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Autore: Vallyrock87    13/01/2022    4 recensioni
Sesshomaru è un ragazzo algido e scostante, che odia il Natale e i momenti di gioia delle persone intorno a lui. Fino a che non avrà la visita di quattro spiriti che cambieranno drasticamente il suo modo di vedere le cose. E chissà, forse una persona potrebbe diventare estremamente importante per lui.
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: inu taisho, Inuyasha, izayoi, Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Strofa Seconda
 
Il primo dei tre spiriti: Shippo.
Sesshomaru aprì gli occhi lentamente; prima uno, poi l’altro. Si accorse che era ancora notte; nel buio della sua camera, non riusciva nemmeno a distinguere il muro dalla finestra, talmente era fitta quell’scurità. I suoi occhi chiari erano l’unica cosa  a brillare in quella stanza. Sentì suonare l’orologio della torre, che si trovava nel paesino, intonava i quattro quarti. Sesshomaru tese le orecchie per ascoltare l’ora.

Con suo stupore, il grande orologio passò dai sei colpi, ai sette, agli otto, e così via fino ad arrivare ai dodici. Dopodiché, tutto tacque. Mezzanotte! Sesshomaru corrugò la fronte perplesso, l’ultima volta che aveva guardato l’ora, prima di mettersi a dormire, erano le due passate. Possibile che l’orologio della torre fosse rotto? Che si fosse congelato qualche meccanismo? Mezzanotte! Ripeté tra sé.

Caricò il suo orologio a molla per correggere lo sproposito di quello della torre. Ma anche quello batté dodici colpi, poi si fermò.

 
- No, non può essere. – Disse Sesshomaru incredulo. – Che abbia dormito una giornata intera e tutta una seconda notte. Non può essere, forse il sole è malato, che sia mezzanotte quando invece è mezzogiorno. –

Quell’idea, era decisamente allarmante, e uscendo dalle coperte, andò brancolando verso la finestra. Con la manica del Kimono, fregò sui vetri per riuscire a vedere qualche cosa, ma non riuscì a scorgere nulla. Sentiva soltanto un gran freddo; e la nebbia era fitta,  nella stradina sterrata che passava vicino casa sua, non vide nessun viandante, che di norma, erano soliti passare di lì per dirigersi al paesello, come normalmente doveva essere, nel caso in cui, la notte avesse ammazzato il giorno prendendo così possesso del mondo. Tutto ciò che stava accadendo quella notte, era talmente strano da mettergli non poca paura, tanto che sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

Sesshomaru se ne tornò a letto, e non riuscendo più a dormire, si mise a pensare, rimuginando; la sua mente era un turbine di pensieri che nemmeno lui riusciva del tutto a comprendere. Più ci pensava, più quella enorme matassa diventava sempre più ingarbugliata, ma più si sforzava di non pensarci, più la sua mente sembrava voler involontariamente tornare a quell’enorme quesito. Lo spettro di Naraku lo tormentava ancora, nonostante la sua presenza fosse svanita da un po’. Quante volte, in quei pochi attimi da quando si era svegliato, dopo un maturo esame, aveva finalmente detto a sé stesso, che era stato nient’altro che un sogno, ma nel momento successivo in cui la sua mente aveva formulato quel pensiero, tornava a tormentarsi ripresentandogli quella enorme matassa da scogliere: Era o non era stato un sogno?

Se ne restò lì, sul letto, a pancia in su a guardare il soffitto, fino a che; l’orologio non ebbe battuto altri tre quarti, in quell’istante si ricordò di ciò che gli aveva detto lo spettro; allo scoccare dell’una avrebbe avuto la prima di tre visite. Si impose di stare sveglio finché non fosse passata l’ora; e considerato che gli era stato fin troppo facile addormentarsi, sicuramente non sarebbe riuscito a stare sveglio per sentire tutti i rintocchi.

Quell’ultimo quarto, gli sembrò talmente lungo da dargli l’impressione di essersi addormentato e di non aver sentito suonare l’orologio della torre. Ma destandolo dai suoi pensieri, ecco che quel suono vibrò nel suo orecchio.

 
Din Don.
 
- Un quarto. – Disse Sesshomaru iniziando a contare.

Din Don.

- Mezz’ora. – Disse ancora.

Din Don.

- Tre quarti. -  Contò nuovamente.

Din Don.

- La prima ora. – Esclamò Sesshomaru come se avesse vinto alla lotteria. – Silenzio. –

 
Le sue labbra si erano mosse ancora prima che l’orologio segnasse l’ora, subito dopo, si udì un suono profondo, cupo e dolente. La camera fu immediatamente invasa da una luce, e le cortine del letto furono tirate indietro.

Il punto in cui le cortine vennero tirate, non era a capo o a piedi, ma esattamente nel punto in cui Sesshomaru aveva il viso posato sul cuscino. Vennero scostate e il ragazzo, mettendosi a sedere, si trovò faccia a faccia con l’essere soprannaturale che le aveva tirate.

Era una strana figura, dal suo aspetto si poteva dire che somigliasse a un bambino. Ma c’era qualcosa in lui, a dirgli che non poteva essere un bambino come tutti gli altri. Aveva dei folti capelli rossicci, legati sulla nuca da un fiocco verde acqua, che riprendeva il colore dei suoi abiti e una folta frangia che gli cadeva sugli occhi. Dei grandi occhi verdi che rispecchiavano tutta l’ingenuità e la sincerità di un bambino. La sua Kosode era verde acqua come il fiocco che portava sulla testa, e vi erano stampate delle foglie più chiare, mentre i suoi Hakama erano di un blu scuro come il cielo notturno. Ma la cosa più bizzarra di quell’essere, era che al posto dei piedi, aveva delle zampe e una coda di volpe sbucava dai suoi Hakama. Sesshomaru pensò che sicuramente fosse lo spirito di una Kitsune, che ancora non era nel pieno dei suoi poteri, visto che aveva soltanto una coda. In mano teneva un ramoscello di agrifoglio verde. Oltre al suo bizzarro aspetto però, il corpo della giovane Kitsune era completamente illuminato da un fuoco azzurrino. Sesshomaru pensò che si trattasse di un fuoco fatuo di cui tanto si sente parlare nelle leggende.

Eppure, di tutto questo, niente delle cose sopracitate sembravano essere quelle più strane; Sesshomaru, lo guardò meglio, e in un gioco di luce e di ombra, la Kitsune sembrava trasformarsi, ora in un enorme pallone rosa, ora invece sembrava avere una ventina di gambe, oppure ne aveva soltanto una sola, oppure soltanto con il busto e senza testa, o soltanto il capo senza il corpo. La Kitsune fluttuava davanti a Sesshomaru, e d’improvviso, tornava ad essere come prima, chiara e ben distinta.

 
- Sei tu lo spirito? – Domandò Sesshomaru. – Di cui mi è stata predetta la visita? –

- Sì, sono io. –

La voce della Kitsune, come Sesshomaru si era immaginato, somigliava tanto a quella di un bambino, ma sembrava provenire da lontano.
 
- Chi sei, e cosa sei? – Domandò Sesshomaru.

- Mi chiamo Shippo, e come puoi vedere sono una Kitsune. Io sono lo spirito del Natale passato. –

- Passato, da quanto tempo? – Chiese Sesshomaru, facendo mente locale dell’ultimo Natale che aveva festeggiato, e si ricordò che da allora era passato parecchio tempo.

- No. Il tuo ultimo Natale. –

Se qualcuno glielo avesse chiesto, Sesshomaru forse non avrebbe saputo dare alcuna risposta, sul perché in quel momento, fu tentato dallo spegnere la fiammella che avvolgeva completamente il minuscolo corpo dello spirito.
 
- Non credo sia una buona idea la tua! – Esclamò lo spirito. – Non puoi spegnere così presto la mia luce, con le tue mani profane. Tu sei stato fra coloro le cui passioni, bramavano che la mia fiamma si spegnesse, non ti basta già questo? –

Sesshomaru, umilmente dichiarò di non aver avuto nessuna intenzione di offendere la Kitsune, ma non credeva nemmeno di essere responsabile per ciò che gli uomini tendevano fargli. Infine, osò chiedere allo spirito, quale fosse il motivo per cui si fosse comunque presentato.
 
- Il motivo per cui sono qui, è la tua salute. – Rispose lo spirito.

Sesshomaru, pensò che se si fosse rimesso a dormire, di certo avrebbe giovato alla sua salute e che non ci sarebbe stato bisogno dello spirito per questo. La Kitsune, sembrò quasi udire quel pensiero, perché gli rispose subito:
 
- Allora, diciamo che sono qui per la tua redenzione. ­–

Subito dopo, la Kitsune tese una mano e lo prese per un braccio.
 
- Alzati e seguimi. –

Sesshomaru pensò che il tempo e l’ora non si addicevano per nulla a una passeggiata a piedi; il letto era troppo caldo e invitante per poterlo lasciare e la  temperatura al di fuori era sotto lo zero. Il suo Kimono da notte da solo non sarebbe riuscito a riscaldarlo, tremò al solo pensiero di poter prendere freddo. Ma quella piccola mano di bambino sembrava essere talmente salda sul  suo polso da convincerlo ad alzarsi dal letto. Quando vide però che la Kitsune si stava avvicinando alla finestra diede uno strattone alla presa, facendo indietreggiare di poco lo spirito.
 
- Spirito, io sono un mortale. – Protestò. – Potrei anche cadere. –

- Se ti fa stare meglio, la mia mano ti toccherà qui.- Disse lo spirito, posandogli la mano all’altezza del cuore. – Cosicché riesca a sostenerti in alto, senza precipitare. –

Quando la Kitsune spostò la mano, passarono insieme attraverso il muro, ed ecco che si trovarono in aperta campagna, sopra a una strada fiancheggiata dai campi di riso. Il buio e la nebbia, si erano dileguati, era una limpida giornata invernale e la neve biancheggiava al sole.
 
- Per tutti i Kami. – Esclamò Sesshomaru guardandosi intorno. – Qui è dove sono cresciuto; qui è dove ho passato la mia infanzia. –

Lo spirito lo guardò con dolcezza. La stretta sulla mano del ragazzo era gentile, benché lieve e istantanea, e nonostante questo, il giovane la sentiva. Sesshomaru chiuse gli occhi, e assaporò i profumi di quel posto, che gli riportarono alla memoria migliaia di ricordi, tra gioie, dolori e speranze di un tempo ormai andato.
 
- Il tuo labbro sta tremando. – Disse lo spirito notando quel leggero tremolio. – E che cos’hai, qui sulla guancia? –

Sesshomaru balbettò, con un insolito tremolio nella voce, che quella era soltanto una pustoletta, nient’altro. Era pronto a seguire lo spirito dovunque avesse voluto condurlo.
 
- Ricordi la via? – Domandò lo spirito.

- Si me la ricordo – esclamò Sesshomaru. – Ci andrei a occhi chiusi. –

- È strano però che per molti anni, tu, te ne sia scordato. – Osservò lo spirito. – Andiamo. –

E si inoltrarono in quella via. Sesshomaru conosceva ogni cancello, ogni albero, ogni piolo, e quando un tratto apparve un piccolo villaggio, con un ponte, un tempio e il suo fiume tortuoso; videro alcuni ragazzini che giocavano tirandosi palle di neve. Alcuni di questi, ne chiamavano altri che si aggiungevano al gruppetto, quei ragazzetti erano in grande allegria e si cambiavano tante grida, che la vasta campagna suonava di una musica giocosa che la stessa aria sembrava riderne udendola.
 
- Tutto ciò che vedi. – Disse lo spirito. – Sono ombre di cose del passato. Loro non possono vederci, pertanto, non hanno coscienza di noi. –

Alcuni viaggiatori che si avvicinavano al villaggio, Sesshomaru li riconobbe e man mano ne diceva il nome, come se quel momento lo stesse vivendo davvero. Si rallegrava nel vedere quei visi felici, e si domandava perché di tanta felicità, perché le sue pupille brillavano al solo vedere quelle scene? Perché il cuore sembrò maccargli un battito? Perché sentì un insolita dolcezza mentre vedeva quelle persone augurarsi un felice Natale? Che cosa gli importava in fondo a lui di un allegro Natale ? Che se ne andasse al diavolo il Natale! Che gli aveva mai fatto di bene il Natale?
 
- La scuola, non è ancora deserta. – Disse lo spirito. – Sembra che ci sia un ragazzo, sembra che i compagni l’abbiano lasciato solo. –

Sesshomaru disse che lo conosceva, e un singhiozzo sembro volergli salire dalla gola.

Uscirono dalla via maestra e si immisero in un ben noto sentiero, e ben  presto si avvicinarono ad un edificio rossastro, con una torre che superava la struttura che aveva una bandiera sul tetto e con una campana all’interno. Un tempo sarebbe dovuta essere una bella casa, ma sembrava essere caduta in disgrazia; gli stanzoni erano tutti in disuso e le pareti erano umide e ammuffite, le finestre erano rotte e le porte erano sdrucite. I polli chiocciavano nelle stalle, le rimesse  e le tettoie erano invase dall’ erba. Ma nulla in quella fatiscente abitazione, sembrava dare l’impressione di cosa quella casa fosse stata un tempo. Entrarono in quella corte malinconica e guardarono all’interno delle stanze con le porte spalancate,  notarono che erano miseramente fornite, fredde e ampie. Si sentiva nell’aria un odore di terra  e una nudità freddolosa, che in qualche modo poteva venire associata all’idea di alzarsi presto a lume di candela e del non aver molto da mangiare.

Sesshomaru e lo spirito oltrepassarono la corte per dirigersi verso una porta dietro la casa. Si aprì davanti a loro mostrandogli un enorme stanza nuda e malconcia, che sembrava anche più spoglia di ciò che era, nonostante le tante file di banchi e leggii. A uno di questi banchi vicino a un misero fuocherello, vi era un ragazzo che leggeva tutto solo; Sesshomaru nel rivedere sé stesso cadde sopra uno di questi e versò umide lacrime nel ricordare quei momenti in cui, si sentiva solo e dimenticato da tutti.

In quell’edificio vi era un silenzio quasi fastidioso, nemmeno uno scricchiolio riusciva a sentirsi, né nella casa né nel cortile, dove vi era la fontana ghiacciata non si sentiva nemmeno il gocciolare dell’acqua, tutto taceva, tutto era silenzio. E a Sesshomaru sembrò che le lacrime volessero premere sui suoi occhi per uscire.

La Kitsune gli sfiorò il braccio indicandogli il ragazzo solitario intento nella lettura. Da una finestra qualcuno lo stava osservando; era un bambino, biondo come lui, con grandi occhi luccicanti come stelle, portava un cappottino rosso di cui dalla finestra si potevano vedere solamente le spalle. I suoi occhi azzurri, grandi e furbi scrutavano all’interno della stanza, forse incuriosito dalla solitudine di quell’altro ragazzo.

 
- Quel bambino! – Esclamò Sesshomaru confuso, quasi si era dimenticato di quante volte aveva alzato lo sguardo e aveva incontrato quei grandi occhi curiosi. – Mi sono sempre domandato chi fosse, ma non so per quale motivo, lui non frequentasse la mia stessa scuola. Eppure, ora che ci penso, quegli occhi mi sembrano familiari, ma per quale ragione non riesco a ricordare chi sia ? – Soprattutto, si chiedeva per quale motivo se ne fosse completamente dimenticato. In quel momento, il suo cuore sembrò pompare più velocemente del solito e non ne capiva il motivo.

Di certo, vedere quella confusione avrebbe  destato sospetti persino in suo padre, c’era una luce nei suoi occhi che da diverso tempo si era spenta. Si domandò chissà quale reazione avrebbe avuto il genitore se lo avesse visto in quello stato.
 
- Perché si è sempre limitato a guardarmi da quella finestra senza mai parlare con me? – Si domandò Sesshomaru. – Perché ho dimenticato quel cappotto rosso? Perché non l’ho mai più incontrato? – Vide il ragazzo seduto al banco alzare il suo capo, volgendo lo sguardo verso la finestra. Il bambino dal cappotto rosso fece un enorme sorriso al ragazzo lettore e poi se ne scappò via, quasi come a farsi beffe di lui.

Si ricordò di quando rimaneva incantato ad osservare quella finestra cercando di capire se avesse sognato o meno, ma credeva che quegli occhi non li avrebbe mai dimenticati. Guardò l’altro sé stesso bambino e lo udì esclamare: se solo potessi conoscere il tuo nome, potrei incontrarti. Le lacrime erano sgorgate dai suoi occhi, quasi come un fiume in piena, quando gli tornò alla memoria di lui così solo da illudersi di poter avere l’amicizia di quel bambino sconosciuto, che forse era l’unico a cui importasse la sua esistenza.
 
- Vorrei. – Sussurrò Sesshomaru, mettendosi le mani in tasca e guardandosi attorno, dopo essersi asciugato gli occhi con la manica; vorrei… ma è troppo tardi.

- Che cosa?  - Domandò lo spirito.

- Nulla. – Rispose Sesshomaru. – Nulla, ci sono stati dei ragazzi ieri sera che cantavano alla mia finestra una canzonetta di Natale. Vorrei avergli dato qualcosa. – Disse ricordandosi che tra loro ce ne fu uno che gli aveva riacceso un ricordo, e ora che il passato era riaffiorato nella sua mente non aveva più dubbi su chi gli ricordasse.

Lo spirito gli sorrise meditando, e con la mano gli accennò di fare silenzio. Poi disse: Ma andiamo avanti, vediamo un altro Natale.

Subito, quel Sesshomaru bambino, si fece più grande e l’enorme stanza si allargò maggiormente divenendo anche più sudicia. Si screpolavano gli usci e le finestre; piovevano pezzi di intonaco e si scoprivano le assi del tetto. Come ciò fosse possibile, Sesshomaru non riuscì a capirlo. Ma sapeva che le cose erano andate esattamente così, e che egli stava lì, solo come prima, sempre solo.

Non era intento a leggere quella volta, ma andava su e giù nervosamente. Sesshomaru si voltò a guardare lo spirito, e la tensione sembrava aver preso possesso di sé, poi voltò lo sguardo verso la porta.

Questa si aprì. E un uomo fece il suo ingresso nella stanza. Suo padre quel giorno sembrava essere più felice e allegro del solito. I due si guardarono, ma il ragazzino sembrava teso alla vista del genitore: - Figliolo. –

 
- Sono venuto a prenderti. – Disse l’uomo, e la sua voce tradì una certa emozione nel pronunciare quelle semplici parole. – Andiamo a casa – Disse tendendo le sue labbra in un sorriso.

- A… a casa! ? – Domandò il ragazzo balbettando un po’.

- Certo ragazzo mio! – Ribatté il genitore con sicurezza.  – Mi dispiace figlio mio di averti mandato in questo istituto contro la tua volontà, ma se l’ho fatto è stato per il tuo bene. Volevo che avessi la migliore delle istruzioni. E mi dispiace di non esserti mai venuto a trovare, ma ero troppo orgoglioso per ammettere quanto mi mancassi. Accetta le mie scuse e torna a casa. Sei un uomo ormai. – Vide suo padre titubare, avrebbe voluto sicuramente abbracciarlo, ma non riusciva a muovere un passo dall’uscio. – Non tornerai più qui, te lo prometto, passeremo insieme tutti in Natali che vorrai. –

- Padre. – Urlò il ragazzo correndogli incontro e schiantandosi contro il petto del genitore. Versando calde lacrime, felice di poter tornare a casa insieme al padre.

Toga esitò per un attimo, ma poi strinse forte al suo petto quella testa argentata simile alla sua. Lo scostò per guardare quegli occhi lucidi di pianto simili ai suoi, per poi prendere il figlio per mano e uscire da quella camera insieme a lui.
Qualcuno, appena i due uscirono nel cortile di quella  struttura, urlò: Portate giù il baule di Sesshomaru. In quel punto stesso dove si era udita quella voce, apparve il maestro di Sesshomaru, che squadrò il piccolo, con una condiscendenza quasi feroce e il ragazzo si irrigidì non appena l’uomo gli strinse la mano. Li condusse poi, lui e suo padre, nella sala al pian terreno, vecchia e umida, peggio delle altre. Da una delle credenze di quella sala, tirò fuori una bottiglia di vino e un pezzo di focaccia squadrato, le offrì ai due, poi mandò fuori un esile servitore per offrire qualche cosa al cocchiere, che ringraziò immensamente il signore della sua gentilezza. Intanto, il baule di Sesshomaru era stato legato sulla carrozza, padre e figlio dissero addio al maestro. Il genitore ringraziò quest’ultimo per tutto ciò che aveva fatto per Sesshomaru, poi montarono sul veicolo, e questa scomparì alla vista del maestro non appena ebbero superato il viale e il giardino dell’istituto.

 
- E poi come andò a finire con tuo padre? – Disse lo spirito. – Sembra un uomo gentile e dal cuore buono. –

- Mio padre mi aveva mandato in quell’istituto per un litigio che avevamo avuto. – Disse Sesshomaru. – Non lo vidi per qualche anno, fino a quel giorno. –

- Eppure, sembra che da allora voglia stare con te il più possibile, non è vero? – Chiese lo spirito.

- È sempre appresso a qualche gonnella. – Disse sprezzante Sesshomaru.

- Anche questo è vero, ma forse sta cercando anche lui uno spiraglio di felicità. Dico bene? –

Dopo le parole della Kitsune, Sesshomaru sembrò improvvisamente turbato e rispose un timido: forse!

Si spostarono dalla scuola, per poi trovarsi tra le vie della città, dove vi erano i mercanti e le persone, dove questi sembravano essere piuttosto affaccendati. Ombre di uomini e carrozze si contendevano il passo, con tutto il tramestio e il trambusto di una vera città. Dalle vetrine delle botteghe, era chiaro che anche lì si festeggiava il Natale; era sera e le vie erano illuminate.

Lo spirito si fermò davanti a un grande palazzo scintillante, e domando a Sesshomaru se lo ricordasse.

 
- Certo che lo ricordo! – Esclamò Sesshomaru. – E la sala da ballo che mio padre aveva affittato un anno per la Vigilia di Natale. –

Entrarono. Superarono un lungo corridoio lussurioso, che immetteva direttamente nella sala da ballo ghermita di gente, tutti con vesti molto eleganti e ognuno degli ospiti portava una maschera. Appeso al soffitto, vi era un sontuoso lampadario di cristallo illuminato da mille candele, che dava luce a tutta la sala.
 
- Fu la festa più bella che mio padre avesse mai dato, ricordo che se ne parlò per mesi. – Disse Sesshomaru con occhi sognanti ricordandosi ciò che successe durante quella serata, e arrossì leggermente.

Si riconobbe più in là nella sala, ormai diventato un giovane uomo, nel suo abito più bello, creato appositamente per lui da una delle sarte più abili di quella città.
 
- Figlio mio. – lo chiamò il padre avvicinandosi a lui.

Il ragazzo si giro verso il genitore guardandolo con sorpresa. Pensava di non essere visto in quell’angolo della sala, non amava molto le feste, e aveva presenziato a quello solo per fare felice suo padre, dato che aveva tanto insistito.
 
- Sono contento che tu sia qui Sesshomaru, significa molto per me. – Disse il genitore.

Sesshomaru non disse nulla, ma nonostante fosse stato riluttante a presenziare a quella festa, provò un senso di tranquillità sapendo di averlo reso contento anche solo per la sua presenza, e fu una delle rare volte in cui provò un sentimento simile.
 
- Ma scordatevi che io balli con qualcuna questa sera. – Disse infine Sesshomaru.

- Oh, figliolo non importa, sei qui e non chiedo altro. – Disse Toga.

Vennero improvvisamente interrotti dai musicisti che entrarono in quel momento, anche il chiacchiericcio degli ospiti si interruppe. L’orchestra, composta da archi e fiati, superando la folla e superati poi tre scalini, si posizionò su un piano elevato apposito per loro, ai margini della sala. La musica di un Valzer invase la stanza, dando così il via alle danze,  ogni cavaliere scelse la sua dama e in men che non si dica la pista da ballo venne riempita da coppie danzanti, mentre altri li osservavano estasiati, compreso lo stesso Sesshomaru. Molte delle damigelle di quel ballo, avrebbero voluto danzare insieme a lui, ma il ragazzo non aveva mosso un muscolo per invitare qualcuna di loro, non provava alcun interesse in nessuna, in fondo.

In quell’istante, qualcuno fece il suo ingresso nella sala, era difficile non notarlo visto l’abito che indossava. Uno smoking rosso lucido che sembrava illuminare ancora di più quel posto, o forse era stata soltanto un impressione di Sesshomaru. Lo sconosciuto aveva dei lunghi capelli fluenti di un biondo argenteo che gli ricoprivano completamente la schiena, e come la maggior parte degli invitati portava un maschera che gli ricopriva per metà il volto, e questa luccicava sotto le luci delle candele. Ma ciò che attirò ancora di più l’attenzione di Sesshomaru furono i suoi occhi, dei famigliari grandi  occhi azzurri e scintillanti, che gli riportarono alla memoria un ragazzino di molti anni prima.
Lo sconosciuto era fermo sulla soglia della sala e, dal suo atteggiamento sembrava che stesse cercando qualcuno tra i molteplici volti mascherati. Il suo sguardo aveva scandagliato ogni singolo viso, ogni abito, ma nel momento in cui quello sguardo si posò su Sesshomaru, un guizzo passò nei suoi occhi: aveva trovato ciò che cercava.

In quel preciso istante, tutto sembrò fermarsi, e Sesshomaru si ritrovò a deglutire più volte, chiedendosi per quale motivo stesse avendo quell’atteggiamento. Lo sconosciuto dallo smoking rosso, mosse un passo dopo l’altro verso di lui, e nelle sue orecchie, oltre i rumori della musica e della folla, che sembravano essersi arrestati in quel momento, gli sembrò di udire il ticchettio delle eleganti scarpe che lo sconosciuto portava. Sesshomaru non seppe quanto tempo era passato, che improvvisamente si ritrovò a guardare quegli occhi azzurri da molto vicino, forse anche troppo. Il ragazzo, gli porse una mano inchinandosi leggermente davanti a lui, per poi riportare quei turchesi nei suoi occhi. Nella parte di viso scoperta dalla maschera, poté notare un accenno di sorriso.

 
- Vorrei chiedere se mi concedete l’onore di questo ballo. – Disse lo sconosciuto.

Allo Sesshomaru che stava osservando la scena in compagnia dello spirito, quella voce sembrò di averla già sentita da qualche parte, e alle sue orecchie sembro essere molto famigliare.
 
- Tsk. Tu sei un uomo, in che modo potrei ballare con te in mezzo a tutte queste persone? – Ribatté Sesshomaru.

- Io non mi faccio alcun problema di ciò che pensa la gente. – Disse il ragazzo, sorvolando sul tono sprezzante di Sesshomaru.

- Figliolo, per me non c’è alcun problema. E poi è sempre meglio che startene qui con quel muso lungo. – Intervenne Toga, e Sesshomaru non seppe se suo padre volesse prenderlo in giro, o se fosse un modo per dirgli che qualsiasi scelta avesse preso nella vita, lui lo avrebbe appoggiato sempre.

Sesshomaru, posò lo sguardo sulla mano ancora tesa dello sconosciuto, per poi alzare lo sguardo e immergersi ancora una volta in quelle gemme di turchese. Nemmeno lui seppe spiegare, per quale strano scherzo del destino, la sua mano si mosse da sola per afferrare quella dello sconosciuto e farsi trasportare al centro della pista, sotto gli sguardi attoniti e disgustati di tutti gli invitati.

Nuovamente si trovò a osservare quegli occhi che, in quel preciso istante, sembravano averlo ipnotizzato. Senti una mano posarsi alla base della sua schiena, ma i loro sguardi non si erano ancora staccati l’uno dall’altro, come anche le loro mani, sollevate poco più in alto  di una delle guance dello sconosciuto, mentre l’altra mano di Sesshomaru si era posata sulla spalla di quel ragazzo. Lo sconosciuto dallo smoking rosso iniziò a condurre la danza, e la gente, ora incuriosita da quella strana unione, aveva lasciato loro spazio al centro della sala e i due sembravano destreggiarsi molto bene in quel ballo, e in quel momento Sesshomaru si sentì stranamente a suo agio, più di quanto non lo fosse mai stato fino a quel momento, dimenticandosi anche di essere al centro dell’attenzione.

Il ballo prosegui per diverso tempo, tanto che i due ballerini ne avevano perso la cognizione. Ma poi, un orologio scoccò i rintocchi della mezzanotte, e Sesshomaru sentì lo sconosciuto irrigidirsi tra le sue braccia. Immediatamente, il ragazzo lasciò la presa su di lui e fece qualche passo indietro, Sesshomaru poté vedere quello sguardo, che fino a poco prima irradiava felicità e allegria, rabbuiarsi improvvisamente, e per poco non avvertì il suo cuore mancare qualche battito, e il suo corpo sentire la mancanza della vicinanza dell’altro.

 
- Mi dispiace… io… io… devo andare. – Disse lo sconosciuto.

E così come era venuto, lascio la sala in grande fretta, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. Sesshomaru, si ritrovò nuovamente solo al centro di quella enorme pista da ballo con le persone che lo guardavano, anche loro stupite dal repentino svolgersi degli eventi. Mentre lui, non riusciva a muovere nemmeno un passo, talmente era stato repentino il cambiamento di umore dello sconosciuto.

La serata si concluse un’ora dopo, e Sesshomaru tornò a casa con uno strana sensazione che gli attanagliava il petto.

L’osservatore Sesshomaru, si voltò verso la Kitsune con un interrogativo nella mente, lo stesso che per un lungo periodo della sua vita aveva fatto parte dei suoi pensieri.

 
- Tu sai chi è quello sconosciuto non è vero? – Domandò Sesshomaru.

- Certo, io so molte cose.  – Rispose lo spirito.

- Allora mostramelo, mostrami chi era. – Lo incalzò Sesshomaru
.

D’improvviso si ritrovarono fuori da quell’ edificio, e proprio lì all’angolo di quella struttura, vi era quel ragazzo, che fino a poco prima aveva ballato con lui al centro della pista da ballo. Portava ancora la maschera, aveva il fiatone e si guardava intorno con circospezione, ma le strade intorno a lui erano deserte. Nel momento in cui fu certo di questo, si tolse la maschera.

Quello che si presentò davanti agli occhi di Sesshomaru, fu qualcosa che lo fece rimanere a bocca aperta e avvertì il suo cuore fermarsi per qualche istante. I suoi occhi sembravano non volere accettare ciò che stavano vedendo.

 
- Non è possibile. Non… non può essere lui, non può…- Disse sconvolto Sesshomaru balbettando.

- Invece lo è, lui è sempre stato vicino a te, e tu egoisticamente non te ne sei mai accorto. – Disse lo spirito.

- Inuyasha. – Quel nome uscì quasi disperatamente dalle sue labbra, e una mano si allungò verso il ragazzo, pur essendo consapevole che non avrebbe mai potuto sfiorarlo, poi conscio di questo, Sesshomaru la lasciò ricadere al suo fianco. – Ora vorrei poterlo aver trattato meglio di come faccio di solito, eppure, lui… non se né mai lamentato. –
 
- Inuyasha è un ragazzo povero, che si contenta di poco, e sembra essersi accontentato di stare a pochi passi di distanza da te senza mai fare nulla per avvicinarti, da quella notte, ha sempre solo atteso te, nessun altro e tu non te ne sei mai accorto, troppo preso dai tuoi affari. –

- Perdonami Inuyasha. – Disse Sesshomaru con le lacrime che solcavano il suo viso.

Inuyasha in quel momento, scomparve dalla sua vista correndo via, mentre  pronunciava quelle parole, e fu quasi come se l’altro stesse scappando da lui, e si sentì più male di quanto avesse mai potuto ammettere.
 
- Non abbiamo quasi più tempo. – Disse lo spirito. – Dobbiamo fare presto. –

In un batter d’occhio Sesshomaru rivide sé stesso, qualche anno più avanti, dopo quella notte in cui c’era stato quel ballo, in cui non aveva più rivisto quello sconosciuto. E davanti ai suoi occhi si riproduceva un altro spezzato della sua vita, in cui questa si era incupita dalla ricerca di qualcosa che, da quella fatidica notte non era più riuscito a trovare.

Si trovava nel salotto della casa in cui viveva insieme a suo padre. Accanto a lui sedeva una fanciulla dai capelli corvini i quali, non le superavano le spalle, i suoi occhi erano del colore della nocciola. Da quegli stessi occhi sgorgavano fiumi di lacrime, che sembravano deturpare quel bel viso.

 
- Non importa. – Diceva lei. -Non importa a voi. Un’ altra ha preso il mio posto, e, se vi vorrà il bene che vi ho voluto io, non ho alcun motivo di lamentarmi. –

- Chi altra ha preso il vostro posto? – Domandò lui, non capendo quelle parole.

- Un’altra vestita di oro. –

- Tsk. È questo che pensate di me? – Domandò lui. – Se fossi stato povero forse non avrei potuto darvi tutto ciò che avete ora, ma io povero non lo sono mai stato, e ora voi osate accusarmi di questo? –

- No, non è questo, non eravate così quando ci siamo conosciuti. – Ribatté dolcemente la fanciulla. -La verità è che voi avete paura del mondo e di tutto ciò che vi circonda, vi siete rifugiato tra le braccia del dio denaro che vi ha assorbito dentro di lui. –

- E con questo? Sono diventato soltanto più accorto. I miei sentimenti nei vostri confronti non sono per nulla mutati. – La ragazza scrollò il capo.

- Sono forse cambiato? – Aggiunse Sesshomaru, quasi più per avere conferma che per altro.

- La nostra promessa risale a molto tempo fa. Ce la siamo scambiata quando entrambe eravamo contenti soltanto di stare insieme. Quando vi ho conosciuto non ho visto l’uomo ricco, perché credevo che voi foste diverso da tutti gli altri ma, mi sbagliavo. Siete cambiato in questi pochi anni dalla nostra conoscenza. Eravate un altro uomo allora. –

- Ero soltanto un ragazzo. E poco più che ventenne. – Ribatté lui con impazienza.

- Non è così! – Rispose la fanciulla. – La vostra coscienza vi dice che non eravate ciò che siete adesso. Ma io lo so. Quello che ci prometteva la felicità quando eravamo un solo cuore, oggi che ne abbiamo due è fonte solo di dolori. Non posso dirvi quante volte io ci abbia pensato.  Ma ora mi sento in dovere di restituirvi la vostra parola. –

- Ma io non ve l’ho mai reclamata indietro. - 

- A parole mai. –

- E in quale modo dunque? –

- Mutando in tutto, nel carattere, nelle abitudini, nelle aspirazioni, in ogni cosa che mi faceva apprezzare il mio affetto per voi. Se tra di noi non ci fosse stato nulla… - Soggiunse a quel punto la ragazza in modo dolce ma allo stesso tempo anche con fermezza. - … ditemi, ora lo cerchereste quell’affetto?  Io credo di no. –

Suo mal grado, egli si arrese all’evidenza di quelle parole, accorgendosi in quel momento quanto potessero essere vere. Ma decise comunque di farsi forza:
 
- Non lo pensate veramente. –

- Come se potessi pensare altrimenti. – Ribatté lei. – Solo i Kami  sanno quanto lo vorrei! Ma questa è  una verità che mio malgrado ho dovuto riconoscere io stessa, e so bene quanto sia forte e irresistibile. Ma se voi foste libero oggi o domani, come posso credere che voi scegliereste una ragazza senza dote, voi che siete diventato avido e che valutate tutto a peso di guadagno? E se mai per un solo istante voleste tradire il principio che vi governa, fino ad arrivare al punto di sposarla, forse il giorno dopo vi tormenterete perché vi siete pentito della vostra scelta? Ne sono consapevole, e quindi vi restituisco la parola con tutto il mio cuore, per l’amore di quello che eravate.-

Il ragazzo fece per rispondere, ma lei non glielo permise e proseguì alzandosi e voltandogli le spalle.
 
- Forse la memoria di ciò che siete stato un tempo me lo fa quasi sperare, forse ne soffrirete. Però credo che non sarà opprimente, e scaccerete subito ogni ricordo di ciò che siamo stati come se lo aveste solo sognato. Tuttavia, io vi auguro di essere felice della vita che vi siete scelto. –

Lo lasciò solo in quella stanza e si separarono. Ma il Sesshomaru che stava osservando, sapeva che c’era anche un altro motivo del suo mutamento, e a volte era difficile da comprendere persino per lui.
 
- Spirito. – Disse Sesshomaru, voltandosi a guardare la Kitsune. – Non voglio vedere altro, portami a casa: Perché ti diverti a torturarmi? –

- Un’altra sola ombra e poi potrai tornare a casa. –

- No, no, no basta! Non voglio vedere altro. Non mostrarmi altro! – Si rifiutò Sesshomaru.

Ma lo spirito non si fece intimorire dal suo atteggiamento, e stringendolo tra le braccia, lo costrinse a guardare ancora.

Si trovarono altrove e la scena era mutata: era una stanza non molto grande né bella, ma comoda ed accogliente. Vicino al fuoco vi era una donna seduta su una sedia a dondolo, stava sferruzzando a maglia, con un sorriso raggiante stampato sul volto. La casa era racchiusa nel silenzio più totale. Era la stessa che Sesshomaru aveva visto discutere con l’altro sé stesso nella casa di suo padre. Lo spirito lo fece avvicinare ancora di più alla ragazza, e notò che il suo ventre era rigonfio e allora capì il motivo della sua felicità, alla fine era stata lei a trovare la sua oasi di pace e serenità, mentre lui la stava ancora cercando, ma ormai da diverso tempo; si era rassegnato  a trovare quello sconosciuto che aveva ballato con lui il giorno della vigilia di molto tempo prima, chi mai avrebbe potuto pensare che la risposta a tutti i suoi tormenti, era proprio vicino a lui e che non se ne era mai accorto. Tuttavia, osservando quella ragazza così felice non poteva che esserlo per lei e per ciò che aveva trovato.

Ma ecco che si sentì bussare alla porta, e la ragazza un po’ a fatica andò alla porta. Un uomo dai lunghi capelli corvini, raccolti in una treccia e dagli occhi blu,  si rivelò alla donna, aveva una culla di legno di fianco a sé. Lo sguardo della ragazza ricadde su quell’oggetto.

 
- Tesoro mio, che cos’è? – Disse lei indicandolo.

- È la culla per il figlio che verrà. Questo è il mio regalo per questo Natale. – Gli disse lui facendogli un gran sorriso.

- Oh Bankotsu, sono così felice che tu ti prenda cura di noi. -  Disse lei portandosi le mani al ventre.

Bankotsu, prese la culla e la portò all’interno della casa, accompagnato da una lei sorridente. Quando furono dentro casa la ragazza gli rivolse un suo sorriso, ancora più radioso di prima.
 
- Kagome, io vi amo tutti e due, è mio dovere pensare al vostro bene. – Disse Bankotsu prima di posare un casto bacio sulle sue labbra. Poi come se fosse stato colto da un fulmine, proseguì: - Tesoro. – Le disse continuando a sorriderle. – Oggi ho incontrato un vecchio amico. –

- Chi? - Chiese incuriosita lei.

- Indovina! –

- Come vuoi che faccia? … Oh! Ma certo. – Aggiunse ridendo come il marito. – Hai incontrato Sesshomaru non è vero? –

- Hai fatto centro tesoro. Sono passato da lui perché avevo bisogno di rivedere alcune carte per la mia attività, e ci ho parlato per un po’. Mi ha detto che il suo socio è sul punto di morte, e lui sembra che se ne stia in quello studio tutto solo con le sue scartoffie. Credo che ormai sia solo al mondo e solamente il suo segretario sembra sopportarlo. –

- Spirito! – Esclamò Sesshomaru con un filo di voce. – Portami via da qui! –

- Come ti ho già detto. – Rispose lo spirito. – Queste sono solo ombre, non sanno che siamo qui anche noi. –

Si voltò verso lo spirito, e non poté fare a ameno di notare che la Kitsune, lo guardava con un volto strano nel quale si confondevano i visi che gli erano apparsi fino ad allora.
 
- Lasciami! Riportami a casa  e non mi importunare più! –

Sesshomaru gli si scagliò conto, volandogli alla gola, come se si fosse potuto anche solo immaginare di poter strangolare uno spirito. Ma la Kitsune non smise di avere quel suo volto sereno e non oppose resistenza dalla sua morsa, fu  in quel momento che si accorse che la sua luce era ancora più intensa, e Sesshomaru pensò che fosse quella la causa del suo turbamento verso quei ricordi. In un gesto fulmineo, gli fu sopra con tutto il suo corpo, sperando che così sarebbe riuscito a spegnerla.

Dopo pochi istanti non sentì più nulla provenire da sotto di lui, ma la luce ancora non sembrava voler spegnersi, così lo coprì ancora di più con il suo corpo, fino a che tutto in un attimo finì e quella luce si spense.

Improvvisamente, si sentì privo di forze e avvertiva i suoi occhi essere pesanti come macigni. Si ritrovò nuovamente nella sua stanza, ed era ancora accasciato al suolo quando successe. Rialzandosi da terra, si diresse verso il letto e si rifugiò nuovamente sotto le coperte ancora calde, raggomitolandosi sotto di esse prima di cadere in un sonno profondo.






Angolo Autrice
Eccoci col secondo capitolo, so di essere dannatamente in ritardo con questa storia, ma penso che chi ama il Natale, saprà apprezzare comunque questa storia. penso che alla fine in mezzo ci sia finita anche un po' di cenerentola, ma credo che quell'evento abbia dato un tocco in più a tutto il resto, diciamo che è anche la parte che mi è piaciuta di più ;)
Come sempre spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo.
Alla prossima ;)

 
 
   
 
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