Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe
Segui la storia  |       
Autore: Sybelle    29/08/2009    1 recensioni
E non fu evidente che la bellezza di Lei lo aveva portato a vederla come un Angelo magnifico, e non come un' Anima Dannata? Non fu chiaro che lui stava sorridendo alla sua Fine? E non fu forse chiaro che l’amore che Madama provava per Alisia non si sarebbe mai placato, a causa della bellezza di questa? Ma intanto loro stavano andando alla Grotta della Strega…Sebbene, nell’Inferno della Strega, ci fossero già da troppo, senza essersene avveduti.
Terza classificata al contest "Inno alla Bellezza" di Iria. Dedicata con infinito affetto a Ika =)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il Sabba di Madama

Il Sabba di Madama

**Nella camera della Seta**

 

È cominciato tutto nella camera della Seta.

L’avevamo creata io e Lei, facendo di una costruzione in legno - costituita da una piattaforma quadrata come base e da quattro pilastri - il nostro rifugio, posizionandoci il nostro giaciglio di piume, cuscini e stoffe; la nostra paura che le intemperie e la Natura distruggessero il suo fragile soffitto di seta - infatti era la seta a ricoprire tutto, ed a formare il tetto, poggiata com’era sui pilastri -  si rivelò infondata: il luogo che Lei aveva scelto, una radura sconosciuta al mondo e ad Iddio stesso, un’ oasi naturale, nascosta da un tetto di foglie, fronde e rami, era inespugnabile.

Era il nostro rifugio, e quando lo finimmo ci guardammo come mai prima: avevamo qualcosa di nostro, qualcosa che io e lei condividevamo come coppia.

Il nostro segreto.

Io non sapevo molto della sua vita, all’epoca; non mi aveva spiegato cosa l’aveva portata in quel luogo, e cosa l’aveva portata, e la portava, ad uccidere con tanta freddezza gli stranieri.

Ogni volta che ci incontravamo era ansiosa, frenetica: ripeteva frasi come “Lei non deve scoprirci”, o “Venite, non possiamo stare qui. La sua dimora regna sul campo di fiori, non deve vederci!”

E quasi sempre era ferita: spesso solo qualche ematoma, a volte veri e propri tagli da pugnale…E quando io le chiedevo con orrore come si fosse procurata quegli orribili segni, lei rispondeva con una veloce alzata di spalle, ed un commento atto a sviare il discorso: “Ora che siamo insieme non le sento nemmeno più, queste piccole e insensate inezie”

Inezie, le chiamava lei: ma quando sfioravo le chiazze scure, e lenivo con unguenti e baci le ferite, lei schiudeva appena le labbra, emettendo gemiti strozzati di dolore.

Lei, così forte all’apparenza, ma in realtà così tragicamente fragile!

La prima volta che la vidi era nuda: e quanta beltà mi parve di rimirare! Ma non avevo forse notato le chiazze nerastre, ed il sangue raggrumato orrendamente? Oh sì, li avevo notati…Ma quanta beltà, dietro e con essi!

Ero giunto, dopo giorni e giorni di galoppo in sella al mio fiero Zais, nel luogo che tutti mi avevano indicato come “l’Inferno della strega”; stringevo tra le mani la croce benedetta che mi aveva offerto il buon prete dell’ultimo villaggio che avevo visitato.

L’uomo si era mostrato terrorizzato all’idea che io andassi a cercare spontaneamente la strega più temuta nei dintorni; mi aveva spiegato che la malefica meretrice era in verità il pericolo minore, e che il vero pericolo era la belva assassina che difendeva strenuamente la zona d’azione della donna satanica.

Belva assassina…così vi chiamarono, incantevole amore mio!

Mi aveva narrato che avrei dovuto assolutamente stare lontano da una donna deviata, atta al peccato, strega pericolosa non per le sue arti magiche, ma per ben altre arti: ella uccideva spietatamente gli stranieri con frecce velenose ed armi da taglio; il suo aspetto da angelo (lunghi capelli biondi e occhi che erano pezzi di cielo) nascondeva in realtà il demonio più crudele.

Quando avevo chiesto come facevano a sapere con certezza che le streghe fossero due, e l’aspetto di una di queste, l’intero villaggio era caduto nel mutismo più profondo.

Non sapevo all’epoca la vostra storia, Alisia, bella mia, non sapevo che mentre tutta la regione era spaventata da una strega che non mostrava il suo volto, in quel villaggio ne era apparsa un’altra, e che quell’altra eravate voi!

E voi cosa pensaste quando mi vedeste, nuda e macchiata delle colpe della vostra amante?

Io pensai che voi eravate il mio bersaglio, che come tale dovevate morire, ma che pur essendo tale…eravate bellissima.

Bellissima, come solo il diavolo poteva avervi creato.

Comunque, quando giunsi al lago, credetti di avere un miraggio: non era mai successo prima che io trovassi la mia preda così rapidamente, ed anche così indifesa.

Ma quando, anni prima, avevo scelto di diventare un cacciatore di streghe, non avevo mai riflettuto troppo sul fatto che avrei incontrato tante donne; non avevo mai riflettuto sul fatto che queste donne potessero essere belle.

Belle magari come la mia Latika, belle magari come quella strega che si lavava e mi scrutava cupa e minacciosa.

Quando io mi avvicinai al lago, lei scattò: saltò sulla riva, e con un balzo afferrò un pugnale da terra - la sua arma, senza dubbio; aveva un bel corpo, longilineo e tonico, e si vedeva che era cresciuta in mezzo alla foresta: aveva un che di felino nei movimenti.

Io spronai Zais ad avanzare, lentamente però: volevo godere della visione di quel corpo (e delle sue femminili particolarità) fino alla fine.

I capelli, umidi, ricadevano scomposti lungo il viso, gli occhi chiari brillavano di una luce sinistra, spaventata.

Più che una fiera leonessa, mi parve un pulcino bagnato.

Mi osservò attentamente, prima di ringhiare un guardingo: “Un forestiero…”

Io ribattei tranquillo: “Una strega…”

Sorrise sprezzante, ed io non potevo sapere ancora quale ferita avevo aperto in lei - una ferita ancora calda e pulsante, che le divorava l’animo e le logorava il cuore - : “Non sono una strega, folle. E voi? Cosa siete voi? La vostra pelle ha un colore che vi marchia come figlio dell’Impero d’Oriente”

Scesi da cavallo, avvicinandomi a lei: “Negate il vostro peccato? L’Inquisizione saprà farvi parlare: e quando avrete confessato, morirete bruciata.”

“Non se vi uccido, messere…Non se vi conficco la mia lama in corpo”

Aveva la risposta pronta; oltre che bellissima, era anche intelligente.

Aveva uno sguardo intenso, passionale, piuttosto erotico, e nonostante questo innocente; non potevo uccidere una donna con uno sguardo simile.

“E se io vi permettessi di fuggire?”

Per un momento abbassò la guardia, probabilmente stupita della mia affermazione, ma poi tornò a sorridere in quel modo così cattivo e sicuro di sé: “Ciò non toglierebbe che io vi ucciderei; se non lo facessi, lei mi punireb…”

Ma non finì la frase: aveva detto troppo, e questo lo compresi anche io.

“Continuate la frase” le dissi, ma lei, atterrita, gli occhi velati da un’improvvisa quanto inspiegabile paura, afferrò i vestiti in terra e corse via, come una cerbiatta che fugge dal predatore.

Rimasi interdetto un istante, come indeciso, poi anche io scattai: presi la rincorsa, tentai di raggiungerla, quasi la ghermii…Ma lei era agile e veloce, mentre io avevo l’ingombro dell’armatura, e così mi sfuggì.

Stetti a fissare il punto in cui era sparita fino al tramonto, prima di decidermi a coricarmi per la notte.

Senza curarmi del fatto di essere una facile preda per le due streghe, mi coricai nel campo fiorito, e lì mi colse Morfeo.

 

Mia moglie era meravigliosa.

La conobbi quando aveva tredici anni, povera bimba; io ne avevo diciannove.

La sua pelle scura pulsava, illuminata dal fuoco della passione, voluto dal sultano che l’aveva chiamata a ballare per la sua festa.

Io ero stato invitato per le mie eroiche imprese come ambasciatore in una terra nemica, ed il sultano, per intrattenere i suoi ospiti, aveva comprato le migliori ballerine dell’intero cosmo.

E fu lì che io vidi la donna che mi cambiò la vita: la lunga treccia nera volava insieme a lei, che danzava come nessun’altra; il piccolo corpo, snello ed agile, si muoveva sensuale, ed i suoi occhi, di un verde talmente intenso da apparire finto (come se avesse dei smeraldi, al posto delle pupille) ammiccavano più volte in mia direzione.

Quando chiesi al sultano qual’era il nome di quello splendore, lui mi disse: “Una perla d’Arabia, il suo nome è Latika. Aspettate a giudicarla, sentite come canta.”

La chiamò con un cenno della mano, e le altre ballerine si allontanarono dal palco.

Latika era piccola, fragile: quando le chiese di cantare, lei rimase quasi turbata.

Allora io la incitai: “Forza, piccola Latika, dispiegate le ali della vostra voce per me”

Lei mostrò un sorriso candido, dolce come la frutta della tavola imbandita dal mio ricco ospite, dolce come un tramonto passato a guardare il mare, con il sole che si perde in lontananza, nella terra dove muore eroicamente, quindi iniziò a cantare una malinconica canzone.

Cantava come un angelo….Un angelo che mi aveva catturato, con il bagliore delle sue piume, e della sua luce. Da quella regale serata, io fui suo.

Quella notte nel campo di fiori, come ogni notte, la sognai…

…Ma era morta, fredda, ed un rivolo di sangue colava dalle sue labbra carnose.

 

“Che cosa pensaste, quando mi vedeste per la prima volta?”

“Perché mi fate questa domanda, amore mio? Perché me la fate ora?”

Lei gli sorrise, stringendo più forte la sua mano: “Io pensai che dovevo uccidervi, ma che eravate decisamente troppo bello per poterlo fare. Grazie al cielo non cambiai idea”

Lui la guardò un po’ sorpreso: “Lo sapete? Io pensai la stessa cosa…E grazie al cielo non cambiai idea.”

Si sorrisero, poi rimasero un po’ in silenzio.

Lei non riusciva a pensare ad altro che non fossero i suoi delitti, le sue colpe, la sua crudele amante, ed il suo dolce nuovo amore; lui non riusciva a pensare ad altro che non fossero la sua antica moglie, la Chiesa che l’avrebbe condannato per il suo ufficio mancato, quell’amore nuovo e forte…

“Posso chiedervi, Alisia, perché vi siete ostinata ad uccidere tante persone per una simile donna?”

Alisia lo fissò a bocca aperta, un po’ sconvolta; per lei era così ovvio….: “Perché avevo paura….E nonostante questo…”

“…L’amavate” Concluse per lei l’arabo.

 

Bellezza, tu cammini sui morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l'Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l'Omicidio
ti ballonzola allegro sull'orgoglioso ventre.

 

 

“Quante persone avete ucciso, quanti morti avete calpestato, nel segno della vostra potenza, in onore di una simile satanica creatura?”

La giovane donna lo fissò attonita, un velo d’ombra ad oscurarle il viso: “Oh Jameel, volete proprio angosciarmi, vero? Perché mi ponete ora simili domande?”

Lui sospirò: “Io per voi darei la vita, e lo sapete. Ma voglio prima sapere come mai per anni avete ostentato tanto orgogliosamente la vostra natura di Assassina Amorosa”

Lei rispose con voce flebile, versando lacrime invisibili ad ogni parola: “Io non ero fiera dei miei delitti…Io ero fiera del mio ruolo di protettrice. Difendevo la mia amata, e questo mi esaltava, mi rendeva orgogliosa e onnipotente. Quindi estraevo il mio pugnale, o le mie frecce avvelenate, e colpivo senza pietà: poi tornavo a casa, e lì avevo la mia ricompensa…o la mia punizione. Ed è stato quando le punizioni superavano di gran lunga le ricompense, che ho incontrato voi.”

Fece una pausa, e fu in quel momento che le sorse il dubbio: “Mi trovate orribile, vero? Io non sono come la vostra defunta consorte, io non sono un angelo par suo…Io sono solo la demoniaca serva di una strega.”

Ma lui non le diede il tempo di dire altro: le baciò le mani, le gote, le labbra, il collo, i seni…Poi scese, ed il resto non contò più nulla.

 

Non la rividi per molto tempo, quella strega bionda, nuda ed impertinente; in compenso, trovai un uomo morto nel bosco: dai vestiti era chiaramente un viaggiante: era morto per una freccia dalla lama velenosa, che ancora gli trafiggeva il cuore fermo, muto.

Chiusi gli occhi del pover’uomo, e sospirai rattristato: quel poveretto non aveva colpe…Era incappato in un destino spietato, supportato da una bellezza diabolica.

Mi stavo per rialzare, quando…Un fruscio di vesti.

Lo avevo sentito spesso, nella mia vita: quando Latika ballava, quando una strega scappava da me…

Mi bloccai dov’ero, cercando di percepire l’origine del suono: quando la trovai alzai lo sguardo, evitando in tempo una freccia maledetta.

Presi lo scudo e la spada, proteggendomi da altri dardi; lei era là, tra gli alberi, vestita con una scintillante veste azzurra, e mi osservava gelida.

Avanzai a grandi falcate verso il punto dove si trovava, ma appena lei si accorse di ciò fuggì: quella volta ero pronto, e levatami di dosso la pesante corazza, potei agilmente raggiungerla.

Mi buttai sulla donna per bloccarla, ed entrambi cademmo a terra, rotolando in una lotta di graffi, morsi e pugnalate a vuoto; infine la stanchezza sovrastò le nostre membra, e noi mettemmo fine a quella battaglia senza vincitori.

Nonostante ciò, era evidente il mio netto vantaggio: lei era una furia selvaggia, ma io ero più robusto e più preparato; la tenevo in pugno, sotto di me.

“Cosa diavolo volete da me? Chi siete??” Urlò lei, inferocita – e forse disperata.

Notai solo allora che era ferita: aveva un taglio sulla fronte, e non glielo avevo procurato io.

Notai che anche la prima volta che l’avevo vista la sua pelle era rovinata da graffi e lividi; pensai che quella donna non era un pericolo così grave…Pensai che se avessi curato il suo dolore, lei sarebbe stata splendida.

“Io sono un cacciatore di streghe, e voi siete ferita”

Lei sussultò, ma in fondo, credo, lo sapeva che sarebbe successo…Sapeva che sarebbe giunto un cacciatore, prima o poi.

“Voi non sapete cosa mi avete appena detto, folle! Io non posso uccidervi…Scappate, salvatevi. Fatelo ora, vivete.” Disse, agitandosi freneticamente.

Io non potevo capire ancora…Ma voi, Alisia, avevate già capito che io ero l’unico che poteva salvarvi, morendo nell’impresa. A modo vostro, già mi amavate. Vi innamorate sempre facilmente, oramai lo sappiamo entrambi.

“Di cosa parlate? Cosa intendete?”

Lei, inspiegabilmente, scoppiò a piangere.

 

Latika era luce e bellezza: prima amante, poi moglie.

Con lei scoprii la gioia di amare, di sorridere, di gioire per le cose più piccole.

Cantava solo per me, quando ballava guardava solo me.

E quando io mi perdevo nell’ammirare i suoi movimenti ed i suoi gesti, lei mi si avvicinava a passo di danza e rideva allegramente, baciandomi: “Jameel, vi siete imbambolato di nuovo? Venite a danzare con me, forza!”

Mi prendeva quindi per mano, e mi portava ad esplorare con lei un nuovo mondo di arte, passione, magia: insieme a me esplorava i suoi limiti, e grazie a me li superava.

Poi, nei momenti più tristi, si sedeva accanto a me e, con mute carezze e silenziosi abbracci, consolava i miei affanni.

Quando rimase incinta, allora capii che il Paradiso era raggiungibile anche in vita.

…Ma il Diavolo, malefico angelo vanesio, non poteva permettere che una così innocente creatura vivesse più a lungo: risucchiò le sue forze, strappò i suoi lunghi filamenti d’ebano, spense la sua voglia di ballare, di ridere, e le tolse la voce d’usignolo.

Ed in una splendida giornata di sole reclamò la sua anima.

La trovai sul letto, pallida, magra, gli occhi smeraldini spenti ed il sangue appena accennato sul mento: il prete al suo fianco le teneva la mano cadente: “Una strega le ha unto le vesti…Ce ne siamo accorti troppo tardi. Che Dio l’abbia in gloria, Amen.”

Una strega…Una strega aveva svuotato la mia vita, distrutto il mio mondo.

Una lurida vecchia che si era votata a Satana e che per capriccio aveva ucciso la mia dolce, amata Latika…Quel giorno persi tutto: piansi fino a che non ebbi più lacrime, distrussi la mia casa e infransi la mia voce gridando improperi al Demonio.

Infine, mi recai nella Casa del Signore.

Il giorno in cui mia moglie ed il figlio in lei morirono, io mi votai alla Chiesa ed a Dio.

Quel giorno io divenni un cacciatore di streghe per conto della Santa Inquisizione.

 

La scossi per le spalle, cercai di farla smettere di piangere: “Che vi succede? Spiegatevi! Dannata strega, vi brucerò con le mie stesse mani se non parlerete ORA!”

Lei strisciò da sotto il mio corpo, stringendo i ciuffi d’erba: “Lasciatemi, lasciatemi…Io non sono una strega, non io…Io amo solo le piante, io conosco le piante…”

Come una nenia, ripetè a lungo quelle parole; io mi sedetti a terra, cercando di capire cosa voleva dire: “Insomma, chi siete? Se non siete voi la strega assassina, chi è?”

Lei allora smise di piangere, e mi guardò sconvolta: “Io sono un’assassina, e non lo nego: l’avete visto. Ma non sono una strega. Avete avuto le informazioni sbagliate…Andatevene, non tornate più qui, se avete cara la pelle. Avete moglie, figli? Pensate a loro, ed al bisogno che hanno di voi.”

“Sono solo al mondo, donna. Dalle vostre parole deduco che voi sapete dov’è la strega”

Lei non rispose alla mia provocazione, anzi: si alzò piano da terra, pulì la gonna, sistemò i capelli; poi, lentamente, si avvicinò a me…I suoi passi avevano un che di ipnotico, ero paralizzato.

Era una donna alta, slanciata e molto attraente; aveva un neo piccolo e scuro sotto l’occhio sinistro, le labbra carnose e gli occhi cristallini.

Mi si accostò, posando le sue mani sulle mie guancie: mi diede un delicato bacio sulla fronte.

Io la osservavo incantato.

“Siete molto bello, cavaliere; e siete il primo che mi crede, quando dichiaro la mia innocenza. Forse, un giorno, ci rivedremo…Ma ora andatevene, e non tornate più.”

Mi alzai, accigliato: “Io non ho la benché minima intenzione di scappare dalle mie responsabilità cara….perdonate, non ho chiesto il vostro nome; il mio è Jameel.”

Mi scrutò; non sapevate se fidarvi, vero? Non avevo intenzioni maligne, lo giuro: un sincero desiderio di conoscervi, e la speranza che voi mi riferiste cosa sapevate della strega, mi portarono a cercare la vostra amicizia.

Alisia.” Disse solo; sorrisi: “Avete un nome incantevole, Alisia.”

“E voi uno strano modo per indagare sulle streghe, Jameel.” Ribattè, avendo di certo capito il mio intento.

Lo sapete Alisia? In quel momento, se avessi avuto senno, vi avrei dovuto costringere con la forza a rivelarmi la verità, per poi uccidervi; ma eravate davvero quanto di più bello e triste io avessi mai ammirato: se quel giorno io non vi avessi improvvisamente baciata, ora non vi potrei amare.

 

Quando chiesi al sultano, unico padrone delle sue ballerine, la mano della mia bella perla d’Arabia, lui me la concedette con molta ritrosità; conoscevo bene le concubine del suo harem, e l’abitudine del regale uomo a includere in questo anche il suo corpo di ballo.

Latika era una stella nascente: aveva quindici anni quando smisi di amarla nel segreto, e resi pubblico il mio ardore per lei; quando ebbi la benedizione del mio signore, mi parve di essere diventato immortale.

Il regno in cui vivevo era cristiano, grazie alla mirata opera di evangelizzazione del Vaticano: in un mondo in cui regnava il disordine, la Chiesa riportò rifugio, pace, armonia.

E fu per votare il nostro legame alla pace che richiesi una cerimonia cristiana, e convinsi Latika a convertirsi al cattolicesimo.

Il giorno prescelto per la cerimonia lei era bellissima: vestita con una lunga tunica bianca, simbolo della purezza che mi offriva, e coperti i capelli con un drappo dorato, i suoi occhi risplendevano nel momento del “sì” che la rendeva mia. Io, da mia parte, avevo indossato i miei abiti migliori, la livrea del mio sultano, l’armatura più splendente…Armatura che quella notte lei non ebbe problemi a sfilare.

Al tempo credevo non esistesse donna più bella e sapiente, saggia e potente.

Amava fermarsi con me fino al tramonto sul prato, indicarmi il sole, e dirmi: “Lo vedete, Jameel? Un giorno io raggiungerò il luogo dove la Calda Sfera va a riposare: quel giorno entrerò nei meandri della terra con lei, rapirò il suo fuoco e poi svetterò in aria, mi innalzerò con gli Astri e godrò della bellezza della Luna. Danzerò per loro, e questi per ringraziarmi mi doneranno la loro luce: io allora tornerò sulla Terra con questa luce, e la regalerò a voi.”

Ed io quali promesse potevo farle, se non che l’avrei amata fino a che il mio cuore avesse avuto amore da dare?

 

Alisia non ha mai saputo dirmi perché ricambiò il mio bacio: forse per amore, forse per paura…Forse per consolazione.

“Non è corteggiandomi che otterrete le informazioni che volete” Mi disse, quando ci separammo.

Io sorrisi, incosciente: “Eppure non mi avete rifiutato.”

Lei sospirò, scuotendo piano il capo: “Ho già vissuto una simile sensazione, e so io a cosa mi ha portato. Andatevene, risparmiateci inutili dispiaceri.”

Dopo aver detto questo si girò verso il bosco, sorda alla mia voce che la chiamava: quello avrebbe dovuto essere il nostro addio…

….Ma io non intendevo lasciarmela scappare; mi accampai in quel luogo, attendendo strenuamente il suo ritorno.

Aspettai giorni e notti, notti e giorni…Così per 31 volte.

Infine, il trentaduesimo afoso giorno, un singhiozzo strozzato raggiunse le mie orecchie: incuriosito da quel suono mi avvicinai alla sua fonte, e quando la trovai ne venni sconvolto: Alisia giaceva a terra, rannicchiata, stringeva spasmodicamente lo stelo di un fiore e piangeva piano; il suo corpo era nascosto da una scintillante veste rossa, ma notai nelle braccia e nel viso degli orrendi segni bluastri, e del sangue scivolare lungo il volto.

Mi chinai su di lei, scostandole i capelli intrisi di sangue dalla ferita che aveva in viso: “Chi vi ha fatto questo?”

“Nessuno.” Sussurrò lei; io la guardai scettico: “Mi state dicendo che siete un’amante del dolore, e che vi siete ferita a morte da sola?”

Lei annuì, ma i singhiozzi e le lacrime aumentarono.

Sospirai: era come parlare ad una bambina…

La avvolsi nel mio mantello, per poi sollevarla: lei tentò di ribellarsi, ma era troppo debole, e le sue suppliche non mi scalfivano.

Quando capì che ero irremovibile, mi disse in un soffio delicato: “Portatemi nel bosco, laggiù…Proseguite per la vegetazione più fitta, trovate una radura: lì posatemi. Ho solo bisogno delle erbe giuste: mi curerò, e voi potrete andarvene. Perché siete ancora qui?”

Seguii le sue istruzioni, senza rispondere, fino a che, in effetti, non trovai una radura.

La sua radura.

La feci sedere in terra, e raccolsi le erbe che mi indicava; quando arrivò il tardo pomeriggio, lei stava ancora curandosi.

Io l’avevo osservata a lungo, in silenzio: la trovavo splendida, forse anche più della mia Latika…Quella donna, quella Alisia, era un diavolo, ma era un diavolo veramente superbo nella sua dignità.

Quando infine sollevò lo sguardo su di me, sembrò combattuta: “Dunque non volete rispondermi? Perché siete rimasto in questo inferno?”

Inferno? Inferno?? Inferno lo chiamavate voi, bella mia. Voi che lo avevate amato prima di chiunque altro!!

Io mi avvicinai a lei, e quando le fui davanti mi chinai sulle sue labbra, in un tiepido bacio: “Perché queste sono la mia nuova preda.”

 

Latika era morta, ed io con lei.

Camminavo sotto la luna, la pioggia iniziava a colpire il terreno con ferocia ed io ero solo al mondo: la famiglia che stavo per creare era svanita, ed ora stringevo il nulla.

Erano lacrime o gocce d’acqua piovana a perforare le mie guance?

“Perché?” Urlai.

Presi un sasso da terra e lo lanciai, poi ne presi un altro, ed un altro ancora.

“Perché?” Continuavo ad urlare. “Perché??”

Un sasso, acuminato, mi ferì un dito: rimasi a guardare il sangue colarne via, ed emisi un singhiozzo: anche su di lei era colato sangue…immondo liquido purpureo.

Strinsi quella pietra con tutte le mie forse, poi la gettai ancora più lontano delle altre, ancora più lontano di dove il Sole periva.

“Io ti ho dato la mia anima, Signore Illustrissimo! Io ti ho dato la sua anima! Avresti dovuto assicurarci la pace, avresti dovuto assicurarci l’amore, avresti dovuto…” Il mio grido si spezzò, perché nuove lacrime – erano calde, ed avevano un sapore amaro…non poteva essere pioggia – inondarono i miei occhi, ed io mi afflosciai a terra, come moribondo. Come morto.

Non volevo più respirare. Non volevo più ridere. Non volevo più vivere.

Latika aveva preso la mia luce e l’aveva portata con sé sulla Luna; solo che non sarebbe tornata a restituirmela. Non più.

Una campana in lontananza mi ricordò che non ero ancora morto: mi sollevai piano da terra, e come un cadavere mi strascinai fino alla soglia della chiesa; quando vi arrivai sentii delle braccia afferrarmi: potrei giurare di aver visto il vescovo benedirmi, ma svenni prima di poter dire Amen.

 

“Voglio stare con voi.”

Ci pensavo da tanto tempo ormai. Alisia ed io possedevamo le labbra l’uno dell’altra da mesi oramai, ma ogni volta che desideravo da lei qualcosa di più tremava, mi sorrideva e mi diceva: “La prossima volta, Jameel caro. Ora però venite, siamo troppo allo scoperto: Lei potrebbe scorgerci, e questo non deve assolutamente accadere.”

Quando io le chiedevo di chi parlava mi baciava e poi correva via, costringendomi a raggiungerla.

Lei mi guardò sorridendo: “Non dite cose che non pensate. La notte parlate di una donna: è lei che amate, non me.”

Avvampai: “Una donna?”

Lei alzò con noncuranza le spalle: “Una perla d’Arabia, a vostro dire. Non m’importa…” La sua voce fremette: “Non ho bisogno di voi.”

Io la strinsi dolcemente, e la sentii rilassare le membra: “Ma io ho bisogno di voi…Non m’importa più della strega, venite via con me.”

Lei si separò subito dalla mia stretta, con gli occhi sbarrati: “Cosa?” Sibilò, spaventata. “Cosa?? Siete pazzo per caso? Oh mio Dio, voi non avete idea…” Si accasciò a terra, senza forze.

La guardai preoccupato: “Alisia, mi state spaventando”

Le sue labbra tremarono: “Fate l’amore con me. Fatelo finchè non potrò dire di aver toccato il fondo dell’Inferno: fatelo per darmi un momento di conforto, tra tanti dolori.”

Io l’abbracciai, e lei si rifugiò tra le mie braccia: “Dove?” Le chiesi.

Lei chiuse gli occhi, aggrappandosi alle mie spalle con le sue piccole mani di donna: “Creiamo un nostro talamo. Vi prego, ne ho bisogno…”

“Così sia” Acconsentii io.

E fu così che nacque la Camera della Seta.

Io tagliai il legno, lei trovò le stoffe e le altre comodità.

Ci mettemmo due mesi, circa: spesso lei mancava agli appuntamenti, per poi comparire il giorno dopo sanguinante e fragile, con le lacrime a stento trattenute agli occhi.

Io allora la consolavo, la baciavo, le sussurravo parole dolci…

 

“Figliolo, cosa intendete fare ora?”

Mi chiese il vescovo, greve.

“Troverò la strega che ha ucciso la mia Latika e il mio bambino. Troverò lei e le sue infere compagne. Le troverò e le ucciderò.”

L’uomo mi strinse la mano brevemente: “Così sia, Jameel. D’ora in poi sarete Jameel, il Cacciatore di Streghe. Ne informerò la Santa Chiesa, e la Santa Inquisizione; da qui parte il vostro viaggio…Adempite il vostro voto, o morite nel tentativo.”

 

La notte in cui mi unii ad Alisia la prima volta sapevo che così facendo andavo contro il mio ufficio: ma, veramente, non importava poi molto.

Avevo promesso sulla tomba di Latika che avrei ucciso ogni strega si fosse parata sul mio cammino…Ma Alisia non era affatto una strega, e poi l’amavo.

Quella notte lo sentii in ogni fibra del mio essere, quel potente e nuovo amore che in quei mesi mi aveva trattenuto al fianco della donna che stringevo tra le braccia.

“Vi amo….Vi amo più di quanto abbia mai amato Latika.”

Alisia mi carezzò una guancia, confusa: “Chi è Latika?”

“Mia moglie…” Ammisi. Lei si rabbuiò, ed io aggiunsi una parola che non mi pesò più sull’animo come un tempo: “…morta.”

Lei mi baciò, una muta consolazione, per poi rannicchiarsi contro il mio petto: “Vi amo…Ma sono una peccatrice, io. Non dovete amarmi.”

“Quali peccati avete commesso? Avete ucciso, io pure. Non è importante.”

Lei deglutì: “Ho amato….”

La incitai a continuare, sorridente: “Chi avete amato, bella Alisia? Chi mai?”

Si fece piccola piccola quando disse quella parola che mi lasciò spiazzato: “…una donna….Madama…”

Al tempo non sapevo quale sacrificio fosse stato per voi ammetterlo, e mettere così in pericolo una persona che, in fondo, amavate ancora.

“Madama?” Chiesi turbato. Amare una persona del proprio sesso era peccato mortale…ma non lo era anche uccidere?

Lei annuì: “Madama…La strega che state cercando.”

Portò le mani al volto, come se avesse voluto nascondersi e annullarsi dopo una simile lacerante confessione; io cercai di assimilare la notizia, per ricomporre quel quadro che stava diventando sempre più crudelmente chiaro.

Alisia aveva amato (o amava ancora?) una strega di nome Madama, che era la stessa donna che cercavo da quasi un anno…Ogni volta che ci vedevamo, la mia amata era spaventata da una “Lei” che avrebbe potuto “scoprirci”, ed era quasi sempre ferita.

Improvvisamente…tutto prendeva forma.

Alisia…Le vostre ferite ve le ha procurate lei? Ditemi dov’è, ditemelo! La ucciderò con le mie stesse mani!”

Lei frenò il mio impeto abbracciandomi e trattenendomi: “NO, vi prego! Voi non sapete…! Io non potrei mai farle del male, mai!”

“Ma lei ne ha fatto e continua a farne a voi, sbaglio?” Ribattei sicuro.

Lei si morse un labbro, in lacrime; io ripetei la mia domanda più forte: “Sbaglio??”

Con profondo rammarico fu costretta ad ammetterlo, con un cenno del capo.

Notai la tristezza nei suoi occhi, e mi calmai: “Non capisco il motivo della vostra bontà, ma del resto so così poco di voi! Cosa posso fare?”

Lei si sedette su di me, baciandomi con passione: “Rimanete al mio fianco, per sempre”

Alisia…Fu lì che tutto cominciò!

Nella camera della Seta, io votai la mia vita a voi.

 

Uscirono dalla camera della Seta, ed Alisia ebbe a malapena il tempo di sfiorarne una colonna di legno, rovinata dai tre anni passati dalla sua costruzione; Jameel prese la sua mano, e la condusse lontano dal loro rifugio. Ma nemmeno lui potè evitarsi un nostalgico sguardo a quel riparo, testimone delle sue più belle notti d’amore.

Quello era il loro addio alla camera, con le sue stoffe che tanto ricordavano l’Oriente e i suoi colori; quello era il loro addio a quel bosco che li aveva protetti, che aveva protetto loro, amanti profani e reietti del mondo; quello era il loro addio a quel campo di fiori, che aveva visto nascere un’Alisia nuova e inquietante, sola e innamorata.

Avevano deciso di affrontare Madama: sarebbero saliti alla grotta, Alisia le avrebbe parlato, Jameel l’avrebbe difesa. Non l’avrebbero uccisa…Ma dovevano fare in modo di non incorrere nella sua ira.

Dopo quello, sarebbero fuggiti insieme.

“Ne siete sicuro?” Chiese titubante la donna all’amato.

Lui le sorrise, innamorato follemente, quasi disperatamente: lei aveva preso la luce che Latika gli aveva rubato, e gliel’aveva riportata anni dopo.

 

Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l'amante sull'amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba

 

Alisia, vi amo. Siete bellissima, non mi stancherò mai di dirvelo….Vi amo.”

Lei gli sorrise raddolcita: “E voi siete meraviglioso, nella vostra tenerezza. Sento che tutto andrà per il meglio, ora che voi siete con me…Non ho più paura.”

Jameel rimase come accecato da quel sorriso splendido e sincero, così straordinariamente limpido: ricambiò con ardore, con una sorte di adorazione incontrollata.

E non fu evidente che la bellezza di Lei lo aveva portato a vederla come un Angelo magnifico, e non come un Anima Dannata? Non fu chiaro che lui stava sorridendo alla sua Fine?

E non fu forse chiaro che l’amore che Madama provava per Alisia non si sarebbe mai placato, a causa della bellezza di questa?

Ma intanto loro stavano andando alla Grotta della Strega…Sebbene, nell’Inferno della Strega, ci fossero  già da troppo, senza essersene avveduti.

 

Fine Secondo Capitolo

 

 

 

Ringrazio di cuore Padme86 e Aphrodite per avere recensito: Padme, sai già cosa penso delle tue splendide parole; Ika, ti risponderò per mail, con calma. ^^

 

Spero apprezziate questo secondo capitolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe / Vai alla pagina dell'autore: Sybelle