- Mi hai colta di sorpresa … - lo ammise inspirando rapidamente e quasi trattenendo il fiato, mentre Genzo le sfiorava la tempia con il naso e il suo respiro le solleticava la pelle; lui le lasciò un bacio delicato sulla guancia e poi si allontanò di poco, sporgendosi su ciò che lei stava preparando.
- Posso aiutarti? Sono così affamato che potrei mordere anche te …  –
Yuki scosse rapida il capo, nascondendo la strana sensazione di disagio che le sue parole avevano fatto nascere – In realtà tra un minuto posso servire ma se ti va puoi preparare la tavola. Non ho ancora … -
- Vado. – Genzo sciolse l’abbraccio e lei si sentì in bilico tra quel brivido provato poco prima, che aveva catalogato come disagio, e lo spiacevole realizzare di non avere più la sua presenza attorno a sé. Lo seguì con lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore, mentre lui prendeva due tovagliette e si allontanava per sistemarle sulla tavola; non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, nel suo chinarsi a raccogliere qualcosa da terra e poi tornare al suo fianco, rovistando nel cassetto degli attrezzi da cucina; fissava le sue mani grandi e il modo preciso in cui le dita si muovevano tra le posate, risalì lungo braccio e avambraccio, incuriosita dal guizzo deciso con cui i muscoli si tendevano sotto la pelle liscia che si insinuava sotto il lembo della manica della maglia gialla e verde che ancora indossava.
D’istinto, si irrigidì quando si accorse che il braccio di Genzo si era fermato, rimanendo immobile sotto i suoi occhi. Sollevò il capo, cercando e incrociando il suo sguardo e un’onda calda le investì il viso, quando si accorse del cenno di sorriso che lui stava rivolgendo; le labbra appena tese, l’angolo sollevato quel poco da essere appena percettibile, Genzo doveva esseri accorto del fatto che lei fosse immobile ad accarezzarlo con lo sguardo e lei ringraziò il cielo per la sua discrezione nel rimanere zitto. Lo vide semplicemente voltarsi e tornare alla tavola, per occuparsi dell’apparecchiatura, e lei si affrettò ad afferrare il coltello, cercando di occuparsi delle due insalate.
 
Continuò a concentrarsi su quell’ammasso di date per parecchi minuti, invertendo impegni e tentando incastri azzardati, cercando di pianificare al meglio la mole di lavoro che avrebbe dovuto portare a termine nelle settimane che ancora aveva a disposizione prima del rientro in Giappone: per mesi si era concessa il lusso di ignorare il fatto che prima o poi la sua avventura ad Amburgo sarebbe terminata e improvvisamente, quella sera, quel pensiero si era fatto prepotente. Un appello a disposizione per sostenere l’ultimo esame in sospeso e poi il mese di agosto, il fermo dell’università, per preparare una tesina da presentare ad inizio settembre, a conclusione del percorso che il tutor aveva stabilito per lei[i]. Due punti fermi, le date degli appelli, cerchiate in rosso sulla pagina dell’agenda e nel mezzo una serie di simboli e rimandi, un groviglio di note scarabocchiate a matita che avrebbero dovuto rappresentare la rigida scansione delle fasi della sua preparazione; infine, il cerchio nero tracciato attorno al giorno del rientro.
Le sfuggì un sospiro triste, chiuse gli occhi e si concentrò sui rumori che provenivano dal bagno, sullo scrosciare dell’acqua … e sulla sua voce, sul tono trattenuto che probabilmente non avrebbe dovuto arrivare fino al soggiorno, ma che invece quella sera non sembrava poter essere governato del tutto e che si appuntò nella lavagna immaginaria dei dettagli che avrebbe rimpianto ripensando alla sua permanenza a casa di Genzo. Le sfuggì un sorriso, nonostante tutto, perché lui, ormai lo aveva imparato a conoscere, di solito non cantava sotto la doccia; eppure quella sera aveva preso a farlo e la sua voce l’aveva sorpresa, calda e sommessa, insospettabilmente intonata, nell’interpretare a più riprese quella canzone sdolcinata[ii] che … che ricordava di aver scovato nascosta sul suo telefono quando le aveva permesso di caricarci la sua playlist per lui e che si era chiesta cosa ci facesse in mezzo alle tracce alternative e rock che affollavano la sua libreria. Ebbe la certezza assoluta che quella traccia l’avrebbe condotta a lui ogni singola volta in cui l’avesse ascoltata e, ne era sicura, le avrebbe fatto vibrare l’anima, facendola volare fino ad Amburgo, in quella che anche lei aveva preso a chiamare casa.
Scosse il capo e cercò il telefono in mezzo alla confusione di fogli che aveva sparpagliato sul divano; non era il suo genere, certo, ma l’avrebbe tenuta tra le altre tracce … ripescandola ogni volta in cui avrebbe sentito il bisogno di affogare nella malinconia. Preso il telefono, cercò rapida la canzone e l’aggiunse alla lista SGGK, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano.
- Che fai? – la voce di Genzo la fece sussultare.
Dal disimpegno, si era sporto a chiamarla, rimanendo mezzo nascosto, e la osservava con aria curiosa.
- Sto … sto cercando di fare ordine. – passò ancora la mano sugli occhi, arrabattando un sorriso e una risposta, pur di non ammettere il motivo di tanta improvvisa tristezza – Devo cercare di pianificare il lavoro delle prossime settimane. –
Lo vide annuire, sebbene poco convinto; certo, parlare di ordine stando seduta su un divano coperto di fogli sparsi, qualcuno pure scivolato a terra, qualcun altro poggiato sul tavolino insieme a libri impilati alla rinfusa, non era proprio il massimo in fatto di scuse credibili, ma in quel momento non sarebbe riuscita a mettere insieme una risposta meno inadatta. Eppure anche lui non sembrava nell’ordine di idee di fare le pulci alle sue parole, perché il tamburellare delle dita sul muro rivelavano una certa inquietudine.
- Ok. – le rispose lentamente e dopo qualche istante riprese – Se hai terminato … ti andrebbe di … di venire di là a guardare qualcosa in tv? -
Di là. A guardare la tv.
Due concetti di una semplicità assoluta che tuttavia le si chiarirono con una forza inattesa. Perché di là, in quell’appartamento e considerato il fatto che lei stava in soggiorno, poteva significare solo due stanze: la camera da letto e il bagno. E Yuki dubitò fortemente che Genzo la stesse invitando in bagno.
Trattenne il respiro, realizzando meglio situazione: avevano trascorso un sacco di serate insieme davanti alla tv, ma sempre sul divano, e in qualche occasione ci si erano pure addormentati, insieme, su quel divano. E ora lui la stava invitando proprio di là, dove solo due sere prima lei aveva chiesto di poter trascorrere la notte, in quel letto che lui aveva lasciato libero e in quella stanza dove, solo dopo mesi, si era accorta che ci fosse un’altra televisione. Questa tv che lui avrebbe potuto guardare, da solo, ogni sera, ma che invece preferiva sempre lasciare spenta, per rimanere in soggiorno insieme a lei. L’ennesimo anello in quella infinita catena di attenzioni che lui le aveva riservato fin dal suo arrivo e che ora evolveva quasi naturalmente insieme a loro e al loro particolare modo di avvicinarsi e di legarsi reciprocamente.
- Arrivo. – gli rispose chiudendo l’agenda, con la certezza che quella sera le sarebbe stato impossibile riuscire a concentrarsi seriamente sullo studio, così come sulla pianificazione del lavoro in sospeso, perché un’altra priorità aveva scavalcato ogni altro pensiero, attirando su di sé tutte le sue energie.
 
Lo raggiunse quasi immediatamente, trovandolo seduto sul letto, con le gambe distese e le caviglie incrociate una sull’altra, il telecomando tra le mani e lo sguardo rivolto alla tv sistemata sulla parete ai piedi del letto. Nella luce mutevole della stanza, illuminata solo dallo schermo acceso, Genzo sembrava rilassato, come era suo solito, capace di metterla a suo agio anche solo con il più semplice dei sorrisi, e vederlo sollevare un braccio per invitarla a sistemarsi accanto a lui la fece muovere subito, aiutandola sorvolare su quell’improvvisa sensazione strana che, varcando la soglia della stanza, l’aveva colta all’altezza dello stomaco, quando si era resa conto del fatto che lui, in camera propria, dormisse con addosso solo boxer e maglietta.
Era davvero stata così ingenua da pensare che l’avrebbe trovato in t-shirt e pantaloncini, come quando era rimasto con lei sul divano? Si diede mentalmente della stupida, realizzando che essere cresciuta con un fratello non l’aveva minimamente preparata nel suo percorso di avvicinamento a Genzo. Perché trovarsi a stretto contatto con Tsubasa, anche molto poco vestito, come era accaduto durante i periodi che aveva trascorso a casa, nella confidenza tra fratello e sorella che avevano sempre avuto, così come nei frangenti in cui tornavano a giocare come dei ragazzini, al massimo l’aveva resa orgogliosa di avere un fratello dal fisico atletico o l’aveva fatta riflettere su quanto fosse cresciuto o irrobustito rispetto all’ultimo loro incontro … ma posare lo sguardo si Genzo aveva avuto tutto un altro effetto. Completamente diverso anche dal divertito imbarazzo che l’aveva colta alla comparsa, in una mise ancora più succinta, di quello strambo compagno di squadra con cui Genzo divideva la stanza e, a quanto pareva, una genuina amicizia.
Obbligando lo sguardo a nascondersi tra le lenzuola, si sistemò accanto a lui, con il suo braccio sulle spalle, poggiandosi al suo petto, piegando le gambe e lasciandosi coccolare, ma non riuscì proprio a distendersi, a rilassarsi davvero. Il contatto con la sua pelle, quel profumo che ora sapeva riconoscere e il ritmo lento del suo respiro, proprio lì ad un soffio dal suo, non la potevano lasciare indifferente; anche il semplice appoggiarsi al suo fianco sembrava farle avvertire un calore inusuale a fior di pelle mentre gli occhi tornavano insistenti a scrutarlo di nascosto.
Sollevò appena le spalle, quando lui le chiese se avesse preferenze in merito al programma da guardare, senza nemmeno comprendere quali fossero state le sue proposte, senza riuscire ad impedirsi di continuare ad osservarlo, anche solo con la coda dell’occhio, cercando di non apparire troppo molesta … ma l’attenzione rimase sempre lì: sul profilo del braccio destro poggiato al materasso, dove teneva il telecomando, e sulla curva del torace, che poteva intuire precisa e solida come un disegno di mani esperte, sotto la stoffa leggera della t-shirt intima. Un nuovo fremito la scosse, ripensando a quando, su quello stesso letto, aveva percorso la sua schiena e il suo petto più e più volte, in un massaggio che aveva fuso la precisione dell’aiuto che si era promessa di dargli, con l’energia risvegliata da una affinità che correva veloce sotto pelle. Si impose ancora di distogliere lo sguardo da lui solo quando scivolò più sotto, dove l’orlo della maglia lasciava scoperte forme più piene e incredibilmente sensuali, di solito nascoste da altri strati di stoffa, e in quel momento trattenute solo dal cotone scuro dei boxer. Difficile restare impassibili di fronte ad una situazione così … così intima con lui, per il quale sentiva una innegabile attrazione ma che, nonostante la confidenza, il contatto e i baci che si erano scambiati, restava ancora un mondo tutto da scoprire. Si sentì improvvisamente avvampare e si irrigidì, tanto che Genzo si sollevò dai cuscini ai quali era appoggiato con la schiena.
- Tutto bene, Yuki? – le chiese lui mentre si scostava un poco da lei, cauto – Ti sento strana … Forse … forse preferisci tornare di là? Vuoi che me ne vada io? –
La sua voce non aveva potuto nascondere una punta di preoccupazione e le ultime proposte le erano giunte in un sussurro mesto.
Yuki, a quelle parole, chiuse gli occhi, negando lenta con il capo tornando a cercare il contatto con lui, lasciandosi finalmente cullare dal suo tocco accogliente. Non riusciva a non essere spiazzata dal suo abbraccio, dal contatto con il suo corpo; le era impossibile pensare di abituarsi alle sue carezze calde, al suo modo gentile di tenerla stretta a sé che aveva una sfumatura nuova, quella sera, nel movimento apparentemente distratto con cui le sue dita le sfioravano la pelle, leggere e sensuali.
Certo, doveva ammettere che aveva fantasticato sul fatto di avvicinarsi a lui e sulla possibilità che tra loro potesse instaurarsi qualcosa di più di un rapporto di amicizia, ma avvezza alla confidenza che si erano reciprocamente concessi, non era riuscita a definire cosa avrebbe potuto cambiare davvero, fra loro, almeno nei gesti consueti, della loro quotidianità.  Perché già in quei pochi momenti trascorsi sul suo letto aveva avuto chiara la distinzione tra il tocco dai contorni definiti e precisi che c’era stato in passato, quando le dita di Genzo erano quelle di un amico, e quel contatto sfumato e caldo con cui ora quelle stesse dita le increspavano la pelle, ma non le era possibile andare oltre, persa com’era a seguire il filo di quelle carezze sussurrate.
Il quel momento, distesa accanto a lui e stretta nel suo abbraccio, si era trovata fare i conti con una realtà che le si era presentata in fretta, quasi che quanto accaduto sulla soglia di casa avesse squarciato il velo che fino a quel momento aveva coperto una dimensione tutta nuova nella quale era stata catapultata in modo improvviso. Dimensione che, a giudicare da quanto poteva intuire, Genzo sembrava determinato a scoprire fin da subito, nel modo naturale con cui l’aveva cercata e accolta nello spazio privato del suo letto.
D’istinto, sollevò un braccio, per poggiare la mano sulla sua spalla, e aggrapparsi a lui, voltandosi fino a nascondere il viso nell’incavo alla base del suo collo, cercando di lasciare lì qualche parola, sulla sua pelle calda – Va tutto bene Genzo; è solo che io … -. Tuttavia non riuscì ad andare oltre, creando solo una nuova ombra su di sé.
Lui parve accorgersene, intuire quanto lei stesse faticando a trovare la propria dimensione in quel nuovo modo di stare insieme; spense la tv, lasciando che la sola luce della notte estiva rischiarasse la stanza e si fece ancora più vicino a lei.
- Scusami. - esordì a mezza voce - Io non … non volevo in alcun modo forzarti … - e anche le sue parole sembravano pescate a fatica in un groviglio di pensieri scomposti; forse anche lui, nonostante l’apparente tranquillità, stava cercando un equilibrio nuovo, che fosse perfetto per entrambi. – E’ che non mi sembra vero. – soffiò a mezza voce, e poi si fermò per trarre un profondo respiro e muovere appena le mani, accarezzando la sua schiena, senza lasciare la sua stretta leggera – Ho bisogno di sentire che ci sei, che posso stringerti e accarezzarti e darti un bacio, quando ne sento il bisogno, senza fingere di essere solo un amico; ma ho anche il tremendo timore che non sia quello che vuoi tu e il dubbio che qualcosa possa farti cambiare idea. –
Yuki rimase ad ascoltarlo in silenzio, colpita; aveva imparato a conoscere la lucidità con cui Genzo riusciva ad analizzare le situazioni e i moti del proprio animo, il coraggio con cui sapeva dare il nome corretto ad ogni cosa, senza nascondersi, e nella fragilità che le aveva appena espresso aveva sentito il riflesso della propria incertezza, di quell’unico cruccio che le covava dentro. Incredibilmente, nel modo tutto suo che aveva di aprirle il proprio animo, Genzo riusciva a rendere più semplice anche a lei leggere dentro di sé.
Si mosse, fra le sue braccia, per sollevare il viso e poter finalmente guardare dentro i suoi occhi, nel nero di uno sguardo increspato dall’aspettativa e dal dubbio.
- Non c’è nessuna idea da cambiare, Genzo. Credimi. – lo tranquillizzò subito - Solo che io … sono frastornata: non so nulla di queste cose. Niente. Capisci? –. In preda ad una irrefrenabile ondata di imbarazzo, restò a fissarlo, come se anche il silenzio potesse continuare a spiegare le sue ragioni; osservò le sue labbra che si piegavano, sollevando l’angolo destro, e il suo sguardo che lentamente si era assottigliato, facendolo sembrare quasi divertito – Per me è tutto nuovo e rischio di … di … -
- Credi che per me sia diverso? – le chiese allora a bruciapelo e Yuki non ci pensò nemmeno per un attimo.
- Sì! – rispose subito, dando voce ancora agli ultimi scampoli di quei crucci che avevano soffocato il suo animo – Tu sei più grande e sei qui da solo … Sei indipendente, maturo e libero di vivere come ti pare … Sei un calciatore professionista e … -
- … ed è tutto nuovo anche per me. – concluse subito lui deciso, senza lasciarla terminare, con l’urgenza di spezzare immediatamente quei pensieri torbidi – Perché non ho mai vissuto niente di paragonabile a noi e sono felice che sia così. Ma non solo: ho pure una terribile paura di sbagliare, perché se sbaglio con te, mi gioco molto più di una amicizia. –
Eccolo, il Genzo che l’aveva conquistata, sospeso tra la leggerezza della quotidianità e la concretezza del suo saper andare dritto al punto nei momenti difficili; in bilico tra il fermare deciso le sue parole e il pronunciare quel noi che, nel tono caldo che aveva assunto la sua voce, le aveva fatto vibrare l’animo. In sospeso ad un respiro dalle sue labbra, aveva saputo concentrare in poche parole le risposte a tutti i dubbi nascosti in fondo all’anima, quelli che l’avevano resa incerta, non sul bisogno di legarsi maggiormente a lui, ma su tutto quel contorno di dettagli che non aveva ancora razionalmente saputo affrontare. Lo stesso che, leggendo i suoi dubbi e il suo imbarazzo, le rubò un bacio leggero, ritraendo appena le labbra, prima di tornare ad alleggerire il suo umore.
- Indipendente e libero, lontano da casa … Mi ricorda un po’ la situazione di un certo fratello, sai? – insinuò allora allargando il sorriso – E non ricordavo che lui facesse tutta questa bella vita … -
- Beh, Tsubasa un mezzo impegno ce l’aveva; almeno in teoria … - insinuò Yuki arricciando il naso e sollevando le spalle.
- E io un impegno ce l’ho adesso. – precisò, per poi portare affondare lo sguardo nel suo, parlandole diretto, immediatamente serio – Ma tremo al pensiero di trovarmi davanti a Tsubasa e doverne parlare … o all’idea che tu possa chiamare Sanae per … -
Yuki non seppe trattenere le risa, di fronte a quella ammissione, lasciandolo per qualche istante esterrefatto e riuscendo a leggere chiaramente l’ombra della preoccupazione sul suo volto; scosse il capo, mentre gli occhi di Genzo si assottigliavano, e poi lei cercò le sue labbra, governando il respiro e rassicurandolo.
– Questo l’avevo intuito, sai? – gli disse recuperando la sua innata leggerezza e, in un soffio, anche la naturalezza che lui le ispirava – E in un certo senso riesco anche a capirti, perciò ti assicuro che saprò essere discreta … e non intavolerò nessun discorso imbarazzante con Tsubasa, né con Sanae. –
- Promesso? – chiese con un sopracciglio sollevato, un poco dubbioso.
- Promesso. – confermò subito – Ma non posso prometterti che riuscirò a non parlare di te … del tuo rientro in squadra, del fatto che ti ho seguito in tv … -
- Hai davvero seguito l’incontro in tv? -  
Genzo sembrava sorpreso e il suo sguardo lasciava trapelare una certa soddisfazione.
- Non ho seguito l’incontro. – precisò Yuki sollevandosi un poco e sostenendosi, puntando il gomito sul letto - Ho seguito te. E sai cosa ti dico? In campo sei dannatamente figo! –
Genzo scoppiò a ridere, sollevandosi a propria volta su un gomito e sussultando divertito – Io figo? Sicura? –
- Sì! – annuì lei convinta – Accidenti! Sei serio, concentrato … e autoritario … -
E assolutamente affascinante avrebbe aggiunto, perché lo pensava davvero, ma guardarlo ridere divertito, con quel sorriso pieno e sincero, gli occhi stretti e l’espressione finalmente serena, l’aveva distratta da tutte le argomentazioni che avrebbe voluto portare per spiegarsi e non era riuscita a mettere insieme un’altra frase sensata per fargli comprendere cosa avesse provato nel seguirlo in campo, nel riconoscerlo al centro di quello stadio enorme, tra i pali e sotto gli occhi di tutti quegli sconosciuti urlanti, che si esaltavano per lui senza conoscerlo davvero, come lo conosceva lei … Perché della telecronaca in tedesco non aveva capito molto, doveva ammetterlo; la voce concitata del giornalista non l’aveva aiutata per niente, ma il suo nome, in quel fiume di parole, lo aveva riconosciuto spesso e ogni volta aveva saputo ricondurre quei cenni entusiasti agli interventi spettacolari di cui Genzo si era reso protagonista, ogni volta lei aveva sussultato e qualcosa si era stretto nel suo animo, fino a tendere i suoi nervi.
- Parli come una che non ha mai seguito una sola partita di calcio … - insinuò lui, sempre più divertito - … ma sinceramente la cosa mi suona strana. –
 Yuki minimizzò muovendo nell’aria la mano libera, consapevole di quanto poco fosse stata interessata al gioco in sé; – Sai che il calcio non è la mia passione; io non sono mio fratello … Ho seguito le sue partite più importanti, le vostre partite più importanti, - precisò - e tutti i vostri successi, più per affetto, che per altro. In realtà, mi sono sempre concentrata su Tsubasa e sulle sue azioni. – ammise infine, sollevando le spalle con un poco di imbarazzo.
Lui la ascoltava attento, annuendo lentamente, e lei sentì di poter proseguire – Ieri era diverso: l’idea di vederti in campo mi elettrizzava … e riconoscerti là in mezzo ai pali, proprio tu … Eri … eri … -; strinse le dita sui palmi, ancora elettrizzata al solo ripensare alle emozioni provate e non poté nascondere nemmeno quella sottile tensione che l’aveva tenuta in fibrillazione durante l’incontro, proseguendo poi nel dopo partita, quando aveva seguito anche tutte le interviste e i commenti del caso, capendo meno della metà di quanto veniva detto, ma aspettando avida di riconoscere di nuovo Genzo e le sue parate in qualche spezzone riproposto nel riassunto del match. Rimase in sospeso, con le labbra tese in un sorriso, incapace di spiegarsi meglio … ma certa che lui avrebbe compreso.
Non si sbagliava, Yuki, perché lui si mosse, cogliendo pronto il suo sorriso, in un nuovo contatto di labbra che la indusse a scivolare indietro, fino a distendersi sul lenzuolo, con le ginocchia sollevate e le braccia distese sopra il capo, dove una mano di Genzo aveva raggiunto la sua, intrecciando le dita alle proprie in una stretta decisa. Si trovò a chiudere gli occhi, concentrata solo sulle sue labbra calde, sul suo richiamo urgente e sul desiderio, difficile da ammettere, che lui non si spostasse minimamente da lì, sporto com’era sopra di lei e capace di sciogliere con le sue labbra ogni pensiero che non fosse lui e la sensazione di calore che era in grado di far diffondere in tutto il suo corpo, facendole quasi dimenticare l’entusiasmo per l’averlo seguito in tv e tutto quello che ne era conseguito.
Quando Genzo abbandonò le sue labbra, anche la sua mano si mosse, accarezzandole il polso e scendendo lentamente lungo il braccio, tracciando un percorso delicato, che lei stessa seguì mentalmente; socchiuse gli occhi, quasi rapita dai suoi gesti, quando le sue dita si arrestarono, insistendo per qualche istante nell’incavo sensibile del gomito, solleticando e provocandole un leggero brivido, e li chiuse del tutto quando lui tornò a scendere, piegando dalla spalla verso la clavicola e insinuandosi appena nel collo ampio della sua maglia leggera. Avvertì le sue labbra sulla spalla, farsi insinuanti e seguire a poca distanza il sentiero tracciato dalle sue dita e fermarsi alla base del collo; deglutì a forza quando la sua mano scese ancora, lungo lo sterno, forzando appena lo scollo della maglia e distendendo le dita a seguire leggero la curva appena accennata del seno. Riconobbe una sorta di incertezza, nel suo tocco quasi tremante, che aveva tutto il sapore della scoperta, timida e curiosa insieme, intralciata dalla stoffa e dal suo stesso timore. Yuki si mosse appena, facendo in modo che la spalla scivolasse dallo scollo della maglia, nell’inconsapevole tentativo di lasciare più agio alla mano di Genzo, ma quando le dita della sua grande mano si distesero e il suo palmo caldo accolse per interno la sua forma, un fremito incontrollato la traversò da parte a parte, giungendo di riflesso anche a lui in un vibrare unisono.
Entrambi trattennero il respiro e lui si sollevò appena, per poi chinarsi a poggiare la fronte sulla sua spalla, rimanendo immobile a lungo, mentre il brivido che aveva scosso entrambi sfumava in un moto profondo dell’animo e loro tornavano a soffiare un unico, lento respiro.
Quando riuscì ad afferrare uno frammento di coscienza, Yuki ritirò un braccio da sopra il proprio capo, piegandolo sulla schiena di Genzo ancora appoggiato sopra di lei; portò la mano alla sua nuca, affondando le dita nei suoi capelli morbidi e trattenendolo a sé con una presa leggera, mentre lui lento sfilava la mano dalla sua maglia e scivolava al suo fianco, allungando il proprio braccio a circondarle la vita in un ampio abbraccio.
Non ebbero modo di pronunciare nessuna parola, intenti come erano ad ascoltare il silenzio denso mosso solamente dal soffio delle loro emozioni, lasciandosi accogliere dalla penombra di un unico sonno.
 
[i] Non avendo dimestichezza con i calendari accademici tedeschi, di nuovo sfrutto quelli dell’unica università che mi è famigliare, perciò abbiate pazienza, ma il Politecnico di Milano, in questa storia, interpreta l’Università di Amburgo in tutto e per tutto.
[ii] In mezzo a questa atmosfera, me lo sentivo a cantare All of me di John Legend. Se non è romantica questa….


Angolo dell'autrice: a rilento, ma ci sono, e farò del mio meglio per non fermarmi, nonostante il periodo non sia dei migliori. Mi rendo conto che, anche nei frangenti in cui mi sento più fragile, riuscire a tornare da loro, dai miei personaggi, mi tiene a galla. Mi auguro che possano avere un effetto positivo  anche su di voi che leggete e che accompagnate me e loro in questo percorso.
A presto
Maddy
  
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