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Autore: fuoricontesto    02/03/2021    1 recensioni
Sesshomaru, lo daiyokai dell’ovest, vagava per le terre del Giappone senza meta alcuna, sconfiggendo demoni ed evitando ossessivamente gli umani, che odiava con un ardore tale da far trasparire emozioni che era solito celare.
Molte erano le leggende che si erano susseguite nel tentativo di spiegare tanto astio verso gli umani, lui, che era figlio di Inu no Taisho, il demone cane innamorato di un’umana.
Nel nord, una gelida tundra di neve e ghiaccio, gli abitanti da secoli narravano la leggenda di uno spirito innamoratosi di un demone. Si tramandava che una volta il nord fosse una terra rigogliosa, grazie all’intercessione dello spirito che lo vegliava. Un giorno però questo scomparve, e con lui il demone che era suo compagno, tramutando il nord in un luogo desolato dove nulla poteva crescere. Alcuni saggi sostenevano che lo spirito fosse stato brutalmente assassinato e che, sul letto di morte, avesse promesso al compagno di tornare sulla terra in un’altra forma. La chiamavano la storia dello spirito del nord, ma i più anziani, anche se non lo raccontavano per timore e scaramanzia, la conoscevano come la storia dello spirito del nord e dello daiyokai.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO IV: DUECENTO ANNI

 

215 anni dopo.

 

Sesshomaru giaceva sanguinante ai piedi di un albero secolare nel cuore di una foresta ad Est. 
Aveva combattuto l’ennesima battaglia contro il fratellastro Inuyasha, uno scontro violento da cui era uscito sconfitto, costretto a ritirarsi come un codardo.  
I suoi occhi ambrati erano fissi su un punto indefinito della selva in cui aveva trovato rifugio. Nessuna emozione traspariva dalle sue iridi, ma al contrario il suo corpo tremava, scosso da un dolore lancinante che non aveva mai provato.
In circostanze diverse non si sarebbe nemmeno accorto di una simile ferita, e il suo braccio si sarebbe rigenerato nel giro di un giorno, ma quella lesione era diversa. Gli era stata inferta dalla zanna di suo padre, colui che lo aveva generato, e Sesshomaru sapeva bene che le ferite causate dai padri difficilmente si rimarginano. 
Ricordava ancora la prima volta che Inu No Taisho lo aveva ferito, il giorno del funerale di sua moglie, quando gli aveva rivelato di essersi affezionato agli esseri umani tanto da desiderare intercedere in loro favore.
Quel tradimento si era presto tramutato in odio, una furia culminata in quello che era stato il loro ultimo incontro, su una candida spiaggia dell’ovest su cui sferzava il gelido vento di inverno.  
Lo aveva sfidato apertamente,  intimandogli  di consegnargli Tessaiga, provocazione a cui suo padre aveva risposto con una domanda. “Sesshomaru, tu hai qualcosa da proteggere?” 
No, aveva pensato lasciando che le sue iridi fredde tradissero un guizzo doloroso.
Anni prima aveva avuto qualcosa da proteggere, qualcuno per cui sarebbe morto, e che gli era stato strappato via brutalmente.
Inu No Taisho aveva approfittato di quel momento per congedarsi, trasformandosi nella sua vera forma, per correre incontro a una morte indegna. 
Quando pensava a quell’ultima conversazione non poteva fare a meno di sentirsi disgustato, suo padre lo aveva tradito due volte: quando aveva deciso di proteggere gli umani e quando era morto per una di loro. 
Una fitta più intesa delle altre lo fece riaffiorare dai suoi pensieri.
Il sangue continuava a sgorgare copioso dal suo arto mancante come se gli fosse appena stato reciso.
L’ultima volta che aveva sanguinato tanto gli ci era voluto un mese per riprendersi, e l’amore di Kaen. 
Kaen. 
Memore della promessa che la moglie gli aveva fatto aveva vagato per anni lungo tutto il nord, viaggiando di villaggio in villaggio sfruttando la sua forma di demone cane, sperando di riconoscerla nei volti delle donne che la sera si riunivano davanti al focolare per cucire. 
Erano passati più di duecento anni ma di lei non vi era alcuna traccia. 
Qualcosa iniziò a muoversi tra le fronde. D’ istinto Sesshomaru fece per afferrare la spada ma si arrestò. 
Dai cespugli emerse una bambina umana, sporca, dalle vesti malconce il corpo coperto di lividi e graffi . Con un verso stizzito il demone tornò ad appoggiare la schiena alla corteccia dell’albero. La bambina rimase ad osservarlo incuriosita per qualche minuto, poi, come era venuta, se ne andò. 
Ritornò minuti più tardi con una borraccia di legno tra le mani.  Senza mostrare alcun timore la posò accanto al demone e con un gesto lo invitò a bere. 
Sesshomaru non la degnò di uno sguardo e rimase immobile finché la piccola non sparì nuovamente  tra i cespugli. 
Il demone osservò la borraccia  che gli era stata portata indeciso sul da farsi, aveva sete ma non aveva intenzione di accettare l’offerta della piccola umana. Solo quando fu sera e il bisogno d’acqua si fece impellente Sesshomaru afferrò la borraccia e, dopo aver constatato l’assenza di veleno, bevve. 
Sentendosi appagato e stanco si addormentò in silenzio.  
Quella notte Kaen gli apparve in sogno. Era nel suo palazzo, circondata dai servitori che la osservavano adoranti stringere al petto un bambino dai capelli argentati.  La fanciulla alzò lo sguardo su di lui, che osservava la scena da lontano, e gli sorrise. I suoi occhi però non erano del bel color oro da cui amava essere guardato, ma nocciola, come quelli di una mortale qualunque. Lui le si avvicinò piano e la strinse tra le braccia, beandosi del profumo di fiori e fuoco che emanava, e del viso addormentato del bambino. 
Quando aprì gli occhi, alle prime luci dell’alba, a stento riuscì a trattenere un’espressione di dolore. 
Era un secolo che la donna non gli appariva in sogno, e vederla così bella, circondata dal rispetto dei servi e con in braccio il figlio mai nato lo gettò nello sconforto. 
Quella era la vita che aveva progettato insieme a lei, e che non era mai riuscito  a vivere davvero. Per 3 anni aveva assaporato il dolce gusto della felicità, quella felicità che fa dimenticare della guerra,  di dover partire per combattere l’ennesima battaglia. Ora invece, a più di 200 anni di distanza, si sentiva vuoto, così infelice da aver desiderato per un secondo, quando Inuyasha gli aveva amputato il braccio, di morire per potersi ricongiungere a lei. 
Disgustato dalla sua debolezza si accarezzò l’arto per accertarsi delle sue condizioni. Il sangue era diminuito dal giorno prima e sentiva la pelle iniziare a cicatrizzare la ferita. 
L’odore di essere umano accarezzò le sue narici, la bambina del giorno prima era tornata a trovarlo. Tra le mani stringeva una grande foglia, su cui erano appoggiati alcuni germogli di soia che gli offrì con un inchino.   
“Non ne voglio” rifiutò gelido, “non voglio nulla da te” poi il suo olfatto captò un leggero odore di sangue che, a giudicare dall’intensità minima, doveva essere fresco. Per la prima volta si voltò verso di lei, nuovi graffi le ricoprivano le braccia e parte del volto. 
“Come te li sei procurati?” Domandò senza mostrare il minimo interesse, “se non vuoi dirmelo non sei obbligata” sentì la piccola muoversi accanto a lui e si voltò verso di lei. 
La bambina gli stava sorridendo. 
“Perché quell’espressione gioiosa?” Chiese gelido, “ti ho solo chiesto come te li sei fatti” il sorriso della piccina si fece ancora più ampio e gioioso, “umani” mormorò disgustato. 
Nei  giorni seguenti la piccola continuò ad andarlo a trovare, portando con se acqua e piccoli topolini che trovava qua e la nel bosco. Sesshomaru non riusciva a comprendere come, dopo i suoi rifiuti, quella piccola umana continuasse a tormentarlo con la sua presenza e, a modo suo, a prendersi cura di lui.
Aveva anche incominciato a rivolgergli piccole frasi: hai mangiato? Hai sete? Come ti chiami? Il demone non l’aveva mai degnata di una risposta, ma a lei sembrava andare bene così.  
Dopo una settimana il demone lasciò il suo giaciglio nel bosco. Il braccio gli doleva ancora ma riuscì comunque a lavarsi al fiume vicino e lasciarsi indietro la scia di sangue e sconfitta che si portava appresso da giorni. Dopo essersi sistemato era comparso il fedele Jaken, che lo aveva cercato, a detta sua,  ininterrottamente nelle terre adiacenti e per tutto il bosco insieme ad A-Un. 
I tre avevano ripreso senza molti convenevoli il cammino, fino a quando il fiuto del demone non captò uno strano odore: sangue umano mischiato a pelo di lupo e fuoco. Tra il miasma ferroso riuscì ad avvertire l’odore della piccola umana che lo aveva soccorso in quei giorni, e senza dire una parola rientrò nella foresta. 
Seguendo la traccia si trovò davanti all’albero di acero che lo aveva visto sofferente e sanguinante in quei giorni e vi trovò il corpo immobile della bambina. 
Intorno a lei giacevano ciuffi di pelo di lupo e uno strano cerchio di cenere la circondava. Il fedele Jaken si avvicinò alla piccola e la tastò con il bastone che portava sempre con se, “è ancora viva” mormorò sorpreso, “e puzza di fuoco e... fiori”Sesshomaru si irrigidì. 
Annusò meglio l’aria, quell’odore così famigliare gli accarezzò gentilmente le narici riportandolo indietro di due secoli. 
Perché quella piccola umana profumava come la sua Kaen? Le ultime parole della fanciulla tornarono a risuonare prepotenti nella sua testa. 
ti amerò ancora se lo vorrai
Se quella bambina fosse stata la sua reincarnazione? Se il suo spirito si fosse nascosto dentro quel corpicino minuscolo e debole? 
“Padrone conoscevate questa umana?” gli domandò il servitore notando la strana espressione sul volto del demone, solitamente impassibile e insensibile alle sorti degli umani.  Senza rispondergli Sesshomaru si chinò sulla bambina, le sollevò leggermente la testa da terra e attese. Questa prese a muoversi lentamente, come se si stesse svegliando da un sogno, e aprì gli occhi. Il cuore gelido del principe dei demoni mancò di un battito, le iridi della bambina si erano dorate, e l’odore di fuoco e fiori divenne più forte. Poi, improvvisamente, il miasma umano coprì il profumo che tanto aveva bramato di sentire ancora una volta e gli occhi di lei tornarono marroni come quelli di qualunque umana. 
Non aveva più dubbi, quella piccola umana era Kaen. 
La bambina si guardò intorno confusa, quando i suoi occhi si posarono su Sesshomaru il suo volto si rilassò e la confusione nei suoi occhi si attenuò.
“Mi avete salvata” mormorò accennando ad un sorriso, il demone non le rispose, le tese invece la mano  per aiutarla a rimettersi in piedi, un gesto che non passò inosservato agli occhi di Jaken, che lo fissò sbalordito. 
“Come ti chiami?” Le domandò quando si fu alzata, “mi chiamo Rin” rispose, “grazie per avermi salvata” lo ringraziò con un inchino, “hai una famiglia Rin?” Le chiese ignorando i sui ringraziamenti,  “ qualcuno da cui puoi tornare?” Lei sospirò, “no signore”.
“Tutti quelli del mio villaggio sono morti sbranati dai lupi” disse cupa, il demone le si avvicinò, “vieni con noi” le propose, Jaken spalancò ancora di più gli occhi, “mio signore ma cosa fa?” gridò, “quella bambina non può venire con noi! È umana!” Il padrone gli rivolse uno sguardo gelido che lo fece ammutolire. 
“Allora?” lei parve riflettere un secondo, “va bene!” rispose con entusiasmo. Il demone la sollevò delicatamente e la posò su A-Un, nonostante si fosse svegliata la percepiva debole e non voleva che si stancasse troppo e rallentasse il viaggio. 
“voi come vi chiamate signore?” domandò curiosa quando furono fuori dal bosco, “mi chiamo Sesshomaru” rispose il demone, cingendo le redini di A-Un, la bambina ammutolì, “noi non ci siamo mai incontrati prima vero?” lui ebbe un sussulto, “il vostro nome mi è famigliare” Jaken scosse la testa, “forse avete sentito il nome del mio padrone nei grandi racconti di guerra” la punzecchiò, “può essere” sussurrò la bambina, poi si rivolse al Kappa , “voi come vi chiamate?” il piccolo demone fece un verso stizzito, “il mio nome è Jaken, sono il servitore del nobile Sesshomaru!”.
“Perché sei così piccolo?”
“Come ti permetti?!”
“Io ho solo otto anni e tu sei più basso di me” gli fece notare, “è strano” Jaken assunse un espressione contrariata, “di un pò non ti hanno insegnato le buone maniere?” la rimproverò, “basta Jaken”  ordinò il padrone, “lasciala riposare”. 

“Padrone perché ci portiamo dietro questa bambina umana?” domandò il servo  quando la notte calò su di loro e la  piccola si fu addormentata, “è speciale” gli rispose Sesshomaru glaciale, “e non voglio più sentire domande su questo” annunciò fermandosi, “riposati anche tu” gli ordinò, “domani ci rimetteremo in cammino”. 
Quando il servo si addormentò , il demone si avvicinò alla bambina.  “tra tutte le creature tra cui potevi scegliere hai deciso un essere umano” mormorò amaro tra se e se, “non mi hai nemmeno concesso di sentire il tuo profumo” e così dicendo chiuse gli occhi. 

 

11 anni dopo 

Rin camminava tranquillamente lungo il sentiero che portava alla casa della vecchia Kaede trasportando due grosse anfore sulla schiena.
Erano anni che lei e la donna vivevano insieme, dopo la fine della guerra contro Karaku  Sesshomaru aveva insistito perché rimanesse in un villaggio umano, per essere, a detta sua, più protetta. Il demone le faceva visita ogni volta che poteva,  portando con se doni sempre più belli e lussuosi: Kimoni, scarpe, profumi, spezie e gioielli, ma anche frutti esotici, artefatti demoniaci provenienti da un paese chiamato europa, libri e fermagli per i capelli. 
La capanna della nobile Kaede si era trasformata in un museo pieno di cimeli e oggetti preziosi, tanto che più volte il demone era stato sollecitato a diminuire il quantitativo di regali, e spesso era stato accusato di viziare la piccola Rin, ma lui li aveva ignorati tutti. 

Poco lontano Sesshomaru la osservava nascosto tra le foglie della foresta. In quegli anni non  aveva rivelato a nessuno l’identità di Rin, nemmeno al servitore Jaken, che più volte si era azzardato a chiedere se avesse intenzione di prenderla in sposa  una volta raggiunta l’età da marito. Sesshomaru però non si era mai permesso nemmeno di sfiorarla, neanche quando l’anno prima  Rin aveva tentato di baciarlo, e aveva capito che si era innamorata di lui anche in quella vita. 
Avrebbe rivelato la vera identità della ragazza solo quando avesse compiuto 19 anni, l’età umana che aveva Kaen quando si erano conosciuti.
E il giorno era finalmente arrivato. 

“Sono a casa!” annunciò Rin entrando nella capanna, dove l’aspettava Kagome, “oh sei arrivata!” trillò la donna avvicinandosi a lei, “non sai quanta sete ho!” mormorò cercando di prendere una delle anfore. “ferma!” Le intimò la ragazza, “non devi fare sforzi” la donna sbuffò, “non sono fatta di cristallo!” Si lamentò accarezzandosi il ventre, “sono solo incinta” Rin sospirò, “la nobile Kaede ti ha raccomandato di stare a letto!” la rimproverò versando il contenuto delle anfore in piccole bottiglie di vetro. 
“Ma io mi annoio” esclamò esasperata, “non posso nemmeno camminare”  poi come rianimatasi prese a rovistare in un mobile della cucina, “questo è per te” disse porgendole una scatolina ricoperta di una coloratissima carta regalo, “buon diciannovesimo compleanno!” Trillò. La ragazza fissò la scatolina con curiosità, “forza aprilo!” La incoraggiò. Rin scartò il regalo con entusiasmo e ne estrasse uno strano braccialetto che pareva animato, “cos’è?” domandò, “è un orologio” rispose la donna, “indica l’ora, e ha una bussola incorporata”. 
“Viene dalla mia epoca” spiegò, “così quando partirai con Sesshomaru saprai sempre l’ora e come trovare la strada” disse, la ragazza le rivolse uno sguardo di gratitudine, “è bellissimo Kagome!” La ringraziò, “ma non credo che mi sarà possibile partire con lui” disse rabbuiandosi. 
“E perché mai?” esclamò stupita Kagome,  “lui e Kaede hanno avuto una discussione ieri sera” rispose, “li ho sentiti parlare di un posto chiamato Kita e di una donna di nome Kaen” spiegò, “poi Kaede gli ha proibito di presentarsi oggi e lui se ne è andato” Kagome le prese una mano, “sono sicura che verrà ” la consolò, “Sesshomaru non perderebbe il tuo compleanno neanche se finisse il mondo”ma le sue parole parvero non avere effetto su di lei, “e se si stesse per sposare?” Kagome la guardò stranita, “con quella Kaen” la donna sospirò, “non penso proprio”. 
“E poi a te lo avrebbe detto” Rin sospirò, “c’è qualcosa sotto” mormorò, “e sono certa che abbia a che fare con quella donna”. 
Kaede apparve nella capanna, “cosa farfugliate voi due?” gracchiò, “Kaede guarda cosa mi ha regalato Kagome!” esclamò la ragazza per distrarla, “è un aggeggio che segna l’ora” la vecchia alzò gli occhi al cielo, “sono venuta a dirti che Sesshomaru è qui fuori” annunciò, “insiste per darti il suo regalo” disse lasciando trapelare un velo di tristezza. 
“Kaede” la chiamò con gentilezza la ragazza, “se partiamo lo faremo solo tra una settimana” la rassicurò cercando di occultare il suo stupore, “lo so” mormorò la vecchia, “ora vai ti sta aspettando” Rin le posò un bacio sulla fronte e uscì. Kagome si avvicinò alla donna, “va tutto bene?” Lei scosse il capo, “siediti ragazza” le intimò facendo altrettanto, “ci sono un paio di cose che tutti voi dovete sapere. 

Fuori dalla casa di Kaede il demone aspettava la giovane accanto ad A-Un, che scalpitava  agitata. 
“Signor Sesshomaru” lo chiamò facendolo sussultare, “allora siete tornato” si lasciò scappare, “non sono mai andato via” esclamò lasciando trapelare un pò di stupore, “il tuo regalo è un pò lontano da qui” disse accarezzando l’animale, “ma torneremo in tempo per la tua festa” la rassicurò facendole segno di montare in groppa, “quanto lontano?” Chiese quando si fu sistemata su A-Un, “verso nord” rispose intimando all’animale di partire. 

Ore più tardi atterrarono in un villaggio desolato, sepolto da un gelido manto di neve. 
Le case di legno erano annerite, sfasciate,  alcune non avevano nemmeno il tetto, e tutt’intorno aleggiava una strana atmosfera, come se la morte stesse incombendo su di loro.  
La ragazza si guardò intorno spaesata, senza riuscire a spiegarsi perché Sesshomaru l’avesse condotta in un luogo così desolato e freddo. 
“Perché mi avete portata qui?” Domandò, il demone non le rispose, si limitò a farle segno di seguirlo, lei eseguì, non accorgendosi che ad ogni suo passo dalla neve nascevano fiori ed erba fresca. 
Mentre percorrevano quella che  doveva essere  la strada principale del villaggio la mente di Rin venne assalita da una strana sensazione. C’era qualcosa di inspiegabilmente famigliare in quel luogo, in quelle case malmesse e coperte dalla neve. 
Sesshomaru si fermò, davanti a loro si stagliava quello, che una volta, doveva essere stato un bellissimo tempio  di legno rosso. 
Rin ebbe un sussulto, la sensazione di famigliarità divenne più forte, tanto che sentì la mente annebbiarsi e dovette appoggiarsi al possente braccio del demone per non cadere a terra. 
“Andiamo via” mormorò, “non mi sento bene” Sesshomaru la osservò con una scintilla di malinconia che non sfuggì allo sguardo attento di Rin. 
“Non ricordi?” La ragazza ammutolì, “qui ci sei già stata” Rin si decise ad osservare meglio il tempio, combattendo con la sensazione di malessere che le scuoteva il corpo come piccoli brividi. 
La sua mente si annebbiò. 
Davanti a lei apparvero, come in un sogno, le immagini di un villaggio fiorente,  ricco di vita. Il tempio si ergeva in tutta la sua imponenza, rosso e lucido come un gioielli prezioso. Sulle scale d’ingresso sedeva una donna vestita di un kimono bianco, aveva il volto coperto da un’ombra scura, probabilmente dovuta alla folta chioma corvina che portava sciolta sulle spalle ma che le donava un aria spettrale. Tra le mani candide stringeva un vasetto di vetro in cui erano custodite piccole foglie essiccate, di cui Rin riuscì a percepire il profumo balsamico, spostando lo guardo notò che  lo teneva vicino al ventre gonfio a causa di una gravidanza. 
Rin sentì una lacrima bagnarle la guancia, quella visione era felice, e lo sembrava anche quella donna senza volto, allora perché piangeva?
“Non capisco” mormorò mentre la visione si dissolveva, “non capisco”. 
 “Quando sono stata qui?” Domandò  rivolgendosi al demone, che ancora la osservava con insolita malinconia, “è stato molto tempo fa” rispose. “Ho... ho  dei ricordi signor Sesshomaru” rivelò, “lì ci viveva una donna” il principe dei demoni prese un lungo respiro, “si chiamava Kaen”. 
“Era la donna di cui avete parlato a Kaede l’altra sera?” Il demone la osservò gelido, “cosa hai udito di quella conversazione?” La ragazza abbassò lo sguardo, “non molto” mormorò, “solo quel nome e di un  di un villaggio... mi pare che il nome fosse  Kita”. 
Il demone non rispose subito, e Rin ebbe il sentore che fosse in collera con lei. 
“Hai udito bene” sussurrò, “immagino che tu sia curiosa di sapere cosa ho detto alla vecchia sacerdotessa” La ragazza annuì, “se vuoi scoprirlo Rin” disse addolcendo il tono della voce, “devi entrare lì dentro e ricordare”. 
La giovane lo fissò esterrefatta, “ricordare cosa?” Il demone le fece segno di entrare nel tempio, “entra” disse, “la verità è lì dentro” anche se dubbiosa Rin fece il suo ingresso nel tempio. 
Come le altre case del villaggio anche quel luogo sacro era mal ridotto. I pavimenti e le pareti erano anneriti, i mobili distrutti e la cenere ricopriva ogni cosa. 
I piedi di Rin si muovevano da soli, come se conoscessero la strada. Si trovò così difronte  a un laghetto dalle acque cristalline, situato al centro del giardino del tempio. 
Non è gelato notò la ragazza allungando una mano sulla superficie.

 perché non è gelato? 

Quando le sue dita sfiorarono lo specchio d’acqua la sua mente si annebbiò. 
La memoria la portò in un giardino rigoglioso, su cui vegliavano alberi di ciliegio appena fioriti. Rivide la donna che nella sua visione precedente sedeva sulle scale del tempio, il suo volto però non era coperto, ma chinato sullo specchio d’acqua che stava al centro del giardino. 
La donna si voltò, e Rin si sentì percossa da un brivido freddo. 
Fu come vedersi riflessa in uno specchio, quella creatura era identica a lei in tutto e per tutto, ad eccezione degli occhi dorati che scintillavano sul suo volto come oggetti preziosi.  La sconosciuta le sorrise e le si avvicinò  con fare tranquillo. 
“Chi sei tu?” Domandò Rin con un filo di voce, la sconosciuta le sorrise con gentilezza, “un ricordo” rispose, “il ricordo di chi sei stata più di duecento anni or sono”. 
La ragazza rimase immobile, incapace di ribattere e muoversi. 
“ ma io sono un’umana” balbettò, “gli esseri umani non possono rinascere” la donna scosse il capo, “il tuo corpo lo è” concordò, “ma non la tua anima” Rin ammutolì, “in te c’è lo spirito della stella che scese sul nord per vegliare sui suoi abitanti” . 
“Conosco la  leggenda dello spirito del nord” ribatté, “è solo una storiella per tenere occupati i bambini”  la donna le sorrise ancora, “ricorda” mormorò posandole l’indice sulla fronte, “ricorda chi sei” una luce rossastra le avvolse e Rin, dopo duecento anni, ricordò. 
La sua vita precedente le passò davanti come in uno spettacolo di teatro. Si vide cadere dal cielo e tramutarsi una creatura dalle sembianze umane, guarire i primi pazienti, osservò le sue mani emettere fuoco per scaldarsi durante le notti di inverno, i suoi occhi  piangere a dirotto per l’ennesimo umano che l’aveva abbandonata e, infine, rivide Sesshomaru. La ragazza rimase incantata, come aveva potuto dimenticare? Come aveva potuto dimenticare i baci che si erano scambiati, gli incontri al chiaro di luna, i sorrisi che lui le rivolgeva dopo aver fatto l’amore, la gioia di aver scoperto di essere incinta, la loro felicità insieme.
In quei frammenti rivide la morte posarsi su di lei, chiamarla e portarla via dalle braccia del demone, disperato per la sua perdita. 
La luce si affievolì e Rin riemerse dalla sua visione, era rimasta immobile difronte allo specchio d’acqua, che rifletteva la sua immagine. Era la stessa ma non i suoi occhi, le iridi si erano dorate e scintillavano grazie alla luce riflessa dalla neve. 
“Rin” si sentì chiamare, la ragazza si alzò e si voltò verso il demone, che alla sua vista sussultò, “Kaen”  
Lei gli rivolse un sorriso e si avvicinò. 
“Hai aspettato così tanto Sesshomaru” mormorò accarezzandogli i segni demoniaci che gli adornavano il volto, “perdonami se ci ho messo così tanto” il demone, incapace di proferire parola, la circondò con le braccia e la strinse al suo petto con una foga e una forza tale da far pensare che temesse che sarebbe volata via.  
“Non lasciarmi più” pregò lui, in una supplica appena sussurrata, “non lasciarmi più ” la sua voce faceva trapelare emozioni che non aveva mai mostrato: dolore, speranza, gioia. La fanciulla sorrise contro il suo torace, “è una promessa Sesshomaru” mormorò scostandosi leggermente per guardarlo negli occhi color ambra, “e io mantengo sempre le promesse” le labbra di lui si stirarono in un raro sorriso. 
Le scostò i capelli dal viso e si avventò sulle sue labbra morbide, che per secoli aveva desiderato sentire  premere sulle proprie ancora una volta.
Dopo duecento anni il gelo che aveva avvolto il suo cuore si sciolse, e le tenebre del suo animo si schiarirono. 
Era di nuovo felice. 

 

 

TRE ANNI DOPO

 

Rin sedeva nella sala da pranzo, intenta a sorseggiare una bevanda chiamata caffè, un regalo che Sesshomaru le aveva portato dopo un lungo viaggio in una terra chiamata Cina.
Lei e il nuovo  signore dell’Ovest erano convolati a nozze, per la secondo volta nella loro vita, tre anni prima e aveva deciso di vivere nel castello di lui, una grande tenuta nascosta su una nuvola. 
Da quando il marito aveva assunto il vecchio incarico del padre aveva preso a viaggiare molto, verso terre sempre più lontane, per stringere alleanze e conquistare nuovi territori. In quel momento doveva trovarsi in un paese chiamato Korea, e sarebbe rientrato tra una settimana. Quando non c’era Rin aveva preso l’abitudine di recarsi nel villaggio di Musashi per brevi visite agli amici e alla sacerdotessa Kaede, per passare il tempo e non rimanere sola troppo a lungo. 
Quando lei e Sesshomaru erano rientrati da Kita, e gli abitanti avevano notato i suoi occhi dorati  temendo che il demone l’avesse trasformata in un immortale  si erano precipitati da Inuyasha che, in preda all’ira,  si era avventato senza successo sul fratellastro. 
C’era voluto parecchio per calmare gli animi e spiegare cosa realmente fosse accaduto in quelle ore, solo l’intervento della Vecchia Kaede, che aveva udito ore prima la storia dallo stesso Sesshomaru, aveva posto fine ai tumulti .
Gli amici di una vita avevano incontrato non poche difficoltà ad accettare la vera natura della ragazza tanto che ancora non avevano ben capito come chiamarla.  A Rin però questo non importava granché, avevano capito che lei era sempre la stessa e accettato il suo matrimonio con Sesshomaru, e questo le bastava. Ogni tanto Kagome, che era l’unica a saper scrivere, le spediva delle lettere per aggiornarla sugli ultimi avvenimenti a  Musashi, e su quanto stesse crescendo la figlia avuta da Inuyasha: Moroha. 
I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta scorrevole che si apriva. 
Kyo, la sua dama da compagnia era entrata per offrirle la colazione. 
“Buongiorno altezza” la salutò con una riverenza, non prima di aver posato un vassoio d’argento sul tavolo, “avete dormito bene stanotte?” La fanciulla annuì, “e il principino?” Rin sorrise, “è così tranquillo, ha dormito come un sasso” disse cullando il piccolo demone che teneva tra le braccia. 
“Questo di certo non lo ha preso da suo padre” la serva si lasciò scappare un sorriso divertito di cui la signora non si accorse, troppo impegnata ad osservare adorante il frutto del suo amore con Sesshomaru. 
“Vi somiglia altezza” disse la serva invitandola a mangiare qualcosa, “ha i miei occhi” convenne, “nel resto però è identico a sua maestà” disse portandosi vicino un piatto di Tamagoyaki.
La porta si riaprì. 
“Maestà” esclamò la serva inchinandosi di fronte al signore dell’Ovest appena rincasato. 
“Ben tornato” il demone le fece un cenno, “vorrei rimanere solo con mia moglie” Kyo ubbidì e lasciò la stanza in silenzio. 
“Sei tornato prima” esclamò Rin con un sorriso, “ti mancavamo?” Lui non rispose limitandosi a prendere posto accanto a lei e posarle un bacio sulle labbra. 
“Dallo a me” disse indicando il figlio, “così puoi mangiare tranquilla” lei posò il piccolo tra le sue braccia e prese a gustare il Tamagoyaki con tranquillità. 
“Hai fatto buon viaggio?” Chiese tra un boccone e l’altro, “sì” rispose, “il signore dei demoni che ho incontrato ha accettato la mia proposta” .“Dunque non si espanderà in Giappone?”
“No” rispose cullando il piccolo, “sono stato molto persuasivo” la moglie ridacchiò e posò la testa sulla sua spalla ammirandolo prendersi cura del loro bambino. 
“Vorrei andare in visita a Musashi in questi giorni” disse, “mi piacerebbe che Kaede e Kagome conoscessero nostro figlio” il demone parve rifletterci. 
Rin non visitava Musashi da mesi, più o meno da quando aveva scoperto di aspettare un figlio e aveva deciso di concedersi un pò di riposo per affrontare una gravidanza che si era rilevata tutt’altro che semplice. Sesshomaru sapeva quanto avesse sofferto la lontananza dal villaggio, tanto che durante la gravidanza aveva provato ad alleviare il suo malessere concedendo alla moglie del fratellastro, a cui Rin era molto legata,  di fare visita al loro castello. Kagome aveva acconsentito con gioia e questo certamente aveva sollevato l’animo della moglie. Poi però le nausee si erano fatte più insistenti e la stanchezza l’aveva  divorata, tanto da renderle impossibile ricevere alcuna visita se non quelle del guaritore del palazzo. La giovane  sacerdotessa aveva così preso a scriverle delle lettere da parte di tutto il villaggio, non riuscendo a leggerle era Sesshomaru che lo faceva per lei, non gli importava molto delle sorti di  quelle persone, fatta eccezione per la piccola Moroha, ma sentire tanto affetto da parte di tanta gente l’aveva aiutata durante il periodo più difficile della gravidanza e dopo la nascita del loro bambino.  Era giusto che tornasse da loro, anche solo per una breve visita. 
“Verrò con te” decise infine, “ così potrò andare a trovare mia nipote e quel bastardo di suo padre” Rin non potè fare a meno di sorridere, cosciente di quanto Sesshomaru, anche se a modo suo, si fosse  affezionato alla nipote.  
“Dopo partirai per l’Est?” 
“Starò fermo per un pò” disse il demone, “sono stato lontano troppo a lungo” Rin gli rivolse un sorriso, “questo non è vero” disse, “durante la gravidanza mi avrai lasciata sola cinque giorni, e ancora meno da quando è nato” Sesshomaru non l’ascoltò, “non viaggerò comunque per un pò”. “Ti dispiace?”
“Affatto” rispose, “non c’è niente la fuori che desideri più di quello che ho qui” e così dicendo le scostò i capelli dal volto e le sfiorò appena le labbra con un bacio. 

“Ti amo” mormorò, “ti amo anche io”.  

 

ANGOLO AUTRICE

Salve a tutti! 

 Siamo arrivati alla fine di questa piccola avventura. Finalmente Rin ha fatto la sua comparsa e ha portato un pò di luce nella vita del nostro principe dei demoni. Spero che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto e sia stato una degna conclusione. 

Non sono brava a congedarmi quindi lo faccio ringraziando  tutti coloro che hanno seguito la storia, chi ha lasciato una recensione, chi ha saltavo il racconto tra i preferiti-ricordati-da recensire e chi, semplicemente ha letto e leggerà.

Grazie di tutto! 

A presto, forse. 

 

Fuoricontesto 

 

  
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