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Autore: Kaiyoko Hyorin    17/02/2021    5 recensioni
Quando Kat si sveglia in mezzo a un boschetto rigoglioso, preda della nausea e di un forte mal di testa, non ha idea di ciò che l'aspetta.
Come questa ce ne sono altre di storie, imprese memorabili capitate per fortuna o per volere del destino a persone apparentemente ordinarie. Eppure ve ne propongo un'altra, sperando possiate trovarla una lettura piacevole.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bilbo, Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lo Hobbit'
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“Across this crimson sky
I hear the voice who's calling my name
Memories burn, we'll not rest”
[ Led by Light, Wind Rose ]




...e se le cose fossero andate diversamente?


Qualcosa era andato storto.

Un’imboscata, una truppa in agguato, un Orco Pallido e la sua progenie nello stesso posto…
 dove non avrebbero dovuto essere.

Quando Kat provò a riaprire le palpebre, la vista le rimandò indietro soltanto immagini sfuocate.
La testa le girava ed al contempo le rimandava un dolore sordo, per la violenta botta alla roccia dietro di lei. Era stata scagliata via con forza dalla massiccia presenza di Bolg, comparso come dal nulla ad ostacolare lei e Nén.
La giovane guerriera cercò di nuovo di schiarirsi la vista, ma ci riuscì soltanto dopo un interminabile sbattere di palpebre, ed a quel punto lo vide: Bilbo, che a qualche passo da lei stava fronteggiando l’orco con l’inseparabile Pungolo sguainata e brillante.
Si era messo in mezzo per evitarle il colpo di grazia.
Era in pericolo.
Stringendo i denti e lottando contro l’irrigidimento e la freddezza del proprio corpo, Katla provò a rimettersi in piedi, ma quando finì carponi sul ghiaccio capì che c’era qualcos’altro che non andava. 
Perché il suo corpo non le rispondeva più come prima?
La risposta le comparve nella mente per mezzo della macchia di sangue che si propagò in quel momento sotto i suoi stessi occhi, densa e scura come il petrolio. Ci mise un istante a realizzare che quello fosse il suo stesso sangue e quando, con la mancina, si tastò il ventre, avvertì sotto le dita un nuovo fiotto caldo ed umido. 
Era ferita.
Tentò per riflesso di premere la mano sullo squarcio ed a quel punto si rese conto che vi era qualcosa conficcatole nella carne: un pezzo di metallo. La rozza punta d’una spada orchesca, la stessa che le aveva provocato quella profonda lacerazione.
Era ferita gravemente.
Sarebbe morta lì, sulle alture di Collecorvo.
L’ondata di gelido panico che la investì la fece ansimare ed il suo fiato si condensò appena nell’aria, in una nuvoletta trasparente e carica d’una sofferenza nuova, giacché la consapevolezza aveva risvegliato in lei la percezione di quella ferita inattesa.
I suoni dello scontro in corso penetrarono col loro clangore la nebbia che aveva avvolto la mente della ragazza, strappandola dal proprio delirio personale e facendola tornare al presente. Sollevando allora gli occhi grigio-verdi colmi di lacrime e dolore, Katla cercò i suoi compagni, ma il fiato l’abbandonò non appena riuscì a mettere a fuoco una figura familiare stesa a terra a pochi metri da lei.
Il corpo di un giovane nano biondo giaceva immobile al limitare dell’ampio spiazzo che si schiudeva alla loro destra in quello che era un ampio lago ghiacciato fra le rocce, riverso in posizione scomposta sopra quello che non poteva esser altro se non il suo stesso sangue.
Fili.
Il dolore sordo che le artigliò ferocemente il petto si amplificò non appena i suoi occhi scorsero un paio di tozze gambe calzanti stivali nanici far capolino poco più in là, sopra le rocce ghiacciate del fianco della montagna.
Kili.
La consapevolezza la piegò e la fece gemere sotto l’assalto di una rinnovata disperazione e, cedendo alle pressioni della propria stessa emotività, Kat d’impulso tentò nuovamente di rimettersi in piedi, mentre dalle labbra le usciva un ansito pregno di sofferenza.
No, non poteva essere.
Un ringhio ferale anticipò il riecheggiare fra le rocce ghiacciate d’un guaito di dolore e lei voltò di scatto il capo verso il centro della piana, appena in tempo per vedere Nén che cadeva, rotolando sul ghiaccio, come un peso morto.
Il Profanatore se l’era appena levata di dosso con un ultimo colpo mortale ed ora troneggiava sulla superficie piana con un profondo squarcio alla spalla sinistra, rivolto verso una macchia scura stesa a terra. Kat ci mise un attimo a metterla a fuoco, ma il suo cuore le diede la risposta ancor prima della mente ed il respiro, già ansimante, le si impigliò in gola con forza mentre gli occhi le si spalancavano d’orrore.
Thorin era riverso a terra a pochi metri, fra lei ed Azog, l’espressione contratta e sofferente mentre tentava con evidente fatica di ritrovare la propria spada con il solo movimento di un braccio. L’altro se lo stava premendo con forza sotto il torace, cercando di arginare la perdita di sangue che gli aveva già imbrattato l’armatura.
No, le giunse di nuovo dalla sua mente travagliata.
La voce di Bilbo si levò in un rantolo di dolore e sorpresa e Kat, voltandosi meccanicamente a guardare nella sua direzione, lo vide riverso a terra, coperto di neve e polvere, che tentava di rimettersi faticosamente in piedi mentre Bolg gli andava incontro dopo averlo letteralmente sbalzato via con la potenza del suo ultimo attacco.
No, esplose la sua coscienza in una supplica disperata.
Si volse istintivamente a cercare la speranza nell’unica persona che il suo cuore non voleva lasciar andare, ma essa s’infranse non appena ne incrociò gli occhi di diamante. Nell’iridi di Thorin ella scorsa sofferenza e rimpianto, ed una disperazione pari e superiore a quella che le lacerava il petto, ed il suo cuore si ghiacciò all’istante.
Non ce l’aveva fatta, comprese in un ultimo sprazzo di lucidità.
Aveva fallito.
Sarebbero tutti morti.
Nel profondo gelo portato da quell’ultima consapevolezza, allora, qualcosa dentro Katla si ruppe. S’infranse in mille pezzi, in un vago crepitare come di cristallo che si frantuma in microscopiche schegge, un suono muto eppure talmente intenso da esser percepito come palpabile, con la violenza di un’esplosione che le lacerò l’animo e la investì completamente, creando in lei un vuoto assoluto.
L’attimo seguente, la magia colmò quel vuoto con un impeto tale da poter essere paragonato soltanto ad un’onda di maremoto, pervadendo ogni muscolo, ogni fibra, ogni cellula del corpo della giovane donna d’una energia nuova ed indomabile, immensa come la luce del sole.
Quella luce le colmò gli occhi spalancati e fissi, illuminandole le iridi d’argento prima di farsi talmente intensa da pervader completamente pupilla, iride e sclera e farne un tutt’uno bianco accecante. Quel potere immenso reagì ed interagì all’ambiente circostante, trapelando da ogni poro di quello che ormai altro non era se non un fragile contenitore, muovendo l’aria intorno a lei e contrastando la stessa forza di gravita.
Katla, le vesti che si gonfiavano e i capelli che, ondeggiando, si sciolsero dall’acconciatura che li aveva tenuti avvinti sino a pochi minuti prima dietro al capo, si sollevò in aria, perdendo il contatto con il terreno sottostante e levitando sino a tre metri d’altezza di fronte agli sguardi attoniti di coloro che ancora potevano vedere.
Per una manciata di istanti, ogni cosa si fece immobile, persino il nevischio sollevato dal vento si fermò, come cristallizzato a mezz’aria, e soltanto i respiri di coloro che ancora serbavano la propria vita infransero il silenzio.
Poi, i due orchi si mossero all’unisono, facendo un passo verso di lei, le armi in pugno e le espressioni contratte a mostrare le zanne, e le labbra di Kat si schiusero. Il suono che ne scaturì fu talmente limpido da risuonare più puro del cristallo, quasi inudibile ad orecchio umano, e l’effetto fu immediato.
Una serie di letali stilettate di spesso ghiaccio risalì e spuntò dal terreno intorno ai piedi di Azog e Bolg, trafiggendone i massicci corpi sotto forma d’immense spine bianco-azzurre in una misura tale da circondarli e impalarli lì dov’erano, trapassando armature, ossa e carne da parte a parte, in un rostro di punte traslucide e scintillanti.
Per tutta Collecorvo risuonarono i rantoli ed i versi di morte degli Orchi e dei Mannari Selvaggi ancora intenti a contrastare le forze dei popoli liberi del Nord. Poi, quando il silenzio tornò a permeare quelle alture rocciose, l’aria rimasta immota sino a quel momento riprese a spirare libera ed il potere che era scaturito dal corpo stesso della giovane donna finalmente scemò e si ritrasse.
E Katla ricadde, priva di sensi, sul lago ghiacciato.


Quando Dwalin lo raggiunse, chinandosi rapidamente su di lui, Thorin si lasciò sfuggire una smorfia. Poteva percepire distintamente il gelo propagarsi rapido dentro di sé, penetrando dal profondo squarcio che l’Orco Pallido gli aveva aperto in pieno ventre e dal quale fuoriusciva, nonostante i suoi sforzi per mitigarne il deflusso con un braccio, una copiosa quantità di sangue.
– Thorin! – l’allarme ed una sottile nota disperata ne graffiavano la voce solitamente bassa, mentre lo esaminava con una rapida occhiata – ..non preoccuparti, Thorin, vedrai che...
– Aiutami – soffiò l’erede di Durin, aggrappandoglisi con tutta la forza che aveva al braccio ed interrompendolo senza pietà, corrucciato e teso come non mai nello sforzo.
Il suo corpo era divenuto pesante come il piombo, ma doveva alzarsi.
Doveva andare da lei.
Dwalin lo fissò con sgomento e sorpresa misti ad una confusione evidente che, un istante dopo averne incrociato lo sguardo, sfumarono. 
– Non puoi sforzarti Thorin – gli disse ed il suo tono era tornato quello di sempre – ..stai perdendo troppo sangue.
Inizialmente l’erede di Durin non gli diede ascolto e, voltando lo sguardo verso la propria sinistra, cercò le figure di Katla e dei propri nipoti, senza riuscire a distinguerle oltre il velo di sofferenza che gli appannava la vista. Quando tornò a trafiggere l’amico con uno dei suoi sguardi di diamante però, lo trovò irremovibile e si corrucciò ancor di più di fronte alla testardaggine altrui.
– I ragazzi… Kat… – mormorò, stringendo la presa sulla stoffa dell’altro e tirando a sé, cercando di averne ragione – ..devo…
Doveva assicurarsi che fossero ancora vivi.
Doveva assicurarsi che sarebbero sopravvissuti.
Per un attimo gli parve di scorgere un dolore infinito attraversare gli occhi lucidi del fratello di Balin, ma non poté esserne sicuro perché quello, con un battito di palpebre, deviò lo sguardo in un punto oltre il suo campo visivo.
– Non preoccuparti – gli rispose – Bilbo è andato a chiamare Gandalf. Ci sta già pensando lo stregone, tu cerca di resistere.
Cercando di riempire di nuovo i polmoni d’aria, Thorin accolse la notizia con una nota di sollievo che gli permise di rilassare un poco i muscoli, ma la consapevolezza che non sarebbe sopravvissuto alle ferite gli dovette trasparire dallo sguardo, perché dal volto barbuto del nano chino su di lui lesse un rimpianto senza pari. Il rimpianto di qualcuno che non era riuscito a salvare il suo migliore amico.
Gocce di sangue macchiavano il lato del volto di Dwalin, colando da un taglio che gli deturpava la pelle tatuata del capo. Era stato il primo a partire all'assalto delle immonde creature che si erano trovati ad affrontare fra quelle alture non appena si erano resi conto che Katla era lì e stava fronteggiando l’Orco Pallido, ma era stato anche il primo a cadere a causa di un colpo che gli aveva strappato l’elmo di dosso, e quel taglio era la prova del suo fallimento.
– Thorin!
La voce di Bilbo si levò carica di allarme e la sua figuretta scarmigliata e ammaccata comparve nel campo visivo del figlio di Thrain. L’agitazione dello hobbit era fin troppo evidente e si intensificò non appena i suoi occhi blu si posarono sul corpo del nano ferito.
– Oh… Thorin… – ripeté, come se non avesse trovato di meglio, prima di scambiare uno sguardo con Dwalin.
Il nano dal capo tatuato scosse la testa con discrezione in segno di diniego, ma bastò per raggelare i lineamenti del mezz'uomo.
– Bilbo.. – Thorin ne richiamò l’attenzione, dando forma ad una fugace nuvoletta di candido fiato, e come i loro occhi tornarono ad incrociarsi, si concentrò al massimo per scacciare la profonda debolezza che sentiva avvinghiarglisi addosso ogni secondo di più – Fili… Kili?
Doveva sapere.
La domanda inespressa parve cogliere in contropiede lo hobbit, che se ne uscì con una delle sue smorfie tese e combattute, ma dopo una prima manciata di secondi in cui fu impegnato in uno dei suoi conflitti interiori, alla fine prese una decisione.
– Mi dispiace, Thorin.
Non aggiunse altro e la verità trasparì negli occhi blu del piccolo abitante della Contea, arrivando al nano come una nuova martellata in pieno petto.
Ancora una volta non era riuscito a mantenere la propria parola.
– Kat? – riprovò.
– È viva – la conferma di Bilbo rese meno opprimente il peso dei suoi sensi di colpa, ma non abbastanza, perché subito dopo aggiunse: – .. è ferita e ha perso molto sangue, ma Gandalf ha detto che c’è ancora una speranza.
Thorin annuì con un cenno del capo e già quel semplice movimento gli parve talmente difficile da lasciarlo poi ancor più spossato. Tentò comunque, dopo, di cercare una mano dello hobbit e quando la trovò, il calore che gli circondò l’arto fu una sensazione strana ai suoi sensi ormai completamente avvolti dal gelo dell’inverno.
– Mi dispiace... – mormorò in un sussurro sofferto, concentrandosi al massimo per formulare ogni parola ed incrociando gli occhi colmi di lacrime di entrambi i suoi amici – ...per quel che.. ho fatto e detto… sono stato.. cieco.
– No Thorin – cercò di dire lo hobbit, scuotendo il capo riccioluto – non devi scusarti..
– Sì, invece – ribadì il nano, prima di fermarsi e ritrovare il respiro e ripetere: – Sì, Bilbo… sono stato stupido… non merito la vostra… considerazione… né alcun onore.
– Non è così, Thorin – ribatté Dwalin, stoico e categorico, seppur colmo d’una sofferenza che gli traspariva dai lineamenti contratti – Hai riabilitato il tuo nome e quello dei tuoi padri, oggi, e nessuno potrà mai negarlo. Hai agito da vero Re dei Nani.
L’erede di Durin, di fronte alla profonda convinzione dell’altro nano, per quanto il suo animo fosse colmo di rimpianti, si lasciò convincere ed un debole sorriso gli tese gli angoli della bocca. 
– Addio, amici miei – esordì, giacché sentiva le forze ormai averlo abbandonato ed il sapore del sangue sulla lingua. Stava per dire qualcos'altro quando, il suo corpo ormai allo stremo, dalle labbra gli sgorgò il suo ultimo, roco respiro.
E mentre i suoi compagni chiamavano ripetutamente il suo nome, il suo ultimo pensiero fu per Katla.
Avrebbe dato tutto ciò che aveva posseduto in quella vita, per poterla rincontrare ancora una volta… per avere un’altra possibilità.


Vi era una quiete assoluta ed irreale, in ciò che circondava ed ovattava i suoi sensi.
Quando Kat, dopo un tempo a lei indefinito, iniziò a percepire qualcosa, fu la sensazione di esser sospesa in un nulla bianco candido, una dimensione carica di luce e priva di qualunque suono. Una dimensione che venne colmata da una voce che le giunse sotto forma di una sensazione ed un pensiero estranei, come se fosse un tutt'uno con l'ambiente in cui era immersa. Perduta.
– La missione è compiuta, l’equilibrio nel flusso è ristabilito.
Kat si sentì pervadere da quelle parole, pur non sentendosi fatta d'alcuna forma corporea.
– La tua vita è appesa a un filo – riprese quella voce composta da più voci, echeggiante d'eternità –La tua anima è ora sospesa fra due mondi: una scelta ti è stata concessa, in virtù del tuo operato.
Lei non capì, ma l'istante seguente un'immagine venne proiettata alla sua coscienza: la giovane Kathrine in un letto d'ospedale, la testa fasciata ed una serie di tubicini attaccati a tutto il suo corpo. Faticò un istante a riconoscersi e quando lo scenario cambiò, mostrandole Katla, la forma che aveva fatto propria nell'universo di Arda, stesa su una branda ed ugualmente incosciente e sporca di sangue, ricordò.
Stava morendo, in entrambi i mondi.
– Una scelta dovrà essere fatta – ribadì la voce ultraterrena.
Kat si chiese come avrebbe potuto farlo, giacché ognuna delle due giovani donne che aveva davanti era parte di lei.
Fu a quel punto che notò, nello scenario dai toni più chiari in cui era immersa Kathrine, una presenza che prima non aveva visto: una giovane ragazza sedeva accanto al suo letto d’ospedale e reggeva in mano un piccolo lettore musicale.
Era Jane.
Era lì, con lei, e muoveva le labbra, come se le stesse parlando. Quando si sporse a metterle in un orecchio un auricolare e fece partire la musica, Kat capì da dove doveva esser provenuta quella che, a Pontelagolungo, aveva udito nella mente, quella sera in cui aveva quasi dato di matto.
E nonostante non avesse un corpo tangibile, una stretta al petto la colse e si intensificò quando, riportando lo sguardo nella scena che la ritraeva come Katla, vide le sagome di Gandalf e Bilbo accanto alla branda su cui giaceva immobile. Anche loro stavano parlando fra loro e, per un istante soltanto, Kat ebbe l’impulso di raggiungerli, di dire loro che era lì, che stava bene.
Ma poi, quando le labbra dello stregone pronunciarono quel nome e ne vide il capo muoversi in segno di diniego, le si ghiacciò il cuore.
No, ricordò all'improvviso, non ce l’aveva fatta.
Non era riuscita a salvarlo.
Non era riuscita a salvare nessuno.
Thorin e i suoi nipoti non avrebbero mai più calcato la Terra di Mezzo.
E allora qualcosa in Kat si spezzò, mentre la sua coscienza si ritraeva davanti a quella verità come il bordo d'un sottile foglio di carta dinanzi ad una fiamma, e prese una decisione.
– La magia che ti era stata donata non tornerà con te, giacché essa appartiene al flusso e ad esso farà ritorno una volta guarito il tuo corpo.
Le andava bene così, non le serviva alcuna magia.
– Un prezzo dovrà essere pagato. Ogni legame verrà reciso e nemmeno il ricordo sarà conservato, della realtà che sarà abbandonata.
Forse era meglio così, i ricordi l’avrebbero soltanto fatta soffrire ancora di più.
– Il patto è stato sancito, – annunciarono le entità che erano Uno e Tutto – è giunto il tempo che tu riapra gli occhi, Kathrine.


Quando Kat schiuse per la prima volta le palpebre, non capì subito chi, cosa o dove fosse.
L’asettica stanza dalle pareti verde chiaro rifletteva la luce dei neon appesi al soffitto con tale intensità da ferirle gli occhi e la ragazza dovette batter le palpebre con insistenza per mitigarne l’effetto e dar tempo alla pupilla di abituarsi.
Man mano che tornava presente a sé stessa, il bip persistente dei sensori cui era attaccata attraverso appositi cavi iniziò a penetrare attraverso la nebbia che avvolgeva la sua mente, ovattando i suoi sensi. Aveva dei piccoli tubicini che dal braccio pendevano a delle sacche semitrasparenti a lato del letto in metallo e plastica, e delle ombre si muovevano ai lati del suo campo visivo, poco più che delle ombre sfocate vestite di blu.
Una nuova luce le perforò la retina quando una di queste le mosse una piccola torcia a led davanti agli occhi. 
– È sveglia – disse una voce sconosciuta.
Dov’era? Cosa stava succedendo?
– Tranquilla, starai bene – affermò un’altra in tono rincuorante, forse una donna.
Si sentiva così stanca… e vuota.
Quando cercò di parlare scoprì di non riuscirci e neanche lo sentì, il tocco dell’infermiera, quando le iniettò una nuova dose di anestetico nel braccio. Bastarono pochi secondi e Kat sprofondò in una nuova, rassicurante oscurità.


Bilbo osservò le salme dei figli di Durin sfilare dinanzi a loro, verso l’interno della Montagna.
I corpi di Thorin e dei suoi nipoti erano stati accuratamente ripuliti e rivestiti in previsione del sonno eterno che, nelle profondità del Regno di Erebor, li attendeva.
Quando, dopo di loro, passò davanti ai suoi occhi la minuta figura di Katla, altrettanto immobile e pallida, il giovane hobbit non riuscì più a sopportare il magone che gli aveva stretto in una morsa il cuore e, silenziosa, una nuova serie di lacrime gli rigò il volto arrossato dal freddo.
Non c’era stato più nulla da fare per lei.
La seconda notte da quando era stata ferita da Azog il Profanatore, all'improvviso aveva smesso di respirare ed a nulla erano valsi i tentativi degli Elfi di riportarla indietro. Persino quella strana luce vorticante che le aveva visto in passato, ogni volta che gli era capitato di indossare l’anello e guardarla, era scomparsa senza lasciare traccia.
Se n’era andata così, in silenzio, rendendo assoluto e definitivo il vuoto che la morte di Thorin e dei suoi nipoti aveva lasciato nei cuori di tutti loro.
Neanche il suo misterioso sangue di lupo l’aveva salvata.
Era stato allora che Gandalf aveva parlato loro delle vere origini della loro amica, giacché non vi era più motivo per lui né per nessun altro di mantenere il riserbo. Aveva detto loro del ruolo fondamentale che ella aveva avuto, della missione che solo lei avrebbe potuto portare a termine: ristabilire il giusto equilibrio fra forze più grandi di loro.
E ce l’aveva fatta, in qualche modo.
Prima di lasciarli, aveva infine adempiuto al suo compito, riportando il flusso degli eventi al suo posto, qualunque esso fosse.
Bilbo non aveva idea di cosa ciò volesse dire, per la sua mente di semplice ed onesto hobbit della Contea certi affari erano fin troppo complicati. Lui sapeva solo di aver perso degli amici insostituibili e questo era già abbastanza.
In virtù del profondo coraggio e della lealtà che ella aveva dimostrato, non soltanto nel corso del loro viaggio ma soprattutto nella battaglia svoltasi ai piedi della montagna, le era stato concesso il privilegio di condividere il riposo eterno con il figlio di Thrain, per il quale aveva dato la vita, così come avevano fatto Fili e Kili.
Per questo il suo corpo stava venendo condotto all’interno della Montagna Solitaria.
Per questo i Nani dei Colli Ferrosi, nonostante ella non fosse una figlia di Durin, la stavano omaggiando come tale e le avrebbero concesso l’ultimo saluto che avrebbero riservato soltanto ad uno stimato membro della stirpe reale.
Quando la processione verso la camera mortuaria ebbe fine e lo hobbit, terminata la cerimonia e richiuse ermeticamente le porte, uscì nuovamente alla luce del giorno, dovette chiudere gli occhi e concentrarsi per combattere la pena che gli aveva colmato il petto.
– In qualche modo, il mondo non sarà più lo stesso per alcuni di noi..
La placida e roca voce di Gandalf lo raggiunse che lo stregone era già al suo fianco, fermo ad osservare la Valle di Conca ai loro piedi, ed in essa Bilbo colse distintamente la nota di rimpianto per la perdita cui la Compagnia era infine andata incontro.
Sospirò.
– È come se tutta l’allegria sia scomparsa con lei – commentò cupo e demoralizzato lo hobbit, scoccando un’occhiata al volto barbuto dello stregone al suo fianco – ..tornerà mai, Gandalf?
E lo sguardo colmo di saggezza dello stregone grigio tornò a posarsi su di lui.
– La vita proseguirà per tutti noi, a prescindere da quanto buio ci appaia questo giorno, ma non so dirti quando, né quanto questa perdita lascerà un segno nel tuo animo – gli rispose, senza ombra di gaiezza, né ottimismo; solo un grigio pragmatismo – Ma posso dirti, Bilbo Baggins, che non dimenticherò la nostra piccola amica, né ciò che ella ha fatto per noi.
Bilbo annuì.
– Nemmeno io, Gandalf.. – e si volse a guardare gli ultimi sprazzi di luce che andavano scomparendo oltre l’orizzonte – Nemmeno io.





Era già trascorso quasi un anno dall'incidente.
Kathrine s’era ripresa in fretta, così in fretta che i medici non erano riusciti a spiegarselo. La sera prima i parametri erano al limite del critico e la mattina dopo il suo corpo era come tornato alla vita. Non fosse stato per l’intera settimana passata in coma da parte della ragazza, avrebbero creduto ad un malfunzionamento degli strumenti.
Dopo tre giorni trascorsi in osservazione, durante i quali i ragazzi dell’orfanotrofio e persino la Madre Superiora erano passati a trovarla, Kat era stata dimessa a tutti gli effetti dall'ospedale. I soldi tenuti da parte per il suo viaggio erano serviti a pagare le cure mediche, perciò si era ritrovata a dover rimandare i propri progetti d’avventura ed a ricominciare da capo. Grazie a Jane aveva trovato un lavoro come cameriera in una tavola calda e, sapendola senza più un posto dove dormire, la Madre Superiora le aveva proposto di restare in una delle piccole camere del convento per tutto il tempo che le sarebbe occorso. Kat dopo un momento di incertezza aveva accettato, pur di mettere da parte i soldi necessari ed evitare di dormire sotto un ponte, ma non senza pagarle l’affitto: una cifra simbolica, per coprire le spese della sua presenza.
Rimessasi in piedi, erano susseguiti mesi frenetici all'insegna del lavoro, del volontariato presso l’orfanotrofio e delle commissioni che si offriva di fare continuamente per il convento, ma a discapito dei suoi sforzi per arrivare a sera completamente svuotata e spossata, quando si ritrovava da sola entro le mura della sua piccola stanza, giungevano puntuali le crisi di pianto.
Nelle prime settimane dal suo rilascio queste inspiegabili crisi erano state frequenti e violente, ed a Kat occorrevano decine di minuti perché riuscisse a calmarsi. Poi, col passare del tempo, questi picchi di depressione s’erano fatti più brevi e sporadici, ma vi erano ancora momenti in cui l’intenso magone che li provocava le serrava il cuore in una morsa talmente stretta da indurla a credere di essere sul punto di soffocare. Era una sensazione talmente intensa, talmente assoluta, che non era mai riuscita ad averne ragione né a spiegarsene la causa. Sapeva solo che lo schiacciante senso di vuoto che le esplodeva nel petto, in quei momenti di disperazione irrazionale, doveva aver a che fare con il trauma dell’incidente. Sotto consiglio della Madre s’era persino lasciata convincere a incontrare uno psicologo, ma le risposte che aveva avuto erano state solo motivo di ulteriore confusione per lei.
Era come se avesse perso qualcosa di estremamente importante, ma di cui non serbava alcun ricordo.
Per questo ci aveva messo del tempo a riprendere le redini della sua vita.
Non rinunciò mai al suo sogno e alla fine, un bel giorno d’autunno, quasi dieci mesi dopo il suo risveglio, Kat aveva preparato lo zaino, salutato tutti, ed era partita, pronta a riprendere dall'esatto punto in cui aveva lasciato.
Quando la suola delle sue scarpe aveva aderito all'asfalto del marciapiede, subito fuori dal convento, gli strascichi d’un timore irrazionale dovuto al trauma dell’incidente subìto le avevano stretto la gola in un nodo, ma la sua testardaggine e la vivida sensazione di deja-vù che l’avevano colta l’erano andate ben presto in aiuto ed aveva mosso i primi passi lungo la nuova strada. Aveva stretto i denti, come una vera sopravvissuta avrebbe fatto, e per ogni passo portato verso la stazione dei treni aveva avvertito una nuova sicurezza rifiorirle in petto, accompagnata da una vecchia speranza ed una nuova aspettativa.
Da quel giorno erano passate altre tre settimane, durante le quali Kat aveva girato gli Stati Uniti ed aveva visitato i luoghi più rinomati del paese, per concludere con il rinomato Parco Nazionale di Yellowstone. Era stata un’esperienza che l’aveva lasciata un po’ stranita in realtà, giacché pur avendo preso parte ad un’escursione organizzata ed essendo sempre stata circondata da altri turisti, c’erano state volte in cui s’era voltata a cercare... qualcosa fra gli alberi o fra le ombre delle persone che le erano accanto, spinta da un impulso fugace ed irrazionale, del tutto immotivato, che quando passava la lasciava soltanto confusa ed in preda ad un vago senso di frustrazione.
Alla fine, vinta dal tormento interiore che le aveva impedito di godersi appieno quell'esperienza al cospetto del grande spettacolo della natura, aveva fatto rotta verso il Canada, scroccando un passaggio ad una camionista incontrata in una delle tavole calde a ridosso della strada statale. 
Superato il confine, ben presto era giunto il momento di separarsi e Kat, dopo aver controllato un’ultima volta il percorso su una cartina vecchio stile, non mancò di ringraziare di cuore la signora al volante, giacché ella s’era rivelata una compagnia piacevole e piena d’aneddoti interessanti. 
– Sei certa di non voler cambiare idea? – le chiese la camionista – Da qui in poi la strada è lunga. Sicura, che non vuoi tornare al sud? Mi farebbe piacere una compagna di viaggio!
Ma Kat, sorridendole, scosse il capo.
– Grazie lo stesso, me la caverò!
La donna, di corporatura secca e rigida, di quelle che danno l’idea di una vita passata a sopportare le durezze della vita, ricambiò il suo franco sorriso e le augurò buona fortuna.
E Kathrine, ricambiandola, richiuse la portiera del camion e rimase a guardarlo mentre riprendeva la sua strada, allontanandosi verso est.
Una volta scomparso dietro la curva, rimasta nuovamente sola, la giovane allora riempì i polmoni della tiepida e limpida aria autunnale e, col cuore gonfio, si volse verso il cartello che, dall'altro lato della carreggiata, segnava lo sbocco di una delle rare strade secondarie che intercettavano la statale.
Sul legno dipinto c’era l’indicazione per una cittadina di montagna distante alcune decine di miglia verso nord-ovest e Kat, osservando quella nuova via che tagliava di netto l’area boschiva tutt'intorno, s’aggiustò lo zaino in spalla e si avviò in quella direzione.
Voleva vedere le montagne, ancora e ancora. Era un richiamo troppo forte per ignorarlo e Kat, dopo tutti quei giorni di viaggio, aveva rinunciato a comprenderne la ragione ed aveva iniziato a seguire semplicemente il proprio istinto. In fondo, cos'altro aveva da perdere?
Nelle due ore seguenti, mentre il sole iniziava a volgere lentamente alla fine del suo percorso in un cielo insolitamente limpido, non incrociò una sola auto lungo il cammino e la sua ombra si allungò dinanzi ai suoi piedi sempre più, come sospinta dalla leggera brezza che le soffiava dalle spalle.
Persa nel costante moto fisico di quella camminata in solitaria, Kat lasciò vagare lo sguardo più volte fra gli spessi tronchi dei pini che costeggiavano la strada ed iniziò a chiedersi se avrebbe fatto in tempo a raggiungere il paese prima di notte o se sarebbe stata costretta a trascorrerla all'addiaccio.
Non che la cosa fosse una novità: le era già capitato di passare la notte sotto le stelle ed era attrezzata con una piccola tenda ed un discreto sacco a pelo di seconda mano nel proprio bagaglio. Inoltre, pensò meccanicamente, questo le avrebbe senz’altro fatto risparmiare qualche soldo, cosa non da trascurare dato che aveva già dimezzato i suoi risparmi. Avrebbe di certo fatto meglio a trovarsi un lavoretto che le permettesse di sostenersi e metter da parte qualcosa in più, prima di proseguire verso l’ignoto.
Durante una sosta, Kat frugò nel proprio zaino alla ricerca di qualcosa da mangiare. Trovò una barretta proprio sotto l’unico libro che, per chissà quale motivo, non era riuscita a lasciarsi alle spalle. La copertina de Lo Hobbit si piegò docilmente sotto le sue dita, mentre tirava fuori quello che si preannunciava il suo ultimo pasto della giornata. Era una copia vecchia e consunta ed alcune pagine erano slabbrate, ma Kat lo aveva ricoperto di scotch ed aveva lasciato al convento il suo piccolo computer, pur di trovare il posto nel proprio bagaglio e portarselo appresso.
D’altra parte, quel libro era stata sin da subito l’unica cosa che riusciva a calmarla durante le sue crisi. Da tempo Kat aveva smesso di chiedersi il perché, aveva semplicemente accettato anche questo suo nuovo lato di sé ed era andata oltre.
Seduta a lato strada, con lo zaino a farle da cuscino e dando le spalle alla foresta, Kat si ritrovò a fermarsi a metà di un morso mentre veniva assalita da una sensazione di deja-vù che le chiuse improvvisamente lo stomaco. Nel silenzio che la circondava tese meccanicamente le orecchie, ascoltando il frusciare lieve del vento fra le fronde degli alberi ed il lontano gorgoglio d’un torrente.
Il viaggio, la pace della natura, la solitudine. Aveva già vissuto qualcosa di simile, prima.
Serrandosi una mano sul petto, sopra la pesante giacca che in quella stagione l’aiutava a tener lontano il freddo, Kathrine chiuse di scatto gli occhi e, preda di una nuova tensione che le irrigidì gran parte dei muscoli, scosse il capo per scacciare quella sensazione. Se le avesse dato peso, aveva la netta impressione che ad essa avrebbe seguito una delle sue dannate crisi di pianto, così fece del suo meglio per sopprimerla sul nascere.
Basta piangere.
Finì in fretta la barretta al cioccolato e si rimise in cammino.
Se procedeva di buon passo, nel giro di un paio d’ore sarebbe infine arrivata nei pressi di quello che era indicato come un borghetto di montagna. Sollevò lo sguardo al cielo sopra la sua testa e seguì i contorni pieni e d’un arancio rosato d’una nuvoletta intenta ad attraversare la volta sopra la foresta, ammirando ed al contempo prendendo nota del tramonto ormai vicino.
Stava per chiedersi se fosse il caso di proseguire ancora o se avrebbe invece fatto meglio ad accamparsi quando alle orecchie le giunse il lontano ed inconfondibile rumore di un’auto in avvicinamento.
Col cuore in gola, Kat si voltò immediatamente e come i suoi occhi distinsero in lontananza i fari gemelli d’un veicolo in transito in controluce, si morse nervosamente il labbro inferiore e sollevò al contempo il braccio destro nel consueto segno comune a tutti gli autostoppisti: il pollice alzato. 
Quindi, mentre il mezzo si avvicinava sempre più, ella prese a pregare la sua buona stella.
– Ti prego, fa’ che si fermi e che non sia uno psicopatico. Ti prego, fa’ che si fermi e che non mi riduca in pezzettini.. – prese a cantilenare, tenendo gli occhi grigio-verdi incollati sul suo obiettivo ed al contempo continuando a camminare all'indietro, sul ciglio della strada.
Quello che si rivelò ben presto essere un pick-up non più nel fiore degli anni la superò nel giro di mezzo minuto e Kat, seguendolo con lo sguardo mentre le passava accanto, era già pronta a lasciarsi andare ad una sequela di imprecazioni quando le luci dei freni improvvisamente s’accesero. La vettura rallentò e si fermò una decina di metri più avanti e, nella luce del tramonto, la carrozzeria color ruggine rifletté opaca e vivida i raggi del sole calante.
– Grazie al cielo! – mormorò fra sé e sé, rianimatasi.
E fu in quel preciso momento, mentre ella già s’affrettava a colmare le distanze, che la brezza si attenuò e, nella calda e mutevole luce del tramonto, lo sportello si aprì e l’uomo seduto al posto di guida saltò giù dal pick-up con un balzo.
Come il suo sguardo si posò sulla figura di lui, qualcosa in Kathrine reagì a livello inconscio ed il respiro le si impigliò improvvisamente in gola, in risposta ad un’emozione senza nome.
Il passo di lei, da rapido e deciso, rallentò sino a fermarsi in mezzo alla strada.
Perché quello era...
Il cuore stesso le si strinse nel petto ed i suoi occhi si spalancarono quando ne incrociò le iridi chiarissime, di un limpido azzurro ghiaccio, messe in risalto da una chioma corvina ed una corta barba ben curata.
Quello era...
Lui, vestito di jeans ed una consunta camicia a quadri, la guardò di rimando e sul suo volto ella scorse la stessa irrazionale sorpresa che le aveva colmato il petto.
...Thorin.
E gli occhi le si colmarono di lacrime, giacché il suo cuore l’aveva riconosciuto, e le labbra le si schiusero ribelli in un ampio sorriso irrazionale. 
Perché, anche se la mente può dimenticare, il cuore non lo farà mai.


...fine.






~ NOTA DELL'AUTRICE ~

Eccomi qui (in ritardo, lo so, mi spiace ç_ç)!
E' finita.
Non so davvero cosa dire, quel che volevo lo ho scritto lo scorso capitolo ed ora che non ce ne saranno più non ho altro a parte i vari ringraziamenti...
Spero vivamente che anche questo finale vi sia piaciuto e sono curiosa di sapere quale dei due preferite, quindi la mia domanda sarà questa: vi è piaciuto di più il finale originale o quello alternativo?! *_* DEVO SAPERE!
Lol, scusatemi, sono un tipo fin troppo esuberante certe volte. Ad ogni modo, vi volevo solo far notare che, nei capitoli in cui c'erano delle note, ho inserito la possibilità, cliccando sul numerino [1,2,3,ecc.] di arrivare direttamente alla spiegazione a fondo pagina. E' un trucco che ho appreso da Aleera e le ho rubato il codice appena me ne sono resa conto! Scusa carissima, era troppo figo e utile per non usarlo! *-* il bello della programmazione è che c'è sempre qualcosa da imparare!
Detto questo, vi ringrazio ancora una volta per la vostra presenza ed il vostro sostegno ^^ spero che questa storia vi sia piaciuta e vi abbia lasciato un bel ricordo, soprattutto dati i tempi che corrono.
Alla prossima occasione e, nel mentre, tanti auguri per tutto.

la vostra autrice di quartiere,
Kaiy-chan

   
 
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