Buona domenica
a tutti!
Primo dei due ri-postaggi!
Il secondo verrà effettuato in serata.
Grazie a tutti voi che dedicate il vostro tempo a leggere questa fic a voi che
la recensite, a chi aggiunge ai preferiti, seguiti e ricordati e ovviamente
grazie anche ai numerosissimi lettori silenti
Buona lettura =)
.38.
IL GIOCO
DEL CASO
Erano dovuti andare via in tutta fretta da Cerere, perché c’era
stato un incidente ed era arrivato un convoglio della Gaia Fleet pieno di
soldati feriti accompagnati da una scorta molto numerosa, quindi si erano
congedati da Heizo e avevano preso veloci la via del ritorno.
Joy era ancora sotto choc per la diagnosi che aveva ricevuto, era molto
confusa, preoccupata e in ansia ma non aveva avuto il tempo di fare le domande
che desiderava al medico perché di fatto non ce ne era stato il tempo
materiale.
Per Meeme invece al momento il problema maggiore di tutta quell’incresciosa
situazione era preservare Harlock da un ulteriore choc.
Doveva prendere tempo per gestire al meglio questa cosa.
Con Joy se l’era per il momento cavata, in seguito avrebbe fatto in modo di
convincerla a tornare indietro nel tempo, ma al Capitano che avrebbe dovuto
dire?
Era un uomo testardo ed intelligente avrebbe fatto delle domande e preteso
delle risposte, ci sarebbe stato ben poco da nascondergli…
Era certa che appena avesse scoperto la verità si sarebbe macerato nel senso di
colpa come suo solito, ma poteva mentirgli su una cosa così seria ed
importante?
Era giusto? E poi quando l’avesse scoperto, come avrebbe reagito?
Era davvero una situazione delicata e difficile.
Decise di parlarne con Joy sulla via del ritorno.
Non potendolo escludere, gioco forza fu messo al corrente della situazione
anche Yama, che, per il momento, vista la situazione d’emergenza che si era
creata da giorni, non aveva ancora fatto domande a Joy su quelle assurdità che
gli aveva riferito Kei quel giorno nella sua cabina.
“Intendo parlarci prima io e da sola” disse la ragazza risoluta rivolta
all’aliena.
“Non dirgli della dark matter, però” la pregò Meeme.
“Non gli diremo niente” e lanciò un’occhiata d’intesa anche a Yama.
“Bene, ma allora che cosa t’inventerai?” chiese l’altra.
“Una mezza verità, gli dirò, come avevate detto a me, che ho preso un virus
sconosciuto che ha provocato queste reazioni e poi farò in modo che mi
assecondi, per il mio bene. Insomma, in qualche modo lo convincerò” rispose la
biologa pensosa.
Meeme sapeva che Harlock non l’avrebbe bevuta, ma per il momento tacque.
“Ma vi pare il caso di mentire al Capitano?” chiese Yama perplesso. Lui non era
molto convinto di questa soluzione e a dire il vero era anche sinceramente
preoccupato per la ragazza, era stata contaminata da una sostanza aliena,
pericolosa e sconosciuta di cui non si potevano prevedere gli effetti e secondo
lui stavano giocando con il fuoco.
“Non permetterò che Harlock si senta responsabile, né che stia male per causa
mia, e tu non t’intrometterai e ti farai i fatti tuoi” lo freddò Joy.
Il ragazzo annuì con la testa, non gli restava che rispettare i desideri della
malata.
“Però devi anche pensare anche a te stessa e alla tua salute…” aggiunse quasi a
voce bassa, come se non fossero affari suoi ma dando ad intendere che comunque
teneva a lei e alla sua salute.
“Ha ragione Yama” gli dette man forte Meeme “Non è una cosa da poco, ti ricordi
come parlammo quella volta nella mia cabina?” le disse riferita a quando
avevano discusso dei possibili effetti devastanti della dark matter sugli
esseri umani.
Aveva astutamente preso la palla al balzo per gettarle l’amo del rientro nel
suo arco temporale.
“Sì, lo ricordo bene, ma ora devo capire che cosa mi sta succedendo e come
posso curarmi. Perché posso curarmi: vero, Meeme?” chiese sospettando
improvvisamente che l’altra non le stesse dicendo tutta la verità.
“In realtà, credevo che avessi capito che l’unica cosa giusta da fare è tornare
indietro nel tempo” le disse senza mezzi termini, non era il caso di
traccheggiare, s’era presentata l’occasione propizia e la sua fredda logica
aliena ebbe la meglio sul buon senso.
Joy la guardò stupita “Come sarebbe a dire? Credevo che fosse un’opzione, non
l’unica cura!” le chiese allarmata.
“Il medico ha spiegato che il tuo processo è irreversibile, l’unico rimedio
veramente sicuro è tornare indietro nel tempo e farti aggiustare quel chip”
tagliò corto.
Le cose stavano precipitando, Meeme avrebbe voluto gestirle meglio, ma le stavano
sfuggendo di mano.
Joy era molto sconcertata da quella scoperta; intanto, erano però arrivati
sull’Arcadia.
Appena atterrati, prima di uscire nel corridoio, l’aliena la prese per un
braccio “Mi raccomando, devi cercare di mantenere un equilibrio. Questa cosa è
inaspettata e sconcertante. Capisco che sia difficile per te, ma io sono sicura
che non tutto il male viene per nuocere, purtroppo forse viene a rompere e a
stravolgere delle sicurezze, ma devi essere molto forte. Ė ora il momento in
cui devi prendere la tua decisione definitiva e da questo dipenderanno molti
equilibri futuri, compreso quello di Harlock stesso. A volte la vita e l’amore
richiedono sacrifici estremi e bisogna essere abbastanza forti da compierli per
un bene superiore, ma sono certa che capirai qual è la strada giusta da
intraprendere”.
La biologa l’ascoltava sempre più turbata e preoccupata.
Era confusa. Le era piovuta addosso questa così improvvisa proprio nel momento
forse più bello e più sereno che stava vivendo sull’Arcadia e ora era
letteralmente spaesata.
Come si aprì la paratia di contenimento che immetteva in Plancia, si
ritrovarono di fronte Harlock, molto serio e a braccia conserte che li stava
attendendo con Tori appollaiato sulla spalla.
Yama sgattaiolò subito via furtivamente per evitare qualsiasi implicazione
nella faccenda, fece un sorrisino di circostanza e si eclissò.
Il Capitano come insito nella sua natura non parlò, scrutò sia Meeme che Joy
cercando di carpire qualcosa dalle loro espressioni.
Fu la ragazza a prendere in mano la situazione, tanto sapeva che avrebbe dovuto
farlo comunque e allora perché rimandare?
“Dobbiamo parlare” gli disse decisa.
Lui fece un cenno d’assenso con la testa e poi scambiò un’occhiata d’intesa con
Meeme. Avrebbe ascoltato Joy, ma subito dopo avrebbe preteso di parlare con
l’aliena. Di certo non era un uomo che si potesse raggirare facilmente.
Così si avviarono in silenzio l’uno di fianco all’altra verso la parte più
lontana della nave dove risiedevano gli alloggi di Harlock.
I loro passi risuonavano ritmati e sincronici sul metallo rompendo il grave
silenzio che era calato inesorabile tra di loro.
Lo scalpiccìo che facevano camminando sembrava quasi come il rintocco di una
sorta di pendola del destino.
Erano consci che ci sarebbe stato un cambiamento e dato che erano due anime
affini e molto sensibili lo sentivano quasi a pelle, anche se non volevano
neppure pensarci. Questa volta avrebbero dovuto fare i conti con qualcosa che
non dipendeva direttamente dalle loro volontà.
Quella camminata di quasi un chilometro(1) si era
come dilatata portando le loro menti a perdersi in pensieri diversi, ma
complementari.
Joy era in totale confusione e soprattutto era molto incerta su cosa dirgli.
Avrebbe dovuto trovare la forza di apparire serena e convincente poi, in
seguito, avrebbe dovuto pensare seriamente a che decisione prendere in merito
al suo problema.
Partire o restare?
La cosa che, nella maniera più assoluta non voleva che accadesse, era che lui
ripiombasse nell’angoscia o nella disperazione per causa sua. Yama, qualche
giorno prima, facendole una confidenza, le aveva raccontato come Harlock avesse
reagito male e quanto avesse sofferto quando lei era stata in infermeria. Non
sarebbe accaduto di nuovo perché non lo avrebbe tollerato.
Inoltre c’erano altri inquietanti interrogativi che affollavano la sua mente.
Se fosse rimasta, sarebbe davvero morta?
O forse sarebbe rimasta offesa nel corpo, o peggio nella mente?
Doveva sapere la verità, che intuiva le celassero. Voleva avere delle certezze per
poter meglio valutare l’opzione ritorno al passato, a cui
aveva definitivamente rinunciato scegliendo di vivere la sua vita a bordo
dell’Arcadia.
Harlock era molto inquieto. Da quando Joy era stata male, ed aveva avuto quella
brutta crisi, ogni sua fibra corporea aveva capito che c’era qualcosa che non
andava. Aveva avuto un presentimento che gli diceva che lei era in pericolo
grave ma non capiva cosa potesse essere: per questo si sentiva impotente ed
incapace di aiutarla, o difenderla.
La sua reazione a quella dannata crisi, a molti era forse sembrata
spropositata, in realtà non lo era affatto stata, perché lui in cuor suo aveva
capito, ed ora temeva di scoprire che i suoi dubbi potessero essere certezze.
Quando lei stava male in infermeria aveva fatto una sorta di voto. Si era
giurato, che si fosse salvata, e fosse stato necessario per il suo bene,
sarebbe stato disposto anche a rinunciare a lei.
Sentiva di amarla così tanto che preferiva struggersi eternamente nella sua
mancanza piuttosto che vederla soffrire, o, peggio, morire.
Era una cosa che gli era nata spontanea, perché lui era fatto così: pronto a
sacrificarsi per chiunque e a maggior ragione lo sarebbe stato per la donna che
amava. Poi sembrava che la cosa si fosse ridimensionata e si era quasi cullato
nell’illusione di lasciarsi tutto dietro le spalle come se fosse stato tutto un
brutto sogno.
Invece pareva tutto di nuovo punto e capo. Perciò era molto turbato, anche se
alla fine il suo pensiero primario era quello di saperla sana e salva, non chiedeva
altro.
Finalmente arrivarono alla porta della cabina della biologa, Tori volò via
gracchiando, Harlock aprì ed entrarono.
Rimasero in piedi. Tutti e due piuttosto rigidi nella postura. Lui a braccia
conserte e lei con le mani in grembo.
Seguì qualche secondo di silenzio, poi Harlock che voleva assolutamente sapere,
ruppe il ghiaccio.
“Dunque come è andata la visita?” le chiese calmo.
“Non benissimo” ammise lei, vagando con lo sguardo per la stanza e a lui si
accelerò subito il battito cardiaco.
“Cioè?” le chiese subito scuro aggrottando la fronte.
Era come temeva.
La ragazza sospirò forte e poi parlò: “Sembra che io sia stata contagiata da
una sorta di virus sconosciuto… e sembra che questo virus abbia interferito con
il mio sistema immunitario… una cosa un po’ complicata” spiegò con un sorriso
forzato vagando con lo sguardo per la stanza. Era agitata e le sembrava di dire
un sacco di sciocchezze.
“Un virus?” le chiese sospettoso. Che stava blaterando? La fissò sempre più
accigliato.
“Sì, è sconosciuto e raro…” gli rispose cercando di essere convincente.
Lui sembrò berla, o forse fece solo finta, ma non smise di fissarla.
Poi le si avvicinò “Che ti ha detto il medico?” chiese scrutandola sempre con
quello sguardo indagatore, che sembrava come un fascio di luce che volesse per
far chiaro dentro di lei e stanare i suoi pensieri più nascosti.
Joy si agitò, sapeva quanto lui la leggesse e quanto fossero diventati
empatici, mentirgli era molto difficile e poi lei era come un libro aperto,
soprattutto per lui.
“Il medico mi ha dato una cura più forte da fare” aggiunse dicendo una verità
sperando che questo bastasse a quietarlo un poco.
“E?” chiese lui avvicinandosi pericolosamente a lei, impedendole di abbassare
lo sguardo che aveva incatenato alla sua iride ambrata che continuava a
scrutarla severa.
“E cosa? Niente!” sbottò, da come la guardava sembrava che avesse capito già
tutto e questo la fece agitare. Infatti, si scostò per allontanarsi, voleva
mettere spazio tra loro, come se tenerlo a distanza servisse quasi a tenerlo a
bada.
“Joy, voglio che tu mi dica la verità” le disse pacato, ma deciso, avanzando
nuovamente verso di lei.
La ragazza per un attimo si distrasse e pensò quanto fosse bello sentirlo
pronunciare il suo nome, non lo faceva praticamente quasi mai: era un’altra
delle sue stranezze.
“È questa la verità” gli disse poi fissandolo quasi con sfida. Stava cercando
di dissuaderlo.
Harlock fece un cenno con la testa e non replicò anche se era chiaro che non le
credesse, poi si girò come per andarsene.
“Riposati un po’, io vado da Meeme” le disse infine quasi dolcemente. Non
voleva aggredirla, né farla agitare era solo preoccupato e non intendeva
discutere con lei.
“Non sono stanca e preferirei che tu stessi con me” gli disse raggiungendolo e
poggiando una mano sul suo braccio. Era preoccupata dal fatto che andasse da
Meeme, era chiaro che non lo aveva convinto e questo la agitava.
Harlock sospirò “Joy, non fare così debbo parlare con lei” non avrebbe
desistito perché voleva sapere.
“Se fossi superstiziosa o scaramantica, potrei dire che oggi è una giornata
particolare perché hai pronunziato il mio nome due volte nell’arco di pochi
minuti, ed è un evento raro”.
Lui la guardò sorpreso non capendo.
La biologa malgrado la situazione molto particolare si ritrovò a sorridergli
dolcemente “Devi essere molto preoccupato per me. Non mi chiami mai per nome,
non te ne rendi neppure conto ma con tutta la gente che devi istruire sembra
che tra tutti, il mio, sia quello che pronunzi di meno, forse perché non ne hai
bisogno effettivo dato che non mi devi impartire degli ordini, anche se magari
ti piacerebbe” aggiunse appena ironica per stemperare i toni.
Questa considerazione gli fece tenerezza. Era vero, non se era mai reso conto
prima. Aveva colto nel segno, era molto preoccupato, ma non voleva certo
spaventarla e neppure agitarla.
Per una volta tanto si ammorbidì, mise da parte quella sorta di rigidità che lo
contraddistingueva, rendendolo talvolta così intransigente e cupo e decise di
lasciar correre per accontentarla. Con Meeme avrebbe potuto parlare anche in
seguito, perché tanto lo avrebbe fatto ed era certo che lo sapesse anche Joy.
Ora forse era il caso di riprendere un po’ il fiato, magari rilassarsi un poco
per attutire il colpo del precipitare degli eventi che li aveva sorpresi come
un fulmine a ciel sereno. Tra loro gli equilibri erano di nuovo molto delicati,
questa però volta per una causa esterna e non di poco conto. Era tutto molto
difficile e sfiancante, così Harlock sentì quasi il bisogno fisico di regalarle
qualcosa che per qualche momento la facesse stare bene e la distraesse, come
quella volta quando lei l’aveva massaggiato. Lui però non ne sarebbe stato
capace, così gli venne in mente un’altra idea.
“Ti va se smettiamo per un po’ di pensare a questa brutta faccenda e andiamo in
un posto?” le chiese a sorpresa.
“Dove?” gli chiese lei molto incuriosita. Non chiedeva di meglio che prendere
un po’ di fiato. Conosceva abbastanza bene quella nave e si chiese dove mai
l’avrebbe potuta portare.
“Vedrai”.
Voleva farla distrarre e subito dopo avrebbe trovato il modo di andare anche da
Meeme.
Uscirono e si diressero nella parte più lontana di quella zona dell’Arcadia che
somigliava tanto ad un antico Galeone, dove c’era la cabina di Harlock, ma
anche altro, essendo un’area molto vasta. In un certo senso quella parte della
nave era quasi come una sorta d’ala riservata a lui, e sebbene di fatto fosse
di libero accesso a chiunque, non ci andava mai nessuno perché rispettavano
tutti il suo spazio sapendo che uomo solitario e discreto fosse. L’unica che
non ci faceva caso era Meeme, ma solo perché tra di loro c’era un rapporto
particolare, lei sapeva perfettamente quando poteva andare e quando no, senza
bisogno che il Capitano glielo manifestasse apertamente.
Dopo pochi passi arrivarono davanti ad una pesante porta, sicuramente anch’essa
d’acciaio, ma rivestita di legno. Harlock posò l’indice sulla pulsantiera che
vi era a lato inserì un codice, strisciò una tessera e la porta si aprì.
Davanti a loro apparve uno spettacolo grandioso.
Quella in cui erano entrati era una stanza particolare costruita con una
leggera sporgenza in fuori dalla nave, le cui tre pareti principali ed il
soffitto erano semplici vetrate a vista. Praticamente sembrava di stare in
sorta di bolla che si affacciava direttamente nello Spazio. Anche il pavimento,
nel centro, aveva un enorme oblò(2) di vetro
esposto nell’infinito stellato.
Joy spalancò la bocca e sgranò gli occhi come un bambino davanti ad un balocco
nuovo.
Davanti a loro si stagliava maestoso il nero cupo siderale trapunto di piccoli
punti luce vividissimi. Il tutto era drappeggiato a sprazzi da nubi gassose
celestine dai contorni viola tendenti al rosso, sembrava quasi come se una
sarta vi avesse gettato ad arte dei lembi di tulle colorato che spezzavano
giocosi la monotonia del buio.
L’Arcadia si muoveva placida e di tanto in tanto qualche effluvio di dark matter,
simile ad una nube tempestosa, irrompeva tra i colori sfumati che si
rincorrevano tra una gassosa e l’altra. Sembrava che la nave pirata, con
l’ausilio della materia oscura, volesse rimarcare alla natura circostante, che
solcava imperiosa attraversando quell’oceano celeste, la sua egemonia spaziale.
Come sempre lo Spazio offriva uno spettacolo mozzafiato ma non era finita lì la
sorpresa, come avrebbe scoperto più tardi.
Intanto Harlock a braccia conserte era rimasto come lei in contemplazione di
quella magia che ogni volta immancabilmente lo rapiva estraniandolo quasi da
tutto il resto. Era da moltissimi anni che non rientrava in quella stanza, ma
ora era davvero felice di averlo fatto, perché quello era un posto magico ed
evocativo.
Quella vista gli riempiva l’anima di pace. Era da tantissimo tempo che non
accadeva e il merito era solo di lei. Ora poteva anche riconoscere con se
stesso che quella giovane donna era entrata per caso nella sua vita e l’aveva
semplicemente e straordinariamente resa migliore, come nessun altro aveva
saputo fare in cento e passa anni. Joy Aveva avuto lo stesso effetto di una
folata di vento primaverile che passa birichino in un giardino ancora innevato.
Gli aveva alleggerito l’anima e ricolmato il cuore, e non sarebbe mai stato
grato abbastanza per questo dono così prezioso. Per questo l’avrebbe protetta e
salvata a qualunque prezzo e con qualunque sacrificio sarebbe stato necessario.
Il suo amore era puro e grande e niente poteva contare per lui se non il suo
benessere.
Dopo aver
goduto di quelle immagini così ammalianti Harlock si spostò e andò verso una
consolle, quindi azionò un comando, e subito in tre dimensioni, ologrammato, in
quella stanza, apparve il Sistema Solare Terrestre in tutta la sua vastità e
complessità. Ovviamente c’erano anche le riproduzioni in scala di tutti i
pianeti, la fascia degli asteroidi.
Joy riconobbe subito Plutone, Saturno e ovviamente la Terra, ne rimase
estasiata.
“È un Planetario tridimensionale interattivo. L’ha costruito il mio amico
Tochiro per sua figlia Mayu(3)” le disse sorprendendola
moltissimo.
“Davvero? Aveva una figlia?” le scappò detto.
“È una lunga storia… magari ne parleremo un giorno” le disse, ma si capiva che
era un argomento che ancora lo faceva soffrire, quindi lei annuì, e non fece
domande in merito rispettando la sua ritrosia e il suo evidente dispiacere.
Rimasero nella stanza un bel po’, lui le mostrò come sfiorando con le dita
l’ologramma del planetario questo, in maniera interattiva, mostrava e spiegava
la struttura e le dimensioni del Sistema Solare e le caratteristiche
chimico-fisiche dei pianeti, con tutte le implicazioni della presenza-assenza
di atmosfera. Una cosa affascinante e molto interessante che per un po’ li
distrasse dai loro crucci.
“Perché mi hai portata qui?” gli chiese ad un certo punto Joy, che era ancora
con lo sguardo rivolto alle immagini suggestive del Planetario che si
perdevano, fondendosi quasi magicamente, con quelle reali oltre la vetrata.
“Questo è il posto dove passavo tanto tempo i primi anni dopo la distruzione
della Terra. Era il mio rifugio. Accendevo il Planetario e rimanevo qui delle
ore come dentro una bolla, un sogno, come se avessi potuto fermare il tempo e
fare finta che non fosse successo niente. Era la mia fuga dalla realtà. La mia
più grande illusione. Per qualche anno ha funzionato. Ė stata come un’assurda
ancora di salvezza, poi l’oscurità ha preso il sopravvento e il resto già lo
conosci…” le confessò sincero.
“Comunque ti ho portata qui” aggiunse “Perché volevo farti rilassare. Mi sono
ricordato di quando stavi in Plancia ad osservare le stelle, ed ho pensato che
ti sarebbe piaciuto vederle da questo osservatorio così particolare”.
Lei annuì “In realtà le osservavo anche a casa mia, sulla Terra, dalla
finestra, mi hanno sempre affascinata, ho sempre sentito una sorta di richiamo.
Subisco moltissimo il loro fascino e mi infondono un forte senso di
tranquillità”.
Harlock sorrise appena muovendo impercettibilmente la testa come a sottolineare
che capiva e poi disse: “Sai credo che le anime siano polvere cosmica.
Appartengono all’Universo infinito e misterioso, sono micro frammenti di esso,
scintille che sono state instillate nei nostri poveri corpi corruttibili, ma
che in realtà anelano solo a tornare all’origine che le ha create. Siamo
davvero tutti parte di un unico corpo”.
Lei lo ascoltava affascinata. La sua voce bassa, morbida e carezzevole era come
un canto ammaliatore, soprattutto quando parlava di cose così profonde che
mettevano a nudo quell’anima bianca che lui possedeva e che non era affatto
stata scalfita da quell’oscurità che invano aveva tentato di portarsela via.
“Quando osservo lo Spazio torno ad essere un semplice uomo davanti al mistero
dell’infinito. Un essere imperfetto davanti alla bellezza suprema. Se c’è una
cosa che mi manca come e quanto la Terra è la mia normalità” si
ritrovò a confessarle sorprendendo per primo se stesso.
Tacque alcuni secondi e poi continuò a parlare, quasi sottovoce, con calma
centellinando le parole per aggiungere più valore al loro significato.
“Vorrei tornare ad invecchiare, vivere e morire, come qualsiasi uomo. E vorrei
poter vivere una vita sola, poi andarmene e tornare a far parte di questo”
disse indicando oltre la vetrata.
Lei lo aveva ascoltato in silenzio ed era rimasta molto toccata dalle sue
parole.
“Forse la tua strada è diversa perché tu hai un compito preciso. Ognuno di noi
ha il suo compito, è una cosa che ho sempre pensato. Probabilmente, quando
avrai assolto a ciò che devi, ti sarà concesso quello che tu chiami riposo”.
Lui annuì nuovamente e le sorrise. Nonostante l’incresciosa situazione in quel
momento stava bene ed era sorprendentemente sereno.
Rimasero ancora un po’ silenziosi l’uno accanto all’altra ad osservare le
stelle che sembravano avere un’azione molto rilassante sui loro stati d’animo,
poi Harlock si mosse e spense l’ologramma
“Avrei una richiesta da farti” gli disse Joy facendolo girare.
Harlock la guardò e fece ancora un cenno di assenso con la testa come per
invitarla ad esprimersi liberamente.
Lei si spostò al centro dell’oblò che si apriva sullo Spazio e lo invitò a
seguirla.
Il Capitano la raggiunse, la ragazza lo guardò intensamente e gli sorrise.
“Baciami” gli disse.
Lui sospirò e sorrise appena, aveva già capito prima che lei glielo chiedesse.
Ma prima di baciarla le carezzò una guancia con la mano guantata e le scostò
una ciocca di capelli dalla fronte.
“Credo di non avertelo mai detto, ma io ti trovo bellissima” le disse in un
soffio e il suo alito le sfiorò le labbra, appena prima che la sua bocca
incontrasse morbidamente quella di lei, che al suo tocco si schiuse lasciando che
quel bacio divenisse intimo e profondo.
Con una dolcezza ancora più sentita di sempre, la baciò a lungo, quasi come se
fossero stati due amanti di antica memoria, che alla stazione si salutano per
l’arrivo di un treno che inesorabilmente porterà via, lontano, uno di loro.
Erano come sospesi tra le stelle nell’Universo infinito e per qualche secondo
sembrò come se il tempo si fosse davvero fermato, si fosse dilatato, aprendo un
magico incanto in cui loro stavano fluttuando al di là dello Spazio e della logica.
Una sensazione forte e molto intensa che probabilmente si sarebbero ricordati a
lungo anche quando fossero stati lontani.
Perché questo sentore di partenza volteggiava intorno a loro,
come se fosse stato uno spettro maligno che soffiava gelide folate di presagio.
Quando lui riluttante si staccò dalla sua bocca, Joy aveva gli occhi lucidi e
determinati, quelli di una donna decisa che sa quello che vuole.
“Io resterò qui. E lo farò qualunque cosa accada. Sono libera di decidere, e io
questo ho deciso” gli disse risoluta.
Lui si sentì morire, ma non disse una sola parola.
Doveva prima prepararsi mentalmente e trovare la giusta via per dissuaderla,
quindi la prese per mano e la portò via da lì.
Joy, lo seguì in silenzio, aveva imparato a conoscerlo e aveva capito che c’era
qualcosa che lo turbava, ma capì che non era quello il momento per intavolare
una discussione, forse sarebbe davvero stato meglio che lui andasse a parlare
con Meeme, d’altronde l’aliena sapeva come prenderlo e poi lei si sentì improvvisamente
molto stanca, probabilmente lo stress della giornata le stava salendo tutto
assieme.
Ebbe anche un leggero capogiro mentre stavano camminando silenziosi l’uno
accanto all’altra e si portò la mano alla fronte, per fortuna lui che era
immerso nei suoi pensieri non se ne accorse.
“Harlock io vado a riposare sono stanca. Tu vai pure da Meeme se vuoi” gli
disse cogliendolo di sorpresa.
La guardò accigliato, era seriamente preoccupato.
Joy intuì e prima che parlasse aggiunse “Non è niente è lo stress della
giornata e delle visite. Vado nella mia cabina” disse e prima che lui potesse
replicare aveva già imboccato un corridoio secondario.
Lui s’insospettì, gli sembrò che fosse quasi scappata come se avesse una
qualche urgenza. Fu tentato di seguirla, ma la sua natura glielo impedì, non
era da lui fare cose del genere. Era chiaro che volesse stare da sola e lui
doveva parlare assolutamente con Meeme.
NOTE
(1) Lunghezza
della nave Arcadia del film riportata nel mio Space Pirate Captain Harlock
Concept art book
(2) Oblò che richiama quello che si trova in Plancia
dell’Arcadia della serie SXX
(3) Per me e per la mia fervida (o malata xD) immaginazione non
è difficile collocare né Esmeralda né Mayu in questo contesto del movie verse.
Potevano benissimo essersi conosciuti e sposati prima della Guerra di Came
Home, ma anche subito dopo e vi avviso che molto probabilmente parlerò di
questo (forse) in un’altra fic, quindi per me è evidentemente possibile, ma
qui, ovviamente è solo accennato ;)