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Autore: Lady Warleggan    08/06/2022    1 recensioni
Trama:
(AU) Cornovaglia, giorni nostri.
Ross Poldark è un liceale che sta per cominciare il suo ultimo anno di liceo. Ma, dopo un’esperienza estiva in Italia, torna a casa in Cornovaglia e fa un’amara scoperta: suo cugino Francis, nonché il suo migliore amico, ha iniziato ad uscire assieme ad Elizabeth, la ragazza di cui è stato innamorato per tutto l’anno precedente.
Questa faccenda spezza un po’ gli equilibri del suo gruppo, composto da lui, Francis, e da George Warleggan e Dwight Enys, altri due compagni di scuola. Ma l’anno appena cominciato sembra riservare delle sorprese piuttosto piacevoli: la sua nuova e dolce compagna di banco Demelza Carne, la nuova cotta di George per una ragazza che fa parte come lui dell’orchestra scolastica, e l’incontro tra il tenero Dwight Enys e la sfavillante Caroline.
La storia vuole ripercorrere gli anni dell'adolescenza dei protagonisti di Poldark fino all’età adulta.
N.B.: Il titolo della storia prende il nome da un’omonima serie tv di successo, ma il mio intento non è quello di ripercorrere la storia di quella serie tv, bensì quello di collocare i protagonisti di Poldark in un contesto un po’ più contemporaneo.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tre
 
Isla non era mai stata una persona istintiva. 
Aveva sempre ponderato bene le sue scelte, sin da bambina: le veniva più facile riflettere che agire d'impulso, anche se sapeva che spesso e volentieri era l'istinto ad avere la meglio. Ma aveva sempre avuto troppa paura delle conseguenze per rischiare tutto.
Forse aveva preso quel lato del suo carattere da entrambi i genitori: sua madre era ora manager di una boutique di Truro, suo padre un commercialista. Di certo erano due lavori che richiedevano una buona dose di accortezza e buon senso.
Quel messaggio che aveva inviato a George si sarebbe invece potuto considerare una delle poche cose impulsive fatte di sua spontanea volontà. 
Nell'anno precedente, quando era arrivata dalla Scozia e si era trasferita a Truro, in Cornovaglia, George era stato una delle poche persone gentili dell'orchestra ad avvicinarsi a lei. Alcuni, i primi tempi, avevano persino deriso il suo accento scozzese molto marcato: all'inizio era stato difficile abituarsi a quella cattiveria gratuita - Isla aveva pianto tanto e spesso, abbracciata ad entrambi i genitori -, col tempo però aveva semplicemente imparato a lasciarsi scivolare di dosso le battute infelici e i bulletti della situazione, di fronte alla sua indifferenza, dovevano aver pensato che non fosse più divertente sfotterla e ci avevano dato finalmente un taglio.
Il suo accento non era certo qualcosa di cui dovesse vergognarsi: Isla era sempre stata fiera di essere scozzese, per lei quella caratteristica era motivo di orgoglio.
E poi, dopo Demelza, c'era George e lui era gentile. Quando quei bulletti avevano cominciato a prendersi gioco di lei, lui si era schierato in prima linea al suo fianco: ogni volta che erano assieme, giravano sempre a largo e la lasciavano in pace; mentre quando lui non era nei paraggi, ne approfittavano per prenderla in giro tutto il tempo. George le diceva sempre di venirgli a riferirgli tutte le volte che qualcuno la infastidisse, ma Isla non lo aveva mai fatto: voleva imparare a difendersi da sola e, qualche tempo dopo, anche lui lo intuì e questo sembrò consolidare ancora di più il suo interesse nei suoi riguardi. 
Isla aveva già notato George alla prima prova con l'orchestra, alla Truro High School: in primis perché era un bel ragazzo, e poi perché era uno di quelli che se ne stava sempre sulle sue, e quella era una cosa che sentì tanto affine al suo carattere. George non parlava molto, ma aveva l'abitudine di farlo soltanto quando la sua opinione era necessaria o quando ne aveva le scatole talmente piene da essere costretto ad alzare la voce. 
Era tutto fuorché una persona timida: sapeva infatti essere pungente. Riservato era un aggettivo che lo avrebbe sicuramente descritto meglio: non aveva nessun amico nell'orchestra, ma qualche volta lo aveva visto gironzolare per la scuola assieme ad altri tre ragazzi che conosceva soltanto di nome e di vista: Ross e Francis Poldark (probabilmente i cugini più popolari di tutta la scuola) e Dwight Enys, un ragazzo adorabile del penultimo anno che tutti sapevano essere un genio in ogni materia. Era anche per questo che Isla si era davvero stupita di vederli assieme a Demelza.
Buona parte dell'orchestra, almeno in principio, aveva accolto il suo arrivo come una ventata d'aria fresca: la Truro High School rientrava in una circoscrizione territoriale piuttosto rurale ed isolata, dove non accadeva quasi mai nulla di nuovo, e perciò avevano mostrato tutti un interesse per lei. Poi il clamore dell'inizio si era placato, ed Isla si era inaspettatamente trovata più sola di quanto si aspettasse.
Perciò non riuscì a capire perché George si fosse avvicinato a lei più degli altri, se lo stesse facendo per pietà o per un vero interesse nei suoi confronti. 
Isla però si sentiva troppo sola per permettersi il lusso di porsi quelle domande. Ai corsi non aveva stretto granché amicizia con nessuno e la rabbia nei confronti di suo padre era cresciuta a dismisura: era per colpa sua se si trovavano in quella situazione e se il suo lavoro li avesse costretti a lasciare una città e una scuola in Scozia che aveva amato molto. 
George le si avvicinò al termine di una prova, e con una nonchalance pazzesca, le chiese se le andasse di prendere un caffè assieme, o qualunque altra cosa volesse: da quel momento, fu sempre gentile e cordiale con lei, la difese spesso durante l'anno precedente dai gruppi di bulletti, e col passare dei mesi, poté persino ritenerlo un suo amico. 
Avevano molte cose in comune: l'amore per la musica, gli anime e i cosplay, e una volta si erano ritrovati a parlare per un'ora intera dell'ultima puntata di Attack on Titan senza rendersi conto che la campanella aveva suonato da cinque minuti buoni e che le lezioni erano riprese. Si erano beccati un pomeriggio in punizione, ma questo aveva soltanto rafforzato ulteriormente la loro amicizia.
E così, da un momento all'altro, anche Isla si era innamorata. E lo aveva confidato a Demelza, la sua unica amica in quella scuola: si erano trovate subito dopo aver scoperto di essersi entrambe trasferite da poco. 
Da quando poi le aveva confessato della sua cotta per George, la ragazza dai capelli rossi le aveva promesso di captare qualunque informazione possibile, dato che il ragazzo era nella sua stessa classe. L'unica cosa di cui sembrava abbastanza certa, era che fosse single, ma Isla non sapeva quanto esserne sicura visto che George era, appunto, una persona molto riservata. E non permetteva di capire granché della sua vita privata.
Da quando faceva parte dell'orchestra scolastica, non gli aveva mai scritto un messaggio in privato, ma ora che aveva trovato il coraggio per farlo, il suo cuore non le stava dando pace. Si sarebbe voluta sotterrare dall'imbarazzo e credette di restarci secca quando, sull'icona della chat con George, comparve la dicitura: sta scrivendo.
Isla si portò una mano al petto, come se quello potesse aiutarla a calmarsi. Le era venuto spontaneo mandargli quel messaggio: aveva visto tante volte quel profilo di George sui social, dove pubblicava molto poco, quasi come se non avesse nemmeno Instagram. Isla, invece, era molto attiva: le piaceva scattare fotografie, ma soprattutto immortalarsi con i suoi cosplay di fronte all'obiettivo. 
Il suono di una notifica la riportò con gli occhi allo schermo. George aveva risposto con due messaggi.
 
- Ehi, Isla.
- Certo che possiamo parlare.

 
Con le dita che tremavano, Isla cercò il numero del ragazzo in rubrica. Far parte del gruppo dell'orchestra scolastica aveva i suoi vantaggi: e poter salvare il numero del ragazzo che le piaceva senza fare alcuno sforzo, era sicuramente fra quelli. Anche in quella chat, George non scriveva praticamente mai. Isla pure: molti ragazzi dell'orchestra sapevano essere davvero degli idioti.
Schiacciò sull'icona della chiamata e portò il cellulare all'orecchio. Aveva pensato che sentire la sua voce fosse molto più semplice che parlare attraverso dei messaggi, ma, mentre sentiva squillare dall'altra parte del telefono, si era già pentita di quella scelta.
George rispose dopo un paio di squilli.
"Ehi, mi hai chiamato?" chiese, come se non se lo aspettasse.
Isla strinse le dita di una mano attorno al bordo della sua scrivania, come se avesse paura di cadere a terra.
"Ehi, George. Ho pensato che fosse molto meglio così che parlare con dei messaggi."
Lui non disse niente per qualche secondo.
"D'accordo. Che volevi dirmi?" domandò pratico.
Isla sospirò. "Va tutto bene? Oggi sembravi sconvolto dopo le prove."
George si prese un'altra pausa. Una pausa che però, a differenza di quella precedente, sembrava non finire mai: pareva quasi che dall'altra parte fosse caduta la linea.
"Ehi, ci sei?" domandò per accertarsi che fosse ancora lì.
"Sì, scusa" rispose in fretta. "Credo sia tutto a posto. È che... non mi aspettavo un'opportunità del genere da parte di Henshawe. Non mi era mai passato, neanche per l'anticamera del cervello, che potesse prendermi in considerazione."
"Non sapevo fossi interessato alla Juilliard anche tu."
"Non lo sono mai stato, infatti." E dal tono che usò, la ragazza capì che era sincero. George, in realtà, era sempre sincero. "Non che contro di te avrei comunque delle speranze."
"George..." mormorò Isla, stupita.
"Non sto mentendo. Sono un bravo violoncellista e non ho mai avuto dubbi che la musica resterà una delle mie più grandi passioni anche dopo la scuola, ma tu... tu hai semplicemente un dono." 
Accorgendosi che Isla non avrebbe replicato nulla, forse incapace di articolare una risposta di senso compiuto, George proseguì. "Hai un talento naturale. Una cosa che io, in nemmeno altri dieci anni di studio, riuscirei a comparare. Ho ancora in mente il tuo assolo di violino dell'anno scorso."
George arrossì al pensiero di aver davvero detto una cosa del genere. Per lui, quell'ammissione, era la cosa che più si poteva avvicinare ad una dichiarazione d'amore. Ovviamente non troppo esplicita da esporsi ed incappare in un rifiuto.
"George... " Isla sembrò sconvolta dall'altra parte della cornetta. Aveva capito che lui avesse parlato con sincerità, ma anche con l'intento di farle un complimento. Poco dopo, lui la sentì ridere un po' imbarazzata e la cosa lo sorprese. "Così mi farai arrossire."
"Ho solo detto la verità" ribadì, non riuscendo a trattenere anche lui un sorriso.
E non era un tipo che sorridesse molto.
"Anche tu sei molto bravo. Scusami se non te l'ho mai detto."
Anche se non poteva vederlo, Isla poté giurare di sentirlo scuotere il capo dall'altra parte. Lo pensava davvero: era una delle poche persone dell'orchestra per cui provasse non solo una stima personale, ma anche artistica.
"Hai ragione, sono bravo, ma non abbastanza da essere ammesso alla Juilliard. E comunque, anche se ci riuscissi, lascerei il mio posto a te."
"George, non puoi!" esclamò la ragazza contraria, dall'altra parte della cornetta. "Non sarebbe giusto."
"Isla... sta' tranquilla. Non si presenterà nemmeno una situazione simile, posso assicurartelo. Non so chi sia l'altra persona del coro che Henshawe vuole selezionare per l'audizione alla Juilliard, ma tu sei già uno scalino sopra di me. Non ho mai avuto intenzione di diventare un violoncellista professionista."
Isla sembrò sorpresa. "Davvero?"
"Sì. Ho sempre voluto diventare un banchiere, come mio padre. In molti considererebbero questo lavoro noioso, ma non io" rispose George.
Isla si era trasferita appena un anno prima, ma conosceva perfettamente il ruolo di spicco che aveva la banca Warleggan nella comunità di Truro. Era gestita da una donna incantevole, Lily Warleggan, sua madre la incontrava spesso per bere un caffè prima di recarsi a lavoro ed erano diventate in poco tempo buone amiche. Si vedevano per andare a messa assieme tutte le domeniche e Isla l'aveva sempre considerata una donna incredibilmente intelligente e caparbia.
Tuttavia, chissà perché, non aveva mai associato il fatto che potesse essere la madre di George. Si sentì una stupida per non essersene resa conto.
"Quando ero piccolo, mio padre mi parlava con talmente tanto entusiasmo del suo lavoro che non ho mai desiderato fare altro. Lui e mia madre sono sempre stati una coppia vincente e ho appreso tutto quello che potevo da loro."
"Capisco. E quindi... considerare un'altra prospettiva sarebbe come tradirli?" azzardò a chiedere Isla.
"Più o meno" fece George. "Mi sento solo incredibilmente confuso."
Isla si sedette alla sedia alla sua scrivania, più rilassata. Parlare con George era semplice.
"Credo di capirti. Sogno la Juilliard da quando sono bambina, e anche se ho considerato altre scuole di musica qui attorno, a cui ho già fatto domanda, non credo sarebbe la stessa cosa."
George prese la sua ennesima pausa dall'altra parte del telefono. Poi Isla, lo sentì sorridere.
"Ci entrerai, te lo assicuro. Fidati di me."
Mi fido. 
Ecco cosa Isla avrebbe voluto dirgli se avesse avuto più coraggio.
"Sei bravissima" aggiunse ancora.
"Ti prego. Sto diventando paonazza con tutti questi complimenti."
Lui rise dall'altra parte. Isla adorava che stesse sorridendo per merito suo.
"Vorrei vederti."
George si portò una mano alla bocca. Non poté credere che gli fosse davvero uscita una frase del genere. Si era esposto, anche fin troppo, persino con quella piaga di Ruth Tegue non si era mai spinto a tanto.
Isla dovette di nuovo aggrapparsi al bordo della sua scrivania.
"Anche io."
La seconda scelta impulsiva della giornata.
Un record, praticamente.
La linea si riempì di un silenzio assordante. I due si erano già detti tanto, senza dirsi niente. George fu animato anche da quella piccola speranza: doveva far qualcosa.
"Ascolta, venerdì prossimo si entra più tardi per l'assemblea dei professori" cominciò.
"Sì" mormorò Isla.
"Potremmo vederci al Red Lion verso le 8 e iniziare a discutere del brano che dovremmo suonare assieme. Che ne dici? Lo conosci il locale? Si trova a pochi passi dalla scuola."
"Sì, sì. Lo conosco. Ci passo sempre ogni mattina per colpa di Demelza" confessò Isla, con una nota divertita nella voce. "Quella ragazza si sfonda di paste al cioccolato senza mettere su un grammo."
George sorrise dall'altra parte. "Allora? Ci stai?"
"Va bene. Ci sto."
"Allora restiamo così."
"Senti..." 
"Sì?"
"Devi già andare?"
Il ragazzo guardò lo zaino da cui i libri lo stavano iniziando a pregare. Ma li ignorò. Non aveva molti compiti da svolgere e poteva recuperarli anche dopo cena. Accarezzò la testolina di Sirius, che nel frattempo, si era appisolato ai suoi piedi, sul letto.
"No."
"Allora ti va se parliamo dell'ultimo episodio di Attack on Titan? Perché credo che potrei sclerare se non ne parlo con qualcuno."
George rise. "Ok, va bene."
* * *
Ross Poldark ne aveva viste di robe assurde nella sua vita, ma quella, sicuramente, le batteva tutte: con la storia dell'affitto delle camere, suo padre gli aveva parlato di una madre single con tre figli che alla fine desiderava addirittura prendere tutte e tre le stanze (in pratica, in totale, la cifra era al pari di un normale affitto di un appartamento di Truro) e la sua storia era talmente inverosimile che Ross quasi aveva stentato a crederci.
Così, quando suo padre aveva fissato un nuovo incontro con Annie Berry e i suoi figli, Ross non aveva preso impegni per poter essere presente. In realtà, anche se aveva espresso delle perplessità sulla reale esistenza di una persona tanto incredibile come lei, aveva già capito dallo sguardo del padre che la decisione era stata presa da molto tempo: Nampara si sarebbe popolata di nuovi inquilini più presto di quanto si aspettasse.
Un sabato mattina, la jeep blu di Annie arrivò nuovamente a pochi passi dal vialetto principale. Ross studiò da lontano le figure che scendevano lentamente dall'auto, ma soprattutto una: difficilmente, da quelle parti, si vedevano chiome rosso fuoco come la sua. Demelza, altrettanto scioccata, studiava Ross con una faccia sbigottita. Si stringeva nella sua giacca di pelle a seguito di una giornata che si annunciava ventosa e piovosa.
Dalle portiere posteriori invece, vennero fuori due ragazzini: dovevano essere Drake e Sam, i fratelli minori di Demelza. Erano praticamente ancora due bambini.
Avevano colori completamente differenti da quelli della sorella: i capelli di entrambi erano di un color marrone scuro e solo uno dei due aveva degli occhi molto simili a quelli della sorella maggiore. Erano di corporatura mingherlina, ma sembravano preannunciarsi alti come lei.
"Annie, bentornata!" la salutò cordialmente Joshua, superando il figlio all'ingresso.
Ross e Demelza, nel frattempo, erano troppo impegnati a guardarsi. Mentre Joshua si presentava anche ai piccoli della famiglia, i due fecero la cosa più sensata che riuscissero a fare in quel momento: scoppiarono a ridere.
I presenti li fissarono senza capire.
"Che succede?" chiese Annie stupita.
Ross finalmente si decise ad avanzare verso di lei. Le porse la mano e il sorriso gentile che rivolse alla donna la conquistò all'istante: Annie Berry aveva già deciso che Ross Poldark le piaceva. E, viceversa, anche lui capì successivamente perché suo padre fosse rimasto così affascinato da una donna come lei: era cortese ed educata nei modi, aveva uno splendido sorriso coinvolgente, e quello che sembrava essere un carattere brillante e divertente.
"Io e Demelza ci conosciamo già" ammise. In effetti, non aveva senso omettere quel particolare. "Siamo compagni di banco."
Annie si voltò imbarazzata verso la ragazza, che annuì per confermare il racconto di Ross Poldark. In realtà non potevano permettersi, a quel punto della loro ricerca, di rifiutare Nampara. Era il meglio che avessero trovato a buon mercato e la scadenza per il trasferimento si stava pericolosamente avvicinando e loro dovevano muoversi a spostare gli scatoloni dal vecchio appartamento.
Tuttavia, osservando attentamente Demelza, Annie capì che quella convivenza non doveva per forza prendere una brutta piega. Sembrava scioccata di quanto piccolo potesse essere il mondo, ma in effetti, sarebbe potuta andare peggio. I Poldark non avevano neanche l'aria di due padroni di casa: sembrava che avessero, sin dall'inizio, l'intento di trattare Annie e i suoi ragazzi come membri della loro famiglia.
"Ah, quindi sei tu, la famosa Demelza!" esclamò Joshua, stringendole le mani.
Annie, in realtà, col suo racconto, gli aveva già parlato della figlia maggiore, ma nei giorni successivi aveva scordato quel nome e non gli era venuto da associare che quella ragazza potesse essere la compagna di classe di suo figlio. O anche soltanto che lui potesse conoscerla.
"Che bello incontrarti!" disse entusiasta. "Mio figlio parla sempre di te!"
"Papà!" lo ammonì Ross, tossicchiando a disagio.
Demelza continuò a ridere, non poteva farne a meno, e anche Annie sembrava godersela sotto i baffi. I due ragazzini sembravano gli unici ad essere i più confusi di tutti.
Quando entrarono all'interno della casa, dopo aver fatto fare un giro veloce anche ai tre fratelli, Prudie servì the e succhi di frutta per gli ospiti, e l'apple pie che Joshua aveva voluto preparare lui stesso: si trattava di una delle vecchie ricette della sua Grace, una delle poche che sapesse mettere in pratica senza mandare a fuoco l'intera cucina. La torta aveva un aspetto a dir poco delizioso e nel giro di un'oretta i padroni di casa e i suoi - presto - nuovi inquilini, ne divorarono più della metà.
Alla fine si decise che Drake e Sam avrebbero condiviso una delle camere matrimoniali in cui c'era abbastanza spazio per un paio di scrivanie e per i loro videogiochi (Ross aveva già scommesso con loro un paio di partite a Fifa); Annie aveva invece preso la stanza col bagno privato, promettendo a Demelza che avrebbe potuto usarlo ogni volta che ne avesse avuto bisogno.
La ragazza invece, scelse il letto ad una piazza e mezzo che si trovava nel vecchio ufficio di Joshua. La stanza aveva due cassettoni dove riporre i vestiti e un tavolo vecchio di fronte alla finestra che avrebbe potuto usare come scrivania. Amava già quella camera: affacciava su uno splendido campo di fiori che non vedeva l'ora di esplorare assieme a Garrick, il suo cagnolino.
Perché sì, se c'era una cosa che Annie aveva voluto mettere subito in chiaro era proprio quella: la presenza di quella creaturina che aveva adottato per i suoi figli l'anno prima. Aveva sentito dire che gli animali facessero miracoli per la terapia dei ragazzi, e da allora Garrick era diventato un membro della famiglia a tutti gli effetti.
Al momento non era con loro, ma Joshua aveva già annunciato che per lui non ci fosse alcun problema. 
Dopo la merenda, i Poldark accompagnarono i nuovi inquilini di Nampara a fare un giro nelle terre attorno alla sua proprietà, dove si svolgeva anche l’attività da imprenditore di Joshua. Quest’ultimo si divertì un mondo ad illustrare a Drake e Sam gli alberi da frutto e gli ortaggi che stava coltivando, promettendo ad entrambi che quando sarebbe arrivato il mese del raccolto, avrebbe permesso ad entrambi di aiutarlo.
Demelza e Ross si tenevano invece a distanza, chiacchierando sommessamente fra loro, divertiti e un po' scombussolati da tutta quella situazione.
"È... un po' imbarazzante" ammise il ragazzo con un sorriso sbilenco, camminando con le braccia dietro la schiena.
"Un po'?" Demelza lo guardò inarcando un sopracciglio. "È decisamente imbarazzante. Ma poteva andarci peggio."
"I tuoi fratelli sembrano simpatici" ridacchiò Ross. "Parlami un po' di loro."
Demelza annuì. Drake era il ragazzino con i capelli ricci e gli occhi scuri. Aveva nove anni. Era vivace, allegro e sempre sorridente: giocava a calcio, ma la sorella maggiore non aveva cuore di dirgli che il motivo per cui il coach della sua scuola non lo schierasse mai era che fosse un'autentica schiappa. Sam invece, che aveva un paio d'anni più di Drake, aveva preso lo stesso colore degli occhi di Demelza. Già a vederlo sembrava un ragazzino più mite e sulle sue rispetto al fratello minore.
"È molto credente. E mi rimprovera sempre, perché non vado mai a messa con lui" ridacchiò. "La prima cosa che ha fatto, quando Annie ci ha raccontato di Nampara, è stata quella di chiederle se nelle vicinanze ci fosse una chiesa. Dice di voler diventare sacerdote, da adulto.”
“C’è una cappella a pochi passi da qui” le disse Ross.
“Lo so” sospirò la ragazza, non riuscendo a trattenere un sorriso. “Ha insistito perché ne cercassimo una su internet.”
Ross sorrise a sua volta.
“Si è avvicinato molto alla chiesa da quando... ci siamo trasferiti. Pregare lo ha... aiutato tanto" continuò a spiegare Demelza.
Ross colse l'esitazione nella voce della sua amica. Suo padre lo aveva informato sulla sua storia e adesso si sentiva in colpa per non aver creduto fino in fondo all'assurdità di tutto quello che la sua compagna di banco avesse vissuto. Demelza era consapevole che lui fosse già a conoscenza di tutti i fatti, e anche se lo conosceva da poco, sentiva di potersi fidare. A scuola, a parte lui, Isla era l’unica persona che sapesse del suo passato.
Ross, invece, si sentiva male all'idea di cosa quei tre poveri fratelli dovessero aver patito per una vita intera.
"Mio padre mi ha raccontato... di quello che avete passato" disse lieve. "Mi spiace, Dem."
La ragazza fece un sorriso timido, ma non alzò lo sguardo per osservarlo, come se le costasse e avesse paura di scoppiare a piangere.
"Me la sono cavata. I miei fratelli se la passano peggio. Non si sono ancora ripresi del tutto."
Ross non riuscì a replicare. Fece soltanto una cosa che sarebbe riuscito a spiegarsi soltanto col tempo, visto che per quanto avesse legato velocemente con Demelza, non avevano ancora una confidenza tale da lasciarsi andare a gesti del genere: o forse quello fu solo il punto di partenza per consolidare un'amicizia che sarebbe diventata importante per entrambi.
Le prese la mano e gliela strinse, e Demelza, stupita e scioccata, si voltò per un attimo ad osservare se qualcuno vi avesse fatto caso: ma Joshua Poldark, i suoi due fratellini ed Annie, sembravano troppo impegnati a ridere di qualcosa per pensare a lei e Ross.
"Sono qui" mormorò il ragazzo dolcemente.
Non c'era niente di malizioso in quella stretta e Demelza si convinse a ricambiarla. Non aveva mai conosciuto la tenerezza del calore umano, se non un paio di anni prima grazie ad Annie: suo padre non era mai stato affatto propenso alle carezze, anzi, tutt’altro; e sua madre era morta quando era troppo piccola per ricordarsi se le avesse mai voluto bene. Per troppo e tanto tempo, era stata coraggiosa per i due fratelli, e si era impegnata e continuava a farlo per il bene di Drake e Sam, ma anche lei ogni tanto aveva bisogno di sapere di non essere sola e che, da quel momento in poi, avrebbe avuto qualcun altro al suo fianco a farle da spalla.
* * *
Nel giro di tre giorni, Annie e i suoi ragazzi spostarono velocemente la maggior parte delle loro cose a Nampara. Dopo aver sbrigato in maniera alquanto celere tutta la parte burocratica, tra scartoffie e documenti da firmare, Ross aveva deciso di chiamare a rapporto il suo nuovo ed esuberante gruppo di amici con l'intento di accelerare quel trasferimento e rendere le cose più semplici ai nuovi inquilini. Drake e Sam avevano già occupato la loro stanza, mentre quella di Demelza era praticamente un campo minato di oggetti da sistemare.
Nessuno si era posto grandi domande: Isla e Ross erano a conoscenza della verità sulle origini di Demelza; George e Dwight sapevano quanto bastava a comprendere le ragioni di quel trasferimento e furono talmente tanto discreti da non porre altri quesiti scomodi che potessero metterla in imbarazzo.
"Pensate a quanto piccolo è il mondo!" commentò Isla, riflettendo ad alta voce su tutta quella situazione e reggendo nel frattempo anche uno scatolone che aveva l'aria di essere molto pesante, e in effetti lo era: George lo capì dalla sua espressione tirata e dopo una breve insistenza, riuscì a farselo passare.
"Demelza, cosa diavolo c'è qui dentro?!" esclamò sconvolto, con la faccia tutta rossa, mentre passava dall'ingresso della casa.
La ragazza però sembrava non averlo nemmeno ascoltato, forse perché era troppo lontana: stava tirando fuori qualcos'altro dal cofano della jeep di Annie. Garrick, il famoso e delizioso bastardino dal pelo chiaro che avrebbe rallegrato presto le giornate a Nampara, la tampinava scodinzolando.
Ross invece, all'interno della casa, si godeva l'entrata di George. Un po' sudato sulla fronte e con una mano appoggiata ad un'anca, lo osservava con un'espressione squisitamente divertita.
"Cosa ne dici, Poldark? mi darai una mano o vuoi startene lì fermo come un palo della luce?" lo rimbeccò stizzito. "Dove cavolo devo appoggiare questo scatolone? Mi si stanno staccando le braccia!"
"Ah, George. Sei un vero spettacolo per gli occhi" commentò Ross schioccando la lingua e asciugandosi le goccioline di sudore che gli imperlavano il volto. Continuava a sorridere beato senza fare niente di concreto per aiutarlo.
"Senti" sbottò alla fine l'amico dai capelli biondi, poggiando con un tonfo lo scatolone a terra. "Non me ne frega niente di dove deve andare sta roba, se c'è qualcosa di prezioso o se Demelza ci ha nascosto un cadavere al suo interno. Non posso perdere l'uso degli arti."
Nel frattempo, Dwight entrava anche lui dalla porta di Nampara con un altro box di cartone. Lo appoggiò, con non poca fatica, accanto a quello di George.
"Ti vedo provato" disse all'amico, cingendogli le spalle con un braccio.
"Tu dici?" replicò George, inarcando un sopracciglio. "A giudicare da quanto pesa questo coso che ho appena messo a terra, deve esserci per forza un cadavere all’interno."
"Non c'è nessuno lì dentro, George, posso assicurartelo. Solo i miei libri" rise Demelza, entrando in quel momento anche lei dalla porta con un altro scatolone. Isla, alle sue spalle, stava facendo la stessa cosa. "E comunque questi due sono gli ultimi."
Mentre riprendevano fiato, Prudie li raggiunse all’ingresso. Aveva fra le mani un vassoio con delle merendine e dei succhi di frutta e sorrideva amabilmente.
"Venite, prendetevi una pausa" disse, facendo segno di seguirla. “Credo ve la meritiate.”
I ragazzi non ebbero niente da obiettare mentre si sistemavano nella sala da pranzo. I fratelli di Demelza si stavano già ambientando nelle loro stanze e Annie li stava aiutando a mettere a posto i loro vestiti; Garrick invece aveva seguito la sua padroncina e ora le scodinzolava accanto ubbidiente.
Il gruppo restò attorno al tavolo per una mezz’ora, commentando anche quanto accaduto durante la settimana di scuola.
La “condivisione” dello stesso banco con Keren Smith ormai stava già mettendo a dura prova George: aveva ripreso a fumare come prima e in effetti durante quei giorni i due si erano ritrovati a litigare spesso – fortunatamente non davanti agli insegnanti – e nonostante fosse un allievo modello, quando George aveva chiesto alla professoressa Tegue di cambiarlo di posto, quest’ultima gli aveva spiegato che non poteva permettersi di fare preferenze perché sicuramente poi tutti avrebbero voluto lo stesso trattamento!
“Ma se sei sempre stato il suo studente preferito!” protestò Ross, inorridito. “Uscivi con sua figlia e se gliel’avessi detto, avrebbe già organizzato le nozze.”
George spalancò gli occhi, non poteva credere che quell’idiota di Poldark lo avesse detto così platealmente al tavolo: ma poi davanti a Demelza e soprattutto ad Isla! Cercò lo sguardo di quest’ultima con la coda dell’occhio e se lo ritrovò davanti perplesso.
“Uscivi con la figlia della professoressa Tegue?!” chiese Demelza, sconvolta, ma non riuscendo a trattenere una risata. “E chi è questa tizia? E perché non la conosco? Voglio vederla subito!”
George la guardò malissimo. Aveva ragione di credere che Ross avesse una “cattiva influenza” su di lei, perché da quando erano seduti vicini erano diventati pappa e ciccia. E non osava immaginare ora che cosa sarebbe successo, visto che Demelza aveva iniziato a vivere a Nampara...
“Ruth Tegue” ridacchiò Ross, passando a Demelza il suo cellulare: la ragazza era seduta accanto a lui. Sullo schermo c’era ora in bella mostra il profilo Instagram della diretta interessata. Era una ragazza minuta, con dei capelli biondo cenere, che usava una quantità spropositata di filtri in ogni fotografia che postava.
Era carina. Demelza però non avrebbe mai osato immaginare che potesse essere il tipo di George.
“Poldark... sono a tanto così dal lanciarti la sedia su cui sono seduto adesso!” borbottò George.
“Uscivi... con Ruth Tegue?” domandò Isla con una nota di incertezza nella voce.
Il ragazzo si voltò quando sentì la sua voce e finalmente poté concentrarsi solo su di lei. “Sì. Uscivo. La conosci?”
Gli occhi di Demelza, Dwight e Ross saettavano da George ad Isla.
“Sì” annuì quest’ultima, sospirando scocciata. “Una boriosa so tutto io. Mia madre è manager della boutique di Truro dove lei lavora come addetta alle vendite. Ci avrò parlato per cinque minuti e quando mi ha detto di essere la figlia della professoressa, chissà perché, non ne ero stupita.”
“È finita molto tempo fa tra noi” ci tenne a specificare il ragazzo.
Isla non comprese perché ci mettesse tanta veemenza nel farlo, ma fu comunque felice di sentirglielo dire ad alta voce. Il suo cuore sembrò riempirsi di una grandissima leggerezza.
“Come mai?”
“Troppo diversi. Poi ho scoperto che era la figlia della professoressa, lei che ero un alunno di sua madre e... ci siamo ghostati a vicenda.”
“Oh, ma tranquilli” intervenne Demelza a quel punto, e in effetti George ed Isla la guardarono come se si fossero resi conto solo in quel momento della sua presenza, di quella di Ross e di quella di Dwight. “Continuate pure a chiacchierare tra voi.”
Ross addentò un pezzo della sua brioche e parlò con la bocca piena.
“Dai, Dem. Hai interrotto la cosa sul più bello. Erano così carini.”
“I popcorn dove sono?” incalzò Dwight divertito.
Il viso di Isla si era colorato di rosso, ma sorrideva. L’unico a non farlo era George.
Anche se non aveva mai ammesso agli amici la sua cotta per la ragazza ad alta voce, Dwight e Ross erano diventati il suo tormento in quei giorni e avevano cercato attraverso battutine e tecniche paradossali di creare una situazione in cui potessero entrambi ritrovarsi da soli.
George fece per replicare, ma, un silenzio assurdo, riempì la stanza qualche istante dopo. Presi dalle chiacchiere e dalle risate, nessuno dei ragazzi si era accorto che Prudie era andata alla porta ad aprire a qualcuno. Sull’ingresso della sala da pranzo, come se fosse a disagio (cosa forse non troppo lontana dalla realtà), si trovava ora Francis Poldark accanto alla tozza domestica di Nampara che ne annunciava l’arrivo.
I suoi capelli biondi, spettinati dal vento della Cornovaglia, formavano strane onde sulla sua testa.
“Ciao ragazzi.”
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Eccomi di ritorno! Scusatemi se aggiorno dopo tanto tempo, ma scrivere questo capitolo mi ha richiesto più tempo di quanto mi aspettassi.
In realtà non succede molto, in quanto lo vedo più come un capitolo di passaggio: serve a cementare le fondamenta di alcuni rapporti della storia e a porre le basi per quello che succederà in futuro.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi abbraccio,
Lady Warleggan.
   
 
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