Buon
week-end a tutti voi!
Ecco, il primo ri-postaggio, oggi effettuato di sabato :)
L’altro capitolo lo posterò domani in serata ;)
La storia sta per avviarsi alla conclusione, ma mancano ancora dei passi
decisivi.
Ringrazio tantissimo chi legge (continuate a stupirmi per quanti siete!), chi
aggiunge alle preferite, ricordate e seguite. Un sincero ringraziamento colmo di
gratitudine a chi commenta
Buona (spero) lettura! =)
.40.
LA SCELTA
Joy vide arrivare Harlock in cabina molto serio e senza guanti.
Notò che aveva le nocche sbucciate. Si preoccupò.
“Ma che hai combinato? Sembra tu abbia fatto a pugni…” gli chiese, andandogli
incontro e prendendogli le mani tra le sue. Lui le ritirò subito, quasi
bruscamente.
“Mi sono semplicemente allenato” le disse evitando il suo sguardo.
Non sapeva esattamente da che parte cominciare a parlarle.
Era veramente difficile trovare le parole adatte, ancora non era lucido, né
abbastanza freddo per tirare le giuste fila e intavolare una discussione
assennata.
Poi però decise che non c’era un modo migliore di un altro, che ciò che doveva
dirle era spiacevole a prescindere, e fu diretto.
“Sono stato da Heizo su Cerere. So tutto. Devi tornare quanto prima nel tuo
tempo”.
Joy, che non se l’aspettava, rimase basita. Lo guardò incredula.
“Come scusa?” gli domandò, cercando di capire meglio.
“Quando sei andata a riposare ho parlato con Meeme, ma ho capito che mi stava
nascondendo qualcosa, quindi non ho perso tempo e sono andato direttamente alla
fonte. E devo dire che ho fatto benissimo!”.
Joy si rabbuiò.
“Ma come? Non potevi parlarne prima con me?” gli chiese appena risentita. Come
al solito lui faceva e disfaceva senza neppure consultarla, e dire che questa
volta si trattava della sua vita.
“Non mi sembrava che tu avessi intenzione di dirmi la verità” le rispose,
fissandola serio.
La biologa notò che il suo sguardo era un misto tra addolorato e rassegnato,
non sembrava arrabbiato, sebbene le sue parole somigliassero ad una ramanzina.
In realtà Harlock stava cercando la chiave giusta per condurla a ragionare. Il
suo sesto senso gli suggeriva con forza che non sarebbe stato esattamente
facile farla tornare a casa.
“Harlock, eravamo solo preoccupate per te” gli disse sincera.
“E questo giustifica il fatto di tacermi una cosa così importante?”.
“Sì” disse lei seria. “Non voglio mai più vederti star male per i sensi di
colpa. Men che meno voglio procurartene io”.
Lui sospirò forte.
“Questa conversazione è ormai inutile. So che ciò che ti va capitando è colpa
di una contaminazione che deriva dalla Dark Matter e che sono stato io a
passarti il contagio. Heizo mi ha detto che il tuo fisico sta reagendo in
maniera violenta e che l’unica soluzione sicura è mandarti indietro nel tempo
da tuo padre, e farti scollegare quel dannato chip. Le due cose non sono
compatibili tra loro, ma una volta eliminato quello, starai bene e non avrai
più problemi. Per fortuna la dark matter ha reagito bene con le tue cellule.
Sembra proteggerti, per questo attacca con violenza l’intruso”.
Intanto si era seduto e si era versato del vino. Aveva davvero bisogno di bere.
Cercava di essere tranquillo, fermo e deciso nel suo proposito, ma dentro di sé
aveva un maremoto che lo stava distruggendo. Stava seraficamente dicendo all’unica
donna che fosse stato capace di amare dopo Maya che doveva andarsene per sempre
e non era affatto facile anzi, era veramente doloroso, in un modo così acuto
che mai avrebbe potuto immaginare. Era come se gli avessero piantato uno
stiletto nel petto che sembrava bucargli l’anima e il cuore in una sola ferita.
Avvertiva un dolore quasi fisico, era sconcertante come ogni sua fibra si
ribellasse a quella separazione, ma al contempo sapesse che fosse l’unica cosa
giusta da fare per lei. Non c’erano alternative, né vie traverse da poter
imboccare, non questa volta.
Il sentimento così forte e così profondo che nutriva per Joy era la molla che
lo spingeva a questo sacrificio, in modo del tutto rassegnato e consapevole.
Sarebbe stato male, fino a sanguinare e avrebbe probabilmente fatto un altro
lungo soggiorno all’inferno, ma era un prezzo che ora era pronto a pagare
volentieri, perché dopo la rabbia e la furia cieca, stavano subentrando la
logica e la consapevolezza che lei sarebbe stata comunque salva, e questa
era l’unica cosa importante per lui.
“Quindi hai già deciso tutto tu?” gli chiese la ragazza con il groppo in gola,
scioccata dalla calma glaciale che stava ostentando, come se la cosa non lo
toccasse neppure.
Lo detestava quando faceva così. Freddo. Calcolatore. Sembrava privo di
sentimenti e lei sapeva che era tutta una posa. Non sopportava che la trattasse
ancora una volta come una bambina e che decidesse per lei. Era la sua vita e la
sua malattia, era lei che doveva scegliere e non lui!
“Non cominciare per favore” disse Harlock, scolando il bicchiere del vino e
versandosene ancora.
Non era sua intenzione discutere, voleva troncare l’argomento.
Lo guardò scrutandolo, proprio come lui faceva spesso con lei.
“Per te è tutto a posto? Me ne devo andare e così sia. A non rivederci mai più
e vissero felici e contenti, ognuno in un arco temporale diverso? Ti sta
davvero bene così? Non fai neanche una piega. Bevi il tuo maledetto vino, come
se nulla fosse?”.
Lui si girò e il suo occhio le sembrò una larga pozza di tristezza.
“Sì, certo. Sono sicuramente felice di questa piega improvvisa
che hanno preso le cose” rispose appena sarcastico e bevve un’altra sorsata del
liquido rubino.
“Sono dispiaciuto, ma so che è l’unica cosa giusta da fare. Oltretutto siamo onesti,
probabilmente sarebbe stato comunque uno sbaglio. Non avrebbe funzionato. Non
sei fatta per questa vita e io non sono fatto per avere una compagna, sarebbe
potuto diventare un vero inferno”.
Non sapeva più che dire per condurla sulla strada del ritorno. Non pensava
realmente ciò che stava dicendo, perché a quell’unione lui ci credeva davvero,
ma non poteva e non voleva dirglielo.
Lei ricacciò indietro le lacrime che a tradimento le inumidirono gli occhi.
Perché le parlava così?
“A volte sei veramente troppo duro” gli disse in un soffio.
“Non sono duro. Sono realista” rincarò lui.
“Allora sei anche un gran bugiardo, caro Phantom Franklin Harlock terzo! Perché
con la bocca non parli è vero, ma ogni tuo singolo gesto mi ha detto il
contrario di ciò che stai affermando. Tu mi vuoi proteggere e mi vuoi
allontanare, anche in malo modo se è necessario, ormai ti conosco, ma deciderò
io e solo io della mia vita. E io voglio operarmi!”.
Gli sparò in faccia all’improvviso, senza che lui potesse essere minimamente
preparato ad una simile evenienza. La riteneva assennata e mai avrebbe
immaginato che avrebbe voluto rischiare quasi al cento per cento la sua vita,
solo per poter rimanere lì. Era una cosa dannatamente stupida. Si sentì
mancare. Non le avrebbe permesso di fare una simile sciocchezza.
Mai!
A costo di usare la forza, sarebbe tornata a casa, questo gli fu certo come il
fatto che respirasse.
“Non farai nessuna operazione!” le disse, alzandosi e avanzando verso di lei
minaccioso. “Non rischierai la tua vita per restare qui. Non ne vale la pena”
aggiunse gelido.
“È questo quello che pensi? Che i miei sentimenti non valgano la pena?”.
“Non i tuoi. I miei” le disse lapidario, ferendola a morte con uno sguardo
freddo come la lama di un pugnale.
Era l’unica cosa che avrebbe potuto farla desistere e si giocò la carta più
difficile e dolorosa.
“Bugiardo!” gli disse lei sfidandolo e tremando appena. Il colpo era comunque
arrivato a segno.
“No” le rispose compito. “Ho amato una sola donna: Maya. Non potrò amare
nessun’altra. Con te sono stato bene, ho passato dei bellissimi momenti. Provo
dell’affetto, ma non ti ho mai amata” gli disse, sorprendendosi di come la sua
voce non si fosse incrinata e non avesse avuto neppure una leggera flessione.
L’aveva udita come se fosse stato un esterno: limpida, forte, chiara e molto
convincente.
“Cazzate!” ribatté lei, guardandolo con occhi pieni di dolore, che furono come
un altro stiletto piantato nel cuore per lui.
“No” ribadì secco, avendo ancora la forza di protrarre credibilmente quella
commedia tragica.
“È la
verità. Non ti ho mai amata, per questo non te l’ho mai detto. Non potevo dirti
ciò che non sentivo. Sono un uomo integro, lo sai” le disse molto astutamente.
Continuava a ferirla e questo lo dilaniava, ma l’avrebbe spinta verso la giusta
decisione.
“Bugiardo!” ripeté Joy, ancora con il cuore in gola che le batteva
furiosamente.
Perché faceva così? Sapeva che mentiva, ma il tarlo del dubbio aveva già
cominciato a rosicarle il cuore e la mente, maligno e puntuale faceva il suo
lavoro lento e inesorabile.
“Mi spiace è la verità. Con te sto bene” prese una pausa, perché ciò che stava
per dirle gli costava moltissimo ma doveva farlo anche a rischio di farla
sentire male “Soprattutto fisicamente” disse, come se fosse una cosa da niente,
dandole probabilmente il colpo di grazia “Ma non ti amo” ripeté per la terza
volta. E così sperò di averla convinta ad andarsene.
A Joy si fermò un attimo il cuore. Questo non avrebbe mai dovuto dirlo. Avrebbe
voluto schiaffeggiarlo, ma le mancò la forza fisica di alzare il braccio e
colpirlo, era vinta. Vero o non vero che fosse, la cosa la sconvolse a
prescindere, come osava?
“Sei veramente un mostro!” gli disse alla fine, dirigendosi verso la porta
della cabina, poi si girò e lo guardò decisa e fiera “Di me non hai capito
niente! Se credi di umiliarmi per farmi fare ciò che vuoi tu, sei fuori strada.
Sappi che mi farò operare lo stesso, ora ne sono più convinta che mai. Decido
comunque io della mia vita e della mia salute. E tu, vattene all’inferno!” e
così dicendo, aprì la porta e uscì nel corridoio.
Il chip sfrigolò violentemente, per fortuna aveva le medicine con sé altrimenti
se la sarebbe vista brutta. Lo scompenso emotivo le aveva causato una scossa
più violenta del solito. Fortunatamente la sedò subito. Ma il dolore causato
dalle parole di Harlock rimase tale e quale, stritolandola.
Harlock rimase seduto e bevve ancora un calice di vino.
Si chiese se avesse agito nel giusto modo. Forse non era esattamente quella, la
chiave che cercava. La reazione di lei era stata contraria alle sue aspettative
ed in più, si era molto agitata e arrabbiata, cosa che Heizo, come Zero, si era
raccomandato caldamente di evitare.
Quando si trattava di Joy non riusciva ad essere esattamente lucido, non sempre
almeno.
Gli rimaneva molto difficile mantenere la sua solita calma imperturbabile e
gestire con estrema freddezza le situazioni.
Aveva sbagliato.
Nella sua testa tutta maschile, aveva pensato che facendole credere che non
l’amava, l’avrebbe spinta ad andarsene, ma non era stato così. Aveva agito
troppo frettolosamente, senza riflettere. Lei era molto testarda e non
esattamente stupida. Essendo così addolorato e anche pieno di sensi di colpa
nei suoi confronti, l’aveva sottovalutata, aveva tirato in ballo l’unica cosa
che non avrebbe dovuto, ma ormai indietro non poteva tornare. Doveva correre
subito ai ripari.
Uscì dalla cabina e decise di andare da Tochiro. Chi meglio di lui avrebbe
potuto consigliarlo ed aiutarlo, in una situazione così delicata e difficile da
gestire?
Il suo più caro amico aveva una sensibilità fuori dal comune e lo conosceva più
a fondo di chiunque altro, solo lui avrebbe potuto fargli capire che strada
percorrere e, per poter portare a termine una delle più difficili e dolorose
decisioni che avesse mai dovuto prendere. Si rimproverò di non averci pensato
prima, ma come a volte gli capitava quando si trattava dei sentimenti, perdeva
la bussola e si lasciava trascinare dall’onda della rabbia, o del dolore. Dopo
tutto non era poi così cambiato in cento e passa anni.
Ma come già assodato, le persone non cambiano mai e lui non faceva certo
eccezione.
Tochiro non solo gli aveva parlato, aveva fatto molto di più.
Aveva instillato in lui la scintilla della speranza, e una piccola e debole
fiammella stava appena rischiarando l’antro nero e scuro che si era aperto nel
cuore di Harlock.
Il suo migliore amico e la donna che amava, avevano questo comune tratto: non
si arrendevano mai e non perdevano la speranza, perché senza di essa, la vita
ha meno senso.
Rinfrancato da quella lunga chiacchierata, decise di andare in Plancia. Da lei
sarebbe passato più tardi. La loro discussione era ancora troppo fresca, meglio
lasciarla qualche ora tranquilla e poi andare a parlarle nuovamente.
Stava camminando nei corridoi, direzione Ponte di Comando, quando incrociò
Yama.
Era serio, forse addirittura arrabbiato. La sua espressione era dura e
accigliata.
“Ti stavo cercando!” gli disse, sbarrandogli la strada.
“Sembra che tu mi abbia trovato” gli rispose.
“Dimmi che non è vero!”.
“Che cosa?”.
“Che hai lasciato andare via Ezra! Sei impazzito forse?”.
“So quello che faccio”.
“A me pare di no. Ti rendi conto che potremmo trovarci ogni incrociatore e nave
da guerra della Gaia Fleet addosso, nell’arco di poche ore?”.
“Non accadrà”.
“Tu non conosci mio fratello”.
“Ora è diverso”.
“Perché?”.
Harlock lo guardò, cercando di capire se avesse dovuto o meno dirgli una cosa
tanto brutta. Ma era un uomo ormai e comunque, prima o poi, avrebbe dovuto
saperlo…
“Nami è morta” gli disse calmo.
Yama cambiò espressione e il suo viso passò dallo stupore al dolore, in pochi
secondi.
Tacque, come se volesse realmente metabolizzare quella notizia tremenda e
comprendere se avesse udito bene, poi parlò.
“Come è accaduto?” gli chiese con la voce rotta. Qualcosa nel suo cuore gli
diceva che c’entrava Ezra.
“Credo sia stato un incidente” gli mentì pietosamente. Che scopo avrebbe avuto
aggiungere odio ad altro odio, un dolore inutile che avrebbe fatto da cassa di
risonanza a quello immenso della perdita?
E poi, si trattava di una mezza verità, perché Ezra aveva agito d’impulso, era
certo che non volesse davvero ucciderla.
“Credi davvero? Che tipo d’incidente?” lo incalzò Yama, sempre più convinto dei
suoi dubbi.
“Un ammanco di corrente, un corto circuito” svicolò Harlock “Credimi, tuo
fratello è devastato dal dolore, mi ha chiesto di ucciderlo. Non penso lo
incroceremo mai più sulla nostra strada”.
Yama lo guardò ancora non convinto e ripeté, stringendo i pugni “Tu non lo
conosci affatto. È stato lui!”.
“E allora che vuoi fare? Prendere una navetta ed inseguirlo? Ammazzarlo? Dopo
starai meglio? Ma soprattutto, chiediti: Nami approverebbe un simile
comportamento da parte tua?”.
Yama rimase in silenzio.
“È stato lui…” ripeté a bassa voce.
“Se così fosse, dato che mi ha chiesto di dargli la morte, credo che il rimorso
lo accompagnerà per tutta la vita. Tu ed io sappiamo bene che è una punizione
terribile che succhia dall’anima ogni scintilla vitale. Credo che, come
espiazione, basti, non pensi?”.
Il ragazzo sembrava distante, ma nonostante questo, a sorpresa annuì.
“Va bene” disse quasi distrattamente e si congedò in fretta.
Il Capitano lo seguì con lo sguardo, mentre svelto spariva tra i corridoi
dell’Arcadia. Sperò che non si mettesse nei guai, lui non poteva stargli
dietro, al momento aveva cose ben più gravi da fare e a cui pensare.
Quella
sera Harlock si ritirò dalla Plancia piuttosto tardi. Avevano avuto un’avaria
ai sistemi elettronici di bordo, a causa di un campo magnetico che avevano
attraversato. Yattaran aveva dovuto ripristinare tutto il collegamento di rete
sulla nave e il Capitano aveva dovuto stare al Timone per manovrare manualmente
l’Arcadia.
Finalmente adesso era di nuovo tutto a posto.
Ripristinato il pilota automatico, lasciò la Plancia e si diresse svelto verso
gli alloggi di Joy, dove supponeva di trovarla. Se la conosceva bene sapeva
che, essendo adirata, non sarebbe stata di certo nella loro cabina. Sì, perché
per lui ormai la sua cabina era diventata la loro.
Solo che la biologa non era neppure nella propria, né in laboratorio, né da
nessun’altra parte. Il Capitano cominciò a preoccuparsi. D’istinto, si diresse
in infermeria.
La trovò proprio lì. Zero le aveva appena fatto un’iniezione e ciò voleva solo
dire una cosa: aveva avuto una crisi e anche forte.
Harlock si sentì morire. Pensò subito che fosse colpa sua. L’aveva fatta
arrabbiare. Le andò incontro, per accertarsi delle sue condizioni e notò che
aveva agli occhi gonfi. Aveva pianto e neanche poco. Lei lo guardò, poi abbassò
la testa e si girò dall’altra parte. Era come assente, come se avesse una grave
pena che le opprimesse il cuore.
Gli venne un dubbio atroce. Ma prima, volle assicurarsi che stesse bene. Zero
gli spiegò che aveva avuto uno choc emotivo fortissimo e che le era
iniziata una grave crisi, simile a quella di quell’infausta notte, per fortuna
non era sola ed era stata portata di corsa in infermeria, così lui aveva agito
subito, bloccandola sul nascere.
“Chi l’ha portata qui?” chiese Harlock, senza perdersi in preamboli.
“Yama” gli disse Zero, confermando i suoi sospetti.
Lo sapevo!
Senza aggiungere altro, uscì dall’infermeria furioso.
Trovò il ragazzo in armeria, non gli disse una parola, gli si avvicinò e gli
mollò un sonoro ceffone che lo fece barcollare appena.
“Sei un egoista incosciente!” gli sibilò ancora furibondo.
Avrebbe voluto pestarlo, ma si trattenne, non era un violento e non voleva
farsi sopraffare dalla rabbia o avrebbe commesso l’ennesima sciocchezza.
“Aveva il diritto di saperlo” si ribellò Yama, con la mano sulla guancia che gli
frizzava da morire, gli era andata bene perché un pugno di Harlock avrebbe
fatto molti più danni di quello di Kei.
“Anche a costo di farla morire? Ma ti rendi conto di che stai dicendo?”.
“Ho agito sull’onda dell’emozione, senza riflettere che potesse reagire così…”
ammise, abbassando lo sguardo per poi aggiungere “Comunque sembra che Joy possa
fare qualcosa. Ha detto che tornerà indietro nel tempo e con suo padre troverà
il modo per far sì che questo evento non accada, anzi, sventerà anche
l’incidente nella serra”.
Harlock rimase sconcertato. Guardò incredulo quel ragazzo scellerato.
Era proprio vero che da una cosa sbagliata a volte può nascere qualcosa di
giusto e molto importante. Yama con la sua sconsideratezza giovanile, era
riuscito là dove lui aveva miseramente fallito.
“Sei sicuro di quello che dici?” gli chiese fissandolo intensamente.
“Sì. Avevamo già parlato di questa opportunità ed era stata molto vaga in
proposito, ma dopo aver appreso della morte della sorella ha detto: A
questo punto devo assolutamente tornare indietro. Devo salvarla!”.
“Grazie!” disse Harlock poggiandogli le mani sulle spalle “E scusa per quello
schiaffo, ma te lo meritavi”.
E lasciando il povero Yama completamente basito, si voltò e il mantello, con la
solita eleganza, seguì la sua figura mentre si dirigeva nuovamente verso
l’infermeria.
Quando giunse a destinazione, lei non c’era più. Zero gli spiegò che Joy ora
stava bene e che al momento non c’era più alcun pericolo; quindi, aveva
preferito tornare nei suoi alloggi.
Al Capitano sembrò che per qualche strana ragione non gli riuscisse mai di
arrivare in tempo, in quella strana giornata, che segnava inesorabilmente la
fine di quello che probabilmente era stato il più bel sogno dei suoi ultimi
cento anni…
Sospirò e se ne andò nuovamente. Quando arrivò alla cabina di Joy, si fermò
qualche secondo davanti a quella porta. Tante volte era andato lì e per tanti
motivi diversi, questo era il motivo più doloroso di tutti e per un attimo
sperò che fosse un incubo, uno di quei sogni da cui ti svegli trafelato con la
bellissima sensazione che era tutto frutto dell’inconscio, purtroppo, in questo
caso era invece la cruda realtà. Chiuse l’occhio, trattenne il fiato ed entrò
deciso.
Lei era rannicchiata sul letto, in posizione fetale. Sembrava come se volesse
nascondersi in se stessa. Le si avvicinò, senza dire una sola parola. Si sdraiò
alla meglio accanto a lei e, da dietro, l’abbracciò stretta.
Ci fu un momento di silenzio.
“Hai ragione. Sono un bugiardo… perdonami” le disse piano.
Joy non parlò, si mosse appena, facendo in modo che lui potesse abbracciarla
meglio.
“Ho apprezzato moltissimo che tu non abbia usato la morte di Nami per
costringermi ad andare via…” disse dopo un po’, con un filo di voce.
Lui la strinse ancora un po’ di più, ma lei si girò per guardarlo “Sei un uomo
con una grande sensibilità, ma non le dai mai spazio. Ho capito le tue
intenzioni, ma non puoi ogni volta rinnegare i tuoi sentimenti per piegare la
mia volontà. Non lo fare mai più Harlock, perché questa è l’ultima volta che ti
perdono. Se lo farai ancora, mi perderai per sempre, sappilo” gli disse seria.
Lui annuì dispiaciuto. Solo che non sapeva che dire. Continuare a scusarsi gli
pareva sciocco e anche inutile. Era vero, aveva sbagliato e lo sapeva, sarebbe
stata davvero l’ultima volta, se lo ripromise. Come sempre, glielo avrebbe
dimostrato con i fatti, piuttosto che ribadirlo a parole.
“Ho saputo che hai liberato Ezra”.
“Sì” rispose lui carezzandole i capelli. Stava così male. Dentro sentiva una
voragine senza fine che lo inghiottiva.
Lei gli posò una mano su una guancia “È questo che amo di te. Sai essere
giusto. Sei coraggioso e non solo perché non temi la morte, ma perché hai il
coraggio di essere buono, sai perdonare, sai essere magnanimo, per questo non sopporto
quando non riesci ad aprirti con me. Devi dirmi le cose come stanno. Promettimi
che per quel poco di tempo che ormai ci resta, saremo sinceri e onesti.
Promettimi che sfrutteremo al meglio ogni minuto e che qualsiasi cosa io
decida, tu l’accetterai”.
Lui sospirò forte. “Tutto tranne l’operazione” gli disse sincero.
Lei lo sfidò. “Non sta a te decidere. Se io vorrò morire qui, tu dovrai
accettarlo”.
Lui chiuse l’occhio “Non so se sarei in grado di farlo” ammise, mettendo a nudo
la realtà dei fatti.
Joy si strinse forte a lui “Credi che ti infliggerei un simile dolore a cuor
leggero, credi davvero che ne sarei capace?”.
“No”.
“E allora devi fidarti di me. Promettimi che qualunque cosa io deciderò, tu
sarai al mio fianco e mi spalleggerai, fosse anche l’operazione”.
Qualcosa dentro di lui urlò NO! Ma le sue labbra dissero “Te
lo prometto. Hai la mia parola d’onore”.
Lei capì quanto gli fosse costato assecondarla e sapeva che avrebbe mantenuto
la sua parola, per questo non ritenne giusto lasciarlo consumarsi nel dubbio.
“Ho già deciso. Tornerò nel mio arco temporale non appena sarà possibile” gli
disse, fissandolo dritto nell’iride ambrata che si velò immediatamente di
triste stupore.
Era fatta.
Il loro tempo stava davvero per scadere.