Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: kamony    11/06/2022    5 recensioni
Una missione da compiere: riportare la terra alla vita. Un uomo distrutto dal rimorso che ha bisogno di un motivo per tornare a sperare e a lottare. Due nuovi arrivi sull'Arcadia: una ragazza dal passato nebuloso, costretta a fingersi ciò che non è, e un ragazzo che ha qualcosa da nascondere. La loro presenza scombinerà le dinamiche a bordo della nave pirata più famosa della galassia, il cui capitano si troverà a dover fare i conti con sentimenti che credeva morti per sempre. Storia ambientata totalmente nel movieverse con alcune contaminazioni dal multiverse di Capitan Harlock
|Harlock, nuovo personaggio, Yama, Meeme, Yuki Kei, Yattaran e un po' tutti i personaggi|
|Romantico, avventura, introspettivo, shi-fi|
Fic rivista e corretta. Postata nel 2014, cancellata da me nel 2018
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Yama
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buon week-end a tutti voi!
Ecco, il primo ri-postaggio, oggi effettuato di sabato :)
L’altro capitolo lo posterò domani in serata ;)
La storia sta per avviarsi alla conclusione, ma mancano ancora dei passi decisivi.
Ringrazio tantissimo chi legge (continuate a stupirmi per quanti siete!), chi aggiunge alle preferite, ricordate e seguite. Un sincero ringraziamento colmo di gratitudine a chi commenta

Buona (spero) lettura! =)

 

 

  .40.



 

LA SCELTA


Joy vide arrivare Harlock in cabina molto serio e senza guanti. Notò che aveva le nocche sbucciate. Si preoccupò.
“Ma che hai combinato? Sembra tu abbia fatto a pugni…” gli chiese, andandogli incontro e prendendogli le mani tra le sue. Lui le ritirò subito, quasi bruscamente.
“Mi sono semplicemente allenato” le disse evitando il suo sguardo.
Non sapeva esattamente da che parte cominciare a parlarle.
Era veramente difficile trovare le parole adatte, ancora non era lucido, né abbastanza freddo per tirare le giuste fila e intavolare una discussione assennata.
Poi però decise che non c’era un modo migliore di un altro, che ciò che doveva dirle era spiacevole a prescindere, e fu diretto.
“Sono stato da Heizo su Cerere. So tutto. Devi tornare quanto prima nel tuo tempo”.
Joy, che non se l’aspettava, rimase basita. Lo guardò incredula.
“Come scusa?” gli domandò, cercando di capire meglio. 
“Quando sei andata a riposare ho parlato con Meeme, ma ho capito che mi stava nascondendo qualcosa, quindi non ho perso tempo e sono andato direttamente alla fonte. E devo dire che ho fatto benissimo!”.
Joy si rabbuiò.
“Ma come? Non potevi parlarne prima con me?” gli chiese appena risentita. Come al solito lui faceva e disfaceva senza neppure consultarla, e dire che questa volta si trattava della sua vita.
“Non mi sembrava che tu avessi intenzione di dirmi la verità” le rispose, fissandola serio.
La biologa notò che il suo sguardo era un misto tra addolorato e rassegnato, non sembrava arrabbiato, sebbene le sue parole somigliassero ad una ramanzina.
In realtà Harlock stava cercando la chiave giusta per condurla a ragionare. Il suo sesto senso gli suggeriva con forza che non sarebbe stato esattamente facile farla tornare a casa.
“Harlock, eravamo solo preoccupate per te” gli disse sincera.
“E questo giustifica il fatto di tacermi una cosa così importante?”.
“Sì” disse lei seria. “Non voglio mai più vederti star male per i sensi di colpa. Men che meno voglio procurartene io”.
Lui sospirò forte.
“Questa conversazione è ormai inutile. So che ciò che ti va capitando è colpa di una contaminazione che deriva dalla Dark Matter e che sono stato io a passarti il contagio. Heizo mi ha detto che il tuo fisico sta reagendo in maniera violenta e che l’unica soluzione sicura è mandarti indietro nel tempo da tuo padre, e farti scollegare quel dannato chip. Le due cose non sono compatibili tra loro, ma una volta eliminato quello, starai bene e non avrai più problemi. Per fortuna la dark matter ha reagito bene con le tue cellule. Sembra proteggerti, per questo attacca con violenza l’intruso”.
Intanto si era seduto e si era versato del vino. Aveva davvero bisogno di bere.
Cercava di essere tranquillo, fermo e deciso nel suo proposito, ma dentro di sé aveva un maremoto che lo stava distruggendo. Stava seraficamente dicendo all’unica donna che fosse stato capace di amare dopo Maya che doveva andarsene per sempre e non era affatto facile anzi, era veramente doloroso, in un modo così acuto che mai avrebbe potuto immaginare. Era come se gli avessero piantato uno stiletto nel petto che sembrava bucargli l’anima e il cuore in una sola ferita. Avvertiva un dolore quasi fisico, era sconcertante come ogni sua fibra si ribellasse a quella separazione, ma al contempo sapesse che fosse l’unica cosa giusta da fare per lei. Non c’erano alternative, né vie traverse da poter imboccare, non questa volta.
Il sentimento così forte e così profondo che nutriva per Joy era la molla che lo spingeva a questo sacrificio, in modo del tutto rassegnato e consapevole.
Sarebbe stato male, fino a sanguinare e avrebbe probabilmente fatto un altro lungo soggiorno all’inferno, ma era un prezzo che ora era pronto a pagare volentieri, perché dopo la rabbia e la furia cieca, stavano subentrando la logica e la consapevolezza che lei  sarebbe stata comunque salva, e questa era l’unica cosa importante per lui. 
“Quindi hai già deciso tutto tu?” gli chiese la ragazza con il groppo in gola, scioccata dalla calma glaciale che stava ostentando, come se la cosa non lo toccasse neppure.
Lo detestava quando faceva così. Freddo. Calcolatore. Sembrava privo di sentimenti e lei sapeva che era tutta una posa. Non sopportava che la trattasse ancora una volta come una bambina e che decidesse per lei. Era la sua vita e la sua malattia, era lei che doveva scegliere e non lui!
“Non cominciare per favore” disse Harlock, scolando il bicchiere del vino e versandosene ancora.
Non era sua intenzione discutere, voleva troncare l’argomento.
Lo guardò scrutandolo, proprio come lui faceva spesso con lei.
“Per te è tutto a posto? Me ne devo andare e così sia. A non rivederci mai più e vissero felici e contenti, ognuno in un arco temporale diverso? Ti sta davvero bene così? Non fai neanche una piega. Bevi il tuo maledetto vino, come se nulla fosse?”.
Lui si girò e il suo occhio le sembrò una larga pozza di tristezza.
“Sì, certo. Sono sicuramente felice di questa piega improvvisa che hanno preso le cose” rispose appena sarcastico e bevve un’altra sorsata del liquido rubino.
“Sono dispiaciuto, ma so che è l’unica cosa giusta da fare. Oltretutto siamo onesti, probabilmente sarebbe stato comunque uno sbaglio. Non avrebbe funzionato. Non sei fatta per questa vita e io non sono fatto per avere una compagna, sarebbe potuto diventare un vero inferno”.
Non sapeva più che dire per condurla sulla strada del ritorno. Non pensava realmente ciò che stava dicendo, perché a quell’unione lui ci credeva davvero, ma non poteva e non voleva dirglielo.
Lei ricacciò indietro le lacrime che a tradimento le inumidirono gli occhi. Perché le parlava così?
“A volte sei veramente troppo duro” gli disse in un soffio.
“Non sono duro. Sono realista” rincarò lui.
“Allora sei anche un gran bugiardo, caro Phantom Franklin Harlock terzo! Perché con la bocca non parli è vero, ma ogni tuo singolo gesto mi ha detto il contrario di ciò che stai affermando. Tu mi vuoi proteggere e mi vuoi allontanare, anche in malo modo se è necessario, ormai ti conosco, ma deciderò io e solo io della mia vita. E io voglio operarmi!”.
Gli sparò in faccia all’improvviso, senza che lui potesse essere minimamente preparato ad una simile evenienza. La riteneva assennata e mai avrebbe immaginato che avrebbe voluto rischiare quasi al cento per cento la sua vita, solo per poter rimanere lì. Era una cosa dannatamente stupida. Si sentì mancare. Non le avrebbe permesso di fare una simile sciocchezza. 
Mai!
A costo di usare la forza, sarebbe tornata a casa, questo gli fu certo come il fatto che respirasse.
“Non farai nessuna operazione!” le disse, alzandosi e avanzando verso di lei minaccioso. “Non rischierai la tua vita per restare qui. Non ne vale la pena” aggiunse gelido.
“È questo quello che pensi? Che i miei sentimenti non valgano la pena?”.
“Non i tuoi. I miei” le disse lapidario, ferendola a morte con uno sguardo freddo come la lama di un pugnale.
Era l’unica cosa che avrebbe potuto farla desistere e si giocò la carta più difficile e dolorosa.
“Bugiardo!” gli disse lei sfidandolo e tremando appena. Il colpo era comunque arrivato a segno.
“No” le rispose compito. “Ho amato una sola donna: Maya. Non potrò amare nessun’altra. Con te sono stato bene, ho passato dei bellissimi momenti. Provo dell’affetto, ma non ti ho mai amata” gli disse, sorprendendosi di come la sua voce non si fosse incrinata e non avesse avuto neppure una leggera flessione. L’aveva udita come se fosse stato un esterno: limpida, forte, chiara e molto convincente.
“Cazzate!” ribatté lei, guardandolo con occhi pieni di dolore, che furono come un altro stiletto piantato nel cuore per lui.
“No” ribadì secco, avendo ancora la forza di protrarre credibilmente quella commedia tragica.
È la verità. Non ti ho mai amata, per questo non te l’ho mai detto. Non potevo dirti ciò che non sentivo. Sono un uomo integro, lo sai” le disse molto astutamente. Continuava a ferirla e questo lo dilaniava, ma l’avrebbe spinta verso la giusta decisione.
“Bugiardo!” ripeté Joy, ancora con il cuore in gola che le batteva furiosamente.
Perché faceva così? Sapeva che mentiva, ma il tarlo del dubbio aveva già cominciato a rosicarle il cuore e la mente, maligno e puntuale faceva il suo lavoro lento e inesorabile.
“Mi spiace è la verità. Con te sto bene” prese una pausa, perché ciò che stava per dirle gli costava moltissimo ma doveva farlo anche a rischio di farla sentire male “Soprattutto fisicamente” disse, come se fosse una cosa da niente, dandole probabilmente il colpo di grazia “Ma non ti amo” ripeté per la terza volta. E così sperò di averla convinta ad andarsene.
A Joy si fermò un attimo il cuore. Questo non avrebbe mai dovuto dirlo. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma le mancò la forza fisica di alzare il braccio e colpirlo, era vinta. Vero o non vero che fosse, la cosa la sconvolse a prescindere, come osava?
“Sei veramente un mostro!” gli disse alla fine, dirigendosi verso la porta della cabina, poi si girò e lo guardò decisa e fiera “Di me non hai capito niente! Se credi di umiliarmi per farmi fare ciò che vuoi tu, sei fuori strada. Sappi che mi farò operare lo stesso, ora ne sono più convinta che mai. Decido comunque io della mia vita e della mia salute. E tu, vattene all’inferno!” e così dicendo, aprì la porta e uscì nel corridoio.
Il chip sfrigolò violentemente, per fortuna aveva le medicine con sé altrimenti se la sarebbe vista brutta. Lo scompenso emotivo le aveva causato una scossa più violenta del solito. Fortunatamente la sedò subito. Ma il dolore causato dalle parole di Harlock rimase tale e quale, stritolandola. 

Harlock rimase seduto e bevve ancora un calice di vino.
Si chiese se avesse agito nel giusto modo. Forse non era esattamente quella, la chiave che cercava. La reazione di lei era stata contraria alle sue aspettative ed in più, si era molto agitata e arrabbiata, cosa che Heizo, come Zero, si era raccomandato caldamente di evitare.
Quando si trattava di Joy non riusciva ad essere esattamente lucido, non sempre almeno.
Gli rimaneva molto difficile mantenere la sua solita calma imperturbabile e gestire con estrema freddezza le situazioni.
Aveva sbagliato.
Nella sua testa tutta maschile, aveva pensato che facendole credere che non l’amava, l’avrebbe spinta ad andarsene, ma non era stato così. Aveva agito troppo frettolosamente, senza riflettere. Lei era molto testarda e non esattamente stupida. Essendo così addolorato e anche pieno di sensi di colpa nei suoi confronti, l’aveva sottovalutata, aveva tirato in ballo l’unica cosa che non avrebbe dovuto, ma ormai indietro non poteva tornare. Doveva correre subito ai ripari.
Uscì dalla cabina e decise di andare da Tochiro. Chi meglio di lui avrebbe potuto consigliarlo ed aiutarlo, in una situazione così delicata e difficile da gestire?
Il suo più caro amico aveva una sensibilità fuori dal comune e lo conosceva più a fondo di chiunque altro, solo lui avrebbe potuto fargli capire che strada percorrere e, per poter portare a termine una delle più difficili e dolorose decisioni che avesse mai dovuto prendere. Si rimproverò di non averci pensato prima, ma come a volte gli capitava quando si trattava dei sentimenti, perdeva la bussola e si lasciava trascinare dall’onda della rabbia, o del dolore. Dopo tutto non era poi così cambiato in cento e passa anni.
Ma come già assodato, le persone non cambiano mai e lui non faceva certo eccezione.

Tochiro non solo gli aveva parlato, aveva fatto molto di più. Aveva instillato in lui la scintilla della speranza, e una piccola e debole fiammella stava appena rischiarando l’antro nero e scuro che si era aperto nel cuore di Harlock.
Il suo migliore amico e la donna che amava, avevano questo comune tratto: non si arrendevano mai e non perdevano la speranza, perché senza di essa, la vita ha meno senso.
Rinfrancato da quella lunga chiacchierata, decise di andare in Plancia. Da lei sarebbe passato più tardi. La loro discussione era ancora troppo fresca, meglio lasciarla qualche ora tranquilla e poi andare a parlarle nuovamente.
Stava camminando nei corridoi, direzione Ponte di Comando, quando incrociò Yama.
Era serio, forse addirittura arrabbiato. La sua espressione era dura e accigliata.
“Ti stavo cercando!” gli disse, sbarrandogli la strada.
“Sembra che tu mi abbia trovato” gli rispose.
“Dimmi che non è vero!”.
“Che cosa?”.
“Che hai lasciato andare via Ezra! Sei impazzito forse?”.
“So quello che faccio”.
“A me pare di no. Ti rendi conto che potremmo trovarci ogni incrociatore e nave da guerra della Gaia Fleet addosso, nell’arco di poche ore?”.
“Non accadrà”.
“Tu non conosci mio fratello”.
“Ora è diverso”.
“Perché?”.
Harlock lo guardò, cercando di capire se avesse dovuto o meno dirgli una cosa tanto brutta. Ma era un uomo ormai e comunque, prima o poi, avrebbe dovuto saperlo…
“Nami è morta” gli disse calmo.
Yama cambiò espressione e il suo viso passò dallo stupore al dolore, in pochi secondi.
Tacque, come se volesse realmente metabolizzare quella notizia tremenda e comprendere se avesse udito bene, poi parlò.
“Come è accaduto?” gli chiese con la voce rotta. Qualcosa nel suo cuore gli diceva che c’entrava Ezra.
“Credo sia stato un incidente” gli mentì pietosamente. Che scopo avrebbe avuto aggiungere odio ad altro odio, un dolore inutile che avrebbe fatto da cassa di risonanza a quello immenso della perdita?
E poi, si trattava di una mezza verità, perché Ezra aveva agito d’impulso, era certo che non volesse davvero ucciderla.
“Credi davvero? Che tipo d’incidente?” lo incalzò Yama, sempre più convinto dei suoi dubbi.
“Un ammanco di corrente, un corto circuito” svicolò Harlock “Credimi, tuo fratello è devastato dal dolore, mi ha chiesto di ucciderlo. Non penso lo incroceremo mai più sulla nostra strada”.
Yama lo guardò ancora non convinto e ripeté, stringendo i pugni “Tu non lo conosci affatto. È stato lui!”.
“E allora che vuoi fare? Prendere una navetta ed inseguirlo? Ammazzarlo? Dopo starai meglio? Ma soprattutto, chiediti: Nami approverebbe un simile comportamento da parte tua?”.
Yama rimase in silenzio.
“È stato lui…” ripeté a bassa voce.
“Se così fosse, dato che mi ha chiesto di dargli la morte, credo che il rimorso lo accompagnerà per tutta la vita. Tu ed io sappiamo bene che è una punizione terribile che succhia dall’anima ogni scintilla vitale. Credo che, come espiazione, basti, non pensi?”.
Il ragazzo sembrava distante, ma nonostante questo, a sorpresa annuì. 
“Va bene” disse quasi distrattamente e si congedò in fretta.
Il Capitano lo seguì con lo sguardo, mentre svelto spariva tra i corridoi dell’Arcadia. Sperò che non si mettesse nei guai, lui non poteva stargli dietro, al momento aveva cose ben più gravi da fare e a cui pensare.

Quella sera Harlock si ritirò dalla Plancia piuttosto tardi. Avevano avuto un’avaria ai sistemi elettronici di bordo, a causa di un campo magnetico che avevano attraversato. Yattaran aveva dovuto ripristinare tutto il collegamento di rete sulla nave e il Capitano aveva dovuto stare al Timone per manovrare manualmente l’Arcadia.
Finalmente adesso era di nuovo tutto a posto. 
Ripristinato il pilota automatico, lasciò la Plancia e si diresse svelto verso gli alloggi di Joy, dove supponeva di trovarla. Se la conosceva bene sapeva che, essendo adirata, non sarebbe stata di certo nella loro cabina. Sì, perché per lui ormai la sua cabina era diventata la loro.
Solo che la biologa non era neppure nella propria, né in laboratorio, né da nessun’altra parte. Il Capitano cominciò a preoccuparsi. D’istinto, si diresse in infermeria. 
La trovò proprio lì. Zero le aveva appena fatto un’iniezione e ciò voleva solo dire una cosa: aveva avuto una crisi e anche forte.
Harlock si sentì morire. Pensò subito che fosse colpa sua. L’aveva fatta arrabbiare. Le andò incontro, per accertarsi delle sue condizioni e notò che aveva agli occhi gonfi. Aveva pianto e neanche poco. Lei lo guardò, poi abbassò la testa e si girò dall’altra parte. Era come assente, come se avesse una grave pena che le opprimesse il cuore.
Gli venne un dubbio atroce. Ma prima, volle assicurarsi che stesse bene. Zero gli spiegò che aveva avuto uno choc emotivo fortissimo e che le era iniziata una grave crisi, simile a quella di quell’infausta notte, per fortuna non era sola ed era stata portata di corsa in infermeria, così lui aveva agito subito, bloccandola sul nascere.
“Chi l’ha portata qui?” chiese Harlock, senza perdersi in preamboli.
“Yama” gli disse Zero, confermando i suoi sospetti.
Lo sapevo!
Senza aggiungere altro, uscì dall’infermeria furioso. 
Trovò il ragazzo in armeria, non gli disse una parola, gli si avvicinò e gli mollò un sonoro ceffone che lo fece barcollare appena.
“Sei un egoista incosciente!” gli sibilò ancora furibondo.
Avrebbe voluto pestarlo, ma si trattenne, non era un violento e non voleva farsi sopraffare dalla rabbia o avrebbe commesso l’ennesima sciocchezza.
“Aveva il diritto di saperlo” si ribellò Yama, con la mano sulla guancia che gli frizzava da morire, gli era andata bene perché un pugno di Harlock avrebbe fatto molti più danni di quello di Kei.
“Anche a costo di farla morire? Ma ti rendi conto di che stai dicendo?”.
“Ho agito sull’onda dell’emozione, senza riflettere che potesse reagire così…” ammise, abbassando lo sguardo per poi aggiungere “Comunque sembra che Joy possa fare qualcosa. Ha detto che tornerà indietro nel tempo e con suo padre troverà il modo per far sì che questo evento non accada, anzi, sventerà anche l’incidente nella serra”.
Harlock rimase sconcertato. Guardò incredulo quel ragazzo scellerato. 
Era proprio vero che da una cosa sbagliata a volte può nascere qualcosa di giusto e molto importante. Yama con la sua sconsideratezza giovanile, era riuscito là dove lui aveva miseramente fallito.
“Sei sicuro di quello che dici?” gli chiese fissandolo intensamente.
“Sì. Avevamo già parlato di questa opportunità ed era stata molto vaga in proposito, ma dopo aver appreso della morte della sorella ha detto: A questo punto devo assolutamente tornare indietro. Devo salvarla!”.
“Grazie!” disse Harlock poggiandogli le mani sulle spalle “E scusa per quello schiaffo, ma te lo meritavi”.
E lasciando il povero Yama completamente basito, si voltò e il mantello, con la solita eleganza, seguì la sua figura mentre si dirigeva nuovamente verso l’infermeria.
Quando giunse a destinazione, lei non c’era più. Zero gli spiegò che Joy ora stava bene e che al momento non c’era più alcun pericolo; quindi, aveva preferito tornare nei suoi alloggi. 
Al Capitano sembrò che per qualche strana ragione non gli riuscisse mai di arrivare in tempo, in quella strana giornata, che segnava inesorabilmente la fine di quello che probabilmente era stato il più bel sogno dei suoi ultimi cento anni…
Sospirò e se ne andò nuovamente. Quando arrivò alla cabina di Joy, si fermò qualche secondo davanti a quella porta. Tante volte era andato lì e per tanti motivi diversi, questo era il motivo più doloroso di tutti e per un attimo sperò che fosse un incubo, uno di quei sogni da cui ti svegli trafelato con la bellissima sensazione che era tutto frutto dell’inconscio, purtroppo, in questo caso era invece la cruda realtà. Chiuse l’occhio, trattenne il fiato ed entrò deciso.
Lei era rannicchiata sul letto, in posizione fetale. Sembrava come se volesse nascondersi in se stessa. Le si avvicinò, senza dire una sola parola. Si sdraiò alla meglio accanto a lei e, da dietro, l’abbracciò stretta.
Ci fu un momento di silenzio.
“Hai ragione. Sono un bugiardo… perdonami” le disse piano.
Joy non parlò, si mosse appena, facendo in modo che lui potesse abbracciarla meglio.
“Ho apprezzato moltissimo che tu non abbia usato la morte di Nami per costringermi ad andare via…” disse dopo un po’, con un filo di voce.
Lui la strinse ancora un po’ di più, ma lei si girò per guardarlo “Sei un uomo con una grande sensibilità, ma non le dai mai spazio. Ho capito le tue intenzioni, ma non puoi ogni volta rinnegare i tuoi sentimenti per piegare la mia volontà. Non lo fare mai più Harlock, perché questa è l’ultima volta che ti perdono. Se lo farai ancora, mi perderai per sempre, sappilo” gli disse seria.
Lui annuì dispiaciuto. Solo che non sapeva che dire. Continuare a scusarsi gli pareva sciocco e anche inutile. Era vero, aveva sbagliato e lo sapeva, sarebbe stata davvero l’ultima volta, se lo ripromise. Come sempre, glielo avrebbe dimostrato con i fatti, piuttosto che ribadirlo a parole.
“Ho saputo che hai liberato Ezra”.
“Sì” rispose lui carezzandole i capelli. Stava così male. Dentro sentiva una voragine senza fine che lo inghiottiva.
Lei gli posò una mano su una guancia “È questo che amo di te. Sai essere giusto. Sei coraggioso e non solo perché non temi la morte, ma perché hai il coraggio di essere buono, sai perdonare, sai essere magnanimo, per questo non sopporto quando non riesci ad aprirti con me. Devi dirmi le cose come stanno. Promettimi che per quel poco di tempo che ormai ci resta, saremo sinceri e onesti. Promettimi che sfrutteremo al meglio ogni minuto e che qualsiasi cosa io decida, tu l’accetterai”.
Lui sospirò forte. “Tutto tranne l’operazione” gli disse sincero.
Lei lo sfidò. “Non sta a te decidere. Se io vorrò morire qui, tu dovrai accettarlo”.
Lui chiuse l’occhio “Non so se sarei in grado di farlo” ammise, mettendo a nudo la realtà dei fatti.
Joy si strinse forte a lui “Credi che ti infliggerei un simile dolore a cuor leggero, credi davvero che ne sarei capace?”.
“No”.
“E allora devi fidarti di me. Promettimi che qualunque cosa io deciderò, tu sarai al mio fianco e mi spalleggerai, fosse anche l’operazione”.
Qualcosa dentro di lui urlò NO! Ma le sue labbra dissero “Te lo prometto. Hai la mia parola d’onore”.
Lei capì quanto gli fosse costato assecondarla e sapeva che avrebbe mantenuto la sua parola, per questo non ritenne giusto lasciarlo consumarsi nel dubbio.
“Ho già deciso. Tornerò nel mio arco temporale non appena sarà possibile” gli disse, fissandolo dritto nell’iride ambrata che si velò immediatamente di triste stupore.
Era fatta. 
Il loro tempo stava davvero per scadere.

 




 

  
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