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Autore: Soleil et lune    06/09/2021    0 recensioni
Shun ha da poco compiuto diciotto anni e si appresta ad affrontare l'ultimo anno di liceo. La sua vita povera di eventi, fatta di scuola e compiti, lo porta a sviluppare uno scarso interesse per ciò che gli accade intorno e le continue assenze del fratello contribuiscono a farlo sentire ancor più solo. Questa vita monotona viene però scossa dall'arrivo di Hyoga, un ragazzo più grande di Shun e cliente abituale nel bar in cui lavora per mantenersi. Hyoga è il cosidetto "ragazzaccio", è un motociclista, un amante dell'alcool e del fumo e la cui vita sregolata sembra essere per Shun la chiave per evadere da una vita noiosa e priva di stimoli.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'orologio appeso dall'altra parte della stanza segna le nove di sera, orario di punta. Fuori le macchine sono immobili, imbottigliate in un traffico senza fine, per giunta piove a dirotto e se sulla strada le macchine sono bloccate i marciapiedi sono diventati piste da corsa per povere anime in cerca di un qualche riparo. Per mia (s)fortuna non faccio parte di nessuna di queste categorie. Sono fortunato perché avrò la possibilità di non dover necessariamente correre sotto la pioggia scrosciante e anche se dovesse ancora piovere potrei prendere un taxi ed arrivare in circa quindici minuti a casa, ma sono anche sfortunato, perché il mio turno di lavoro è cominciato da due ore e fino all'una del mattino mi toccherà stare dietro alle richieste degli ubriaconi che in genere cominciano ad arrivare dopo le dieci, se sono fortunato dopo le undici. Il bar per ora è vuoto, quindi mi permetto di osservare il traffico appoggiato allo stipite della porta d'ingresso. "E' solo una strada secondaria" penso "non oso immaginare cosa possa esserci in centro". E' un lunedì sera, uno dei tanti, ormai l'unica cosa che scandisce le mie giornate sono i test e le scadenze dei compiti e ringrazio Dio di essere veloce a farli, altrimenti non potrei venire a lavorare in questo buco tre volte a settimana. Pur essendo all'ultimo anno di liceo vivo da solo, e in qualche modo devo pur mantenermi, quindi per tre volte a settimana indosso un grembiule nero e mi sforzo di non vomitare per l'alito dei clienti. Vedo che comincia ad arrivare qualcuno: è una signora ben vestita, porta un lungo cappotto nero, sotto cui si intravede l'orlo di una camicia bianca, jeans chiari e stivali marroni. Attraversa la strada a fatica, le do una mano e alla fine riesce ad arrivare sul marciapiede, poi la faccio entrare, ma prima chiude l'ombrello rosso con cui si è coperta dalla pioggia. "Ti ringrazio", dice gentilmente, è una donna molto giovane, con i capelli biondi raccolti in uno chignon alto e con un make up perfetto. Le sorrido più gentilmente che posso e vado dietro al bancone mentre lei si siede di fronte a me. "Uno spritz" dice semplicemente "analcolico", aggiunge poi. Mi metto subito all'opera, poi le chiedo, più per abitudine che per interesse: "Come mai è venuta qui signorina? In genere questo posto non è molto amato dalle donne, soprattutto giovani e sofisticate come lei", lei mi guarda e ridacchia, poi prende uno specchietto dalla borsa e si guarda mentre si aggiusta il rossetto, per poi rispondermi "In genere vado in un grazioso bar in centro, ma oggi è chiuso, quindi sono venuta qua". Annuisco mentre metto del ghiaccio nel bicchiere, poi taglio una fetta d'arancia e la metto nel recipiente in vetro prima di versare la bevanda analcolica e porgerlo alla signora. Lei lo prende e se lo mette vicino, ma non lo beve subito e prende dalla borsa un pacchetto di sigarette ed un accendino. "Posso?" mi chiede, ed io faccio segno di si, aggiungendo: "Non si preoccupi, l'odore del tabacco è l'odore migliore che sento qui", lei mi guarda e sorride, poi poggia elegantemente la sigaretta sulle labbra e la accende. Mi perdo a notare le sue mani: sui suoi polsi ci sono vari bracciali in argento e oro, sull'anulare sinistro invece una fede  e aveva le unghie colorate con uno smalto rosso ferrari. "Sposata?", le chiedo, mi sembra una donna loquace ed io non ho niente da fare, lei infatti mi risponde che si, è sposata da dieci anni e ha anche un figlio. Sgrano un poco gli occhi, avrei dato a quella donna massimo ventisette anni eppure se era sposata da dieci anni doveva essere molto più grande. La guardo sbattendo più volte le ciglia, sorpreso, e lei scoppia in una fragorosa risata. "Ho trentanove anni", mi dice manco mi avesse letto nel pensiero. "Complimenti", boccheggio io "li portate davvero bene". Lei ride ancora un po', in maniera più contenuta, e poi, dopo aver terminato di ridere fa un altro tiro. "Tu invece sarai sicuramente più giovane" dice squadrandomi dall'alto al basso, aspettandosi una risposta, che si limita ad un mio cenno del capo. "Ne ho diciotto", dico solo, e lei annuisce facendo un ultimo tiro, poi spegne la sigaretta nel posacenere e comincia a sorseggiare lo spritz. Mi allontano un po' da lei e comincio a maneggiare il vecchio portatile posto al lato del bancone, da cui metto sempre la musica. Per quanto sia vecchio e lento non è inutilizzabile, per questo lo possiamo usare ugualmente. Cerco su YouTube "Coffee Rain", una raccolta di musica dal vivo che è una sorta di radio siccome trasmette in live ventiquattro ore su ventiquattro, ogni giorno, senza fermarsi mai, e per noi baristi queste live sono un salvavita, non dobbiamo scegliere ogni volta la canzone nuova e possiamo concentrarci meglio sui clienti. "Non ti senti mai depresso lavorando qui?", mi chiede, facendomi girare un po' sorpreso, poi continua:"Sai con queste luci...questi odori...". In effetti aveva ragione: soprattutto di notte quel posto diventava il raduno degli ubriaconi di tutta Manhattan, quindi chi doveva sortirsi le loro confessioni da sbronza ero io in quanto barista, col tempo però ho imparato a non ascoltarli più di tanto, in fondo a loro bastava parlare...ed io non avevo bisogno di deprimermi ulteriormente pensando ai miei amici che si divertivano a qualche festa o che semplicemente dormivano al caldo dei loro letti. "Un po', si" rispondo "a volte è deprimente. Lei invece che lavoro fa?" "L'avvocato", mi risponde lei, un po' sovrappensiero, poi finisce lo spritz. Lo spritz costa sette dollari, ma lei mi paga con una banconota da dieci e si alza. "E' molto difficile trovare giovani baristi garbati come te, tieni pure il resto come mancia" dice, e si avvia alla porta. "Mi scusi", le chiedo appena poggia la mano sulla maniglia e riprende l'ombrello rosso, facendola fermare e guardare nella mia direzione con un leggero sorriso. "Lei...come si chiama?", dico timidamente, lei ridacchia un po' e poi mi risponde: "Natassia", poi aprendo la porta si gira ed esce dal bar, la vedo aprire l'ombrello rosso oltre la porta di vetro ed allontanarsi, poi di nuovo solo i fari delle macchine.

Dopo che Natassia se ne va la serata proseguì come le altre: per un po' viene gente che semplicemente vuole rilassarsi dopo una lunga giornata di lavoro, amici che si incontrano per bere qualcosa venti minuti prima di tornare a casa, coppie di fidanzati presi nel loro appuntamento e insomma, gente abbastanza normale. Tra le undici e mezzo e la mezzanotte vi è uno stacco e non viene nessuno, ed io so cosa significa. Le strade di Manhattan raramente sono  deserte, ma in genere a quell'ora, in quella strada dove era situato il bar, non è raro assistere a gruppi di persone che si guardano intorno con fare circospetto, e in questi casi è meglio farsi gli affari propri. 

Il bar, il cui nome è "Call me Margarita", è situato in una strada molto periferica, fa angolo ad una stradicciola molto stretta ed ogni uscita dalla strada su cui si affaccia il bar è o un vicolo o comunque una strada stretta come quella sopra citata. E' situato nella zona settentrionale di Central Park, quindi una delle zone più pericolose del distretto, e in genere dopo le undici è abbastanza difficile vedere gente qui, escludendo la gente poco raccomandabile, si intende. 

Dicevo, è da poco passata la mezzanotte e il bar è vuoto, sto scrollando la home di Instagram quando sento la campanella sulla porta tintinnare e delle risate dal timbro maschile farsi strada nel locale. "Merda...", penso tra me e me vedendo chi è entrato: è Seiya con i suoi amici, un gruppetto di sette o otto persone che insieme non formano un cervello.
"Guarda chi si vede", mi approccia Seiya guardando nella mia direzione. Alzo entrambe le sopracciglia, poi mormoro, giusto per cortesia: "Ciao ragazzi", e loro si siedono al bancone. "Da quando lavori qui?" mi chiede Seiya sporgendosi leggermente verso di me, e io gli rispondo che lavoro lì da un paio di mesi, poi lui strizza l'occhio e mi chiede: "Allora visto che lavori qui uno sconticino puoi farcelo, no?" e io gli rispondo "Mi dispiace, ma pagate come tutti", scatenando in qualche modo arcano l'ilarità generale. Asher, che è una sorta di zerbino di Seiya, dice:"Giacchè non ci fa lo sconto sarebbe stato meglio farsi servire da una bella donna", e continua a ridere, dal rossore delle gote sue e di qualche suo compagno capisco che sono già ubriachi. Seiya lo zittisce con un ceffone dietro la nuca e sia lui che gli altri continuano a ridere.
Solo uno di loro non ride: è un ragazzo con lunghi capelli biondi, la pelle abbronzata e gli occhi azzurri; indossa una giacca di pelle nera, una T-shirt azzurra, jeans chiari e scarpe da ginnastica nere, non mi pare di averlo mai visto prima. "Hyoga fatti una risata!", lo incoraggia Seiya, ma Hyoga, così pare chiamarsi il ragazzo biondo, gli risponde solo: "Seiya devi guidare dopo, non bere troppo, non ho voglia di doverti venire a trovare in ospedale domani", e a sentire quella frase molti dei suoi compagni fecero dei lamenti. "Ma tu non hai bevuto niente", risponde Seiya sornione, e fa, rivolto verso di me, "Anch'io avrei preferito una bella donna, ma ci sei tu, avrei sperato in uno sconto ma fa niente, fai un giro di brandy, offro io a tutti quanti". Annuisco e mi giro, mettendomi a lavorare. Io e Seiya da bambini eravamo vicini di casa, siamo praticamente cresciuti insieme, ma dopo che suo padre ebbe una promozione importante si trasferirono in un quartiere più ricco, e lì vivono tutt'ora. Da piccolo Seiya era una sorta di angelo, un bambino simpatico e gentile, ma alle superiori l'ho visto avvicinarsi alla squadra di football, e lì è cambiato totalmente, principalmente dopo aver conosciuto Asher, che invece era un totale idiota. Servo le bevande e riprendo a pulire i bicchieri mentre loro brindano e si divertono, ma Hyoga sembra non avere niente a che fare con loro. Non mi degna di uno sguardo, ma non guarda neanche gli altri, si limita a fissare un punto indefinito del bancone rigirandosi tra le mani un bicchierino con del brandy ancora tutto nel recipiente in vetro. Mi avvicino a lui e gli dico in tono affabile:"Se vuoi posso inserire del limone nel brandy", ma lui si limita ad alzare lo sguardo verso di me. Rimango un po' stupito da quella reazione e temo di aver fatto qualcosa di sgradito, poi lui increspa leggermente le labbra in un elegante sorriso e mi porge il bicchierino senza dire una parola. Rinsavisco e prendo dal piccolo frigo sotto il bancone un limone, ne taglio un po' e lo spremo nel brandy, poi lo riporto a quel ragazzo, che lo riprende ancor prima che lo appoggi sul bancone con un gesto deciso e lento, ma di una di quelle lentezze studiate. "Grazie caro", mi dice, e sorseggia l'alcolico, poi prende a scherzare con gli altri. Io non posso fare altro che tornare alle mie mansioni, non voglio che si sentano ascoltati da me, più che altro non mi va di far perdere clienti al Call me Margarita. Restano per una buona mezz'ora, nel frattempo anche altra gente entra nel bar, ed io mi limito a servirli, cercando di essere più discreto possibile, ma ritrovandomi, come ogni sera, a dover ascoltare le storie deprimenti di gente che conosco solo perché la loro presenza è ormai abituale qui. Verso bicchierini di vodka, rum, vendo lattine di birra e indico il bagno ogni volta che qualche ubriacone me lo chiede, pregando che non vomitino fuori dal cesso siccome dopo sarò io a pulire, ma a differenza delle altre volte, in cui i miei pensieri erano dominati principalmente da ciò che avrei dovuto fare il giorno successivo, la mia mente resta fissa sull'immagine di due occhi color del ghiaccio.
Verso l'una Seiya mi chiama di nuovo, chiedendomi il conto, dopo avermi dato i quaranta dollari che mi doveva esce con i suoi amici, ponendo finalmente fine al chiasso da loro provocato. Da quando mi ha ringraziato non ho più sentito la voce del ragazzo biondo, però quando mi avvicino al suo posto per prendere i bicchieri sporchi noto che sotto il suo c'è un bigliettino che sembra strappato da un piccolo blocco note a righe e su di esso c'è scritto: "In realtà il mio drink preferito è il Manhattan, ma grazie comunque".
"Manhattan eh...?".

 

 

 

   
 
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