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Autore: Little Firestar84    06/12/2021    2 recensioni
Il mentalista Patrick Jane irrompe ancora una volta nella vita di City Hunter: quando le tracce dei gemelli Jonathan e Cameron Black lo portano ancora una volta a Tokyo, è a Ryo e Kaori, coppia nel lavoro e nella vita, che il consulente dell'FBI chiede aiuto.
Senza sapere che City Hunter- e tutto il loro sgangherato gruppo di alleati- sta già seguendo il caso... solo da un'altra angolazione!
Da New York a Tokyo, la caccia ai ladri ha inizio, ed il tutto per proteggiere il misterioso e prezioso gioiello noto solo come Serpenti!
Genere: Commedia, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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 L’intrigo della collana (1)

  1. Tre Partite

Bulgari Tower, Tokyo (2)

Ryo Saeba, seduto ad un tavolo del ristorante stellato “Luca Fantin” si allentò con due dita il nodo della cravatta sottile e nera, stringendo i denti mentre sudava freddo. 

Detestava i posti che trasudavano lusso, e detestava ancora di più doversi agghindare in quel modo ridicolo per poter incontrare un cliente, ma purtroppo c’era stato poco da fare: da quell’incarico, non ci si poteva tirare indietro. Era stata Saeko a suggerire al cliente (uomo, come troppo spesso gli accadeva da parecchio tempo a quella parte) di contattare ed ingaggiare Ryo, e questo già di per se lo obbligava a dire sì. Ma poi c’era anche Kaori da considerare, che già da un po’ si lamentava del troppo poco lavoro e del bisogno di diversificare un po’ i loro ingaggi, prendendone magari uno, ogni tanto, che pagasse per davvero.

E Bulgari avrebbe pagato molto, molto, molto bene.

Il cameriere – Italiano come tutto lo staff del locale, uno dei migliori ristoranti dell’intero continente asiatico – poggiò un grosso piatto di design, nero lucido,  davanti allo sweeper, che guardò la pietanza trattenendo un gemito. Se da un lato era grato che il cliente, Luca Silvestri, creativo del prestigioso marchio internazionale, gli stesse offrendo il pranzo in un locale raffinato e costoso, dall’altro Ryo si trovava a constatare che il luogo comune del ristorante stellato che serviva porzioni minuscole (per giunta di piatti che non si capiva esattamente bene cosa fossero) era purtroppo vero: non si sarebbe certo riempito lo stomaco con quelle porzioni. 

Silvestri intratteneva Kaori, parlandole della vista che si poteva avere dalla terrazza dell’hotel, situata sul tetto e chiamata Dom Pérignon, come il celeberrimo spumante, e Ryo gli lanciò un’occhiata omicida, che tanto ricordava lo sguardo di un cane rabbioso. Silvestri era un po’ troppo amichevole, aveva gli occhi che andavano un po’ troppo nella scollatura di Kaori, ed a Ryo tutto questo flirtare non piaceva assolutamente. 

Silvestri notò molto casualmente l’impugnatura della Magnum dello sweeper, e sussultò, mentre un gocciolone di sudore freddo gli colò dalla fronte. Il cinquantenne pallido e con pochi capelli neri impomatati si raddrizzò, cercando di volgere lo sguardo lontano dalla scollatura dell’affascinante sweeper, ed emise una risata sull’isterico, mentre si asciugava il collo con il tovagliolo di lino beige. 

Sotto al tavolo, Saeko, avendo capito cosa fosse accaduto, diede un calcio a Ryo per attirare la sua attenzione, e quando lui si voltò a guardarla, lei gli fece un sorrisetto, quasi a volergli dire che sì, era stato preso in castagna ad essere geloso della sua bella compagna - di lavoro e vita. 

Ryo la guardò, sospirando ed alzando gli occhi al cielo, rassegnato al suo destino, quello di aiutare Saeko e quell’uomo. Questa volta, però, oltre ad un cospicuo onorario, avrebbe anche preteso da Saeko che lei lo ripagasse per bene – e non certo solo per quel singolo caso. Era il momento che Saeko pagasse i suoi debiti con City Hunter, tutti, dal primo all’ultimo.

Ryo arrossì e si incurvò nelle spalle, mentre ripensò alle ripercussioni che la promessa di Saeko avrebbe avuto su tutta la sua intera esistenza, e si voltò verso Kaori,  che lo guardò incuriosita e leggermente preoccupata, quasi si aspettasse guai, o peggio, qualche scenata da parte del socio.

“Ehm, allora, signor Silvestri, esattamente, cosa vuole da noi?” Ryo domandò, leggermente imbarazzato di essere stato colto in flagranza (e non da una, ma da entrambe le donne), grattandosi il capo mentre la sua socia alzava un sopracciglio con espressione indecifrabile, cercando di capire a cosa fossero dovute stavolta le bizzarrie di Ryo.

“Tra pochi giorni partirà una mostra nella nostra boutique, con esposti dei gioielli unici e di valore inestimabile…” L’uomo iniziò, testa bassa e mani sulle ginocchia. 

“Quindi… temete furti?” Kaori gli domandò, fissando l’Italiano con espressione interrogativa, desiderosa di capire esattamente cosa ci fosse sotto quella paura che, in tutta franchezza, le sembrava immotivata ed esagerata.  “Siete una gioielleria di fama mondiale, con un vostro punto vendita aperto ormai da oltre due decenni in città; avrete sicuramente un sistema di sicurezza tecnologico, personale di guardia fidato e capace, e delle ottime assicurazioni che possano coprirvi nella remota eventualità che accada qualcosa. Nel mondo del lusso il vostro marchio è una garanzia, mi sembra strano che vi preoccupiate così tanto per la possibilità di un furto tanto da scomodare City Hunter.”

“Sì, ma, vede, i gioielli che vendiamo nei nostri negozi sono rimpiazzabili, venduti in serie. Se venissero rubati sarebbe una perdita, ma non eccessiva. I gioielli che metteremo in mostra invece sono pezzi unici, storici… opere d’arte. Se una di quelle creazioni venisse rubata sarebbe come… come se venisse rubato l’Urlo di Munch!”

Mentre Ryo giocherellava annoiato col cibo nel piatto, Kaori fissò Silvestri leggermente perplessa: certo, capiva che Silvestri dovesse essere fiero del lavoro degli artigiani della sua ditta, e lei stessa aveva visto su riviste di moda e di gossip modelle e star indossare creazioni storiche della maison, ed erano, indubbiamente, oggetti ricercati, pregiati, di grande valore, ma il paragone con una delle più famose tele del mondo le sembrava esagerato.

“Sono gioielli che vengono rubati per essere ammirati da chi li possiede, non per essere indossati, se non in determinati circoli… come quelli della Yakuza.” Saeko concluse, guardando in direzione dei due sweeper. Il corpo avvolto in un abito color lavanda che faceva risaltare le sue forme, teneva le braccia incrociate, ed il suo tono era freddamente professionale e calcolatore.

“Ripeto la domanda, signor Silvestri: lei, da noi, cosa vuole?” Ryo gli domandò, leggermente seccato che il papabile cliente non arrivasse al dunque. 

“Beh, ecco….. noi non possiamo certo chiedere alla polizia di occuparsi della sicurezza di un evento privato come questo… ed infatti abbiamo usato il nostro personale interno, oltre che esserci rivolti a uomini fidati, ma…” Silvestri sospirò, togliendosi gli occhialini e pulendoli con il tovagliolo. “Ma, signor Saeba, saremmo molto più tranquilli se lei decidesse di accettare di controllare l’eventuale presenza di falle nel sistema di sicurezza.”

“Arriviamo al sodo: quanto ci pagherebbe per questo lavoretto?” Ryo domandò, sogghignando con espressione interessata, mentre Kaori si limitava a pestargli un piede per tenerlo buono, e limitarlo nei suoi comportamenti a dir poco stravaganti. 

“Si tratterebbe di due milioni di Yen per un lavoro di poche ore al giorno…. Andrebbe bene per lei? Crede che sia fattibile, sì?” L’uomo parlava con tono concitato, nervoso, quasi supplichevole.

Kaori si dimenticò presto di tuti i dubbi che l’avevano assalita fino a quel momento, ed incrociò le mani in preghiera, mentre le venivano le lacrime agli occhi: con quella cifra sarebbero stati a posto per un po’, e avrebbero potuto ripianare qualche vecchio debito. Basta insalata e brodo col dado… avrebbero di nuovo mangiato ramen, pesce, carne… e tutto grazie a Saeko!

Per una volta, c’è da ringraziarla… e non si tratta nemmeno di uno dei suoi soliti casi strampalati che nessuno prenderebbe, nemmeno sotto tortura!

Ryo, invece, pensava a ben altro, e per una volta cibo e divertimento erano l’ultimo dei suoi pensieri: se Silvestri voleva davvero avere City Hunter che lavorava per lui, avrebbe dovuto accettare di dargli ben più dei due milioni pattuiti, e avrebbe fatto bene a tenere la bocca chiusa, nessuno doveva sapere cosa lui avesse in mente. 

Soprattutto, Kaori.

New York

“Jane, mi dispiace di averti fatto venire qui con  una bugia, ma non sapevo davvero come fare. Non so davvero più di chi mi posso fidare qui e…” L’agente dell’FBI Kay Daniels si alzò dalla sua sedia e, mani sui fianchi, si mise in piedi dietro a Patrick Jane, ex truffatore passato  a lavorare per i federali come consulente investigativo. L’uomo, chino sul tavolo da pranzo dello spartano appartamento della donna, stava esaminando una serie di vecchie foto degli anni venti con una lente di ingrandimento, ed un sorrisetto malizioso e soddisfatto stampato sul viso. “Mi stai ascoltando?!”

“Uh?” Il biondo mentalista alzò gli occhi dalle foto, che spinse verso il centro del tavolo con un gesto teatrale, poi si voltò verso la donna, sempre sorridente. Rimase in silenzio, braccia conserte e gambe accavallate, aspettando che lei gli facesse la fatidica domanda. 

Kay, esasperata, si passò una mano sugli occhi, e prese un profondo respiro, cercando di tranquillizzarsi, ricordando tutta la meditazione che negli ultimi anni si era ritrovata a fare: gli ultimi tre anni erano stati davvero tanto, tanto pesanti…

Cameron – il suo consulente - che entrava come un fulmine a ciel sereno nella sua vita, sconvolgendola, pretendendo di assumere quell’incarico, ed il tutto per poter tirare fuori dai guai il fratello gemello Jonathan, secondo lui ingiustamente accusato di omicidio. 

Jane, che tutte le volte che lavoravano ad un caso insieme, le rendeva la vita impossibile… con lui, ci si poteva giurare che sarebbe capitato un putiferio e ci sarebbe scappata qualche citazione in tribunale. 

Il giapponese Ryo Saeba e la sua fidanzata, che, indagando con lei su un presunto crimine in cui il di loro cognato era impiccato, l’avevano trasportata nel mondo dei mercenari e dei giustizieri della notte che vivevano ai margini della società (e della legalità).

Jonathan, che era fuggito di prigione con la donna che lo aveva incastrato, dopo essersi scambiato di posto con Cameron, che era rimasto incosciente per ore e ore dopo che il fratello lo aveva riempito di botte. 

Eppure, Cameron aveva perdonato Jonathan- e adesso erano scomparsi entrambi, e l’unica traccia che Kay avesse erano quelle vecchie foto, raffiguranti il bisnonno dei gemelli, famoso illusionista, in gioventù, insieme al suo mentore, Houdini, ed alcuni degli uomini più ricchi e potenti dell’epoca: la sera stessa in cui Cameron aveva fatto sparire le sue tracce, l’appartamento in cui viveva era saltato in aria, e la mattina seguente lei aveva ricevuto una busta con quelle foto, copia di quelle contenute nel diario del loro bisnonno. 

Anche quello era sparito, dal magazzino delle prove dell’FBI, insieme ad una mappa cifrata in esso contenuta, e con questi i gemelli Black. 

Quella era la pista da seguire: ma di chi fidarsi? Dell’FBI, che nonostante avesse potuto scagionare Jonathan, non lo aveva fatto per interessi politici?

Dei colleghi di Cameron e Jonathan – che forse a Jonathan erano ancora molto, troppo fedeli?

Jane era stato il primo, e forse unico, nome che le era venuto in mente: intelligente, perspicace, illusionista lui stesso (nonché mentalista) ed in più aveva vissuto lui stesso tra luce ed ombra, tra legalità ed illegalità. Per giunta, era abbastanza fuori dai giochi da non destare troppe attenzioni, e la Donna Misteriosa che aveva incastrato i gemelli Black difficilmente avrebbe pensato che qualcuno lo avrebbe chiamato ad indagare.

Jane era un investigatore capace, in grado di pensare fuori dagli schemi, e Kay era grata che lui avesse accettato di aiutarla- ma a volte, faticava molto a sopportarlo, specie quando era nervosa come quel giorno. 

La donna alzò gli occhi al cielo. “Allora Jane, hai scoperto qualcosa con le tue incredibili doti deduttive?” Gli domandò, mettendo una punta di sarcasmo per nulla velato nella sua voce. 

“Beh, mi sembra logico, Kay carissima. Le tracce che ci ha lasciato il tuo fidanzatino sono così elementari che mi meraviglio non ci sia arrivata tu da sola- voglio dire, tu, Cho e Lisbon siete molto più intelligenti dell’agente dell’FBI medio.” Jane ghignò, le dita intrecciate, mentre Kay faceva un solo passo avanti, verso di lui, con sguardo minaccioso. Le dita le stavano prudendo: aveva decisamente voglia di prendere quell’uomo per il collo e strozzarlo. 

Come Lisbon abbia resistito per più di quindici anni al suo fianco, non lo capirò mai…

Intuendone i pensieri, Jane alzò gli occhi al cielo, e poi le offrì una foto: in quella, non c’era tutta la “cricca” che aveva pagato il primo Black ed Houdini per nascondere allo stato (ed eredi indesiderati) buona parte delle loro ricchezze, ma bensì solamente Black, in mezzo ad un uomo dal discreto fascino e una donna dalla bellezza semplice e fresca, che ostentava un abito di chiara alta sartoria e talmente tanti gioielli enormi e stravaganti nemmeno fosse stata un albero di Natale. 

“Lo sai chi sono?” Le domandò, petulante e saccente come solo lui sapeva essere, con un tono che lasciava presagire che, come sempre, lui sapeva esattamente di cosa stesse parlando. Kay strinse i denti: ci sarebbe mai stato un argomento di cui quell’uomo non fosse stato conoscitore?

“Jane, se avessi saputo dove sbattere la testa non ti avrei chiamato.” Le donna sibilò, facendo un ulteriore passo avanti. Jane si morse le labbra: sì, era davvero nervosa. E tanto: forse era il caso di arrivare al punto. 

“Quello è nientepopodimeno che Howard Hughes – quel Howard Hughes. Multimiliardario, playboy, inventore, investitore, pioniere del cinema e dell’aviazione. La foto deve essere forse del 1926, intorno all’epoca in cui ereditò l’impero petrolifero del padre. E quella con lui, è la sua prima moglie, Ella Rice. Sposata nel venticinque, la mollò per correre dietro alle starlette di Hollywood nel ventinove.”  (3)

“Hughes era uno di quelli che aveva assunto Houdini e Black per nascondere i loro averi, e allora?”(4) La donna scrollò le spalle. “Questo lo sapevamo già!”

“Sì, però quello che ci interessa è cosa la moglie ha al collo.” Le offrì la lente, e Kay si chinò, ispezionando il collier: rappresentava un serpente, riccamente decorato, le scaglie ognuna una pietra. Roba molto costosa: era chiaro che il marito avesse le tasche piene di quattrini. “Quel collier si chiama Serpenti, ed è una creazione della maison Bulgari. Il serpente è uno dei loro marchi di fabbrica, e quel  gioiello in particolare è stato il primo in assoluto, apparentemente su commissione di Hughes stesso(5). La moglie era uscita di testa per la sifilide, e aveva sviluppato un’ossessione per i rettili – cosa malsana, il cervello umano è tarato per esserne terrorizzato, lo sapevi?”

“No, ma so che voglio che arrivi al punto.” Gli intimò. 

Jane scosse il capo, scontento: amava raccontare pillole di informazioni varie, che mostravano la sua conoscenza pressoché enciclopedica della realtà. 

“Hughes lasciò una cosa sola alla moglie quando divorziarono: quella collana. Il che mi fa pensare che la volesse tenere il più possibile lontana da se stesso… anche perché…”  fece una pausa teatrale, afferrò lo smartphone e iniziò a digitare, poi, trovato quello che cercava, offrì il dispositivo alla donna: nella pagina internet spiccava una foto del collier, a colori, ad alta risoluzione. Kay osservò la finezza dei particolari, la lavorazione minuziosa delle scaglie, ognuna una gemma dai colori che andavano dal verde al blu in tutte le gradazioni di tono in quello spettro, mentre invece la lingua era smaltata di rosso.

E poi, gli occhi: uno verde ed uno blu. Eterocromia: i serpenti potevano soffrirne? Era una licenza artistica? Significava forse qualcosa?

“No, i serpenti non soffrono di eterocromia, e no, nessun altro gioiello della maison ha quel particolare,” Jane le rispose, anticipando la domanda. Il suo tono era divenuto improvvisamente freddo e serio, indicazione che stava per arrivare al punto. “Quindi l’opera è stata realizzata in quel modo volutamente, probabilmente per ordine del committente. Credo che le pietre possano permettere di decifrare la mappa contenuta nel diario del bisnonno di Jonathan e Cameron, portando chi è in possesso di entrambi ad individuare dove il vecchio Black avesse nascosto i soldi in nero di quei nababbi, e magari anche cosucce compromettenti... prove di omicidi, ricatti, estorsione, figli illegittimi, mogli rinchiuse in manicomi, questo genere di affari.” 

La donna che ha incastrato Jonathan… la notte del presunto omicidio indossava lenti a contatto, una azzurra e una verde... Kay guardò Jane, che le fece un segno di assenso col capo: aveva letto i rapporti del caso, le dichiarazioni di Jonathan sulla donna che lui asseriva l’avesse drogato, ed avevano pensato la stessa cosa, arrivando alla medesima conclusione.

D’altronde, Jane lo aveva sempre pensato, che nella vita nulla succedeva per caso.

“Le coincidenze non esistono, nulla avviene per caso. Chi lo aveva detto, Jung?” Kay si lasciò cadere sulla sedia di fianco a Jane, e sbattè la foto sul tavolo, nervosa ed irritata. “Quindi? Continuiamo a non sapere dove andare e come muoverci, esattamente come ieri e l’altro ieri ed il giorno prima ancora!”

“Beh, in realtà io so esattamente dove andare: in Giappone – a Tokyo, per essere esatti.” Jane rispose con estrema nonchalance, quasi stesse enunciando il più banale dei concetti e non capisse come il suo interlocutore non ci potesse arrivare da solo. “Per essere ancora più precisi, quartiere speciale di Chūō, distretto di Ginza, numeri da 2 al 12.”

“Mi arrendo: cosa c’è a quell’indirizzo?” La donna gli domandò, sbuffando leggermente. Il suo volto celava un sorriso che desiderava ardentemente scappare, farsi vedere, richiamato dal tono giocoso che Jane metteva in tutto quello che faceva.

“A quell’indirizzo, mia cara, c’è semplicemente la Torre Bulgari, in cui, tra pochi giorni, inizierà una mostra dal titolo Serpentiform: Il rettile divino, in cui Serpenti verrà messo in mostra come pezzo forte della collezione, ed io credo che la nostra amica ne approfitterà per cercare di rubarlo con l’aiuto di Cameron e Jonathan. Ma non ci riuscirà.”

“Sei molto ottimista, Jane. Credi davvero di poterla fermare?” Kay sollevò un sopracciglio, con fare allusivo, senza mai staccare gli occhi  dall’amico e quasi collega.

“Chi, io? Oh, assolutamente no!” Jane scoppiò a ridere, mentre si batteva l’indice destro sul labbro, soddisfatto e sorridente. “Però, a Tokyo, c’è qualcuno che ci deve un favore… e credo che lui ed i suoi amici siano le persone più adeguate per questo lavoro.”

Kay si raddrizzò, e sorrise, quasi luminosa: Ryo Saeba. Jane aveva ragione, loro lo avevano aiutato a tirare fuori dai guai il cognato, dandogli accesso al caso… e adesso era giunto il momento che ripagasse quel debito. 

“Saeba.” Affermò senza ombra di dubbio.

“Già, Saeba e la sua cricca!” Jane fece scioccare la lingua contro il palato, poi si alzò in piedi, afferrando la giacca grigia e poggiandola sull’avanbraccio. “Prepara il passaporto, Kay – scommetto quello che vuoi che la nostra misteriosa manipolatrice è proprio a Tokyo che si sta dirigendo, per prendersi quella collana…”

Da qualche parte…

Sull’aereo privato, la donna misteriosa teneva una mano appoggiata sulla spalla di Jonathan, chinata su di lui mentre gli mostrava qualcosa sullo schermo del telefono. 

Seduto nelle retrovie, Cameron deglutiva, stringendo i pugni, occhi sgranati mentre sentiva il disgusto crescergli dentro, sempre di più, col passare di ogni momento. 

Lei sorrise a Jonathan, e si allontanò lentamente, passandogli una mano sul braccio, un tocco quasi delicato e casuale, ma che non lo era per nulla. Ormai Cameron l’aveva capita: lei calcolava tutto, al millimetro, al millisecondo. 

Si sedette accanto a lui, e accavallando le gambe lunghe, avvolte in un vestito di cashmere bianco, si allacciò la cintura. Si voltò ad osservarlo, sorridendo maliziosamente, picchiettando con lunghe unghie smaltate di nero sul bracciolo della comoda poltrona.

“Di solito non sei così silenzioso, Cameron…  un tempo mi avresti chiesto come ho fatto a procurarmi questo aereo o dove stiamo andando….” Gli disse, ridacchiando. Prese dalla pochette dorata che teneva in grembo un rossetto di Chanel, giocherellò un po’ con l’astuccio nero su cui spiccavano le due C incrociate e poi, senza bisogno di uno specchio, se ne passò un velo sulle labbra.  “Devo preoccuparmi?”

Cameron non le rispose – non aveva bisogno di porre domande, poteva benissimo immaginare come quella donna avesse ottenuto ciò che voleva. Chiunque lei fosse, lavorava per la criminalità: far sparire persone, prove, rubare opere d’arte su commissione, per lei non era un problema. Cameron non osava nemmeno immaginare quali genere di criminali potessero doverle dei favori. E comunque, poco importava dove stavano andando: presto o tardi lo avrebbe scoperto da solo.

Non lasciò vincere la paura; la penetrò con occhi freddi, carichi di odio, stringendo i denti, affondando le corte unghie dentro alla pelle del bracciolo, con una tale forza che aveva male alle dita.  

Lei mantenne quello sguardo, beffarda. Sembrava quasi che volesse sfidarlo, rammentandogli che non avrebbe mai potuto vincere: la partita ormai era già finita, e lui era stato sconfitto in partenza. Ed era vero – Cameron ormai aveva perso tutto, a causa di quella donna. 

La sua casa: per convincerla della sua buona volontà, che era sincero nel suo proposito di seguire il fratello in qualsiasi impresa avesse deciso di tuffarsi, l’aveva distrutta. 

I suoi amici: aveva voltato loro le spalle, dicendo che gli anni passati a cercare di far uscire di galera Jonathan erano serviti a nulla, uno spreco di tempo ed energie, e che loro non gli servivano più.

Ma ciò che lo opprimeva di più era la consapevolezza di cosa doveva aver pensato Kay. Quando Jonathan l’aveva abbandonata – fingendosi lui – lei aveva retto il colpo, rendendosi conto di chi si trovava di fronte? E adesso, avrebbe capito il perché delle sue azioni? Sarebbe stata in grado di seguire la sua pista e tirare  lui ed il suo gemello fuori da guai?

Gettò un’occhiata rapida al fratello: Jonathan guardava fuori dal finestrino dell’aereo con assoluta tranquillità, una freddezza che poche altre volte Cameron gli aveva visto addosso nella loro vita… aveva dunque perso definitivamente il fratello, per colpa di rancori, gelosie, le imposizioni del loro ormai defunto padre? Davvero, come in una storia pulp di serie B, era stata una donna a mettersi tra di loro, a dividerli e distruggerli? 

“Non dovresti guardarmi così, Cameron…” La donna sospirò in modo melodrammatico, accettando un calice di quello che Cameron immaginava essere champagne dall’assistente di volo. Lo sorseggiò ad occhi chiusi, mugugnando di gusto e piacere, quasi quella fosse stata un’esperienza estatica. “Jonathan ed io siamo uguali: se odi me, odi anche lui.” 

“Tu non hai nulla a che fare con me e mio fratello….” Cameron affermò, la voce sibilante. Tuttavia, guardando Jonathan, non ne era più così certo. 

“Con te, no – eri uno dei migliori illusionisti del mondo, avevi uno show tutto tuo in pianta stabile in uno dei più famosi casinò di Las Vegas, facevi spettacoli in televisione, eri l’idolo delle folle, il David Copperfield della tua generazione… ma tuo fratello?” Sogghignò, scuotendo i capelli scuri, leggeri come fili d’erba mossi dal vento. “Tuo padre lo nascondeva, lo usava. Come lui e mia madre facevano con me.”

Mentre diceva quelle ultima parole, un ghigno disgustoso, carico di rabbia, rancore e dolore le di dipinse sul volto, trasfigurandola, rendendola non dissimile dalle creature infernali raffigurate in certe stampe antiche. Cameron ebbe un attimo di esitazione, per una frazione di secondo fu mosso a pietà da quella donna, ma poi sentì Jonathan schiarirsi la gola.

Uno sguardo al gemello, mentre sotto ai loro piedi il velivolo rollava, e fu abbastanza: il suo cuore tornò di pietra.

“Sarà uno shock, ma nonostante se la facesse con la tua mammina e usasse le sue abilità escapologiche per aiutarla a compiere furti in mezzo mondo, a noi, nostro padre, non ha mai insegnato a rubare. Ci ha insegnato ad essere fedeli a noi stessi, a credere e fidarci l’uno dell’altro.”

“Per questo quando il fratellino ti ha steso a pugni e si è sostituito a te per evadere hai fatto il bravo bambino e lo hai perdonato?” Lo canzonò, mettendo un broncio falso, esagerato, esasperato dalle labbra piene, carnose, della donna. “Ti sei perfino impegnato per ritracciarlo, e adesso lo stai seguendo come un bravo cagnolino. Cosa speri, di salvare la sua povera anima innocente? O vuoi la mia testa?”

“Non sono qui per te.” Le sussurrò avvicinandosi pericolosamente, fisandola in quegli occhi maliziosi che lo prendevano in giro, lo schernivano, quasi fosse stato il buffone di corte. “Sono qui per mio fratello.  Lui è l’unica persona di cui mi interessa veramente.”

L’hostess tornò, sfiorò la spalla della donna, sussurrandole che poteva slacciare la cintura di sicurezza, e lei eseguì. Si alzò in piedi e fece per andarsene, raggiungere un altro posto, quando tuttavia si fermò, e si voltò verso l’illusionista.

“Mi auguro di tutto cuore che tu davvero abbia tranciato tutti i legami con la tua amica poliziotta, sarebbe terribile se le dovesse capitare qualcosa. Ma sai come si dice, no? Gli incidenti capitano…”

Stringendo i pugni, Cameron raggelò, pregando che quella donna fredda e calcolatrice non scoprisse mai che stava facendo il doppio gioco: se fosse accaduto qualcosa a Kay, non se lo sarebbe mai perdonato.

  1. Il titolo è lo stesso di un film del 2001, con protagonista Simon Baker, alias Patrick Jane.

  2. La Torre Bulgari esiste: contiene un lounge bar, un ristorante stellato (il Luca Fantin della storia), una terrazza panoramica e un hotel a cinque stelle, ma non una boutique del marchio. 

  3. Howard Hughes e la moglie sono figure realmente esistite. Fu però Elle a lasciare il marito e chiedere il divorzio: Hughes era un donnaiolo, e la sifilide inoltre aveva causato problemi psichiatrici – a causa dei quali aveva sviluppato comportamenti ossessivo-compulsivi, era affetto da manie varie e credeva di essere controllato e perseguitato.

  4. Nella serie tv Deception (2018, 13 episodi) veniva rivelato che il bisnonno dei gemelli Black aveva aiutato a nascondere denaro, averi e prove per diversi ricchi magnati, a cavallo tra la fine degli anni 20 e gli anni 50.

  5. Questo Serpenti esiste davvero, ed è davvero della Maison Bulgari; gli occhi sono però entrambi verdi, e risale però agli anni settanta: è infatti dagli anni quaranta che la maison ha preso questo rettile come suo “stemma”. Esiste inoltre anche la mostra Serpentiform, che si è davvero svolta a Tokyo, non nella Bulgari Tower ma bensì all’interno di uno dei molti musei della città.

   
 
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