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Autore: SonounaCattivaStella    12/04/2021    0 recensioni
[Raccolta di oneshot scritte per la Challenge di Pasqua indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp]
Questa Pasqua sarà proprio un disastro.
Sotto ogni aspetto.
Ma ci sarà anche del romanticismo.
(Nei personaggi non lo inserisce, ma ci sono oneshot con un po' tutti)
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1) Grigliata di primavera. Ma è tutto bruciato (un po' tutti)
2) "Sei innamorato di quell'uovo" "Se me lo compri, amo più te." (RanMasa)
3) "Stai veramente preferendo il cioccolato a me?" "Il cioccolato è dolce." (KyouHaku)
4) "Perché fissi quel vaso come uno psicopatico?" "Aspetto che il polline mi uccida" (AtsuMasa)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kariya Masaki, Kirino Ranmaru, Minamisawa Atsushi, Shindou Takuto
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa alla Challenge di Pasqua indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt: "Perché fissi quel vaso come uno psicopatico?" "Aspetto che il polline mi uccida"




Con la decisione di iscriversi all’università e la necessità di trovare qualcuno con cui condividere parte dell’affitto, Masaki si era trasferito in un piccolo appartamento ben arredato, dotato di due camere da letto separate e vari spazi comuni tra cui il salotto e la cucina. Si era trovato bene sin dal primo momento; aveva la sua autonomia e libertà, poteva gestirsi come meglio voleva ed era anche riuscito ad andare d’accordo quasi da subito con il suo coinquilino, Atsushi.

All’inizio, Masaki aveva avuto l’impressione di trovarsi davanti il solito ragazzo un po’ snob e con la puzza sotto il naso, uno di quelli che ti guardano dall’alto in basso e che non perdono occasione per dire la loro su qualsiasi cosa con il chiaro intento di dare fastidio. Eppure erano riusciti a trovare un equilibrio, questo perché gli aveva fatto capire di che pasta era fatto e che con lui quegli atteggiamenti avrebbero avuto vita breve dato che sarebbe stato capace di adottare, di rimando, comportamenti altrettanto fastidiosi. Così, avevano cominciato quella convivenza con il piede giusto, scoprendosi quasi coetanei – Atsushi era solo un anno più grande di Masaki e frequentava un corso universitario diverso dal suo ma appartenente allo stesso ateneo – e con gusti simili sulla maggior parte delle cose.

Tutto questo finché, un bel giorno di aprile, qualcosa entrò nel loro appartamento con il chiaro intento di mettere a soqquadro quella tranquillità raggiunta e far fuori Masaki: un vaso colmo di denti di leone posto sul davanzale della finestra del salotto. Il ragazzo non riusciva a capire come avesse fatto quell’agglomerato di fiori dal polline potenzialmente letale per le sue narici ad arrivare fino a lì. Quella mattina aveva fatto colazione come sempre, seduto da solo al tavolo della cucina perché Atsushi era un tipo mattiniero e usciva di casa senza che lui se ne accorgesse, aveva ammazzato un po’ il tempo con i giochi presenti sul suo telefono e poi aveva svolto il suo turno di pulizie iniziando proprio dal salotto. Quindi era più che sicuro del fatto che quell’arma micidiale non fosse lì, quella mattina, ma che fosse comparsa mentre lui se ne stava chiuso in camera, intento a studiare in vista della prossima sessione di esami.

Proprio mentre fissava in cagnesco i fiori colorati e rimuginava sulla triste fine che gli avrebbe fatto fare da lì a poco spedendoli dritti dentro il cestino dell’immondizia – oltre che ad immaginare scenari catastrofici fra i quali una serie interminabile di starnuti che l’avrebbe ucciso entro breve o il non riuscire ad arrivare in tempo ai suoi antistaminici qualora si fosse ritenuto necessario o, ancora, morire per via di uno choc anafilattico –, Atsushi entrò dalla porta di ingresso carico di buste della spesa. Trovandosi davanti il coinquilino che osservava intensamente, con occhi quasi spiritati, i fiori che lui stesso aveva raccolto quella mattina giusto per dare un tocco di colore primaverile alla casa, Atsushi posò a terra i sacchetti ricolmi e si avvicinò lentamente all’altro ragazzo, portandosi silenziosamente dietro le sue spalle.

«Perché fissi quel vaso come uno psicopatico?» Chiese improvvisamente, curioso e divertito al tempo stesso.

Masaki trasalì e lanciò ad Atsushi la medesima occhiataccia che aveva riservato ai fiori fino a quel momento, prima di rispondergli.

«Aspetto che il polline mi uccida.» Se ne uscì con tono grave.

Atsushi non poté resistere di fronte a quella risposta e iniziò a ridere attirando su di sé, nuovamente, lo sguardo omicida del più piccolo.

«Come potrebbe, il polline, ucciderti?» Domandò non appena riuscì a parlare normalmente, mantenendo comunque un ghigno sbilenco sulle labbra.

«Soffro di allergia, genio che non sei altro. Secondo te come potrebbe farlo?» Rispose Masaki incrociando le braccia al petto e con una punta acida a colorargli il tono della voce.

«Lo sai, vero, che un singolo vaso con dentro sì e no dieci fiori non può farti nulla, sì?» Disse di rimando Atsushi continuando a sogghignare. «E poi, se non ti ha fatto fuori finora, direi che non ci sono problemi.»

«Con questo cosa vorresti dire?» Ribatté il più giovane, avvicinandosi all’altro con sfida e guardandolo dritto negli occhi pur essendo diversi centimetri più basso.

«Quello che voglio dire è che ho portato quei fiori in casa subito dopo pranzo e tu te ne sei accorto solo a distanza di ore. Se il loro polline fosse stato così letale come dici, te ne saresti accorto immediatamente.» Argomentò Atsushi con tono mellifluo, portandosi a pochi centimetri di distanza dal naso di Masaki per poi colpirlo lievemente con le dita.

Il ragazzo più giovane imprecò sonoramente e portò una mano a massaggiare la zona appena colpita dall’altro. Era pronto a dirgliene quattro, eppure non poté fare a meno di constatare quanto avesse ragione. Non aveva mentito sul suo essere allergico ai pollini, ma non poteva negare che aveva ingigantito la cosa solo perché aveva iniziato a farsi mille diverse paranoie su una sua possibile morte prematura. Per non parlare del fatto che avesse dimenticato che Atsushi non era a conoscenza di quel piccolo dettaglio e che, sicuramente, non aveva portato quei fiori dentro casa con l’intento di farlo fuori. Così si limitò a starsene zitto, fintamente offeso per il colpo al naso che adesso gli prudeva e rischiava di farlo starnutire come un ossesso da un momento all’altro.

«Dunque, zuccone lamentoso e ipocondriaco, amici come prima?» Chiese Atsushi afferrandolo improvvisamente per le spalle e scompigliandogli lievemente i capelli.

«Diciamo di sì, pavone saccente. Ma la prossima volta che porti a casa dei fiori senza avvisare, giuro che te li faccio trovare dentro uno di quei sandwich che tanto ami.»
 
   
 
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