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Autore: Ksyl    31/01/2021    5 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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29

"Sei pronto per andare, Tommy?"
Come se fosse rimasto in attesa del suo segnale, il bambino corse impaziente verso la porta del loft, vestito di tutto punto, e l'aprì. Aveva ragione. Era lui a non essere pronto. Ci voleva ancora qualche minuto, parecchi respiri, un ultimo controllo.

L'avrebbe accompagnato a scuola, come faceva ogni mattina, come gli sembrava di aver fatto da sempre, anche se si trattava di pochi mesi. Che cosa faceva di se stesso prima di incontrare Kate e Tommy? Non se lo ricordava. Niente di importante, probabilmente. Niente che valesse la pena di continuare a fare.
Il tragitto quotidiano non era troppo lungo, ma avevano imparato a trasformarlo in una piccola avventura ogni giorno diversa, anche se si trattava solo delle strade di New York e non di qualche luogo esotico e lontano. Si prendevano per mano e correvano fuori, avidi di imbattersi in qualcosa di nuovo ed eccitante. Accadeva invariabilmente. Non era niente di speciale, ma non per loro, che si godevano ogni scoperta come se fosse rara e meravigliosa.
In quelle occasioni teneva il cellulare rigorosamente in modalità silenziosa, per non farsi distrarre. Nemmeno a sua madre era consentito chiamare. Kate lo sapeva e lo rispettava.

Ma quel giorno era diverso dal solito e Castle faticava a rimanere concentrato. Tommy se ne era accorto e lo strattonava con insistenza: "Mi stai ascoltando PapàRick?", gli ripeteva imbronciato tirandogli la manica del cappotto per richiamare la sua attenzione, quando lo sorprendeva a vagare con la mente altrove. Ogni volta si riscuoteva e gli sorrideva, assicurandogli di essere presente e di aver ascoltato ogni parola. Dava una risposta generica e faceva qualche sforzo per partecipare alla conversazione, ma dopo qualche minuto la sua attenzione scivolava via.

Più tardi Kate si sarebbe sottoposta alla prima ecografia ufficiale. Aveva interpellato il ginecologo che l'aveva seguita nella precedente gravidanza non appena si erano lasciati alle spalle le cime alpine innevate per tornare in una città grigia, tenuta in ostaggio da temperature calate a picco, molto più facili da tollerare quando si avevano gli sci ai piedi e cieli scintillanti come unici spettatori.
Non c'era motivo di aspettare, aveva convenuto il medico, dichiarandosi d'accordo con lei. Avendolo già fatto a lungo, quando aveva preferito non dare l'allarme per non creare false illusioni, si trovava nella settimana giusta perché si potesse iniziare a vedere qualcosa. Così gli era stato riferito e lui non aveva indagato su che cosa si potesse vedere adesso che fosse stato precedentemente invisibile. Non aveva voluto farla innervosire ponendo sciocchi quesiti e si era quindi tenuto il dubbio. Non si sentiva a suo agio a confessarle di non essere ferrato sul tema, visto che l'ultima volta, con Alexis, era stato troppo giovane per far caso a dettagli pratici. Rimpiangeva di non essersi impegnato di più.

Tommy era sempre rimasto con loro. Josh non si era fatto vivo all'aeroporto pretendendo di farselo affidare, nonostante i proclami perentori e le reiterate minacce. Alla fine si era rivelato il solito bluff. Da allora era scomparso e loro non si erano presi la briga di mettersi in contatto con lui per sapere quali fossero i suoi programmi futuri.
Era stata la loro avvocata a farlo.
Dopo una rapida consultazione a tre, il messaggio che avevano deciso di inviargli era stato molto conciso e sperabilmente chiaro: non c'era più né lo spazio né la disponibilità, da parte loro, per accordarsi privatamente su questioni riguardanti Tommy. Sarebbe stato un tribunale a decidere dei diritti di visita, una volta appurata la sua idoneità genitoriale. Quella di Josh, non quella di Castle. Ancora non aveva superato l'umiliazione provata quando era stata messa in dubbio la sua adeguatezza a prendersi cura di Tommy. Forse non sarebbe mai andato oltre, sarebbe sempre stata lì a pungolarlo perché desse a Tommy la versione migliore di sé.
Insieme alla missiva avevano allegato un puntuale elenco di mancanze genitoriali poste in atto da Josh nei confronti del figlio, tutte adeguatamente provate e documentate. Nessuna di esse lo metteva in buona luce o lasciava spazio ad attenuanti, soprattutto quando si arrivava alla dettagliata descrizione dell'ultimo incontro padre-figlio, quello che aveva generato importanti conseguenze psicologiche sul bambino, che erano state valutate da un esperto e riportate nero su bianco. Non avevano colpito a vuoto come faceva lui di solito, non era quello il loro modo di agire. Avevano solo pensato a Tommy e al suo bene. Tutto qui.

E poi c'era il resto. La loro piccola magia.
Non avevano comunicato a nessuno della gravidanza, era ancora il loro segreto. Lui per primo faticava a convincersi che fosse reale, che ci sarebbe stato un bambino, il loro bambino, di lì a poco.
Odiava confessarlo perfino a se stesso, ma la resistenza che provava all'idea di lasciarsi andare all'esultanza per l'arrivo di suo figlio era in buona parte dovuta ai continui tentativi di Josh di farsi spazio nella loro vita, la sua odiosa abitudine a uscirsene senza preavviso dall'invisibilità in cui occasionalmente si autorelegava.
Aveva raggiunto uno stato di esasperazione tale da non sopportare più il costante rumore di sottofondo che l'altro provocava e a cui aveva creduto di essersi ormai assuefatto. Forse era per colpa del suo inguaribile ottimismo, o forse aveva sottovalutato la portata del disturbo. Aveva raggiunto il limite, ne aveva abbastanza. Non riusciva a godersi appieno la gioia che gli era capitata e, per quanto lo trovasse imperdonabile, non riusciva a fare altrimenti.

Ma sotto la cappa oppressiva che Josh alimentava di proposito e che lo teneva prigioniero, alcuni timidi sprazzi di gioia gli si annidavano a sorpresa nel cuore, pronti a sfuggire e riempirlo di inebriante entusiasmo. Josh non sarebbe mai riuscito a intrufolarsi nei sorrisi insonnoliti che si scambiavano appena svegli, le occhiate sprezzanti che Kate gli rivolgeva quando tentava di indurla ad assaggiare l'ultimo piatto salutare preparato con le sue mani, i sogni a occhi aperti a cui si abbandonavano insieme.
Non avrebbe mai più sottovalutato la forza volitiva della felicità, capace di crescere e dilagare nonostante le avversità a cui erano sottoposti, un fiore in apparenza delicato che poteva resistere a tutto.
Ma questo non gli bastava più. Dopo quello che avevano passato, si meritavano di meglio che non vivere sotto sequestro, accontentandosi di occasionali barlumi di serenità. Era ora di risolvere la questione Josh una volta per tutte. Definitivamente. Sayonara.
Chissà che cosa si sarebbe inventato ora che Tommy avrebbe avuto un fratello o una sorella a cui si sarebbe legato, ora che la loro famiglia si sarebbe allargata, diventando un'entità concreta, visibile. Ora che sarebbe stato tagliato fuori del tutto. Preferiva non saperlo.

Aveva quindi deciso di agire. Lui, in prima persona e senza aspettare i lunghi tempi della legge, che, come gli era stato spiegato, non garantiva grossi spazi di manovra, né un risultato necessariamente a suo favore a breve termine.
Voleva adottare Tommy, proprio come aveva annunciato a Kate a bruciapelo in Europa. Non si sarebbe tirato indietro di fronte a nessun ostacolo e per questo non si era lasciato scoraggiare dalle numerose difficoltà che lei gli aveva con pazienza illustrato – niente del resto sarebbe stato tanto insopportabile quanto sapere che Tommy sarebbe stato costantemente in pericolo.
Era consapevole di aspirare a qualcosa difficile da ottenere, qualcosa che avrebbe incontrato resistenze e forse perfino fatto scandalizzare qualcuno. Come poteva pensare di togliere un bambino al padre biologico? Poteva, invece, perché ne aveva ogni diritto morale. Era lui il padre di Tommy. Quello che garantiva cure e benessere, quello che sarebbe sceso in campo e lo avrebbe difeso in ogni circostanza, quello che lo amava incondizionatamente. Era ora che il suo ruolo venisse riconosciuto, a tutti i livelli.
Per molto tempo si era ritratto, credendo di peccare di arroganza. Non aveva creduto di meritare quel titolo, lo aveva trovato irrispettoso da parte sua, aveva temuto perfino di fare un torto a Tommy, di confonderlo e provocare dei danni a lungo termine. Adesso voleva essere suo padre, aggiungere il suo cognome, dire al mondo che era suo figlio. Non soltanto di cuore, ma secondo la legge. Voleva delle tutele, ma più di tutto voleva la pace.
Non gli rimaneva altro che occuparsene da solo e in fretta. Chissà se Kate avrebbe capito. Forse l'avrebbe biasimato e si sarebbe sentita scavalcata. Ne aveva tenuto conto, ci aveva riflettuto a lungo, ma la conclusione a cui era arrivato era sempre la stessa: non aveva alternative, nessuno di loro le aveva e non potevano andare avanti così, senza intervenire. La situazione sarebbe solo peggiorata, muovendosi lentamente e in silenzio fino a prendere velocità e travolgerli tutti.

Una volta arrivati a scuola, Tommy si zittì e gli lasciò la mano, pronto a dimenticarsi di lui per correre dentro l'edificio insieme ai suoi compagni. Castle lo trattenne vicino a sé ancora per qualche istante. Non lo faceva mai, gli augurava di divertirsi e lo salutava, soddisfatto di vederlo sereno. Finse di aggiustargli la giacca, che non aveva bisogno di nessuna cura aggiuntiva.
"Ci vediamo più tardi", disse infine.
"Chi viene a prendermi? Tu o la mamma?"
L'abitudine impostata da Kate di informarlo sempre in modo puntuale su chi lo avrebbe atteso oltre il cancello, a giornata terminata, si era mantenuta intatta anche quando si era reso evidente che era lui il principale incaricato ad assolvere quel compito quotidiano. Ma ero uno scambio rassicurante che faceva piacere a entrambi.
"Che ne dici se venissimo sia io che la mamma?"
Tommy manifestò la sua gioia con la consueta vivacità, che Castle si godette con un sorriso.
In realtà aveva parlato e fatto promesse senza aver consultato l'altra partecipante, che era stata troppo impegnata a temere l'esito della visita a cui si sarebbe sottoposta per fare programmi a lunga scadenza, anche se solo relativi a quel pomeriggio. Non era abituato a vederla tanto preoccupata che qualche sorpresa infausta fosse lì a tenderle un agguato non appena messo piede nello studio del ginecologo.
Lui era sicuro che sarebbe andato tutto bene, se lo sentiva dentro e tanto gli bastava, ma aveva prudentemente smesso di continuare a ripeterglielo nel tentativo di convincerla a rilassarsi. Non lo avrebbe fatto – non si sarebbe rilassata -, non finché delle evidenze scientifiche avrebbero testimoniato che il bambino stava bene, per quello che si poteva vedere.
Aveva coltivato in solitudine le sue certezze.

Quando il rito dei saluti venne concluso con riluttanza da parte sua e impazienza da parte di Tommy, tornò in strada e chiamò un taxi per farsi condurre in ospedale.
Avevano convenuto – era stata lei a deciderlo, lui aveva solo annuito – che sarebbe stato più semplice se si fossero incontrati direttamente lì, invece che al distretto. Non che fosse difficile indovinare perché lo avesse proposto.
Lo conosceva bene e nutriva fondati timori che lui si sarebbe lasciato sfuggire frammenti di informazione che dei detective ben addestrati non avrebbero avuto problemi a mettere insieme, scoprendo quindi la verità sulle sue condizioni.
Aveva sentito quel ritornello rimbalzare tra i muri del loft tanto spesso da poterlo recitare a memoria: voglio solo essere sicura prima di dirlo agli altri, Castle. Considerando quanto ci aveva messo a sentirsi sicura di dirlo a lui, non si sarebbe stupito se chiunque altro lo avesse saputo solo quando il piccolo Castle sarebbe andato a vivere da solo.
Ma se ne era stato zitto e aveva ribadito che per lui andava benissimo tutto quello che la faceva sentire meglio. Una frase neutra che non aveva mai generato nessun tafferuglio casalingo e che per questo le ripeteva spesso.

C'era ancora del tempo prima della visita, tempo che si era riservato per portare a termine il suo piano. A pensarci si sentì investire da un inarrestabile fiotto di adrenalina che gli diede coraggio e lo spronò ad agire.
Con sé aveva un voluminoso faldone di documenti – aveva realizzato delle copie digitali, ma era ancora sensibile al fascino del cartaceo – che amici zelanti e con pochi scrupoli l'avevano aiutato a mettere insieme. Non era a conoscenza dei mezzi utilizzati, anche se non era difficile immaginarli, ma aveva deciso di non fare mai domande a riguardo. Si era limitato a chiedere un favore, che gli era stato accordato. Era sempre utile avere certe conoscenze.

A quel punto ogni indugio era superato e aveva abbastanza determinazione in corpo da fargli credere che avrebbe potuto superare tutti gli ostacoli che avrebbe incontrato. Sperabilmente nessuno, ma si sentiva pronto a tutto. Penetrò nella hall d'ingresso dell'ospedale e, senza che nessuno lo notasse in mezzo al flusso di visitatori, scivolò dentro l'ascensore, che individuò senza problemi e che non dovette attendere a lungo.
Aveva studiato con attenzione la struttura dell'edificio e sapeva dove dirigersi senza aver bisogno di chiedere informazioni, eventualità troppo rischiosa.
Si era fatto consegnare i turni lavorativi di Josh relativi alla settimana in corso e, in base alle notizie in suo possesso, quel giorno l'acclamato cardiochirurgo aveva in programma una lunga serie di visite, ma nessun intervento di una certa importanza in sala operatoria. Con un po' di fortuna – non era ancora in grado di prevedere i flussi del pronto soccorso – Josh non sarebbe stato impegnato con nessuna emergenza. In quel caso avrebbe solo rimandato la visita, non l'avrebbe cancellata. Ci teneva però che tutto avvenisse proprio il giorno in cui avrebbero simbolicamente dato inizio alla loro nuova vita.

Nonostante avesse incontrato un discreto numero di persone nei molteplici corridoi che percorse, non gli venne mai chiesto che cosa ci facesse lì. Forse erano troppo indaffarati o forse era riuscito a non dare troppo nell'occhio. Un punto per lui.
Entrando nel reparto di cardiochirurgia, si aspettò di venire fermato – per come era vestito non poteva certo passare per un operatore sanitario -, ma di nuovo nessuno parve badare a lui.
Trovò senza difficoltà lo studio che recava sulla porta il nome di Josh, esattamente nel punto che gli era stato indicato. Tutte le informazioni che gli erano state fornite si erano rivelate corrette.

Quando entrò, senza bussare, trovò Josh seduto dietro la scrivania, da solo. Non era stato difficile prevedere la reazione che provocò la sua irruzione, né fu sorpreso dalle minacce di chiamare la sicurezza – aveva già la mano sul telefono – quando si voltò per chiudere la porta a chiave. Avanzò verso di lui con grande calma.
Ben presto ogni protesta venne zittita e nessun agente di sicurezza venne a prelevarlo. Proprio come aveva pianificato.
Non c'era niente che Josh potesse dire o fare per vincere quell'ultimo round e Castle si premurò di farglielo sapere per tempo. Anche l'altro dovette essere della stessa opinione perché non fiatò, si limitò ad ascoltarlo con astio crescente. Era incredibile come fosse diversa l'impressione che quell'uomo faceva sul prossimo quando era messo alle strette e non gli rimaneva altro che soccombere, perdendo la sua solita arroganza. Gli avrebbe fatto pena se gli fosse rimasta qualche briciola di empatia nei suoi confronti. Limitò i danni solo perché non era il caso di infierire. Le vendette non gli interessavano.
Non ci volle molto per definire il loro accordo. Nonostante le minacce espresse con sempre meno convinzione, le promesse di fargliela pagare e di svelare al mondo che razza di miserabile fosse, era lui, Josh, a essere in svantaggio, ad avere qualcosa da perdere. C'era solo voluto del tempo e qualche informazione in più per rendersene conto.

...

"Gemelli? Come è possibile? Ammettilo, Castle, c'è sotto il tuo zampino". Kate non poteva essere più sbalordita, quasi si fosse trovata di colpo scagliata su un pianeta alieno che non era in grado di decifrare.
"Voglio sperare che ci sia il mio zampino", protestò, a metà tra lo stato catatonico e l'euforia più violenta che avesse mai sperimentato.
La visita si era appena conclusa. La sorpresa c'era stata, ma non quella che lei aveva temuto per giorni: l'ecografia aveva sentenziato, senza ombra di dubbio, che i bambini in questione sarebbero stati due. Contemporaneamente.

Il medico che li aveva accolti, e che era stato in seguito latore della lieta novella, era un uomo giovale e dalla battuta pronta, motivo per cui, quando Castle lo aveva sentito parlare al plurale, aveva creduto che scherzasse. Kate l'aveva invece preso subito terribilmente sul serio e, dopo un primo istante di smarrimento, aveva recuperato in fretta le energie e si era girata infuriata verso di lui – il colpevole – per lanciargli una sequela di occhiate assassine che non promettevano niente di buono.
Lui non aveva proferito alcun suono, ma doveva essere impallidito fino a scolorire del tutto, perché il medico gli aveva proposto di uscire a prendere un po' d'aria. Stava benissimo, si era affrettato a rassicurarlo, per distogliere l'attenzione da se stesso. Sapeva che Kate stava premeditando il suo omicidio, preferiva tenerla d'occhio e non trovarsela alle spalle armata.

Dopo essere usciti l'aveva trascinata in fretta e furia in una caffetteria, scegliendola a caso tra quelle in cui si erano imbattuti. Il medico, dandole appuntamento di lì a breve, si era raccomandato che facesse piccoli spuntini e che non rimasse a digiuno troppo a lungo. L'aveva preso in parola. L'aveva costretta a sedersi e le aveva ordinato uno spuntino, il tutto senza interpellarla o dar retta alle sue proteste.
Aveva avuto cura di mettere però una certa distanza tra loro e l'ospedale, non volendo correre il rischio di imbattersi in Josh dopo il loro recente scambio di idee. Nonostante fosse stato ridotto all'impotenza, o forse proprio in virtù di quello, non voleva dargli l'occasione di rovinare un momento privato, che riguardava unicamente la loro famiglia. Josh doveva finire nel dimenticatoio.

"Hai capito quello che intendo", lo rimbeccò, mostrandosi di umore ben poco conciliante. "Non hai fatto altro che parlare al plurale. Bambini. I nostri figli. Non sei tu che ti vanti che i tuoi sogni si avverano sempre? Eccoti servito. Ti chiederei la cortesia personale, in futuro, di avvisarmi delle tue intenzioni in modo da correre ai ripari", concluse visibilmente indispettita.
"Anche se potrà stupirti, ti informo che non ho affatto espresso all'universo il desiderio di avere dei gemelli". Era sincero. Non l'aveva mai creduta una possibilità concreta, aveva solo voluto punzecchiarla. Aveva davvero certi poteri? "Ero più orientato ad avere numerosi figli con te a intervalli regolari".
Su numerosi le lesse negli occhi un'esplicita minaccia di morte.
"Quindi adesso non ti sta bene avere dei gemelli? Potevi pensarci prima!"
La convinzione con cui insisteva nell'accusarlo delle peggiori malefatte l'aveva quasi persuaso che fosse sul serio colpa sua. Aveva dei gemelli in famiglia? Avrebbe fatto meglio a fare delle ricerche a riguardo, prima di coinvolgere delle compagne ignare della sua crudeltà, ecco che cosa stavano suggerendo quegli occhi che lo trafiggevano.
Le prese una mano. "Scommetto che ho qualcosa che ti tirerà su di morale".
"Ne dubito fortemente".
Il sottinteso era evidente. Non sarai tu a sobbarcarti la fatica di una gravidanza gemellare.

Nel silenzio, sempre più ostile, estrasse dalla tasta interna della giacca una busta, dentro cui si celava il prezioso documento che avrebbe tenuto con sé finché non fosse stato messo al sicuro in cassaforte.
Kate lo osservò incuriosita. Il frullato che aveva amorevolmente ordinato per lei era rimasto intatto.
"Vuoi chiedermi di sposarti attraverso una raccomandata ufficiale?"
"Mi dai sempre delle ottime idee, potrei prenderti in parola una volta o l'altra".
Le sorrise e le porse la busta. Si godette la sua espressione sempre più perplessa.
"Non credere di potermi blandire... Che cosa è Castle? Perché c'è la firma di Josh? Vi siete incontrati? È ancora vivo?"
Scorse febbrilmente i documenti, senza aspettare la risposta alla sfilza dei suoi interrogativi.
"Quando me ne sono andato sì, ma non so se il suo ego è sopravvissuto".

Kate non colse la battuta, continuò a leggere con la fronte corrugata e incredulità crescente. Alzò gli occhi su di lui, in apparenza più sotto shock di quando aveva appreso che avrebbe partorito due neonati in un colpo solo. E a quel punto era stata parecchio sotto shock.
"Ha rinunciato ai suoi diritti genitoriali?"
Annuì, gongolando tra sé, senza volersi mostrare troppo trionfante. Trovava giusto mostrarsi elegante e composto. Avrebbe però voluto strombazzarlo ai quattro venti e vantarsene fino alla fine dei secoli.
Lo scrutò con profondo sospetto, e un bel po' di scetticismo. "Come hai fatto? Lo hai costretto con la forza? È una cosa... legale?"
"Il documento che hai in mano è perfettamente legale".
"Ma i metodi impiegati per ottenerlo no, giusto?"
"In realtà non è stato difficile convincerlo a firmare, una volta che gli ho svelato di essere in possesso di certe... informazioni che lo riguardavano".
"Quali informazioni? E perché non ne hai parlato prima con me?"
Perché l'avrebbe fermato, ecco perché. La sortita in ospedale non era stata esente da rischi e una certa dose di fortuna era sempre necessaria in casi del genere. Lei si sarebbe opposta su tutta la linea.

Si sporse verso di lei.
"Josh ci ha sempre rifilato la storiella edificante di aver compiuto l'immane sacrificio di abbandonare le sue attività filantropiche per prendersi cura di suo figlio".
"Ti correggo. È tornato perché io rovinavo Tommy con i miei sistemi educativi troppo permissivi".
Era vero, ma aveva preferito non rivangare ricordi umilianti.
"Io ho sempre creduto che lo avesse fatto perché non tollerava che tu avessi iniziato una relazione con un altro uomo e continuo a essere convinto che sia una parte della verità. Ma ci sono molte altre cose che il nostro caro dottore in odore di santità ci ha tenuto nascoste e di cui quasi nessuno è al corrente".
"Per esempio?"
"Diciamo che tornare negli Stati Uniti non è stata una sua scelta, ma che è stato costretto a farlo..."

Le passò il faldone.
"Credevo che lì dentro tenessi tutte le ricerche di ostetricia e cura del neonato. Devo invece supporre che sei venuto a conoscere i tuoi figli brandendo informazioni segrete su Josh, ottenute in modo criminale?"
Lui non avrebbe calcato così la mano, ma lasciò correre. Non gli avrebbe comunque dato retta, era troppo indaffarata a leggere quanto riportato con esclamazioni che andavano dallo stupore all'orrore.
"Prima che ti venga voglia di insultarlo, voglio ricordarti che ti è stato consigliato di non agitarti e che i miei figli possono sentirti".
"Non possono affatto farlo, sono grandi solo qualche centimetro. E mi agito quanto voglio", ribatté piccata.
"Nel dubbio, meglio non usare espressioni troppo colorite".

"Castle, se queste informazioni fossero rese pubbliche, Josh verrebbe licenziato dall'ospedale e radiato dall'albo. Non potrebbe più svolgere la sua professione. Sono affermazioni molto gravi".
"E tutte vere", sottolineò. Se ne era accertato personalmente prima di agire.
"Come hai fatto a scoprire delle sue attività illegali e di quel...problema di dipendenza? Ecco perché era spesso alterato, a tratti irriconoscibile. Sembra che le tue fonti ne sappiano parecchio. Mi svelerai mai i retroscena?"
"Quello che importa è che abbia firmato".
Era tutto quello che contava. Perché rimestare nel torbido, una volta che se l'erano tolto dai piedi definitivamente?
"Lo ha fatto solo perché lo hai ricattato, Castle. Non è stato...".
"Etico. Onesto. Lo so, tu avresti voluto seguire la prassi. Che sarebbe stata lunghissima e forse non avrebbe dato ragione a noi. Ma, Kate, le informazioni che ho raccolto non dimostrano solo che ha più di un problema di cui occuparsi, cosa che può anche non riguardarci, ma che è un pericolo per suo figlio. È tutto scritto lì. Non credi che durante quell'ultima visita sia diventato violento per motivi che niente avevano a che fare con Tommy? Ti fideresti a lasciarglielo, dopo aver letto questo dossier? Io no, onestamente, sarei preoccupato per l'incolumità di tuo figlio. E questo va ad aggiungersi al fatto che non è mai stato presente, che non si è mai occupato di lui, che non voleva farlo partire per l'Europa, impedendogli quindi di vivere una bella esperienza, e che in ultimo ha tentato di allontanarlo, per capriccio, dall'unica figura paterna che abbia mai avuto, che sarei io. Tutto questo basterebbe già a un giudice per decidersi in nostro favore, ma ci vorrebbe del tempo".

Non la vide del tutto convinta.
"Quello che ho scoperto è solo servito ad accelerare le cose e mettere Tommy al sicuro fin da subito, senza trafile burocratiche, perizie psicologiche o l'obbligo di vedere suo padre. Tommy è già abbastanza spaventato da tutto questo, Kate. Non ti sei mai accorta che Josh ci ha sempre abbondantemente minacciato, ma quando si è trattato di ufficializzare il conflitto e sottoporlo alle autorità, si è sempre tirato indietro? Non ti ha mai dato da pensare questo atteggiamento? A me sì. E ho voluto andare a fondo".
Sperò di essere riuscito a farle comprendere le sue motivazioni.
"Non poteva permettere che la sua condotta passata venisse scoperta, per questo non ha mai voluto che finissimo in tribunale", continuò. "Ma aveva bisogno di mostrarsi al mondo come padre amorevole che ha rinunciato a tutto per il bene di suo figlio, per ricostruirsi una reputazione e avere qualcosa con cui difendersi qualora le accuse l'avessero raggiunto anche qui. Sì, l'ho ricattato. Perché voglio che ci lasci in pace e soprattutto che smetta di terrorizzare Tommy, di cui non gli è mai importato nulla".

"Ci ha usati", disse Kate, iniziando a cogliere il disegno nascosto, che a lui era chiarissimo. "Ha usato suo figlio. Come ha potuto? Credevo che in fondo gli importasse di lui".
Ed era sempre stato quello il problema, l'indulgenza di lei nei confronti del suo ex, basata su una falsa percezione, forse solo una speranza, che aveva generato ripercussioni anche sul loro rapporto.
"Non è così. Non ci ha messo molto a farsi convincere a firmare, quando gli ho elencato le mie condizioni, e non ha nominato Tommy una sola volta. Ha solo vomitato la sua rabbia contro di me per averlo scoperto". Non le avrebbe riferito gli auguri che erano stati loro rivolti. Era già abbastanza scaramantica e in apprensione per la gravidanza.
"È finita, quindi. Quando la sua rinuncia verrà ufficializzata, non potrà mai più pretendere niente da noi".
"È così". E la cosa lo riempiva di sollievo, anche se era ancora difficile crederci. "Ma c'è ancora qualcosa da fare. Dobbiamo avviare la procedura perché io possa adottare Tommy, sempre che tu sia d'accordo".
"Non lo so, Castle. Non sono convinta delle tue buone intenzioni, non dopo lo scherzo che mi hai fatto stamattina con i gemelli". I gemelli. Erano reali.
"Dovresti essere felice di avere due piccoli Castle a sgambettare per casa. Non ti piace l'idea che sarà tutto raddoppiato?" E il caos centuplicato, ma preferì ometterlo.
"Io ti ucciderò, se continui così. E con immenso piacere". Nessun dubbio a riguardo. "Ma sì, prima di farlo, prima di torturarti e gettarti in pasto agli avvoltoi, voglio che diventi il padre di Tommy". La vide asciugarsi furtivamente una lacrima. "Sono solo gli ormoni, non osare dire niente", lo aggredì, precedendo qualsiasi commento da parte sua. L'intensità degli sbalzi d'umore poteva essere aggravata dal fatto che ci fossero due embrioni invece che uno solo? Avrebbe dovuto informarsi.
"Grazie". Le era grato per tutto. Per la fiducia, perché voleva affidargli suo figlio, quanto di più prezioso avesse, perché sarebbe stata la madre dei suoi figli, per non averlo ancora assassinato.
"Ma per farlo...", tornò a infilare la mano all'interno della giacca.
"Hai delle tasche molto capienti".
Si inginocchiò davanti a lei, tra un vaso di fiori finti e il tavolino leggermente traballante.
La guardò negli occhi, nonostante il lieve imbarazzo, il fatto di essere in pubblico e il timore di ricevere un altro rifiuto. "Katherine Beckett, vuoi sposarmi una buona volta?"
"Castle..."
"So che credi che te lo stia chiedendo perché per adottare Tommy è necessario che siamo sposati o perché ho una spiccata tendenza a volermi sposare a tutti i costi, ma la verità è che voglio farlo, e da moltissimo tempo".
"Castle, se mi lasci..."
"No, Kate. Non ti permetterò di dirmi ancora di no. Starò inginocchiato su questo pavimento che ha visto giorni migliori e ti elencherò ogni motivo razionale e irrazionale per cui voglio infilarti questo anello al dito e farti diventare mio moglie. Prima o poi riuscirò a convincerti. Cominciamo..."
"Ho la pistola nella borsa e non esiterò a usarla se non chiudi la bocca. Vuoi continuare a chiedermi di sposarti anche quando ci arresteranno?"
"Mi dirai di sì in quel caso?"
"Posso parlare o intendi continuare a blaterare finché non ci cacceranno?"
Rimase ostinatamente inginocchiato davanti a lei, muto. Avrebbero dovuto trascinarlo via con la forza.
"Sì, Castle, certo che ti sposo. Se non avessi continuato a interrompermi, ti avrei detto che non ho mai avuto nessuna intenzione di non farlo. Ma hai sempre creduto di dovermi convincere con motivazioni inattaccabili. Non servono. Voglio sposarti perché ti amo. Punto".
"Anche io ti amo. Punto".
"Siamo d'accordo, finalmente. E ora dammi quell'anello gigantesco".
Le sorrise radioso, prima di baciarla. "Sei tu ad avere delle dita molto piccole".

Il prossimo capitolo è l'ultimo. Grazie a tutti/e! Silvia

Edit: 02.02.2021 Quando mi sono seduta per scrivere l'ultimo capitolo, il trentesimo, mi è successa una cosa strana e inaspettata: ho capito che la storia era già finita, proprio qui, con la proposta di Castle, ancora inginocchiato sul pavimento. Un altro capitolo non avrebbe elevato, arricchito o ampliato il loro amore, che per me è la spinta di tutto, il motore, in qualsiasi modo venga declinato nelle varie storie. Era già tutto qui, magico e straripante. Io non ho esperienze di scrittura, non so niente di processi creativi, non è e non sarà il mio lavoro. So che per me è una continua sfida, perché non mi è possibile controllare nessuna fase del processo. La storia mette radici e vola da sola. Io ci metto solo la ferrea autodisciplina di scriverla, editarla più e più volte, rispettare le scadenze e rispettare voi dando tutto quello che so. Ma ti dice lei dove inizia e quando finisce. (Questa è la mia esperienza, non ha pretese di universalità). Quindi mi perdonerete se ho promesso un altro capitolo, ma non ci sarà e se non ho altro modo di comunicare che finisce qui. A mia discolpa, so che un altro capitolo non sarebbe la cosa giusta né per voi, né per i Caskett e nemmeno per me. Ho sempre scritto papiri all'inizio e alla fine delle mie storie, questa volta ringrazio chi mi ha accompagnato dal primo luglio, quando ho pubblicato il primo capitolo, fino a oggi. È una storia che è stata con me molto a lungo e ha dato un senso alle mie giornate e settimane, in un periodo che di certo non aveva proprio nulla. Quindi grazie. A tutto e tutti. Silvia

   
 
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