Il Sabba di Madama
**Nella camera della Seta**
È cominciato tutto nella
camera della Seta.
L’avevamo creata io e Lei,
facendo di una costruzione in legno - costituita da una piattaforma quadrata come
base e da quattro pilastri - il nostro rifugio, posizionandoci il nostro
giaciglio di piume, cuscini e stoffe; la nostra paura che le intemperie e
Era il nostro rifugio, e quando lo
finimmo ci guardammo come mai prima: avevamo qualcosa di nostro, qualcosa che
io e lei condividevamo come coppia.
Il nostro segreto.
Io non sapevo molto della sua
vita, all’epoca; non mi aveva spiegato cosa l’aveva portata in quel
luogo, e cosa l’aveva portata, e la portava, ad uccidere con tanta
freddezza gli stranieri.
Ogni volta che ci incontravamo era
ansiosa, frenetica: ripeteva frasi come “Lei non deve scoprirci”, o
“Venite, non possiamo stare qui. La sua dimora regna sul campo di fiori,
non deve vederci!”
E quasi sempre era ferita: spesso
solo qualche ematoma, a volte veri e propri tagli da pugnale…E quando io
le chiedevo con orrore come si fosse procurata quegli orribili segni, lei
rispondeva con una veloce alzata di spalle, ed un commento atto a sviare il
discorso: “Ora che siamo insieme non le sento nemmeno più, queste
piccole e insensate inezie”
Inezie, le chiamava lei: ma quando
sfioravo le chiazze scure, e lenivo con unguenti e baci le ferite, lei
schiudeva appena le labbra, emettendo gemiti strozzati di dolore.
Lei, così forte
all’apparenza, ma in realtà così tragicamente fragile!
La prima volta che la vidi era
nuda: e quanta beltà mi parve di rimirare! Ma non avevo forse notato le
chiazze nerastre, ed il sangue raggrumato orrendamente? Oh sì, li avevo
notati…Ma quanta beltà, dietro
e con essi!
Ero giunto, dopo giorni e giorni
di galoppo in sella al mio fiero Zais, nel luogo che
tutti mi avevano indicato come “l’Inferno della strega”;
stringevo tra le mani la croce benedetta che mi aveva offerto il buon prete
dell’ultimo villaggio che avevo visitato.
L’uomo si era mostrato
terrorizzato all’idea che io andassi a cercare spontaneamente la strega
più temuta nei dintorni; mi aveva spiegato che la malefica meretrice era
in verità il pericolo minore, e che il vero pericolo era la belva
assassina che difendeva strenuamente la zona d’azione della donna
satanica.
Belva assassina…così
vi chiamarono, incantevole amore mio!
Mi aveva narrato che avrei dovuto
assolutamente stare lontano da una donna deviata, atta al peccato, strega
pericolosa non per le sue arti magiche, ma per ben altre arti: ella uccideva
spietatamente gli stranieri con frecce velenose ed armi da taglio; il suo
aspetto da angelo (lunghi capelli biondi e occhi che erano pezzi di cielo)
nascondeva in realtà il demonio più crudele.
Quando avevo chiesto come facevano
a sapere con certezza che le streghe fossero due, e l’aspetto di una di
queste, l’intero villaggio era caduto nel mutismo più profondo.
Non sapevo all’epoca la
vostra storia, Alisia, bella mia, non sapevo che
mentre tutta la regione era spaventata da una strega che non mostrava il suo
volto, in quel villaggio ne era apparsa un’altra, e che quell’altra
eravate voi!
E voi cosa pensaste quando mi
vedeste, nuda e macchiata delle colpe della vostra amante?
Io pensai che voi eravate il mio
bersaglio, che come tale dovevate morire, ma che pur essendo tale…eravate
bellissima.
Bellissima, come solo il diavolo
poteva avervi creato.
Comunque, quando giunsi al lago, credetti di avere un miraggio: non era mai successo prima
che io trovassi la mia preda così rapidamente, ed anche così
indifesa.
Ma quando, anni prima, avevo
scelto di diventare un cacciatore di streghe, non avevo mai riflettuto troppo
sul fatto che avrei incontrato tante donne; non avevo mai riflettuto sul fatto
che queste donne potessero essere belle.
Belle magari come la mia Latika, belle magari come quella strega che si lavava e mi
scrutava cupa e minacciosa.
Quando io mi avvicinai al lago,
lei scattò: saltò sulla riva, e con un balzo afferrò un
pugnale da terra - la sua arma, senza dubbio; aveva un bel corpo, longilineo e
tonico, e si vedeva che era cresciuta in mezzo alla foresta: aveva un che di
felino nei movimenti.
Io spronai Zais
ad avanzare, lentamente però: volevo godere della visione di quel corpo
(e delle sue femminili particolarità) fino alla fine.
I capelli, umidi, ricadevano
scomposti lungo il viso, gli occhi chiari brillavano di una luce sinistra, spaventata.
Più che una fiera leonessa,
mi parve un pulcino bagnato.
Mi osservò attentamente,
prima di ringhiare un guardingo: “Un forestiero…”
Io ribattei tranquillo: “Una
strega…”
Sorrise sprezzante, ed io non
potevo sapere ancora quale ferita avevo aperto in lei - una ferita ancora calda e pulsante, che le divorava l’animo e le
logorava il cuore - : “Non sono una strega, folle. E voi? Cosa siete
voi? La vostra pelle ha un colore che vi marchia come figlio dell’Impero
d’Oriente”
Scesi da cavallo, avvicinandomi a
lei: “Negate il vostro peccato? L’Inquisizione saprà farvi
parlare: e quando avrete confessato, morirete bruciata.”
“Non se vi uccido,
messere…Non se vi conficco la mia lama in corpo”
Aveva la risposta pronta; oltre
che bellissima, era anche intelligente.
Aveva uno sguardo intenso,
passionale, piuttosto erotico, e
nonostante questo innocente; non
potevo uccidere una donna con uno sguardo simile.
“E se io vi permettessi di
fuggire?”
Per un momento abbassò la
guardia, probabilmente stupita della mia affermazione, ma poi tornò a
sorridere in quel modo così cattivo e sicuro di sé:
“Ciò non toglierebbe che io vi ucciderei; se non lo facessi, lei mi punireb…”
Ma non finì la frase: aveva
detto troppo, e questo lo compresi anche io.
“Continuate la frase”
le dissi, ma lei, atterrita, gli occhi velati da un’improvvisa quanto
inspiegabile paura, afferrò i vestiti in terra e corse via, come una
cerbiatta che fugge dal predatore.
Rimasi interdetto un istante, come
indeciso, poi anche io scattai: presi la rincorsa, tentai di raggiungerla,
quasi la ghermii…Ma lei era agile e veloce, mentre io avevo
l’ingombro dell’armatura, e così mi sfuggì.
Stetti a fissare il punto in cui
era sparita fino al tramonto, prima di decidermi a coricarmi per la notte.
Senza curarmi del fatto di essere
una facile preda per le due streghe, mi coricai nel campo fiorito, e lì
mi colse Morfeo.
Mia moglie era meravigliosa.
La conobbi quando aveva tredici
anni, povera bimba; io ne avevo diciannove.
La sua pelle scura pulsava,
illuminata dal fuoco della passione, voluto dal sultano che l’aveva
chiamata a ballare per la sua festa.
Io ero stato invitato per le mie
eroiche imprese come ambasciatore in una terra nemica, ed il sultano, per
intrattenere i suoi ospiti, aveva comprato
le migliori ballerine dell’intero cosmo.
E fu lì che io vidi la
donna che mi cambiò la vita: la lunga treccia nera volava insieme a lei,
che danzava come nessun’altra; il piccolo corpo, snello ed agile, si
muoveva sensuale, ed i suoi occhi, di un verde talmente intenso da apparire
finto (come se avesse dei smeraldi, al posto delle pupille) ammiccavano
più volte in mia direzione.
Quando chiesi al sultano
qual’era il nome di quello splendore, lui mi disse: “Una perla
d’Arabia, il suo nome è Latika.
Aspettate a giudicarla, sentite come canta.”
La chiamò con un cenno
della mano, e le altre ballerine si allontanarono dal palco.
Latika era piccola, fragile: quando le chiese di cantare, lei
rimase quasi turbata.
Allora io la incitai:
“Forza, piccola Latika, dispiegate le ali della
vostra voce per me”
Lei mostrò un sorriso
candido, dolce come la frutta della tavola imbandita dal mio ricco ospite,
dolce come un tramonto passato a guardare il mare, con il sole che si perde in
lontananza, nella terra dove muore eroicamente, quindi iniziò a cantare
una malinconica canzone.
Cantava come un angelo….Un
angelo che mi aveva catturato, con il bagliore delle sue piume, e della sua
luce. Da quella regale serata, io fui suo.
Quella notte nel campo di fiori,
come ogni notte, la sognai…
…Ma era morta, fredda, ed un
rivolo di sangue colava dalle sue labbra carnose.
“Che
cosa pensaste, quando mi vedeste per la prima volta?”
“Perché
mi fate questa domanda, amore mio? Perché me la fate ora?”
Lei
gli sorrise, stringendo più forte la sua mano: “Io pensai che dovevo
uccidervi, ma che eravate decisamente troppo bello per poterlo fare. Grazie al
cielo non cambiai idea”
Lui
la guardò un po’ sorpreso: “Lo sapete? Io pensai la stessa
cosa…E grazie al cielo non cambiai idea.”
Si
sorrisero, poi rimasero un po’ in silenzio.
Lei
non riusciva a pensare ad altro che non fossero i suoi delitti, le sue colpe,
la sua crudele amante, ed il suo dolce nuovo amore; lui non riusciva a pensare
ad altro che non fossero la sua antica moglie,
“Posso
chiedervi, Alisia, perché vi siete ostinata ad
uccidere tante persone per una simile donna?”
Alisia lo fissò a bocca aperta, un po’ sconvolta; per lei
era così ovvio….: “Perché avevo paura….E
nonostante questo…”
“…L’amavate”
Concluse per lei l’arabo.
Bellezza, tu cammini sui morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l'Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l'Omicidio
ti ballonzola allegro sull'orgoglioso ventre.
“Quante persone avete ucciso, quanti morti avete calpestato, nel
segno della vostra potenza, in onore di una simile satanica creatura?”
La giovane donna lo fissò attonita, un velo d’ombra ad
oscurarle il viso: “Oh Jameel, volete proprio
angosciarmi, vero? Perché mi ponete ora simili domande?”
Lui sospirò: “Io per voi darei la vita, e lo sapete. Ma
voglio prima sapere come mai per anni avete ostentato tanto orgogliosamente la
vostra natura di Assassina Amorosa”
Lei rispose con voce flebile, versando lacrime invisibili ad ogni
parola: “Io non ero fiera dei miei delitti…Io ero fiera del mio
ruolo di protettrice. Difendevo la mia amata, e questo mi esaltava, mi rendeva
orgogliosa e onnipotente. Quindi estraevo il mio pugnale, o le mie frecce
avvelenate, e colpivo senza pietà: poi tornavo a casa, e lì avevo
la mia ricompensa…o la mia punizione. Ed è stato quando le
punizioni superavano di gran lunga le ricompense, che ho incontrato voi.”
Fece una pausa, e fu in quel momento che le sorse il dubbio: “Mi
trovate orribile, vero? Io non sono come la vostra defunta consorte, io non
sono un angelo par suo…Io sono solo la demoniaca serva di una
strega.”
Ma lui non le diede il tempo di dire altro: le baciò le mani, le
gote, le labbra, il collo, i seni…Poi scese, ed il resto non contò
più nulla.
Non la rividi per
molto tempo, quella strega bionda, nuda ed impertinente; in compenso, trovai un
uomo morto nel bosco: dai vestiti era chiaramente un viaggiante: era morto per
una freccia dalla lama velenosa, che ancora gli trafiggeva il cuore fermo,
muto.
Chiusi gli occhi
del pover’uomo, e sospirai rattristato: quel poveretto non aveva
colpe…Era incappato in un destino spietato, supportato da una bellezza
diabolica.
Mi stavo per
rialzare, quando…Un fruscio di vesti.
Lo avevo sentito
spesso, nella mia vita: quando Latika ballava, quando
una strega scappava da me…
Mi bloccai
dov’ero, cercando di percepire l’origine del suono: quando la
trovai alzai lo sguardo, evitando in tempo una freccia maledetta.
Presi lo scudo e la
spada, proteggendomi da altri dardi; lei era là, tra gli alberi, vestita
con una scintillante veste azzurra, e mi osservava gelida.
Avanzai a grandi
falcate verso il punto dove si trovava, ma appena lei si accorse di ciò
fuggì: quella volta ero pronto, e levatami di dosso la pesante corazza,
potei agilmente raggiungerla.
Mi buttai sulla
donna per bloccarla, ed entrambi cademmo a terra, rotolando in una lotta di
graffi, morsi e pugnalate a vuoto; infine la stanchezza sovrastò le
nostre membra, e noi mettemmo fine a quella battaglia senza vincitori.
Nonostante
ciò, era evidente il mio netto vantaggio: lei era una furia selvaggia,
ma io ero più robusto e più preparato; la tenevo in pugno, sotto
di me.
“Cosa diavolo
volete da me? Chi siete??” Urlò lei, inferocita – e forse
disperata.
Notai solo allora
che era ferita: aveva un taglio sulla fronte, e non glielo avevo procurato io.
Notai che anche la
prima volta che l’avevo vista la sua pelle era rovinata da graffi e
lividi; pensai che quella donna non era un pericolo così
grave…Pensai che se avessi curato il suo dolore, lei sarebbe stata
splendida.
“Io sono un
cacciatore di streghe, e voi siete ferita”
Lei
sussultò, ma in fondo, credo, lo sapeva che sarebbe
successo…Sapeva che sarebbe giunto un cacciatore, prima o poi.
“Voi non
sapete cosa mi avete appena detto, folle! Io non posso uccidervi…Scappate,
salvatevi. Fatelo ora, vivete.” Disse, agitandosi freneticamente.
Io non potevo
capire ancora…Ma voi, Alisia, avevate
già capito che io ero l’unico che poteva salvarvi, morendo
nell’impresa. A modo vostro, già mi amavate. Vi innamorate sempre
facilmente, oramai lo sappiamo entrambi.
“Di cosa
parlate? Cosa intendete?”
Lei,
inspiegabilmente, scoppiò a piangere.
Latika era luce e bellezza: prima amante, poi
moglie.
Con lei scoprii la
gioia di amare, di sorridere, di gioire per le cose più piccole.
Cantava solo per
me, quando ballava guardava solo me.
E quando io mi
perdevo nell’ammirare i suoi movimenti ed i suoi gesti, lei mi si
avvicinava a passo di danza e rideva allegramente, baciandomi: “Jameel, vi siete imbambolato di nuovo? Venite a danzare con
me, forza!”
Mi prendeva quindi
per mano, e mi portava ad esplorare con lei un nuovo mondo di arte, passione,
magia: insieme a me esplorava i suoi limiti, e grazie a me li superava.
Poi, nei momenti più
tristi, si sedeva accanto a me e, con mute carezze e silenziosi abbracci,
consolava i miei affanni.
Quando rimase
incinta, allora capii che il Paradiso era raggiungibile anche in vita.
…Ma il
Diavolo, malefico angelo vanesio, non poteva permettere che una così
innocente creatura vivesse più a lungo: risucchiò le sue forze,
strappò i suoi lunghi filamenti d’ebano, spense la sua voglia di
ballare, di ridere, e le tolse la voce d’usignolo.
Ed in una splendida
giornata di sole reclamò la sua anima.
La trovai sul
letto, pallida, magra, gli occhi smeraldini spenti ed il sangue appena
accennato sul mento: il prete al suo fianco le teneva la mano cadente:
“Una strega le ha unto le vesti…Ce ne siamo accorti troppo tardi.
Che Dio l’abbia in gloria, Amen.”
Una strega…Una
strega aveva svuotato la mia vita, distrutto il mio mondo.
Una lurida vecchia
che si era votata a Satana e che per capriccio aveva ucciso la mia dolce, amata
Latika…Quel giorno persi tutto: piansi fino a
che non ebbi più lacrime, distrussi la mia casa e infransi la mia voce
gridando improperi al Demonio.
Infine, mi recai
nella Casa del Signore.
Il giorno in cui
mia moglie ed il figlio in lei morirono, io mi votai alla Chiesa ed a Dio.
Quel giorno io
divenni un cacciatore di streghe per conto della Santa Inquisizione.
La scossi per le
spalle, cercai di farla smettere di piangere: “Che vi succede?
Spiegatevi! Dannata strega, vi brucerò con le mie stesse mani se non
parlerete ORA!”
Lei strisciò
da sotto il mio corpo, stringendo i ciuffi d’erba: “Lasciatemi,
lasciatemi…Io non sono una strega, non io…Io amo solo le piante, io
conosco le piante…”
Come una nenia, ripetè a lungo quelle parole; io mi sedetti a terra,
cercando di capire cosa voleva dire: “Insomma, chi siete? Se non siete
voi la strega assassina, chi è?”
Lei allora smise di
piangere, e mi guardò sconvolta: “Io sono un’assassina, e
non lo nego: l’avete visto. Ma non
sono una strega. Avete avuto le informazioni sbagliate…Andatevene, non
tornate più qui, se avete cara la pelle. Avete moglie, figli? Pensate a
loro, ed al bisogno che hanno di voi.”
“Sono solo al
mondo, donna. Dalle vostre parole deduco che voi sapete dov’è la
strega”
Lei non rispose
alla mia provocazione, anzi: si alzò piano da terra, pulì la
gonna, sistemò i capelli; poi, lentamente, si avvicinò a
me…I suoi passi avevano un che di ipnotico, ero paralizzato.
Era una donna alta,
slanciata e molto attraente; aveva un neo piccolo e scuro sotto l’occhio
sinistro, le labbra carnose e gli occhi cristallini.
Mi si
accostò, posando le sue mani sulle mie guancie: mi diede un delicato
bacio sulla fronte.
Io la osservavo
incantato.
“Siete molto
bello, cavaliere; e siete il primo che mi crede, quando dichiaro la mia
innocenza. Forse, un giorno, ci rivedremo…Ma ora andatevene, e non
tornate più.”
Mi alzai,
accigliato: “Io non ho la benché minima intenzione di scappare
dalle mie responsabilità cara….perdonate, non ho chiesto il vostro
nome; il mio è Jameel.”
Mi scrutò;
non sapevate se fidarvi, vero? Non avevo intenzioni maligne, lo giuro: un
sincero desiderio di conoscervi, e la speranza che voi mi riferiste cosa
sapevate della strega, mi portarono a cercare la vostra amicizia.
“Alisia.” Disse solo; sorrisi: “Avete un nome
incantevole, Alisia.”
“E voi uno
strano modo per indagare sulle streghe, Jameel.”
Ribattè, avendo di certo capito il mio
intento.
Lo sapete Alisia? In quel momento, se avessi avuto senno, vi avrei
dovuto costringere con la forza a rivelarmi la verità, per poi
uccidervi; ma eravate davvero quanto di più bello e triste io avessi mai
ammirato: se quel giorno io non vi avessi improvvisamente baciata, ora non vi
potrei amare.
Quando chiesi al
sultano, unico padrone delle sue ballerine, la mano della mia bella perla
d’Arabia, lui me la concedette con molta ritrosità; conoscevo bene
le concubine del suo harem, e l’abitudine del regale uomo a includere in
questo anche il suo corpo di ballo.
Latika era una stella nascente: aveva quindici
anni quando smisi di amarla nel segreto, e resi pubblico il mio ardore per lei;
quando ebbi la benedizione del mio signore, mi parve di essere diventato
immortale.
Il regno in cui
vivevo era cristiano, grazie alla mirata opera di evangelizzazione del
Vaticano: in un mondo in cui regnava il disordine,
E fu per votare il
nostro legame alla pace che richiesi una cerimonia cristiana, e convinsi Latika a convertirsi al cattolicesimo.
Il giorno prescelto
per la cerimonia lei era bellissima: vestita con una lunga tunica bianca, simbolo
della purezza che mi offriva, e coperti i capelli con un drappo dorato, i suoi
occhi risplendevano nel momento del “sì” che la rendeva mia.
Io, da mia parte, avevo indossato i miei abiti migliori, la livrea del mio
sultano, l’armatura più splendente…Armatura che quella notte
lei non ebbe problemi a sfilare.
Al tempo credevo
non esistesse donna più bella e sapiente, saggia e potente.
Amava fermarsi con
me fino al tramonto sul prato, indicarmi il sole, e dirmi: “Lo vedete, Jameel? Un giorno io raggiungerò il luogo dove
Ed io quali
promesse potevo farle, se non che l’avrei amata fino a che il mio cuore
avesse avuto amore da dare?
Alisia non ha mai saputo dirmi perché
ricambiò il mio bacio: forse per amore, forse per paura…Forse per
consolazione.
“Non è
corteggiandomi che otterrete le informazioni che volete” Mi disse, quando
ci separammo.
Io sorrisi,
incosciente: “Eppure non mi avete rifiutato.”
Lei sospirò,
scuotendo piano il capo: “Ho già vissuto una simile sensazione, e
so io a cosa mi ha portato. Andatevene, risparmiateci inutili
dispiaceri.”
Dopo aver detto
questo si girò verso il bosco, sorda alla mia voce che la chiamava:
quello avrebbe dovuto essere il nostro addio…
….Ma io non
intendevo lasciarmela scappare; mi accampai in quel luogo, attendendo
strenuamente il suo ritorno.
Aspettai giorni e
notti, notti e giorni…Così per 31 volte.
Infine, il
trentaduesimo afoso giorno, un singhiozzo strozzato raggiunse le mie orecchie: incuriosito
da quel suono mi avvicinai alla sua fonte, e quando la trovai ne venni
sconvolto: Alisia giaceva a terra, rannicchiata,
stringeva spasmodicamente lo stelo di un fiore e piangeva piano; il suo corpo
era nascosto da una scintillante veste rossa, ma notai nelle braccia e nel viso
degli orrendi segni bluastri, e del sangue scivolare lungo il volto.
Mi chinai su di
lei, scostandole i capelli intrisi di sangue dalla ferita che aveva in viso:
“Chi vi ha fatto questo?”
“Nessuno.”
Sussurrò lei; io la guardai scettico: “Mi state dicendo che siete
un’amante del dolore, e che vi siete ferita a morte da sola?”
Lei annuì,
ma i singhiozzi e le lacrime aumentarono.
Sospirai: era come
parlare ad una bambina…
La avvolsi nel mio
mantello, per poi sollevarla: lei tentò di ribellarsi, ma era troppo
debole, e le sue suppliche non mi scalfivano.
Quando capì
che ero irremovibile, mi disse in un soffio delicato: “Portatemi nel
bosco, laggiù…Proseguite per la vegetazione più fitta,
trovate una radura: lì posatemi. Ho solo bisogno delle erbe giuste: mi
curerò, e voi potrete andarvene. Perché siete ancora qui?”
Seguii le sue
istruzioni, senza rispondere, fino a che, in effetti, non trovai una radura.
La sua
radura.
La feci sedere in
terra, e raccolsi le erbe che mi indicava; quando arrivò il tardo
pomeriggio, lei stava ancora curandosi.
Io l’avevo
osservata a lungo, in silenzio: la trovavo splendida, forse anche più
della mia Latika…Quella donna, quella Alisia, era un diavolo, ma era un diavolo veramente superbo
nella sua dignità.
Quando infine
sollevò lo sguardo su di me, sembrò combattuta: “Dunque non
volete rispondermi? Perché siete rimasto in questo inferno?”
Inferno? Inferno??
Inferno lo chiamavate voi, bella mia. Voi che lo avevate amato prima di
chiunque altro!!
Io mi avvicinai a
lei, e quando le fui davanti mi chinai sulle sue labbra, in un tiepido bacio:
“Perché queste sono la mia nuova preda.”
Latika era morta, ed io con lei.
Camminavo sotto la
luna, la pioggia iniziava a colpire il terreno con ferocia ed io ero solo al
mondo: la famiglia che stavo per creare era svanita, ed ora stringevo il nulla.
Erano lacrime o
gocce d’acqua piovana a perforare le mie guance?
“Perché?”
Urlai.
Presi un sasso da
terra e lo lanciai, poi ne presi un altro, ed un altro ancora.
“Perché?”
Continuavo ad urlare. “Perché??”
Un sasso,
acuminato, mi ferì un dito: rimasi a guardare il sangue colarne via, ed
emisi un singhiozzo: anche su di lei era colato sangue…immondo liquido
purpureo.
Strinsi quella
pietra con tutte le mie forse, poi la gettai ancora più lontano delle
altre, ancora più lontano di dove il Sole periva.
“Io ti ho
dato la mia anima, Signore Illustrissimo! Io ti ho dato la sua anima!
Avresti dovuto assicurarci la pace, avresti dovuto assicurarci l’amore,
avresti dovuto…” Il mio grido si spezzò, perché nuove
lacrime – erano calde, ed avevano un sapore amaro…non poteva
essere pioggia – inondarono i miei occhi, ed io mi afflosciai a
terra, come moribondo. Come morto.
Non volevo
più respirare. Non volevo più ridere. Non volevo più vivere.
Latika aveva preso la mia luce e l’aveva
portata con sé sulla Luna; solo che non sarebbe tornata a restituirmela.
Non più.
Una campana in
lontananza mi ricordò che non ero ancora morto: mi sollevai piano da
terra, e come un cadavere mi strascinai fino alla soglia della chiesa; quando
vi arrivai sentii delle braccia afferrarmi: potrei giurare di aver visto il
vescovo benedirmi, ma svenni prima di poter dire Amen.
“Voglio stare
con voi.”
Ci pensavo da tanto
tempo ormai. Alisia ed io possedevamo le labbra
l’uno dell’altra da mesi oramai, ma ogni volta che desideravo da
lei qualcosa di più tremava, mi sorrideva e mi diceva: “La
prossima volta, Jameel caro. Ora però venite,
siamo troppo allo scoperto: Lei potrebbe scorgerci, e questo non deve
assolutamente accadere.”
Quando io le
chiedevo di chi parlava mi baciava e poi correva via, costringendomi a
raggiungerla.
Lei mi
guardò sorridendo: “Non dite cose che non pensate. La notte
parlate di una donna: è lei che amate, non me.”
Avvampai:
“Una donna?”
Lei alzò con
noncuranza le spalle: “Una perla d’Arabia, a vostro dire. Non
m’importa…” La sua voce fremette: “Non ho bisogno di
voi.”
Io la strinsi
dolcemente, e la sentii rilassare le membra: “Ma io ho bisogno di
voi…Non m’importa più della strega, venite via con
me.”
Lei si
separò subito dalla mia stretta, con gli occhi sbarrati:
“Cosa?” Sibilò, spaventata. “Cosa?? Siete pazzo per
caso? Oh mio Dio, voi non avete idea…” Si accasciò a terra,
senza forze.
La guardai preoccupato:
“Alisia, mi state spaventando”
Le sue labbra
tremarono: “Fate l’amore con me. Fatelo finchè
non potrò dire di aver toccato il fondo dell’Inferno: fatelo per
darmi un momento di conforto, tra tanti dolori.”
Io
l’abbracciai, e lei si rifugiò tra le mie braccia:
“Dove?” Le chiesi.
Lei chiuse gli
occhi, aggrappandosi alle mie spalle con le sue piccole mani di donna:
“Creiamo un nostro talamo. Vi prego, ne ho bisogno…”
“Così
sia” Acconsentii io.
E fu così
che nacque
Io tagliai il legno,
lei trovò le stoffe e le altre comodità.
Ci mettemmo due
mesi, circa: spesso lei mancava agli appuntamenti, per poi comparire il giorno
dopo sanguinante e fragile, con le lacrime a stento trattenute agli occhi.
Io allora la
consolavo, la baciavo, le sussurravo parole dolci…
“Figliolo,
cosa intendete fare ora?”
Mi chiese il
vescovo, greve.
“Troverò
la strega che ha ucciso la mia Latika e il mio
bambino. Troverò lei e le sue infere compagne. Le troverò e le
ucciderò.”
L’uomo mi
strinse la mano brevemente: “Così sia, Jameel.
D’ora in poi sarete Jameel, il Cacciatore di
Streghe. Ne informerò
La notte in cui mi
unii ad Alisia la prima volta sapevo che così
facendo andavo contro il mio ufficio: ma, veramente, non importava poi molto.
Avevo promesso
sulla tomba di Latika che avrei ucciso ogni strega si
fosse parata sul mio cammino…Ma Alisia non era
affatto una strega, e poi l’amavo.
Quella notte lo
sentii in ogni fibra del mio essere, quel potente e nuovo amore che in quei
mesi mi aveva trattenuto al fianco della donna che stringevo tra le braccia.
“Vi
amo….Vi amo più di quanto abbia mai amato Latika.”
Alisia mi carezzò una guancia, confusa:
“Chi è Latika?”
“Mia
moglie…” Ammisi. Lei si rabbuiò, ed io aggiunsi una parola
che non mi pesò più sull’animo come un tempo:
“…morta.”
Lei mi
baciò, una muta consolazione, per poi rannicchiarsi contro il mio petto:
“Vi amo…Ma sono una peccatrice, io. Non dovete amarmi.”
“Quali
peccati avete commesso? Avete ucciso, io pure. Non è importante.”
Lei deglutì:
“Ho amato….”
La incitai a
continuare, sorridente: “Chi avete amato, bella Alisia?
Chi mai?”
Si fece piccola piccola quando disse quella parola che mi lasciò
spiazzato: “…una donna….Madama…”
Al tempo non sapevo
quale sacrificio fosse stato per voi ammetterlo, e mettere così in
pericolo una persona che, in fondo, amavate ancora.
“Madama?”
Chiesi turbato. Amare una persona del proprio sesso era peccato mortale…ma
non lo era anche uccidere?
Lei annuì:
“Madama…La strega che state cercando.”
Portò le
mani al volto, come se avesse voluto nascondersi e annullarsi dopo una simile
lacerante confessione; io cercai di assimilare la notizia, per ricomporre quel
quadro che stava diventando sempre più crudelmente chiaro.
Alisia aveva amato (o amava ancora?) una strega di
nome Madama, che era la stessa donna che cercavo da quasi un anno…Ogni
volta che ci vedevamo, la mia amata era spaventata da una “Lei” che
avrebbe potuto “scoprirci”, ed era quasi sempre ferita.
Improvvisamente…tutto prendeva forma.
“Alisia…Le vostre ferite ve le ha procurate lei?
Ditemi dov’è, ditemelo! La ucciderò con le mie stesse
mani!”
Lei frenò il
mio impeto abbracciandomi e trattenendomi: “NO, vi prego! Voi non
sapete…! Io non potrei mai farle del male, mai!”
“Ma lei ne ha
fatto e continua a farne a voi, sbaglio?” Ribattei sicuro.
Lei si morse un
labbro, in lacrime; io ripetei la mia domanda più forte: “Sbaglio??”
Con profondo
rammarico fu costretta ad ammetterlo, con un cenno del capo.
Notai la tristezza
nei suoi occhi, e mi calmai: “Non capisco il motivo della vostra
bontà, ma del resto so così poco di voi! Cosa posso fare?”
Lei si sedette su
di me, baciandomi con passione: “Rimanete al mio fianco, per
sempre”
Alisia…Fu lì che tutto
cominciò!
Nella camera della
Seta, io votai la mia vita a voi.
Uscirono dalla camera della Seta, ed Alisia
ebbe a malapena il tempo di sfiorarne una colonna di legno, rovinata dai tre
anni passati dalla sua costruzione; Jameel prese la
sua mano, e la condusse lontano dal loro rifugio. Ma nemmeno lui potè evitarsi un nostalgico sguardo a quel riparo,
testimone delle sue più belle notti d’amore.
Quello era il loro addio alla camera, con le sue stoffe che tanto
ricordavano l’Oriente e i suoi colori; quello era il loro addio a quel
bosco che li aveva protetti, che aveva protetto loro, amanti profani e
reietti del mondo; quello era il loro addio a quel campo di fiori, che aveva
visto nascere un’Alisia nuova e inquietante,
sola e innamorata.
Avevano deciso di affrontare Madama: sarebbero saliti alla grotta, Alisia le avrebbe parlato, Jameel
l’avrebbe difesa. Non l’avrebbero uccisa…Ma dovevano fare in
modo di non incorrere nella sua ira.
Dopo quello, sarebbero fuggiti insieme.
“Ne siete sicuro?” Chiese titubante la donna
all’amato.
Lui le sorrise, innamorato follemente, quasi disperatamente: lei aveva
preso la luce che Latika gli aveva rubato, e
gliel’aveva riportata anni dopo.
Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l'amante sull'amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba
“Alisia, vi amo. Siete bellissima, non
mi stancherò mai di dirvelo….Vi amo.”
Lei gli sorrise raddolcita: “E voi siete meraviglioso, nella
vostra tenerezza. Sento che tutto andrà per il meglio, ora che voi siete
con me…Non ho più paura.”
Jameel rimase come accecato da quel sorriso splendido e
sincero, così straordinariamente limpido: ricambiò con ardore,
con una sorte di adorazione incontrollata.
E non fu evidente che la bellezza di Lei lo aveva portato a vederla
come un Angelo magnifico, e non come un Anima Dannata? Non fu chiaro che lui
stava sorridendo alla sua Fine?
E non fu forse chiaro che l’amore che Madama provava per Alisia non si sarebbe mai placato, a causa della bellezza
di questa?
Ma intanto loro stavano andando alla Grotta della Strega…Sebbene,
nell’Inferno della Strega, ci fossero già da troppo, senza
essersene avveduti.
Fine Secondo Capitolo
Ringrazio di cuore Padme86 e Aphrodite
per avere recensito: Padme, sai già cosa penso
delle tue splendide parole; Ika, ti risponderò
per mail, con calma. ^^
Spero apprezziate questo secondo capitolo.