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Autore: Jashin99    24/02/2021    0 recensioni
Nelle Terre Antiche si incrociano i cammini di due viaggiatrici; l'una una prode guerriera dall'armatura lucente dedita ad un'instancabile ricerca, l'altro un angelo oscuro in fuga dal proprio passato. Sembrano destinate a essere nemiche, ma forse il mondo ha bisogno di entrambe per sopravvivere. Forse l'abisso che le separa non è così profondo... ma potrebbe rivelarsi invalicabile.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Leona, Morgana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mare quella mattina era calmo, come raramente se ne vedevano da quelle parti. La notte prima era stata di tempesta e l’aria umida pungeva fresca, eppure un Sole immemore brillava cheto sopra le sue scaglie azzurre. Era come se un grave male avesse portato con sé la tempesta e poi si fosse inabissato: non diceva per dire, aveva percepito qualcosa di soprannaturale e malefico quella notte; non le era mai successo prima, era come se un terzo occhio che non sapeva di avere si fosse aperto all’improvviso. Per questo era lì.
Ora sembrava tutto tranquillo, niente fuori posto. Forse era stato un falso allarme, non conosceva ancora bene la magia di quella nazione; ma da quello che aveva visto, ne era satura in ogni suo angolo. Un tale potere profano di cui le Scritture non-
Cos’era quello?
Mise un piede sulla superficie diagonale della parete e si lasciò scivolare, finché i suoi stivali non affondarono sul manto sabbioso della spiaggia. Sguainò la spada (meglio non rischiare). Si avvicinò prudentemente, riconoscendo a mano a mano quello che stava puntando. Uno spettacolo a cui aveva già assistito molte volte: un cadavere.
Poteva essere stato semplicemente portato dalla corrente, ma la sua posizione era troppo particolare: sembrava essere emerso dalle onde, per poi cadere e cercare di strisciare con le braccia. Il suo torso era nudo, probabilmente il vestito era stato stralciato dal mare, però una strana massa nera gli attraversava… no, le attraversava il bacino. Una cosa molto lunga, come una coperta; uno scialle? Un mantello?
L’aveva quasi raggiunta: una giovane donna dai lunghi capelli corvini, che ora erano sparsi nella sabbia bagnata, e con le unghie… ben curate. Guardare le unghie era utile per rivelare chi aveva davanti, in questo caso una donna che curava il proprio aspetto, forse addirittura benestante; il genere di persona completamente fuori posto lì, e che in un naufragio andava a fondo per prima. La faccenda si faceva sempre più strana.
Ora le stava davanti. Le onde le bagnavano ritmicamente le suole degli stivali e riempivano il corpo di alghe e conchiglie. Il suo viso, schiacciato per metà nella sabbia e per l’altra coperto dai capelli, era mortalmente pallido.
Non è una coperta, sono ali!” Ali scure da uccello, probabilmente un tempo maestose ma ormai con poche piume lungo lo scheletro; la furia dell’acqua doveva averle spezzate. Che fosse una di quelle creature impure, una vastaya?
Un piccolo movimento attirò la sua attenzione, impercettibile se non fosse stata in guardia. Le sue dita si erano mosse. Allora era ancora viva. Posato di nuovo lo sguardo sul suo viso, vide sulla palpebra aprirsi una fessura e le sue labbra screpolate schiudersi.
Rantolò qualcosa, non era certa che l’avesse vista, forse stava esalando l’ultimo respiro. Attorno a lei vedeva una strana ombreggiatura sfuocata, e poi capì che si trattava la sua aura. Era debole, ma percepiva una traccia della notte prima: era qualcosa di eretico, oscuro, nemico.
E non era ancora morta.

La donna chiuse occhi e bocca e perse i sensi. Lei rinfoderò la spada, sistemò lo scudo sulla schiena e si abbassò su di lei. Scostò una ciocca di capelli, rivelando un orecchio appuntito e una linea di trucco sbavata attorno all’occhio e sulla guancia. Tutto di lei indicava a una creatura delle tenebre.
Le toccò la pelle con un dito, e quella biascicò ancora. Si stava aggrappando alla vita in ogni modo.
Chiuse gli occhi e sospirò.
Stando così le cose…”.



K…
K…
-Cosa guardi, ragazzina?-.
-Uh?- Morgana rialzò lo sguardo sul vecchio che le stava davanti, che ora la fissava con uno sguardo truce.
-A-Ah, chiedo scusa, e-ecco io…-.
Il vecchio grugnì stizzito e strinse rabbrividendo la coperta lurida che lo avvolgeva. Abbassò lo sguardo, segno che voleva dimenticarsi di lei.
-P-Per caso tu sei un… mago?-.
Il vecchio sgranò gli occhi e la guardò come se avesse appena visto un fantasma. L’afferrò poderosamente per un braccio e: -Che cosa hai detto???-.
-No, ti prego, io voglio solo…-.
Il vecchio si guardò intorno per capire se qualcuno li aveva sentiti, ma in quel vicolo c’erano solo altri fantasmi come lui.
-Chi te l’ha detto?- Sussurrò trattenendo la paura.
Lei si sentiva il cuore in gola, stava per scoppiare a piangere e la presa iniziava a far male.
-Io-io posso sentirlo. Voglio solo capire perché dovete vivere così! Cosa vi è successo per…-.
-Cosa ci è successo? Niente, niente!- Esclamò il mago con la bava alla bocca: -Cosa può saperne una ragazzina???-.
-Ah, eccoti qui.-.
-Kayle!-.
Il vecchio si spaventò per la nuova arrivata e la strinse con più forza; ma come incrociò gli occhi della bambina bionda, si acquattò sulla parete nascondendo le mani.
-Morgana, perché continui a giocare con questa gente?-.
Morgana gonfiò le guance: -Non sto giocando, sorella! E non dovresti rivolgerti a loro così!-.
L’altra le rivolse uno sguardo atono, a cui era abituata da tempo: -Stai perdendo tempo qui; e poi dovresti sapere che non gli è permesso di essere liberi.-.
Il vecchio uggiolò e Morgana prese la sorella per le spalle: -Kayle, non chiamare i soldati! Non ha fatto niente di male!-.
-Uff… non ti capisco, se venissi con me alle lezioni impareresti molto di più che andandotene in giro. Coraggio, torniamo da nostro padre.- Si voltò e Morgana sapeva di doverle dar retta. Kayle camminava velocemente ed era più alta di lei, perciò doveva praticamente correre per starle dietro.
-Io voglio… solo… aiutarli!-.
Kayle si fermò, e così Morgana. La strada intorno a loro si fece sfuocata e una luce abbagliante pervase l’aria. Seguendo un impulso irrefrenabile Morgana allungò la mano verso la sorella, ma questa sembrava irraggiungibile. Non le vedeva il volto, ma sapeva che qualcosa stava cambiando.
-Vedi, è questa la differenza tra noi: tu vuoi aiutarli uno alla volta… mentre io li aiuterò tutti.-.
Poi la luce fu troppa.
-Kayle!!!-.
Kayle.”.
Morgana riprese conoscenza senza quasi rendersene conto, furono le ferite ad avvertirla di essersi svegliata. Sentiva il corpo dolere e bruciare al punto che dubitava di potersi muovere. Moriva di sete. Soffriva troppo per essere morta.
Ricordava… ricordava di averla vista un secondo prima di svenire, la sua armatura scintillante come il Sole, e poi basta. Era sua prigioniera? Perché non l’aveva uccisa? Doveva guardare, non aveva altra scelta.
Scorse un fuoco da campo ardere alla sua altezza. Era per terra dunque. Doveva provare a muovere la testa per vedere qualcos’altro, ma anche solo spostare le pupille sembrava uno sforzo enorme.
Un sospiro roco le sfuggì dalla gola. Sentì un’armatura cigolare, e dopo qualche secondo dei passi avvicinarsi.
-Sei sveglia?-.
Non era Kayle: non aveva mai sentito quella voce prima d’ora. Non sapeva se esserne sollevata o meno. La donna misteriosa si fermò davanti a lei, e dal poco che riusciva a vedere aveva un’armatura dorata addosso.
-C…chi…-.
-Non ti sforzare. Il tuo corpo si sta riprendendo in fretta, ma hai ancora la febbre. Riposati per ora.- La voce di una guerriera, dura e malcelatamente ostile. Ah, certo, non aveva un aspetto rassicurante; ciononostante le stava salvando la vita.
-G… zie…-.
La guerriera rimase muta, poi alzò i tacchi. Morgana scivolò di nuovo nel sonno.



Non era umana, e non lo diceva solo per le ali o le orecchie. Quando l’aveva trovata, non pensava che sarebbe sopravvissuta allo stato in cui versava; invece nel giro di due giorni le sue ferite erano quasi tutte guarite. Aveva avuto però il tempo di esaminarle: tagli, graffi, scorticature, bruciamenti, tutte con una traccia magica oscura. No, meglio dire putrida. Del genere che il corpo di una qualunque persona sarebbe andato subito in cancrena.
D’altra parte, se si trattava di una creatura d’ombra, aveva un aspetto molto atipico anche ad un’ispezione più accurata. Poteva quasi passare per un’umana, quindi se era un mostro doveva essere particolarmente potente. Strano allora che venisse attaccata da altri seguaci delle tenebre, e nientemeno ferita gravemente. Una creatura eretica… nemica di altre? Doveva capirci di più.
Si addormentò seduta e si risvegliò così. Ormai le sue ossa erano abituate a dormire in quel modo, quindi non ebbe problemi a rialzarsi. Notò che la sua ospite stava mangiando alcune delle sue bacche con l’avidità di chi si trova davanti un banchetto. Per un secondo pensò di sguainare la spada, ma ci ripensò: ridotta all’osso, si reggeva con una mano e le sue gambe erano rimaste sdraiate, la fame era l’unica cosa che l’aveva fatta muovere.
-Parli la mia lingua?-.
La dama alata si bloccò, accorgendosi di lei solo in quel momento. Mandò giù e sussurrò: -Sì.-.
Beh, questo era strano. Quanti a Ionia conoscevano la lingua Yazic del Monte Targon? Al punto da usarla spontaneamente, come lei la sera prima?
Che sia un’arpia? O un demone magari? Non ho mai sentito di demoni e arpie erbivori…”.
-Hai un nome?-.
-Morgana.-.
-Morgana.- Ripeté lei: -Ti serve qualcosa? Hai sete?-.
Morgana la guardò con i bulbi scavati nelle orbite, e annuì flebilmente.
-Prima voglio essere sicura che non mi attaccherai una volta che ti avrò dato le spalle.-.
-Lo… prometto…-.
-Mh.- D’altronde non le si era nemmeno avvicinata mentre dormiva. Le diede da bere, poco, o avrebbe vomitato tutto. Morgana chiuse gli occhi assaporando il sorso, incurante di stare scoprendo il collo a quella che poteva essere una nemica.
-Gra… zie…-.
Si rimise seduta, fissandola attentamente per studiare i suoi movimenti. Le ali, che sembravano atrofizzate, non si muovevano proprio, ma ogni tanto vedeva i piedi muoversi.
-Quando avrai finito, devo farti alcune domande.-.
Morgana annuì. Mangiata l’ultima bacca, fu lei a parlare con un filo di voce: -Ti devo la vita, e non conosco nemmeno il tuo nome.-.
-Io sono Leona e vengo dal Monte Targon.-.
-Targon… non sentivo quel nome da molto tempo. Leona, non ti sarò mai grata abbastanza…- Le parole diventarono sospiri, Morgana era già senza fiato. Ma Leona voleva le sue risposte, e le voleva ora.
-Come sei arrivata qui? Avevi una barca?-.
-All’inizio…-.
-Quindi hai volato?-.
-S…sì.- Guardò timidamente le proprie ali: -Devo essere caduta.-.
-E da dove sei arrivata?-.
Morgana la guardò intensamente, dietro la stanchezza un occhio esaminatore. La risposta che stava per darle non le sarebbe piaciuta.
-Mi ero rifugiata nelle… Isole Ombra…-.
No, non le piaceva per niente. Per di più le Isole Ombra erano molto a sud, se aveva percorso tutta quella strada con quelle ferite chissà quanto sarebbe stata pericolosa dopo. Sapeva di doversi occupare subito di lei.
Eppure qualcosa la tratteneva dal farlo, se non altro la possibilità che potesse ricavare qualche informazione torchiandola.
-Questa è Ionia?- Domandò flebilmente la corvina.
-Siamo nell’isola di Sudaro.-.
-Capisco.-.
Silenzio.
-Chi è Kayle?-.
Morgana sgranò gli occhi.
-La chiamavi in continuazione quando dormivi.-.
-Kayle era… è mia sorella. Ti avevo scambiato per lei… perdonami.-.
-Era con te nelle Isole Ombra?-.
Morgana rise di un mesto sorriso: -No, non la vedo più da… molto tempo. E un luogo del genere non le s’addice… la amavo molto, ma siamo sempre state… molto diverse.-.
-Parlamene ancora.-.
Morgana distolse lo sguardo: -Non posso… mi dispiace…-.
-Peccato.- Leona si mise in piedi, e quasi subito Morgana percepì la minaccia: -Le Scritture sono chiare, gli esseri come te devono essere uccisi. Tuttavia non capivo come potessi scambiarmi per qualcuno che conoscevi, addirittura tua sorella, ma visto che ti rifiuti di darmi delle spiegazioni…- le si avvicinò, imbracciando le armi. Agiva con calma, poiché vedeva che Morgana era ancora troppo debole per reagire. La donna era stupita da quel rapido cambio di atteggiamento, anzi, sembrava quasi tradita.
-Aspetta… aspetta, per favore.- “Grazie”, “perdonami”, “per favore”, quale demone usava tali termini? Uno molto astuto probabilmente. Ma quale demone poteva fingere… no, aveva già tergiversato a sufficienza.
-Mi hai salvato… la vita, non voglio essere… la causa della tua morte.-.
Ohh! Questa poi!
-Permettimi di aiutarti…- Morgana esalò un profondo respiro e, senza forze, si trovò con la schiena a terra; Leona le era già davanti, spada e scudo imbracciati.
-Dimmi solo perché sei in viaggio… se posso esserti utile in qualche modo lo sarò… ripagherò il mio… debito…- Concluse affannando, e Leona doveva ammettere che i suoi sforzi le valevano la sua compassione. Ma come poteva Morgana aiutarla a… anche se…
-Sono in viaggio alla ricerca di una persona. La perdizione in cui è caduta la sua anima potrebbe averla spinta fino alle Isole Ombra. Dimmi, la conosci forse?-.
-Una persona… di Targon? No…- Ammise. Curioso che non mentisse per avere salva la vita.
-Ma se è come te posso… aiutarti a trovarla…-.
-Come me?- Doveva badare meglio alle proprie parole.
-Tu hai… raggiunto la vetta… vero?-.
Leona socchiuse gli occhi: -Come lo sai?-.
-Lo posso sentire… non sei come nessun’altra persona che… che abbia mai incontrato…-.
-Quindi mi stai proponendo di aiutarmi a cercarla? E perché dovrei fidarmi?-.
-Prendi tutte le precauzioni che vuoi… ammanettami, legami… quando avrò saldato il mio debito potrai fare ciò che vorrai…-.
La parola di un demone non valeva molto, ma era pur vero che al momento Leona non aveva molte piste da seguire. Squadrò attentamente la donna ai propri piedi, valutando se salvarle la vita una seconda volta.
-Molto bene.-.



Il primo giorno di cammino non fu facile: Leona non dava cenno di preoccuparsi se poteva o no tenere il suo passo, la strattonava per la corda obbligandola a seguirla. Camminarono ai piedi delle montagne, in uno spazio dove cresceva una macchia verde.
Che umiliazione, e che ironia: per la prima volta dopo secoli si era ritrovata con le ali libere, e poco dopo l’intero suo corpo era incatenato. Le energie che stava recuperando forse le avrebbero permesso di soggiogarla, ma Leona dava tutta l’aria di non essere persona da farsi sottomettere facilmente. Inoltre, nonostante tutto, non voleva combattere con lei, non dopo che le aveva salvato la vita.
Chissà se Kayle… no, Kayle al suo posto non ci avrebbe pensato due volte a ucciderla. Invece quella Leona era capace di compassione, come la Kayle di un tempo.
Le ore passarono lente, per tutta la giornata non si scambiarono parola; ogni tanto Leona si girava per controllarla, ma tutto lì. La sera le diede qualcosa da mangiare, solo perché il giorno dopo potesse camminare. Si mostrò stizzita quando la ringraziò, e Morgana si ripromise di non farlo più.
La notte fu tormentata da incubi; non come il sogno della volta prima, erano molto più recenti, popolati da spettri, disperazione, stridore di ferri e denti, nemmeno l’oscurità le diede pace. La sveglia fu rude e si rimisero subito in marcia; se voleva abbandonare l’isola, Leona doveva avere una barca ormeggiata da qualche parte.
Leona… cercare di scrutarla era come guardare il Sole. Doveva essere per colpa dell’armatura e del qualunque-cosa-fosse che l’abitava. Le aveva mentito: aveva conosciuto un’altra persona con il suo stesso fardello, e parte di esso era sulle sue spalle. Ma per il resto era imperscrutabile.
Il secondo giorno passò come il primo, con le ferite che però miglioravano, e il terzo pareva essere lo stesso; all’improvviso però Leona si fermò e le fece cenno di non fare rumore. Morgana aguzzò le orecchie: assorta nei suoi pensieri, non si era accorta dei suoni che provenivano poco distante, in mezzo agli alberi. Erano voci di persone, ma di una lingua dura, aspra, che non capiva; un’altra persona parlava una lingua diversa, più melliflua, e dal tono sembrava stare implorando. Dei banditi?
Leona la strattonò con forza, obbligandola a mettere la faccia contro un albero; poi lanciò in aria la corda e la attorcigliò attorno a un ramo, quindi la prese per la nuca e le fece piegare la testa in avanti, insaccandola tra le braccia alzate. Qualche secondo dopo sentì che le metteva delle foglie sulla base del collo.
-Se ti muoverai lo saprò.- Le prime parole che le rivolgeva da due giorni, e ancora quel tono orrendamente spietato: lo aveva già sentito parecchie volte uscire dalle labbra di sua sorella. Si morse il labbro, soffocando la rabbia. Leona si incamminò nel bosco, lasciandola sola; poco dopo, sentì il rumore di lame che cozzavano in tintinnii metallici, troppi perché fossero solo due avversari a combattere.
Prese la sua decisione.



L’uomo la attaccava con la spada imprecando nella sua lingua impura, che sembrava il latrato di un cane a cui avevano tagliato coda. L’altro guerriero cercava di aggirarla, mentre la donna sferzava colpi di catena e il balestriere colpiva ripetutamente il suo scudo. Un bel gruppetto ben organizzato.
KLENG KLENG
Rimase per qualche secondo a scambiare colpi di spada, e proprio quando il secondo pensava di poterla attaccare al fianco, scartò entrambi con una piroetta e puntò la spada contro il balestriere; quello che videro da fuori fu una lama di luce che lo colpiva in petto e lei che in un battito di ciglia si era spostata davanti a lui. L’uomo la guardò spaventato e Leona lo stese con una testata.
Un colpo di catena più forte degli altri si abbatté sulla sua schiena, facendola gemere. Voltatasi, dovette difendersi dalla carica dei due spadaccini, che tenne alla larga con lo scudo. La creatura dentro di lei, la proprietaria della sua armatura, le diceva di ucciderli, ma se avesse liberato i suoi poteri avrebbe potuto ferire l’ostaggio: lo stolto era ancora a terra, troppo attonito per muoversi.
KLENG KLENG KLENG
Una lama la colpì alla gamba, e Leona si piegò di conseguenza. Alzò lo scudo sopra la testa parando il fendente di quello grosso, e lo spadone rimbalzò tanto era stato forte. Prima che l’altro potesse rialzare la spada, gli aveva già ricambiato il favore, ed ora era anch’egli inginocchiato. Incrociò i suoi occhi rabbiosi, a cui rispose con un ghigno compiaciuto. Dopodiché rotolò di lato e si mise alle loro spalle; mentre si voltavano e lei si rialzava, con un ridoppio dritto mozzò la testa del bestione, il cui corpo cadde in avanti inondando il terreno di sangue.
Sentì un urlo femminile disumano e vide la donna piombarle addosso, senza più la catena ma con una lama corta in mano e le lacrime sulle guance. Chi aveva ucciso? Suo fratello? Suo marito?
Parata, parata, parata, le loro lame si incrociarono più volte; Leona provò a colpirla con uno scudo, ma l’avversaria era abbastanza agile da schivarlo ogni volta. Si allontanarono, guardandosi in cagnesco. Quello ferito al ginocchio disse qualcosa, e la donna rispose strillando come un’aquila. Il senso era chiaro: “lei è mia!”.
-Non ci saranno altre albe per nessuno di voi.- Le disse, senza curarsi se l’avesse capita. Lo scontro riprese, ma stavolta Leona lo avrebbe chiuso in fretta. L’energia antica che dimorava dentro di lei illuminò la sua armatura fin quasi ad accecare la nemica, e poi esplose in un onda luminosa che la mandò gambe all’aria. Con un gesto sicuro Leona alzò la spada per darle il colpo di grazia, ma qualcosa di piccolo e veloce la colpì tra lo spallaccio e il collo, dove l’armatura era meno coperta. Un dardo, che aveva bucato l’armatura e l’aveva ferita di striscio, ma quel tanto che bastava da interromperla.
Lo spadaccino le si gettò addosso urlando, certo che non avrebbe reagito in tempo. Che assurdità. Parò con lo scudo e un lampo luminoso uscì dalla sua sommità, stordendolo quel secondo che bastava per affondare la lama sul suo petto. Il tempo si fermò per un istante, mentre lo guardava rendersi conto di essere ormai un cadavere ancora in piedi. Emise un gemito e si piegò verso di lei, senza però che la vita lo abbandonasse ancora. Leona vide il balestriere preparasi a colpire di nuovo e la donna riaversi dalla botta, così spinse in avanti il nemico che investì quest’ultima, facendola ricadere, e ancora con lo scudo respinse la freccia successiva. Superò i due nemici a terra e si diresse verso il terzo, che terrorizzato cercava di ricaricare; diede una spazzata secca e balestra, dita e sangue caddero a terra. L’uomo urlò di dolore, inciampò e scivolò a sua volta. Prima che potesse infierire, però, la donna urlò di nuovo e sentì un tonfo alle proprie spalle come di qualcuno che cadeva.
-Leona, fermati!-.
Leona si voltò furiosa: la brigante era a terra, avvolta da delle specie di catene tinte di tenebra, e Morgana con la mano alzata la guardava implorante.
-Ti avevo detto…- Iniziò lei rabbiosa.
-Non c’è bisogno di ucciderlo! Risparmiagli la vita!-.
Quelle parole la fecero infuriare. Ecco la malvagità scoperta: chiedere pietà per un assassino! Morgana era tale e quale a loro! Ma prima di lei si sarebbe occupata di chi era già a terra.
Il bandito cercava di allontanarsi da lei scalciando e muovendo le spalle, come uno scarafaggio capovolto, senza riuscire a ricordarsi come si faceva a camminare. Ripeteva qualcosa con il cuore in gola, suppliche di certo, suppliche che anche se avesse capito non gli sarebbero valse a nulla.
La voce di Morgana la infastidì di nuovo: -Te ne prego, sii magnanima come lo sei stata con me! Leona, ti prego!-.
Voleva la sua attenzione? Bene! Con un calcio in fronte, dove già sanguinava, stordì il criminale e si voltò di nuovo verso la sua prigioniera.
-O cosa? Userai anche su di me la tua magia delle ombre? Finalmente mostri la tua vera faccia!-.
Ma la sua vera faccia non era quella che si aspettava: non una maschera di male e odio, ma un’espressione di supplica. Le mani erano aperte verso di lei, cercavano anche loro di calmarla. Se voleva attaccarla, certo doveva essere un attacco bislacco.
-Guarda il loro prigioniero, guardalo!- Leona spostò lo sguardo sull’uomo ancora a terra, facendo caso solo allora del sangue che gli usciva dietro la nuca. Vestito leggero con della pelliccia, doveva essere un cacciatore del luogo; e la fissava come se avesse davanti a sé un mostro. Era un ragazzo molto giovane, sui vent’anni. Probabilmente si era pisciato addosso.
-Non è abituato a tutto questo, è solo un ragazzo spaventato! Non mostrargli il lato di te che non sei!-.
Leona aggrottò le sopracciglia e serrò i denti, la creatura dentro di lei scalpitava per incenerire la dama alata; ma non riusciva ad ignorare le sue parole e ancor di più lo sguardo terrorizzato del ragazzo. La donna incatenata ancora si agitava, ma il suo pianto copioso non era mosso dalla rabbia; e intanto guardava disperata la testa mozzata al suo fianco. Non sembrava più la bestia che aveva affrontato poco prima.
Distruggerli tutti, distruggerli ora; avrebbe potuto farlo. Ma poi si ricordò di quando era scesa dal Targon, di quando aveva visto l’operato di Diana. Riluttante, avvelenata, abbassò la spada.
Morgana sospirò di sollievo.
-E ora sentiamo, cosa proponi? Lasciarli liberi magari? Liberi di commettere altro male?-.
-No.- Morgana mosse un passo, al che Leona mosse la spada, e quindi rallentò, mostrandole ogni movimento che faceva. Dai suoi polsi uscirono due catene nere, una entrò nel petto della donna e l’altra la oltrepassò e fece lo stesso con dita-mozze. I due urlarono come se andassero a fuoco, mentre Morgana restava immobile con gli occhi chiusi.
-Che stai facendo? Che magia stai usando?- Si cibava della loro anima? Assorbiva la loro forza? Stava oltrepassando il limite, ma come si mosse per raggiungerla sentì il ragazzo dire in Velariano: -La Dama Velata!-.
Chi?
Morgana riaprì le palpebre e i due smisero di urlare. Il volto diffidente e livido di Leona incrociò quello triste ma deciso di Morgana.
-Hanno patito tutto il dolore che hanno inflitto ad altri. Non saranno mai più gli stessi di prima.-.
-Chi sei tu?-.
-Il ragazzo vivrà in un insediamento qui vicino. Portiamoli da loro, e ti prometto che ti dirò tutto quello che vuoi sapere.-.
Ancora una volta sfidava la sua tolleranza, nascondendo la propria arroganza dietro a una falsa umiltà. Ma sembrava davvero intenta a rispondere alle sue domanda; inoltre il giovane aveva sicuramente bisogno di cure.
-Tu.- Gli disse: -Puoi muoverti?- il cacciatore si alzò lentamente e annuì. Leona mise via le armi e lo aiutò a sorreggersi; eppure non le sembrava riconoscente, ma solo ancora molto spaventato, e per di più da lei.
-Non ti farò del male.-.
-E… e loro?- Chiese titubante.
-Loro?- Si rivolse a Morgana: -Dato che la mia catena non ti trattiene più, usala tu. Ti sei fatta peso delle loro vite, perciò sarai tu a trascinarli.-.
Morgana non rispose, ma chinò solamente la testa. Rimorso, sollievo o condiscendenza che fosse, sapeva che era il suo compito.



Un altro giorno e mezzo di strada. La contusione del cacciatore fortunatamente era meno grave di quanto sembrasse, e i due incatenati camminavano mesti dietro di lei; da prigioniera Morgana era passata a carceriere, ma cercava di non sforzarli più del necessario. Non le parlarono mai, anzi, come sospettava erano intimoriti da lei; ma sapeva anche che in cuor loro li ringraziava, e non solo per aver convinto Leona a risparmiarli. No, era per il dolore che aveva inflitto loro. Il dolore non era solo una punizione: era catartico, l’inizio della redenzione. Il dolore era la lingua universale degli esseri umani: tutti lo provavano e tutti lo temevano, e lo temevano per il cambiamento che portava. Subire e affrontare il dolore voleva dire morire e rinascere, che era quello che stava succedendo a loro in quel momento. Ma il lutto per i compagni caduti era ancora soverchiante, e non poteva escludere tentativi di vendetta; fortunatamente non ce ne furono.
Infine arrivarono a destinazione: un villaggio costiero mediamente abitato. Dopo lo sbigottimento generale, la matriarca del luogo le ringraziò per aver salvato il loro cittadino e avere catturato i due Noxiani. Morgana vedeva rancore animare gli occhi degli abitanti: ignorava la storia di quel luogo, e di Noxus ricordava solo una città lontana da Demacia, non certo lo Stato militare che doveva essere diventato. Offrirono loro una ricompensa, ma entrambe rifiutarono. Dopo qualche insistenza, accettarono di riposarsi lì e ripartire il giorno seguente; Morgana poté indossare qualcosa di migliore dei panni che le aveva dato Leona, anche se era abituata a ben altri abiti. Pazienza. Una volta lasciate sole, la tensione divenne palpabile. Morgana non sapeva se doveva offrirle i polsi per venire legata di nuovo, o aspettarsi un’aggressione.
Leona le fece cenno di seguirla fuori dal villaggio, e si fermarono in un luogo isolato. Il Sole era quasi sparito dall’orizzonte e la Luna le osservava dall’altro.
-Dimmi ciò che voglio sapere.- La lingua della Targoniana era carica di fiele.
-Leona…-.
-Non pronunciare il mio nome. Perché ti ha chiamata “Dama Velata”?-.
-Un tempo ero nota così a Demacia. Non sapevo che anche Ionia conoscesse la mia storia. Io e mia sorella Kayle abbiamo guidato il popolo Demaciano quando ancora non si chiamava così: lei era il giudice e il condottiero, la sua spada calava implacabile sui nemici di Demacia; io ho sempre cercato di salvare quante più persone possibili.-.
-E come? Non mi sembra che tu abbia fatto molto se non farli gridare di dolore.-.
-Io… li libero dal dolore attraverso il dolore. Negare il proprio dolore vuol dire essere schiavi di esso, spinge una persona a compiere il male per cercare di allontanarlo da sé; ma se si realizza davvero il dolore che si è inflitto agli altri, se lo si prova con ogni angolo del cuore, anche l’animo più corrotto può guarire.- Ma questo aveva il sospetto che Leona lo avesse già capito. Che lo accettasse però era tutt’altro discorso.
-Ed è quello che cercavi di fare anche nelle Isole Ombra?- Chiese sarcastica Leona; ma Morgana rispose seriamente: -Con loro è diverso, erano semplicemente anime torturate. So che ti sembra incredibile ma credimi, hanno bisogno di aiuto! Qualcosa le ha intrappolate in un ciclo di morte e sofferenza, qualcosa di straordinariamente potente, ma loro non sono malvagie!-.
Leona si incupì a quell’affermazione.
-Non sono malvagie? Ah, forse rinchiusa nel tuo antro non sapevi che vagano periodicamente per le terre e le città mietendo centinaia di vittime innocenti! La chiamano… Mietitura mi pare. L’unica morte e sofferenza che vedo è quella che infliggono agli altri! Che si fermino altrimenti, che si fermino e si lascino uccidere se davvero vogliono essere liberate! No: sono creature crudeli e maligne! E tu mi stai dicendo non che vuoi difendere loro, invece che gli altri da loro?-.
Morgana scosse concitatamente la testa: -Non è così!-.
-E quei due Noxiani? Pensi di averli curati? Pensi di averli salvati? Sei cieca forse, non vedi che li vogliano morti più di me? Oh, forse non sai nemmeno dell’invasione che hanno portato su queste terre! Credevi che fossero caduti dagli alberi o spuntati come funghi?-.
-Combattere una guerra non ti rende malvagio! Dove tu vedi dei soldati invasori, io vedo delle persone mandate a morire che vogliono solo tornare a casa! E se non ci riescono cosa diventano, che speranze hanno?-.
-Non so sei vuoi ingannarmi o sei tanto stupida da crederlo davvero! Hai visto tu stessa che hanno quasi ucciso quel ragazzo!-.
-Non giustifico le loro azioni, ma capisco la loro paura! Non sono dei demoni, sono delle persone come chiunque altro, sole e spaventate! E poi sei davvero sicura che volessero ucciderlo? Perché non sul colpo allora, perché limitarsi a stordirlo? Forse volevano solo scappare da lui, forse se lo sono trovati davanti e sono andati nel panico!-.
Leona diventava sempre più furiosa a ogni sua parola, ma Morgana non poteva e non voleva rimangiarsi niente: -Come, come puoi decidere che meritassero la morte senza neanche sapere chi fossero, cosa avessero fatto, perché lo avessero fatto?-.
Leona strinse i denti, poi entrambe sentirono il sibilo di un serpente per terra. Con un gesto netto la rossa lo afferrò con una mano e glielo porse: -Una serpe resta una serpe anche se provi a convincerla del contrario: non importa se la accudisci o le vuoi bene o le metti un fiocchetto addosso, è capace solo di uccidere. Tu, se vedessi una serpe mordere qualcuno, ti metteresti nei suoi panni, proveresti pena per lei; invece io non cerco di capire il male…- il serpente si divincolava e mordeva il braccio della sua armatura; Leona allora strinse la presa con forza e sangue verde schizzò dappertutto. Lasciò cadere l’animale continuando ad fulminare Morgana con lo sguardo, che dalla sua non mostrava timore. Non era così impressionabile.
-…Io lo stermino. E quando vedo il Sole tramontare so di avere reso il mondo un posto migliore così facendo. Se gli abitanti del villaggio fossero mossi da buon cuore e li lasciassero andare, qualcuno di innocente morirebbe per mano loro: ma tu sei troppo stolta da ammetterlo!-.
-Ti sbagli. Tu non hai visto il loro dolore, non hai sentito la rabbia che li affliggeva, io sì! Non ti biasimo per averli uccisi mentre combattevi, ma prima o poi sarà la tua sete di giustizia a uccidere qualcuno che non lo merita! Non vedrai altro che un malvagio da sterminare, e quando ti sarai resa conto del tuo errore sarà troppo tardi!-.
-Per allora cento innocenti saranno morti per aver risparmiato chi non se lo merita!-.
-Una seconda possibilità, si tratta solo di quello!-.
-Non la meritano!-.
-Tutti ne meritano una!-.
-NON DIANA!!!- Leona aveva pronunciato queste parole perdendo ogni traccia di controllo, pestando a terra e spiaccicando il corpo del rettile sotto lo stivale. Quell’urlo le aveva tolto il fiato e aveva lasciato Morgana senza parole.
Era stata una stupida: così affascinata dall’armatura attorno al suo corpo da non vedere quella che celava il suo cuore.
-Io…-.
-Basta! Non…- Leona riprese fiato, ma era ancora agitata, e le sue dita fremevano per prendere la spada: -non un’altra parola, o ti taglierò la lingua. Fammi supporre che vuoi usare di nuovo la tua magia e ti taglierò le mani. Mi aiuterai a trovare Diana e farò ciò che devo, ciò che è giusto fare; ma non mi tedierai più con i tuoi sofismi.- si voltò e si incamminò verso il villaggio.
Ora Morgana capiva.
-Mi dispiace per il tuo dolore.-.
Leona si fermò per un momento senza voltarsi, e poi riprese a camminare.



La barca scivolava tra le onde spinta dal vento, lasciandosi dietro una scia lucida che contrastava con le increspature del mare. Il Sole era alto in cielo, sembrava che le stesse parlando, che la abbracciasse con i suoi raggi. Si sentiva forte, invincibile quasi. Soprattutto, si sentiva nel giusto.
Un pesce guizzò fuori dall’acqua e vi si rituffò subito, un pesce che non aveva mai visto, l’ennesima strana creatura di quelle isole; e così gli uccelli dal piumaggio bianco e il becco gonfio che solcavano ripetutamente il cielo, per poi tuffarsi all’improvviso e volare via con il cibo in bocca.
No, non strane. Impure.” Ionia sembrava coesistere con una magia malefica, qualcosa di cui le Scritture non l’avevano messa in guardia. Una magia all’apparenza innocua, ma che nascondeva il marcio; e le persone di lì erano tanto cieche e insensate da ritenerla una benedizione. Per questo sapeva che Diana era lì, era sempre stata attratta da ciò che non capiva essere sbagliato.
Però il Sole illumina questa terra… da esso trae la sua forza… tsch! Che stupidaggine! Essa ne è un parassita, è l’unica verità possibile!”.
Altri pesci saltarono fin quasi alla sua altezza. Li vide bene, anche se solo per un attimo: splendide pinne color arcobaleno, occhi dorati, squame lucide, a cui il Sole dava un aspetto quasi divino grazie ai mille luccichii delle gocce d’acqua che li circondavano. A Targon i pesci dei fiumi erano molto più brutti.
Con la coda dell’occhio vide Morgana sporgersi in sua direzione, e capì di essersi imbambolata. Si voltò con un gesto secco: quel posto era un lento veleno che voleva corroderla, e la Dama Velata il serpente che la mordeva.
Mi dispiace per il tuo dolore.
Che ne sapeva… No, basta! Scacciò via quei pensieri, le davano noia. Tornò a concentrarsi sulla navigazione, ripromettendosi di non badare più ad altre creature marine; ed ecco in rapido avvicinamento il porto di Tuula, da cui era salpata più di una settimana prima.
-Preparati a scendere.- Disse senza attendere una risposta. Quando arrivarono ormeggiò la barca e le venne incontro il noleggiatore che gliel’aveva data, che le porse parte della somma che aveva pagato, come da accordi.
-Allora, vi è piaciuta l’Isola di Sudaro? Chi è la vostra compagna?-.
-Nessuno che ti interessa. Addio.- Si allontanarono, ma a Leona non sfuggì lo sguardo torvo che pensava di averle rivolto di sottecchi. Inoltre, un’altra cosa non tornava: aveva dovuto insistere molto per farsela prestare, visto che era “l’unica barca che aveva”, eppure il borsello da cui aveva tirato fuori i soldi sembrava un po’ troppo carico. Le due cose separate erano un conto, messe insieme facevano venire un sospetto.
Difatti, come uscirono dal villaggio, Leona si rese conto di aver avuto ragione. Guardò Morgana, che scosse leggermente la testa: non c’entrava, le diceva. Avendola sempre tenuta d’occhio, probabilmente non mentiva. Nonostante tutto continuarono a camminare, finché i loro inseguitori non si palesarono.
Leona socchiuse gli occhi: non era tanto il numero a sorprenderla (una decina) ma i loro abiti neri e rossi con maschere che lasciavano scoperti solo gli occhi, a parte un ragazzo a petto nudo dai capelli blu e neri e con una macchia scura attorno all’occhio sinistro; fu lui a pararsi davanti al loro cammino e a puntarle con la sua enorme ed intarsiata falce viola, con un ghigno beffardo sulle labbra.
-Ehilà, straniere, cosa vi porta in questi luoghi?- Chiese in Velariano con torno superbo.
-Siamo solo di passaggio.- Quindi lasciaci passare.
-Uno dei nostri era con te all’isola di Sudaro qualche giorno fa, però non si fa sentire da un po’: non è che l’hai visto?-.
Leona si prese qualche secondo per rispondere: -Se il vostro amico era vestito da contadino e mi stava seguendo, allora l’ho ucciso.- a quelle parole sentì Morgana sobbalzare (non ne sapeva niente visto che era successo tutto il giorno prima che la trovasse).
Il ragazzo con la falce invece fece una smorfia di disappunto; continuava a tenere la falce distesa reggendola con un solo braccio, eppure non sembrava minimamente stanco.
-E come mai l’avresti fatto?-.
-È semplice: mi sono accorta che mi inseguiva e l’ho invitato a farsi avanti. Lui ha reagito attaccandomi, non mi ha lasciato molta scelta.- Quest’ultima parte dando un’occhiata a Morgana, così che capisse che… aspetta, che le importava cosa pensava lei?
-Mmm. Effettivamente era un po’ troppo precoce. Era a caccia di alcuni Noxiani che si nascondono lì, di loro sai qualcosa?-.
-Stai facendo un sacco di domande senza nemmeno presentarti, ragazzino.- Rispose arida lei: -Ostacoli il mio percorso e cerchi di intimidirmi mostrando la tua arma. Non conoscete l’onore qui a Ionia?-.
Il ragazzo diventò serio come una lapide e abbassò la falce: -Hai ragione, noi siamo l’Ordine dell’Ombra. Il mio nome è Kayn.-.
-Kayn!- Esclamò incredulo uno dei guerrieri; Kayn lo fulminò con lo sguardo: -Non ha senso nascondere le nostre identità, una come lei le scoprirebbe in pochi giorni.-.
Gli riconosceva un certo intuito.
-E poi, dov’è finita la nostra cortesia? Non siamo loro nemici, no? Allora, i Noxiani?-.
-Sta a me presentarmi ora.- Rispose invece lei, con una certa scocciatura di Kayn: -Sono Leona e la mia accompagnatrice è Morgana. Per quanto riguarda i tuoi Noxiani…- Sentì lo sguardo fisso della corvina addosso: -…non penso siano affari che vi riguardano. Se il vostro compagno non è stato in grado di trovarli mandate qualcun altro.-.
Visto? Puoi respirare di nuovo, Morgana.”.
-Ora, non c’è motivo di mostrare tanto disprezzo, cara Leona.- Replicò irritato Kayn: -Anche se non sei di questi luoghi, dovresti sapere che i Noxiani non meritano la tua pietà.-.
Le veniva da sorridere a pensare a ciò che stava pensando Morgana in quel momento. Invece rimase atona: -Forse, ma nemmeno voi mi sembrate dalla parte del bene. Non mi dispiace vedere il male distruggersi da solo, ma non ho intenzione di averci a che fare, ragazzino.-.
Kayn arricciò le labbra: -Va bene.- sospirò dopo qualche secondo.
-Cercate di non uccidere quell’altra.-.
I guerrieri si mossero insieme, ma non per venirle incontro: le lanciarono dei pezzi di metallo appuntito che rimbalzarono sulla sua armatura e sullo scudo. A giudicare dal rumore che fecero, però, un’armatura normale sarebbe stata quantomeno intaccata. Alle sue spalle sentì Morgana muoversi e una sfera di magia nera colpì Kayn, che si ritrovò legato alle catene d’ombra che Leona aveva visto addosso alla Noxiana.
I guerrieri allora si decisero a farsi avanti, giungendo da tutti i lati; Leona non aveva intenzione di aspettarli, e colpì uno con la proiezione lucente della sua spada. Seguendo la scia dei raggi solari, gli si piazzò davanti, e il suo slancio fece il resto. La donna si spostò di lato, lasciando cadere il corpo, mentre gli altri la raggiungevano: quattro in tutto, gli altri circondavano Morgana.
Leona convogliò l’energia del Sole nella sua armatura, che brillò intensamente; con sua sorpresa però, il dover chiudere gli occhi non sembrava un peso per i suoi avversari, che si mossero senza esitazione.
KLENG KLENG KLENG
I loro colpi erano decisamente più veloci di quelli dei Noxiani, anche se mancavano della loro forza. Leona arretrò, sentendo l’inequivocabile dolore di un taglio sulla guancia destra. La cosa peggiore era che non si era accorta di quale nemico l’avesse colpita. I quattro si fecero avanti di nuovo e Leona liberò la magia dell’armatura in un’onda d’urto, ma invece che cadere piroettarono in aria e l’accerchiarono.
Pare che li abbia un po’ sottovalutati. Dovrò usare il potere del Sole senza remore.”.
-Argh!- All’improvviso i nemici furono colti da uno spasmo, che Leona riconobbe subito: delle catene nere infatti uscivano dalle loro schiene, catene che uscivano dal corpo di un’ansimante Morgana. La sua prigioniera era anch’essa ferita al viso e a un braccio, e quest’ultima sembrava piuttosto profonda.
-Li tengo io… tu pensa a…- Il rumore di catene che andavano in frantumi la interruppe, e Leona si rivolse a Kayn.
-Visto Rhaast? Te l’avevo detto che mi sarei liberato!-.
Leona gli si avvicinò cautamente, puntandolo con la spada; Kayn fece roteare la falce dietro la schiena e le si scagliò addosso urlando; quando fu alla sua portata, invece che colpirla dall’alto in basso, fece una giravolta su sé stesso mirando al seno destro, dove non aveva lo scudo a difenderla. Sentì la punta graffiare l’armatura e poi scivolare via, e le bastò una rapida occhiata per vedere il danno che aveva lasciato.
Kayn alzò di nuovo la falce, ma stavolta fu pronta a rispondere: fece brillare lo scudo stordendolo per un secondo così da potersi avvicinare di più e poterlo colpire con la spada.
KLENG
Kayn allargò la presa sull’arma e usò il manico per parare il suo fendente, anche lui incurante dell’accecamento. Se si considerava poi che Leona non aveva mai combattuto contro una falce, non era il suo avversario ideale.
-Kh!- Non si perse d’animo e fu lei a piroettare per colpirlo al fianco, ma lo trovò di nuovo pronto e vanificò i suoi sforzi allo stesso modo di prima; ora però che la sua falce era in verticale diede una spinta verso il basso per colpirla alla testa, ma lei si scansò quello che bastava per reindirizzare la falciata con lo scudo. Sentì il ferro stridere sul ferro e poi graffiare l’aria. Kayn indietreggiò perdendola di portata, segno che probabilmente stava per scattare di nuovo.
Si sbagliava.
Con l’ennesima acrobazia diede un montante all’aria davanti a sé, e una specie di scia rossa la investì in pieno petto, mozzandole il fiato. Sgranò gli occhi per l’inattesa mancanza di ossigeno, e Kayn approfittò del suo momento di debolezza per ripetere l’azione di poco prima, scatto e giravolta. Leona lasciò cedere le proprie ginocchia e sentì i capelli alzarsi per la ventata d’aria poco al di sopra, poi spaccò il ginocchio del ragazzo con lo scudo.
-Urgh!!!- Kayn letteralmente saltò via usando l’altra gamba, e Leona si sbrigò a rimettersi dritta; con enorme stupore, vide che invece di atterrare il ragazzo fluttuava a due metri d’altezza, circondato da un alone scuro.
-Bene, sembra proprio che dovrò fare sul serio.- Un cerchio azzurro si accese sul lato della lama e le ombre avvolsero Kayn, dissipandosi dopo un secondo. Il suo aspetto era lievemente cambiato, ora i capelli gli arrivavano fino al bacino e la pelle, già pallida, aveva perso di ogni colore.
È un demone! Non devo lasciare che sopravviva!”.
-Non ci saranno altre albe per te!-.
Kayn le volò incontro e Leona alzò lo scudo per difendersi; ma il nemico la ignorò completamente e la superò. Leona si voltò di scatto e gli lanciò contro l’immagine solare della spada.
Morgana urlò. Le catene si dissolsero come fumo nell’aria e i guerrieri caddero svenuti a terra. Leona vide la donna cadere indietro e Kayn sopra di lei massaggiarsi il mento ustionato, per poi alzare l’arma.
-Maledetto!!!- Si spostò su di lui e la falce vibrò in sua direzione, impattando sullo scudo; Leona la scansò e diede un affondo, ma seppur di poco Kayn era fuori dalla sua portata. Quello che successe dopo fu un’accozzaglia di attacchi e giravolte, lame davanti agli occhi, tagli che si aprivano sulla pelle, occasioni mancate e opportunità colte. Sembrò durare un’eternità, ma forse fu solo una manciata di secondi. Alla fine, Leona riuscì a conficcare la spada tra gli addominali di Kayn, ma la falce calò sulla sua spalla e scavò nella scapola sinistra. I due contendenti si ritirarono, l’uno volando e l’altra camminando, valutando le proprie ferite.
-Piantala di parlare!- Sbraitò Kayn, anche se Leona non stava parlando: -Non mi serve il tuo aiuto Rhaast!-.
Con chi stava parlando? Possibile… un occhio? Quello che prima aveva scambiato per un cerchio era un occhio aperto!
Questa sensazione! Non ho mai provato una cosa simile! Che diavolo è quell’attrezzo infernale?”.
Qualcuno si mosse alle sue spalle, qualcuno di leggero e furtivo. Si girò e lo colpì in faccia con lo scudo, forse uccidendolo o forse solo facendolo svenire. Gli altri sette guerrieri, più quello morto, erano ancora a terra ma si stavano riprendendo, e Morgana? Non aveva tempo di cercarla, perché sapeva di aver dato le spalle al più pericoloso, e si voltò con l’idea di trovarselo davanti. Invece Kayn era piegato su sé stesso e qualcosa si stava formando attorno al suo corpo, come dei corni o spine, mentre la falce vibrava come se stesse per esplodere.
Non doveva vacillare. Si lanciò all’attacco, scudo in avanti a proteggerla e spada distesa sul fianco; ma Kayn, o forse solo la sua falce, si mosse in anticipo e un lampo rosso come il precedente, ma più intenso, le saettò addosso. Non poteva schivarlo, poteva solo incassarlo, ma ignorava se l’avrebbe fermata o meno; ed ecco apparire davanti a sé una barriera viola contro cui il bagliore si infranse lasciandola illesa. Leona proiettò la spada, lo raggiunse, attaccò. Kayn cadde con un gemito.
La guerriera Solare respirò, deglutì, respirò ancora, soffocò un lamento di dolore e fece per muoversi. L’istante dopo sentì una schiena premere sulla sua e due metalli che si legavano.
-Patisci il mio dolore!!!- Morgana spinse via il guerriero di cui non si era minimamente accorta, che si ricongiunse con il resto del gruppo. Uno era senza spada, che infatti aveva raccolto la sua salvatrice.
La mia… salvatrice…”.
-Ahahah!- Sia le due che gli otto si sorpresero nel sentire le risate sguaiate di Kayn; il ragazzo, tornato nel suo aspetto iniziale, si mise seduto, tenendosi la gamba rotta. Forse aveva preso una botta troppo forte.
-Siete proprio una bella coppia, voi due! Beh, visto che non ho intenzione di morirci qui, direi di chiamarla patta.-.
-Come? Ma Kayn!- Protestò uno dei suoi. Anche Leona aveva da ridire: -Non vi permetterò di andarvene! Voi emissari del Male!-.
-Ohh, allora sei un’invasata!- Kayn si risollevò usando la falce come bastone: -Beh, ti scegli i compagni in maniera strana! Allora, senti questa, ti darò una buona ragione per non sprecare la tua vita qui…-.
Leona aggrottò la fronte, tenendo alta la guardia, ma gli uomini di Kayn si limitarono a raccogliere i due caduti e a raggiungerlo.
-Sta per abbattersi su di noi qualcosa di grosso, uno sconvolgimento epocale. Mali antichi si stanno risvegliando e poteri nuovi stanno sorgendo, e presto tutto il mondo ne sarà coinvolto. Potrebbe arrivare dovunque, e lascerà dietro solo ceneri.-.

Kayn fece spallucce: -Almeno così ha detto il Maestro Zed.-.
-Non ti credo.-.
-Sul serio? Non la senti questa elettricità nell’aria, come se da un momento all’altro si dovesse scatenare una tempesta? Non le vedi le nubi all’orizzonte farsi sempre più grosse? Ah, te lo leggo in faccia che è così! Mi chiedo solo dove cadrà il primo fulmine! Non sto più nella pelle… alla prossima, Leona.-.
Una nube di fumo circondò i guerrieri e, quando si diradò, erano spariti tutti.
Leona abbassò le armi, avrebbe dovuto reagire, ma la verità era che le sue parole l’avevano presa alla sprovvista. Una tempesta… una tempesta come mai se ne erano mai viste prima. Persino la creatura dentro di sé sembrava agitata per una tale prospettiva.
-Ah!- L’esclamazione di Morgana la riportò alla realtà: la donna si tamponava una ferita sanguinante allo stomaco.
Leona si impietrì, il mondo attorno a Morgana perse di ogni forma, nella sua mente esisteva solo lei; per un momento pensò perfino di essere sotto qualche incantesimo.
-Ce la siamo vista brutta, eh? Cos’hai? Leona, stai be-
Sentire pronunciare il proprio nome fece scattare qualcosa. E perse ogni controllo.
   
 
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