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Autore: Evali    26/12/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Il Dio Sanguinario
 
 
CRAIG
 
Il legno di cui era composta la chiesa di Armelle era vecchio e marcio.
Nulla in confronto ai materiali resistenti e alla maestosità architettonica delle cattedrali di Bliaint, le quali sembravano due mausolei, se messe a confronto con quel buco, maleodorante e privo di grazia.
Craig si fece il segno della croce, accomodato placidamente dentro quella chiesa, la stessa che frequentava sempre fin da bambino e che, per quanto fatiscente e bruttina, conteneva dei preziosi ricordi d’infanzia.
Il suo crocefisso, che mai abbandonava il suo collo, era ora adagiato sulle sue gambe.
- Sei stanco? – quella voce familiare attirò la sua attenzione, facendogli alzare gli occhi verso la fonte, la quale si stava accomodando accanto a lui.
La presenza di padre Archy era stata pari a quella di una figura paterna, nella sua vita.
L’uomo aveva un accennato sorriso stampato sul volto. – Devo ancora abituarmi a riaverti qui.
I preti del suo villaggio natale erano stati così misericordiosi con lui, in onore dell’affettuoso legame che li univa, che gli avevano permesso di rinnegare i propri voti, per vivere come un uomo comune, oltre a non avergli posto domande riguardo al fatto che fosse sparito per quasi un anno, senza fare mai ritorno, mettendo radici in quel villaggio maledetto e leggendario.
Le loro domande, così come quelle di tutti gli inconsapevoli abitanti di Armelle, aleggiavano in aria, senza trovare mai risposta.
Così i loro sguardi. Sguardi dubbiosi, curiosi, giudicanti.
Eppure, Craig non poteva davvero lamentarsi per l’accoglienza che gli era stata riservata, dopo un anno di assenza, nessun contratto commerciale stipulato, e nessuna intenzione di continuare ad essere ciò che non si sentiva più di essere.
Forse, il suo volto era talmente pietoso, da averli mossi tutti a pietà al solo guardarlo, persino i più duri tra loro.
- Sono tornato solo ieri, padre Archy. Avrai tempo per abituarti a riavermi qui – gli rispose placido, senza guardarlo.
L’uomo, dal canto suo, sospirò.
Ahimè, per quanto Craig ci provasse, non riusciva più a non accorgersi dell’immane differenza nell’igiene e nella pulizia tra gli abitanti di Bliaint, e quelli di qualsiasi altro villaggio, Armelle compreso.
Improvvisamente, si domandò se anch’egli puzzasse tanto di sudore, di sporco e di “non lavato”, quando era giunto per la prima volta a Bliaint.
In ogni caso, se anche così fosse stato, nessuno glielo aveva fatto notare.
Gli abitanti di Bliaint lavavano diligentemente il loro corpo ogni giorno, lavavano i loro vestiti e le loro lenzuola ogni giorno, pulivano e sistemavano le loro dimore ogni giorno, ed erano abituati a lavarsi persino i denti, con uno strano elemento che aveva scoperto non essere sapone, bensì una pastosa sostanza bianca perlacea, profumata di fresco, che faceva profumare anche le loro bocche di fresco.
Tutto ciò, senza distinzione tra servi del Diavolo e servi del Creatore.
Gli abitanti di Bliaint avevano sempre un aspetto lindo, profumavano sempre di pulito, tenevano molto all’igiene e alla presentabilità al pari della cordialità, ospitalità e altre buone qualità.
Ad Armelle, invece, non si erano mai curati di cose come l’igiene.
Per entrare nel Regno dei cieli non serviva essere puliti.
La conseguenza a ciò era a dir poco evidente, purtroppo. I loro fiati emanavano un odore rivoltante, i loro denti marcivano già in giovane età, i loro capelli erano spesso unti e poco folti, la pelle colma di imperfezioni, i vestiti palesemente usurati, sporchi e talvolta anche macchiati.
Prima di andare a Bliaint non si era mai accorto di tutto ciò.
Viveva nella totale inconsapevolezza, e non solo per quanto riguardava la cura della persona.
Ora invece… ora che aveva scoperto qualcosa di totalmente diverso, di innovativo, di così giusto, così bello, così sensato… riusciva a scorgere dettagliatamente tutti i difetti della sua terra natia, una terra a cui non sarebbe più stato in grado di uniformarsi.
Perché quella, oramai, non era più la sua terra.
Dopo aver trascorso dieci mesi a lavarsi i denti… smettere di farlo era quasi fisicamente doloroso.
La domanda che voleva porgergli il buon padre la sentiva aleggiargli intorno, sin dal giorno prima.
Ma non gli venne ancora posta.
- Allora, è vero quello che dicono di loro? – gli domandò invece padre Archy, lasciando trapelare un quesito ben più superficiale e infantile, animato da una genuina curiosità pettegola.
- Cos’è che vuoi sapere, esattamente? – gli domandò Craig.
Perché sei rimasto lì tutto questo tempo?
Di che incantesimo sei stato vittima, per voler restare ancorato in una terra straniera, in cui non saresti mai stato visto come benvenuto?
Chi ha attirato la tua attenzione a tal punto, da spingerti a non voler mai più fare ritorno a casa?
- Nulla. Solo se le voci che circolano su di loro corrispondono a realtà almeno un po’: le donne, le serve del Diavolo, sono davvero in grado di far cadere ai loro piedi il sole e la luna insieme? E i servi del Creatore, invece, sono dei mostri che fanno paralizzare la vista al solo guardarli, come si dice?
Craig non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé.
Buffo. Buffo, come l’animo umano volesse sempre sapere prima riguardo la bellezza, più di qualsiasi altra cosa.
La bellezza attirava chiunque, mostri e demoni, uomini e dèi, ninfe e arpie, spiriti e animali.
- Il sole e la luna insieme – ripeté ad alta voce Craig, senza un motivo in particolare. – A Bliaint ho visto donne capaci accecare un essere vivente con la propria bellezza. E non solo le donne – si premurò di aggiungere.
Padre Archy sgranò genuinamente gli occhi scuri. – Gli uomini non posseggono la bellezza, Craig.
Giusto. Ad Armelle tutto ciò che non era donna non era desiderabile.
Di conseguenza… le donne non potevano far altro che rendersi desiderabili.
Qualunque donna non si rendesse desiderabile era una strega.
Qualunque uomo si rendesse desiderabile… non era mai accaduto, e non era neanche da prendere in considerazione.
- Che mi dici del Diavolo, allora?
Lui è classificabile come donna, dunque? – gli pose quella domanda volutamente provocatoria.
- Il Diavolo era un angelo, non un uomo.
È una creatura ultraterrena. Non fare paragoni stupidi – controbatté il prete. – Ed i mostri, invece?
I mostri.
Craig ripensò al dolce sorriso di Hinedia, alla pace che riusciva a trasmettergli.
Poi pensò anche alla fuggevole e sudicia immagine di Naren (un’immagine che fortunatamente non ricordava affatto, per la propria salute mentale), che si sfogava sessualmente come una bestia sui corpi di Blake e di Judith.
E realizzò, come aveva già fatto molte volte, che la mostruosità non si poteva misurare dalla bruttezza del proprio aspetto esteriore.
A Bliaint c’erano tanti mostri. Ma non tutti erano servi del Creatore.
- Sono orribili. Esattamente come dicono – gli rispose. – Tuttavia… devo dire che nel nostro villaggio ho visto gente persino più brutta – aggiunse poi, lasciando il buon prete perplesso.
Quest’ultimo si voltò a guardarlo. Lo sguardo spaesato e al contempo affettuoso, colmo di un tipo di pietà buona, caritatevole e amorevole.
- Non sono qui per giudicarti – gli disse all’improvviso. – Sei stato un mio fratello, davanti a Dio. Nutro un rispetto spropositato per te, Craig Daviston.
- Lo stesso vale per me, padre.
- Ti ho visto crescere, nonostante non ci dividano troppi anni di differenza.
Mi ricordo di te sin dal tempo in cui ti arrampicavi sugli alberi troppo più alti di te per raccogliere le mele, fino al momento in cui hai sentito la chiamata di Dio, e i tuoi occhi si sono illuminati di Fede.
Un fratello, un figlio, un compagno nella Fede.
Questo sei, per me.
Per questo io non ti giudicherò.
Quando io e gli altri padri più maturi abbiamo scelto te, come inviato da mandare a Bliaint, lo abbiamo fatto perché ci fidavamo ciecamente di te, del tuo giudizio, della tua mente salda e forte.
- Vi ho deluso.
- No, non ci hai deluso, figliolo.
Chiunque di noi avrebbe potuto venire abbagliato, da qualsiasi cosa ci sia in quel luogo.
Non parlare come se ci fosse Satana a Bliaint.
Perché sì, probabilmente c’è anche Lui, ma io non l’ho mai visto, e di Lui non mi è mai interessato nulla.
- Io ti conosco, ragazzo mio.
So leggere i tuoi occhi.
E, in questo momento, nei tuoi occhi vedo tanto dolore – proseguì l’uomo. – Un dolore che non ho mai veduto in vita mia. Ora, tale dolore è nei tuoi occhi.
- Vuoi sapere che cosa ho lasciato in quel luogo?
Perché non me lo chiedi?
Perché non mi poni la domanda che tutti mi vogliono porre?
- Qualsiasi cosa tu abbia lasciato lì… è più grande e importante di tutto ciò che ti lega qui.
Una lacrima gli rigò la guancia nell’udire tali parole. Se la asciugò subito, ma venne immediatamente rimpiazzata da un’altra.
- Tua madre è molto malata, oramai da anni, Craig.
Hai avuto modo di darle l’ultimo saluto, tra ieri e oggi.
Tuo padre è perito prima della tua nascita. Non hai alcun parente in vita.
A parte la buona gente fedele di questo villaggio, che si rivolgeva a te per le confessioni… non c’è nulla che ti lega ad Armelle.
Persino noi, che siamo stati i tuoi fratelli nella Fede, che abbiamo vissuto, mangiato e pregato con te, sento che non siamo all’altezza di tutto ciò che ti sei lasciato indietro, in quel villaggio.
Nulla lo è.
Nulla lo sarà mai.
- Mi stai dicendo di tornare indietro, padre?
Mi stai dicendo di rinnegare le mie origini, per trascorrere la vita in un villaggio straniero?
Un villaggio che è diventato la mia casa più di quanto questa lo sia mai stata?
Un villaggio colmo della risata sguaiata di Quaglia?
Un villaggio che rinasce con i dolci occhi di Hinedia?
Un villaggio che si illumina quando Ioan sorride?
Un villaggio che vive di vita propria quando Judith apre gli occhi al mattino?
Un villaggio che si anima e rimbomba come un cuore umano, ogni volta che Blake cammina sopra di esso?
- Sì, è proprio quello che ti sto suggerendo, figliolo.
Se Dio ti ha portato lì e ha fatto in modo che ci restassi per tutto questo tempo… allora Dio ha dei piani per te, lì.
E anche se non li avesse… oramai non sei più un uomo di Dio. Sei libero di vivere come preferisci. Non hai più alcun obbligo verso il tuo villaggio natale.
Non devi nulla ad Armelle, figliolo.
Dunque, non sprecare la tua giovane vita rinnegando qualcosa che ami.
Non voglio vederti rovinarti in questo modo.
- Se decidessi di ripartire per tornare lì… - azzardò Craig, posando gli occhi disperati verso padre Archy. – Non vi rivedrò più. Lascia che rimanga qui per una settimana almeno. In modo che io possa decidere se il mio cuore è davvero pronto, a tornare lì. Intanto, trascorrerò del tempo con la mia vecchia famiglia, qui – propose Craig, guadagnandosi una risata sincera da padre Archy.
- Oh, figliolo, sarebbe un’idea magnifica!
Tuttavia… temo che, se non partirai il prima possibile… sarà troppo tardi.
- Cosa intendi? – gli domandò Craig, ora confuso. – Parla.
- Girano voci, sul fatto che i soldati di quel conte straniero approdati sul nostro continente… siano quasi giunti a Bliaint.
- Impossibile. Erano fermi a Carbrey.
- Lo erano. Sono ripartiti. Carbrey dista molto poco da Bliaint. Quasi quanto vi dista Armelle.
Se giungeranno lì… non so cosa accadrà alle persone che ami, figliolo.
Da una parte vorrei che tu restassi qui, al sicuro… dall’altra, so che, se vivessi con la consapevolezza di non esserci stato, quando Bliaint verrà rasa al suolo, ciò ti distruggerebbe da dentro, facendoti crollare.
Craig scattò in piedi, il corpo divenuto un unico fascio di nervi impazziti.
- Le voci non dicono che un’altra nave è approdata…? Una nave proveniente dall’oriente.
Le truppe di Ruben avrebbero dovuto già essere lì.
Avrebbero dovuto…
- No. Nessuna nave proveniente da oriente, in nessun porto.
Se partirai oggi stesso, con un cavallo… forse riuscirai ad arrivare prima dei soldati stranieri.
Craig non ci pensò un secondo.
Sapeva già cosa fare.
Era stato uno stupido, infinitamente, assurdamente stupido e ingenuo.
Come poteva aver pensato, anche solo per un momento, che Bliaint fosse al sicuro?
Era convinto che le truppe di Ruben sarebbero arrivate in tempo.
Ne era certo, le predizioni di Ephram non sbagliavano quasi mai.
Come aveva potuto essere tanto ottimista, illudersi a tal punto?
Con il cuore in gola, ripreparò il suo sacco con le provviste e i viveri necessari per il viaggio.
Si diede il tempo di salutare solo padre Archy, poi montò a cavallo, sulla puledra più vispa e veloce che lo stalliere del villaggio aveva a disposizione, diretto verso l’unico luogo che sentiva appartenergli.
Per la prima volta dopo giorni, ripregò Dio.
Ripregò Dio, e per la prima volta in assoluto, pregò anche il Diavolo.
Li supplicò di arrivare in tempo, di arrivare prima di loro.
Padre Archy aveva ragione, più nulla gli sarebbe importato. Tutto ciò che voleva, era trascorrere gli ultimi momenti con loro.
Avrebbero trovato un modo per nascondersi, per fuggire, avrebbe trovato il modo di frantumare l’orgoglio di “popolo eletto” che li ricopriva, e di far risplendere sulle loro menti il lume della ragione, del buon senso, dell’istinto di sopravvivenza.
Avrebbero trovato un modo, una soluzione, se Ruben non fosse giunto in tempo.
Avrebbe combattuto lui stesso per proteggerli, a mani nude, se fosse stato necessario.
Vi prego…
Vi prego, ascoltate la mia ultima richiesta.
Permettetemi di giungere lì in tempo.
Per confessargli quello che non ho mai avuto il cuore e l’audacia di confessargli.
Ora sono pronto.
Quattro giorni dopo, sorpassò i confini di Bliaint con la puledra in procinto di stramazzare a terra per il ritmo inumano della cavalcata.
Craig scese da cavallo e si diresse verso la dimora che aveva imparato a chiamare casa.
Bussò alla porta per cinque minuti filati, ma nessuno aprì.
Pensò che stessero dormendo, in fondo era sera e la strada era semivuota.
Sin troppo vuota.
- Perché bussate alla porta? – gli domandò una donna, l’unica che passava da quelle parti in quell’istante. Ella lo fissava sbigottita, come se lo stesse guardando dare da mangiare a degli avvoltoi.
- Cosa intendete? – le domandò l’uomo, facendo un passo verso di lei.
- Non lo sapete?
- Sapere cosa…?
- La casa del proprietario della galleria è vuota ormai: Blake è stato arrestato e imprigionato dai monaci. Lo giustizieranno domani mattina.
 
- 12 ORE PRIMA -
 
JUDITH
 
- Aaaaaaaaaah! – urlò a squarciagola la ragazza, mentre i monaci più robusti la trasportavano dentro una stanza sotterranea, la più attrezzata di entrambe le cattedrali, per i parti.
Judith si dimenava disperata, in preda ai dolori del parto.
Era da un giorno intero che era iniziato il travaglio.
Un travaglio lungo e sfinente, che non sapeva quando avrebbe avuto fine.
Alcune donne dicevano che il travaglio poteva durare anche più di tre giorni.
Judith sperò che non fosse il suo caso, altrimenti si sarebbe tolta la vita prima.
Quel dolore era il più inumano che avesse mai provato e si domandò più volte, durante quelle lunghe ore, per quale motivo il Creatore avesse deciso di rendere la nascita di una nuova vita tanto dolorosa per gli esseri umani.
Il Creatore doveva essere un sadico, esattamente come aveva sempre pensato.
Un sadico che odiava le donne, in particolare.
Si dimenò e sgambettò, urlando disperata, mentre i monaci stentavano a tenerla ferma.
La adagiarono su un letto spoglio, dentro quella specie di cripta buia, che venne immediatamente illuminata dalle fiaccole.
- Sta’ calma, Judith! – cercò di rassicurarla padre Petrit, stringendole la mano. – Presto questo dolore finirà!
Judith avrebbe voluto ridergli in faccia, ma continuò ad urlare.
La levatrice del villaggio era morta di recente, a causa della febbre gialla.
Dunque, essendo l’unica donna rimasta in grado di far nascere bambini, Bliaint era rimasta senza nessuno in grado di farla partorire.
Una situazione tra le più rosee.
I medici del villaggio non volevano prendersi la responsabilità di far nascere tre gemelli, non avendo le competenze giuste per far partorire una donna.
Dunque, gli unici che potevano aiutarla, erano essenzialmente i monaci.
- Vedrai, dentro la biblioteca troveremo sicuramente qualche libro di medicina, che ci istruirà sul da farsi! – cercò di rassicurarla padre Thomas.
Judith urlò ancora, piangendo dal dolore.
- Ora cerca di rilassarti, cara… La tua apertura non è ancora dilatata.
Judith lo guardò negli occhi, trovando la forza di parlare:
- Il padre dei miei figli… è venuto a cercarmi, nel corso degli ultimi giorni? – domandò, con voce rotta e dolorante.
- No – mentì padre Thomas.
Judith affilò lo sguardo. Nonostante fosse sofferente, riusciva ancora a capire quando gli uomini che l’avevano cresciuta le mentivano. – Siete sicuri…? Blake non ha mai chiesto di me, nonostante sappia che ho raggiunto la data del parto?
- No, mai – ripeté l’uomo.
A ciò, nonostante il dolore la stesse uccidendo neanche troppo lentamente, Judith colse quell’occasione di estrema criticità per farsi strappare una promessa:
- Non importa…
So che state aspettando che io partorisca per approfittare della situazione e imprigionarlo… avete intenzione di giustiziarlo, da diverso tempo…
Siete come dei libri aperti per me…
- Judith…
- No, ascoltatemi! – urlò, prendendo padre Thomas per la tonaca e portandoselo più vicino, con violenza. – Io non vi permetterò di toccarlo. Sono stata chiara? Anche se dovessi morire durante il parto, farò in modo che voi non sfoghiate le vostre frustrazioni e il vostro odio su di lui.
Quando i gemelli saranno nati… se scoprirò che voi lo avete fatto bruciare al rogo mentre ero impegnata a partorire… porterò via i miei figli da Bliaint… e con loro, me ne andrò anche io. Non mi rivedrete mai più.
- Judith, non puoi farlo…!
- Posso, e lo farò.
Mi autoesilierò.
E anche se dovessi morire nel metterli al mondo… vi sarà qualcun altro a portarli via di qui, per me, qualcuno perfettamente in grado di fare le mie veci – disse con decisione di ferro, nonostante la voce tremante dal dolore.
I suoi occhi erano fuoco puro, fuoco di insania.
Padre Thomas e padre Petrit ne furono spaventati e paralizzati.
- Promettete… che non toccherete Blake.
- Lo promettiamo.
- Bene. Ora lasciatemi urlare a squarciagola in pace. Uscite di qui.
 
 
MONA
 
I singhiozzi di Gwen coprivano qualsiasi altro rumore, in quella casa: il rumore del coltello che pelava nervosamente decine e decine di patate, il vociare delle persone fuori dall’abitazione, che si accingevano a fare compere al mercato.
Mona scostò la tenda della finestra, osservando il movimento della gente, fuori casa.
La ragazza aveva un occhio nero, tumefatto, e diversi altri ematomi sparsi lungo il bel corpo.
Sua madre non aveva preso bene la notizia dello stupro di massa, e, naturalmente, se l’era presa non tanto con i violentatori, quanto con la figlia stessa, la quale non avrebbe dovuto partecipare a quel matrimonio a prescindere.
Nonostante Mona, né nessun’altra delle vittime, potesse lontanamente prevedere cosa sarebbe accaduto quella notte, dopo i festeggiamenti, la matrona della casa era moralmente obbligata a punire le proprie figlie, a mortificarle, qualsiasi disgrazia accadesse.
Questi erano sempre stati gli insegnamenti in casa sua: devozione totale verso il Signore, divieto di intrattenere qualsiasi contatto con i servi dell’altro credo, rispetto, obbedienza assoluta alle autorità.
La madre continuava a tagliare nervosamente le patate, mentre la più piccola piangeva, seduta al tavolo.
- Smettila di frignare, Gwen – le ordinò la donna, scocciata.
La bambina, a ciò, tirò su col naso. – Non riesco a smettere… - confessò.
- Il mare è pieno di pesci – commentò freddamente la donna. – Ne troverai un altro, bello come lui e sicuramente più devoto al Signore: quella famiglia non ha una buona fama.
Mona non ne poté più: la madre poteva scagliarsi contro di lei tutte le volte che voleva, ma non poteva permetterle di trattare in tal modo Gwen. – Vuoi smetterla? – ebbe l’audacia di dirle, spingendola a voltarsi verso di lei, con occhi spiritati e rabbiosi.
- Che cosa hai detto, ragazzina? – le rispose sua madre, facendola tremare, al ricordo di quelle mani ruvide e brutali sulla propria pelle.
- Smettila di prendertela con lei.
Le piace un ragazzino, della sua età, un servo del Diavolo, esattamente come noi.
Non ha fatto nulla di male. È normale che Ioan le manchi.
Avrebbero dovuto vedersi da giorni, ma di lui non c’è più alcuna traccia.
Perché non riesci a provare un po’ di compassione o empatia per lei? – continuò la ragazza, vedendo gli occhi di sua madre iniettarsi di sangue sempre più.
- E tu cosa ne sai del provare attrazione verso qualcuno, svergognata?? – iniziò ad alzare la voce, raggiungendola a grandi falcate. Mona si riparò con le mani, ma non servì a nulla: la donna le mollò un feroce schiaffo sulla guancia, giusto per scaldarsi un po’.
Gwen urlò di spavento.
- Ti sei fatta stuprare da quei rifiuti umani!
Loro non possono toccarci! Lo dicono i libri sacri!!
Meriteresti il rogo, tu e quei maniaci!!
- Non sono stata l’unica a subire un trattamento del genere!!
Eravamo incoscienti, tutti noi!
Te l’ho già detto, mamma! Hanno approfittato di noi quando non eravamo in noi, eravamo tutti drogati pesantemente!! Come posso fartelo capire?? – urlò, mentre la donna le tirava i capelli, sorda ad ogni sua parola, come lo era sempre stata.
- Dovevate fare più attenzione!!
Adesso il tuo spirito è corrotto, perché ti sei fatta toccare dai servi del Creatore!!
Tutto di te è corrotto!! Da buttare via!
Con che coraggio cercherai un marito, dopo quello che ti sei fatta fare?!
- Te lo ripeto: eravamo decine e decine! Non sono stata l’unica a venire abusata!
Non potevamo ribellarci, non ne eravamo in grado!!
- Mamma, ti prego, lasciala… - la supplicò Gwen, dal tavolino.
- Tu sta’ zitta! Ne ho anche per te, se vuoi!
- Se devi prendertela con qualcuno, prenditela con me! Non con una bambina che piange perché le manca il suo giovane amore! Gwen non ha colpe!
- Allora perché non vai in casa Rolland e non chiedi al fratello o alla madre per quale motivo quel piccolo disgraziato non si è fatto più vedere né sentire??
- Per gli Inferi, è un bambino, mamma! Potrebbe essergli accaduta qualsiasi cosa!
- Allora va’ da loro e chiedi di vedere Ioan, fa’ le veci di tua sorella!
Se davvero Gwen ci tiene tanto a lui, lo sposerà tra qualche anno! Devo essere sicura che andrà in sposa a un ragazzo per bene, e non ad un mascalzone che si dimentica di lei da un giorno all’altro!
Va’, almeno sarai utile a qualcosa! – esclamò tirandole ancora i capelli, facendola urlare di dolore. – Ricorda una cosa, Mona: finché il tuo animo non compirà un gesto di giustizia, di coraggio, di fede estrema e di onore, la tua anima macchiata non troverà mai pace e non sarà mai accetta al nostro Signore!
- Che cosa intendi…?
- Che il Signore ti disprezza.
Perché i servi del Creatore ti hanno disonorata.
Quindi, ora, devi fare qualcosa per riscattarti.
Se non lo farai… quando morirai, la tua anima soffrirà pene e dolori fino all’eternità, in quanto il Diavolo non ti accoglierà tra gli eletti che siederanno al suo fianco!
Ti rigetterà! Finirai come i due amanti suicidi! Anzi, peggio!
- No! No, non è vero!
- Sì, invece!
E ti disconoscerò anche come figlia!
Io non la voglio, una figlia impura.
Tutto ciò che toccano i servi del Creatore è impuro.
Dunque, trova il modo di riscattarti, prima che sia troppo tardi, squilibrata!! – concluse la donna, strattonandole la chioma di capelli un’ultima volta, per poi lasciarla andare, facendole perdere l’equilibrio e cadere a terra.
Quando la donna si fu allontanata da lei, Gwen corse subito in aiuto della sorella, aiutandola a rimettersi in piedi.
Gli occhi tumefatti di Mona erano cosparsi di lacrime, mentre accettava l’aiuto della sorellina.
- Ti ho appena detto di sbrigarti ad andare in quella casa di disgraziati e di chiedere di Ioan!
Non ne posso più di sentire tua sorella lagnarsi per quel ragazzino!
Mona si rimise in piedi, e, con lentezza provocata dal dolore degli strattoni e dei colpi ricevuti anche nei giorni precedenti, prese il mantello e uscì di casa, diretta verso l’abitazione dei Rolland.
E mentre la giovane donna camminava, un solo pensiero riempiva la sua testa plagiata e annientata:
Riscatta la tua anima.
Fa’ qualcosa di onorevole, di estremamente giusto.
Dimostra che la tua Fede supera ogni cosa, e la tua anima si salverà.
 
 
 
QUAGLIA
 
Più si sforzava di comprenderlo, maggiormente quel ragazzo sfuggiva al suo controllo.
Erano giorni che provava a vedere Judith, senza successo, a causa dell’irremovibilità dei monaci.
Al contempo, erano giorni che Ioan era scappato, raggiungendo il porto, da cui sarebbe partita la nave che avrebbe dovuto portare i due fratelli lontano da lì. Al sicuro.
Eppure, l’anello di tracciamento che indossava Ioan indicava che la nave era ancora al porto. Non era partita. A quanto pareva, Ioan era riuscito a convincerli ad aspettare, ad aspettare fin quanto fosse necessario, l’arrivo di Blake.
Dunque c’era ancora speranza per lui. C’era ancora una possibilità. Di scappare, di salvarsi.
Eppure, il ragazzo era ancora lì.
E vedendolo lì, impegnato ad alimentare il fuoco nella fornace della fucina ardente, a Quaglia vennero dubbi riguardo il fatto che fosse ancora lì solo per Judith.
Lo era anche per lei, sicuramente, ma c’era dell’altro.
C’era sempre dell’altro, quando si trattava di quella creatura.
Quaglia, a volte, si domandava se fosse davvero un semplice ragazzo di diciassette anni, come diceva di essere.
Sembrava esserlo, in tutto e per tutto: la sua carne era calda, morbida, sanguinava e provava dolore.
Quaglia lo aveva sentito e visto.
Eppure… quando lo vedeva dentro quella fucina, era come se non fosse mai stato umano.
Una polvere spessa e nera era sul palmo delle sue mani, e la toccava e maneggiava come fosse cosa di poco valore.
L’arma più pericolosa della loro era, saggiata da mani umane, come fosse semplice sabbia colorata.
- Non vuoi andartene via di qui? – gli domandò Quaglia.
Oramai né la trasmutazione dell’anima, né quella dei metalli, avevano più importanza.
Nulla aveva più importanza, considerando quanto fossero vicini i soldati del conte.
Ogni minuto in più che restava a Bliaint… era un minuto che lo avvicinava alla morte, o al suo rapimento.
Eppure, Blake se ne restava lì, a fare quello che aveva sempre fatto: sovvertire le regole della natura. Non sembrava affatto preoccupato della propria incolumità. Oppure, semplicemente, l’insania aveva preso il sopravvento in lui. Quaglia non l’avrebbe esclusa come ipotesi.
Blake alzò finalmente gli occhi innaturalmente illuciditi su di lui. – Più di qualsiasi altra cosa al mondo – disse il vero.
- Allora perché sei ancora qui? – gli domandò l’uomo, avvicinandoglisi, tradendo l’apprensione nel tono di voce. – Siamo rimasti solo io e te in questa casa, Blake. Se ne sono andati tutti. Ma l’unico che se ne sarebbe dovuto davvero andare… è ancora qui. Perché sei ancora qui? Sai bene che i monaci non saranno più ragionevoli e misericordiosi con te domani, dopodomani, o il giorno avvenire. Sai bene che non potrai rivedere Judith. Allora perché sei ancora qui?? La nave che Myriam ha preparato per te ti sta ancora aspettando… hai ancora la possibilità di andare, di raggiungere Ioan.
Di avere salva la vita.
Di contro, Blake sembrò quasi non udirlo, mentre le fiamme della fornace divampavano sempre più violentemente.
Il ragazzo infilò nuovamente le mani dentro la polvere nera.
- Un modo per salvarci tutti ci sarebbe – disse improvvisamente. – Ci ho pensato spesso, negli ultimi giorni – continuò guardandolo. – Ti rendi conto… che basterebbe spargere questa – fece una pausa, continuando a vezzeggiare quella polvere calda e mortale – ovunque… e i soldati salterebbero in aria in meno di uno schiocco di dita? L’unico problema… è che salteremmo in aria anche tutti noi.
Eppure, sarebbe un destino migliore, rispetto a quello di venire depredati, rapiti, fatti schiavi, o massacrati. Non credi?
Il suo tono di voce impauriva.
- Se davvero esiste qualcuno, qualcuno di più grande di noi che mi ha condotto fino a qui, e che mi ha portato a scoprire quest’arma… - riprese sprezzante. – allora, forse è un segno. Un segno che io debba usarla in questo modo, per salvare tutti.
Quaglia, per quanto ci provasse, non riusciva a dargli torto.
Non riusciva a non riconoscere quanto avesse ragione.
Eppure… se si fossero fatti saltare tutti in aria… non avrebbe potuto rincontrare suo figlio. Suo figlio che, disgraziatamente, era in ritardo.
- Tu ti prenderesti una responsabilità come questa? – gli domandò l’uomo, fissandolo negli occhi. Le fiamme della fornace accanto al ragazzo disegnavano degli strani giochi sulle sue iridi brillanti, illuminandoli come diamanti.
- Tu te la prenderesti? – gli rivoltò la domanda Blake.
- No.
Se dipendesse solo da me… forse lo farei. Per salvare tutti.
Ma l’idea di uccidere più di un centinaio di persone inconsapevoli, che non hanno scelto questo… mi perseguiterebbe fin nell’aldilà.
- “L’aldilà”… - lo imitò Blake, sorridendo disilluso. – Non è quella la mia paura.
- E allora perché non lo fai?
- Perché non tutti desiderano morire tramite le fiamme.
Molti preferirebbero perire tramite un colpo di spada.
Dunque, chi sono io per privarli di tale volontà?
- Tu ti faresti saltare in aria pur di scampare a tutto questo? – gli domandò Quaglia.
- Sì.
- Lo faresti… ma hai ancora una scelta.
- Una scelta che altri non hanno.
Quella nave dovrebbe essere lì in attesa per tutti noi, non solo per me.
- I discorsi moralisti non ti si addicono, Blake.
Fortunatamente, hai sempre avuto un angelo custode che ha vegliato su di te. Un angelo dalla pelle scura, più pericoloso di un plotone battagliero, in possesso di una magia potentissima.
- Un angelo che ha scelto di proteggere solo me.
- Perché non avrebbe potuto fare altro… l’incantesimo di protezione è stato annullato quando Imogene ha deciso di lasciarci. La magia non basta per proteggere un intero villaggio da truppe addestrate a depredare e a trucidare.
Blake posò la teca contenente la polvere nera davanti a Quaglia. – La decisione è tua.
- Ti ho già detto che non lo farei.
- Prenditi del tempo per pensarci.
- E intanto… tu cosa farai? Perché sei di nuovo qui, Blake? Cosa stai cercando tanto fervidamente, da tutta la vita?
A ciò, il ragazzo gli si avvicinò a grandi falcate.
Quaglia se lo ritrovò improvvisamente a qualche centimetro di distanza dal suo viso, che lo guardava dall’alto.
Il suo sguardo era quanto di più doloroso si potesse osservare: disperato, allucinato, con una determinazione disillusa negli occhi luminosi, una forza d’animo che non aveva ancora raggiunto il suo climax, ma che, quando l’avrebbe fatto, Quaglia era certo si sarebbe sgretolata, divenendo polvere al vento.
Quella ricerca lo avrebbe distrutto.
Provò l’implacabile istinto di chiedergli perché non riuscisse a trovare la pace.
Perché il suo animo fosse così… irrequieto.
Quaglia lo fissò negli occhi, venendone stregato.
- Io devo provarci – gli disse solamente, quella creatura a tratti ultraterrena, a tratti troppo umana.
- È davvero così importante per te…? – gli rispose Quaglia, tremando di consapevolezza, di commozione, di amara tristezza.
- Devo scoprire se posso farlo – aggiunse Blake, sempre con quella voce inumana.
Fu a quel punto che Quaglia sentì di dover tentare il tutto e per tutto, per capirlo, per comprenderlo, una volta per tutte.
Aveva voglia di svelare l’oscuro mistero che era Even Blake.
Solo allora si sarebbe dato pace.
Così lo prese per le spalle e lo strattonò brutalmente, sperando di scuoterlo almeno un po’. - Perché?!? Dimmi perché!! Io sono qui, per ascoltarti!!
Vengo da una famiglia di sette generazioni di alchimisti, Blake!!
Eppure, nessuno di loro è mai stato accanito come lo sei tu, nei confronti della ricerca dell’impossibile!!!
Nessuno ha mai voluto sovvertire tutto ciò che domina l’equilibrio dell’universo quanto lo vuoi tu!!
Perché lo vuoi?! Chi ti costringe a farlo?!? Stai rischiando la vita per ottenere che cosa???
Blake non si ribellò da quella presa e stretta, restando inerme tra le sue braccia, facendosi maneggiare come una bambola di pezza, ma continuando a guardarlo dritto negli occhi, mentre l’altro gli urlava contro.
- La trasmutazione. Devo scoprire se posso farlo davvero.
Non lo so il perché.
- Non lo sai??
- Non lo so.
Devo farlo. Devo riprovarci.
Non riesco ad oppormi, non ce la faccio – la nota di disperazione nella sua voce spinse Quaglia a smettere di strattonarlo.
- E se dovessi riuscirci? Una volta che l’avrai fatto, cosa succederà…?
- Raggiungerò la nave.
- No, non è vero.
Non troverai pace.
Perché tu sei così, ti getti nel fuoco senza pensare alle conseguenze, non sei minimamente interessato alla tua incolumità.
Hai una volontà di ferro, ma insensata, invadente, assurda.
Hai qualcosa di umano, Blake? – lo stringeva ancora per le spalle. La sua pelle sotto i vestiti era calda, sin troppo, essendo stato tanto vicino alla fornace.
Era come se tutta la volontà del mondo gli stesse pulsando tra le mani, dal momento in cui aveva stretto le spalle di quel ragazzo.
Tutta la volontà del mondo, racchiusa in un solo corpo.
Non è assurdo?
Se quella volontà mastodontica si fosse spenta, probabilmente anche il mondo sarebbe morto con lui.
Per questo avrebbe quasi preferito che il conte lo prendesse con sé, piuttosto che i monaci lo uccidessero prima.
La trasmutazione dei metalli non era una semplice trasformazione del piombo in oro.
Solo in quel momento Quaglia lo comprese.
La trasmutazione era un modo per dimostrare all’uomo che il proprio potere è illimitato.
Che non c’è nessun dio, nessuna entità superiore, che governa le nostre azioni, che ci limita e decide per noi.
Solo l’uomo.
L’uomo che è capace di fare tutto ciò che vuole, di contenere le leggi della natura nel suo palmo e stringere fino a polverizzarle.
L’uomo che è in grado di toccare il sole, di cambiare posizione alle stelle, di smuovere il mare, di far eruttare un vulcano o disintegrare una montagna.
Questo era quello a cui auspicava Blake, sin dal giorno in cui era venuto al mondo.
Gli dèi lo temevano e gli uomini lo odiavano.
Ma a lui non importava.
Blake era sempre stato Adamo ed Eva insieme, perseguitato e odiato da un Lucifero che si era sentito tradito, e da un Creatore che lo disprezzava.
Senza Blake, il mondo sarebbe stato costretto a sottostare a delle entità più grandi di loro, fino alla fine dei tempi.
Senza creature come Blake, erano tutti destinati all’obbedienza, alla schiavitù.
La realizzazione invase i suoi occhi nel momento stesso in cui le iridi del ragazzo vennero illuminate da una vampata di fuoco più lucente delle altre.
- Ho capito – spirò Quaglia, faticando a lasciargli andare le spalle.
Era come se, nel momento in cui lo avesse fatto, il ragazzo sarebbe volato via.
Blake gli rivolse uno sguardo di cruda riconoscenza, gli angoli della bocca si alzarono, ma il suo volto rimase distrutto e distaccato.
- Puoi andartene, se non vuoi assistere – gli disse.
- Ma io voglio assisterti.
D’altronde, mi hai portato qui a Bliaint per essere il tuo assistente, no? – replicò, sorridendogli come avrebbe fatto ad un figlio o ad un fratello.
Rimarrò affianco a te per fare in modo che tutto questo non ti prosciughi e trascini via.
Ti assisterò. Fino alla fine, fratello.
Fu così che Blake sfuggì alla sua presa e tornò dinnanzi alla fornace, sul tavolino in cui riposavano tutta la strumentazione che gli serviva, insieme al recipiente colmo di piombo fuso.
Dalla tasca, il ragazzo tirò fuori una pietra grigio-bluastra, dalla particolare pigmentazione metallizzata.
Nessuna magia, nessun incantesimo, nessuna invocazione.
Solo fuoco, carbone, metallo e una gemma.
Fu come se il ragazzo uscisse fuori di sé, mentre compiva quel miracolo.
Il miracolo che gli attribuivano sin oltreoceano, e per cui stava rischiando la vita e la libertà.
Quaglia lo guardò allucinato, per tutto il tempo.
Puoi riuscirci.
So che puoi farlo.
Sei l’unico che ne è in grado.
Il rumore delle fiamme della fornace sovrastò tutto il resto.
Non soffiava più il vento, né il sole calava all’esterno.
Tutta la vita dell’universo era contenuta in quella fucina.
E Quaglia si sentì fortunato, indicibilmente fortunato, nel poter assistere a tutto ciò.
Ad un tratto, come in un sogno, il colore e la consistenza del piombo dentro il recipiente, erano totalmente mutate:
Il nero era diventato oro.
Oro, luminoso, brillante, purissimo.
La gemma che teneva in mano poco prima Blake, invece, era scomparsa.
- La creatura aveva ragione… - sussurrò il ragazzo, non credendo ai suoi stessi occhi. – Aveva ragione…
- Blake…
- Ci sono riuscito.
Ne sono in grado.
Ho fatto la trasmutazione, Quaglia.
Ora cambierà tutto.
Tutto quanto.
Quaglia dovette avvicinarsi, perché era certo che la sua vista lo stesse ingannando:
Ma dentro quel recipiente c’era davvero l’oro.
Quel metallo desiderato ardentemente da ogni uomo presente sulla faccia della terra.
Da tutti, eccetto Blake.
Blake, che aveva compiuto il miracolo solo per dimostrare a se stesso che avrebbe potuto fare tutto, cambiare tutto. E che non aveva bisogno dell’approvazione e dell’aiuto di alcuna entità ultraterrena, per sovvertire l’ordine della natura.
Lui stesso era tutto ciò che gli serviva.
Lo studio, l’intelligenza, la logica, la ricerca.
Con questi doni, l’uomo era onnipotente.
Blake voltò il viso verso Quaglia, per la prima volta dopo aver compiuto il “miracolo”, ma si paralizzò nel momento stesso in cui individuò qualcosa, o meglio qualcuno, alle spalle dell’assistente.
Quaglia si voltò di scatto a sua volta, trovando dietro di sé, ferma e immobile, in piedi alla fine della scalinata, una bellissima giovane ragazza che aveva un aspetto vagamente familiare.
Non avevano chiuso la porta della fucina.
A quanto pare, si erano dimenticati di chiudere qualsiasi porta, troppo presi per ciò che stavano per fare.
Inoltre, il rumore sovrastante provocato dalla fornace aveva coperto qualsiasi eventuale suono che potesse indicar loro che qualcuno si fosse introdotto in casa e che stesse scendendo le scale della fucina, attirato da quel frastuono.
Blake aveva guardato sempre il recipiente, Quaglia non aveva mai staccato gli occhi da Blake.
Erano stati stupidi, distratti, ed ora il danno era fatto.
La ragazza se ne stava in piedi, come una statua di sale, il volto illuminato dalle lingue di fuoco, gli occhi esterrefatti, le labbra socchiuse, sconcertate.
Guardava il recipiente colmo d’oro, l’oro che prima era stato piombo, agghiacciata.
- Mona… - sibilò Blake, talmente piano che la sua voce venne coperta dal rumore del fuoco. Era totalmente incredulo anche lui, di vedere quella ragazza lì.
Una ragazza estremamente bigotta e devota, che aveva visto compiersi il miracolo.
- Ciò che hai fatto qui dentro, Blake… è uno scempio – furono le parole della ragazza, spiritate, quasi estranee a se stessa. I suoi occhi erano colmi di lacrime. – Verrai punito, per questo.
Detto ciò, Mona risalì le scale e si accinse ad uscire di casa.
Quaglia la rincorse, per fermarla, per bloccarla, addirittura per legarla e imbavagliarla se fosse stato necessario, pur di farla stare zitta.
- Ferma! Fermati!! – gridò risalendo le scale a sua volta, ma la voce di Blake lo fece paralizzare.
- No! – esclamò il ragazzo.
Quaglia si bloccò a mezza scalinata, guardandolo a distanza, contrariato. Egli era sempre accanto al recipiente, avvolto dalle lingue di fuoco, non aveva mosso un muscolo.
- Che significa “no”…? Andrà dai monaci a denunciarti! Ti porteranno via e ti giustizieranno se dovessero venire a saperlo!
- Lasciala andare.
- Blake…?
Il bellissimo volto del ragazzo era fuori dal mondo. – Lasciala andare.
Accadde tutto in meno di un’ora:
Dopo trenta minuti, i monaci si presentarono in massa a casa loro e lo portarono via.
Prima di venire trascinato via, con la falsa accusa di aver utilizzato impropriamente la magia, Blake guardò Quaglia negli occhi e gli fece solo due richieste:
“Accertati che Judith sia viva e stia bene dopo il parto.
Fa’ in modo che Ioan salpi su quella nave il prima possibile.”
Rimasto solo in quella casa funerea, Quaglia poggiò gli occhi sul sacco contenente la polvere nera, maneggiato poco prima da Blake.
“La decisione è tua”
 
- LA MATTINA SEGUENTE -
 
AMBROSE
 
Era l’alba.
In mezzo alla piazza principale del villaggio faceva bella mostra, come sempre, il soppalco.
La sera prima era stato annunciato che si sarebbe tenuta un’esecuzione quella mattina, la prima dopo Beitris, quindi, di fatto, la prima esecuzione al rogo dopo mesi.
La folla, comprendente quasi tutti gli abitanti del villaggio, servi del Creatore e del Diavolo insieme, erano tutti riuniti, per assistere all’evento.
D’altronde, quel rogo non era uno come tanti. Quella mattina, difatti, sarebbe stato giustiziato colui che aveva dato inizio a quel circolo vizioso di terrore e di incertezza, dettato dall’imminente invasione straniera: Even Blake.
Ambrose lanciò uno sguardo complice a Prudence, poi a Barclay, poi ancora a Terry, e infine ad una delle locandiere, Mary Claire.
“Radunate tutti quelli che potete.
Gli amici di Folker, le locandiere che lavoravano con Bridgette, le intere famiglie dei due, chiunque li conoscesse e nutrisse anche solo un minimo di rispetto e stima per loro.
Chiunque.
Radunatevi nei sotterranei della Taverna, in segreto, e create una strategia d’offesa.
Lo schieramento deve essere netto e impenetrabile.
Quando avrete ottenuto questo… insorgete.”
Ambrose aveva preso le parole dello stregone alla lettera.
Dopo quella conversazione, si era armato di tutta la determinazione che lo animava e di spirito combattivo. Si era messo in contatto con gli amici di Folker (di cui Barclay poteva farsi portavoce); con i suoi amici servi del Creatore che erano rimasti disturbati dal pessimo trattamento riservato ai due suicidi (che Terry aveva riunito); con le locandiere della Taverna, tutte profondamente affezionate a Bridgette (Marie Claire in particolar modo), e, ovviamente, avevano coinvolto anche Prudence.
Ambrose si prese del tempo per osservare la giovane madre del suo amore perduto: il suo sguardo era quello di una leonessa ferita, annientata, ma non per questo meno pericolosa.
C’era qualcosa di terrificante, nei suoi occhi chiari e vuoti…
I suoi capelli biondi erano legati sciattamente, parecchie ciocche sfuggivano alla costrizione, mosse dal vento primaverile, mentre il suo volto restava algido e drammaticamente bellissimo.
Ambrose sapeva quanto desiderasse la morte, dopo ciò che era accaduto al suo ultimo figlio rimasto in vita.
Motivo per cui sapeva bene che Prudence fosse la più letale tra loro, persino più di lui stesso.
D’altronde, lui era mosso da una rabbia ferale, l’ira di un amore carnale e passionale distrutto, mai vissuto e tanto agognato.
Prudence, invece, era animata dalla rabbia uterina e funerea di una madre.
L’amore di una madre non poteva competere con quello di un amante.
Ambrose lo sapeva bene. Per ciò, era concentrato su di lei, per impedirle di compiere gesti estremi. Prudence era pericolosa come lo era ogni madre che aveva perso un figlio.
Dovevano attenersi al piano che avevano concordato.
Non appena, la sera prima, avevano saputo dell’esecuzione di quella mattina, si erano incontrati tutti alla Taverna, come ai vecchi tempi della Congrega, tutti uniti per un unico scopo: annientare i monaci una volta per tutte, liberando il villaggio dal loro giogo. Tutti erano a conoscenza del piano, servi del Diavolo e servi del Creatore che si erano uniti alla ribellione.
Un’esecuzione al rogo era l’occasione perfetta.
Non importava di chi fosse.
Avrebbero potuto salvare una vita umana se avessero messo in atto il loro piano di rivolta ben pensato quella mattina stessa, e si dava il caso che quella vita fosse di Blake.
Ambrose era sorpreso di sapere che i monaci avessero deciso di giustiziare proprio quel ragazzo.
Forse perché sembrava intoccabile, data la sua posizione.
O forse perché Judith aveva molta influenza sui monaci, e finché c’era lei, non avrebbe permesso a nessuno di quei “messaggeri di dio” di fare del male al ragazzo.
A proposito di Judith, Ambrose la cercò con lo sguardo ma non la vide.
Sperò che stesse bene, ma non ci prestò troppa attenzione.
Si voltò, infine, verso colui che l’aveva convinto ad organizzare quell’insurrezione con le sue sole forze: Ephram se ne stava incappucciato, notevolmente lontano dalla folla, più dietro, isolato.
Lo stregone fissò i suoi occhi in quelli del servo del Creatore a sua volta, rivolgendogli uno sguardo complice.
Da qualche giorno girava voce che i soldati del conte straniero fossero vicinissimi a Bliaint, e che, nel giro di poco, li avrebbero invasi.
Tuttavia, nessuno sembrava volerci credere davvero.
Ambrose continuò a guardare Ephram a distanza, fin quando i suoi occhi non vennero calamitati dalla figura agitata e scalpitante di padre Craig, il quale sembrava quasi che volesse salire sul soppalco in prima persona, tanto era contrario a quell’esecuzione, tanto era allarmato, disperato, portentoso.
Ambrose lo osservò con interesse, chiedendosi, effettivamente, dove fossero tutte le persone che tenessero a Blake, coloro contrarie alla sua esecuzione: non vedeva nessuna madre piangente, né un fratello in lacrime, né qualche amico col volto colmo di tristezza, né una Judith devastata.
Dove erano finiti tutti?
Gli sembrò strano, molto strano; in quanto sapeva che Blake fosse amato, e parecchio conosciuto al villaggio.
Solo padre Craig era lì per lui, per piangerlo e per tentare inutilmente di opporsi alla morte del ragazzo.
Lui, i bambini dei peccati capitali (tutti con i visini afflitti e turbati) e gli scavatori della galleria, i quali erano ben riconoscibili, in quanto se ne stavano tutti a testa bassa, scossi, tristemente rassegnati.
Anche loro sembravano provare della sincera affezione e del riverente rispetto per il nuovo proprietario della galleria.
Ma l’attenzione di Ambrose era tutta per il prete straniero, quell’uomo che gli era sempre stato amico, e che si era sempre mostrato una roccia, solida e stabile, una sicura spalla su cui piangere. Quell’uomo che, ora, sembrava perso, devastato, placcato, in guerra col mondo.
Non riuscì più a riconoscerlo, e ciò lo affascinò, quanto lo impaurì.
Eppure, Blake non era stato ancora portato sul soppalco, il quale era vuoto.
Dopo diversi altri minuti, i monaci fecero il loro ingresso, portando con loro il condannato, con le mani incatenate.
Lo trascinavano malamente sulle scale del soppalco, trattenendolo per le braccia.
Fu a quel punto, non appena lo vide, che padre Craig scalpitò ancor di più, e i monaci che lo trattenevano fecero il doppio della fatica per farlo stare fermo al suo posto.
Ambrose era costernato: negli occhi di padre Craig c’era un fuoco. Un fuoco che somigliava terribilmente a quello che c’era anche nei suoi, di occhi, ogni volta che guardava Folker, o anche solo pensava a lui.
Era bastato che Blake, legato, entrasse nel suo campo visivo, per farlo scattare come una iena, per animarlo come non lo aveva mai visto animato, per fargli rombare il cuore fuori dal petto, farlo scalciare e urlare come un neonato.
Ambrose non poteva credere ai suoi occhi.
Poteva essere che padre Craig amasse Blake quanto lui aveva amato Folker, se non di più?
Poteva esserlo, eccome.
Blake, dal canto suo, catalizzava l’attenzione di tutta la folla su di sé:
Camminava con passo fermo, senza lasciarsi trascinare, senza ribellarsi o opporsi alle mani dei monaci, tutt’altro che gentili su di lui: gli fecero sbattere la schiena contro il palo, gli liberarono brutalmente i polsi dalle catene, per poi tirarglieli senza grazia indietro, facendogli scricchiolare le ossa; gli legarono strettamente le mani dietro il palo, con delle corde tanto strette da non fargli circolare il sangue, a giudicare dalla lieve smorfia di dolore che si dipinse sul viso di lui.
E mentre i monaci, ancora non contenti, gli circondavano il busto stretto con un’altra corda spessa, facendolo aderire maggiormente al palo; Ambrose si prese tutto il tempo per osservarlo, comprendendo in pieno come mai in così tanti fossero assuefatti da lui: il viso del ragazzo, dalla bellezza ultraterrena, non era abbassato, intimorito o riverente, bensì teneva lo sguardo alto, fisso, lontano da tutto; il suo intero corpo e la sua postura trasmettevano una sicurezza spiazzante, eterea e granitica. Ma, in particolar modo, a stregare chiunque erano i suoi occhi. Grandi, vividi, di un intenso blu che avrebbe fatto invidia a qualsiasi cristallo, ornati da lunghe ciglia scure.
Non era la sua bellezza a far bloccare il mondo intorno a sè, perché quella era palese, tangibile, immensa e trasparente nella sua concretezza.
No, era piuttosto l’aura che emanava. Un’anima instancabile, nobile, combattiva, immortale.
Fu come se, per la prima volta, Ambrose osservasse una creatura immortale. E quella creatura era Blake.
E Padre Craig ne era tanto assuefatto e ammaliato, da esserne quasi accecato.
Pendeva dalle sue labbra come un suddito con il suo dio.
I monaci non si risparmiarono e gli strinsero l’addome al tronco con le corde, fino a togliergli quasi il respiro.
Il ragazzo tossì un paio di volte, poi puntò le sue biglie luminose sul monaco di fianco a sé, che aveva appena finito di legarlo. Gli chiese qualcosa, qualcosa che, a quella distanza, Ambrose non riuscì a sentire. Basandosi solo sul labiale del ragazzo, gli sembrò che gli stesse chiedendo qualcosa riguardo Judith.
“Dove la tenete rinchiusa? Sta bene? Voglio solo sapere se il parto sta andando bene”
Il monaco, in risposta, afferrò i folti capelli color cacao del ragazzo con rabbia. Si attorcigliò le lunghe e morbide ciocche intorno alla mano e tirò indietro, strattonandolo e costringendolo a portare indietro la testa, esponendo la gola.
Padre Craig divenne una furia, da sotto il soppalco:
- Non toccatelo!!!
Non osato toccarlo!!!
Toglietegli subito le mani di dosso!!!
La voce dell’uomo faceva male all’anima per quanto disperata, feroce e addolorata, Ambrose la sentì risuonare lungo la propria cassa toracica come una pugnalata.
Ma i monaci non lo udirono neanche, anzi, sembrò che quell’esclamazione li galvanizzasse ancor di più, spingendoli a maneggiare il ragazzo come preferissero.
- Non osare chiedere di lei – gli intimò il monaco che lo stava ancora strattonando per i capelli castani, trattenendoli e tirandoli come fossero le redini di un cavallo.
Blake contrasse la mascella, ma non si oppose né si lamentò, aspettando che la presa si allentasse.
Ma quando il monaco lasciò andare la sua chioma selvaggia, non gli diede neanche il tempo di riprendersi, che lo afferrò violentemente per le mascelle, costringendolo a guardare la numerosissima folla che era lì ad osservarlo.
Padre Craig scalpitò ancora, al limite della sopportazione e della furia:
- Lasciatelo stare!!!
- Questo giovane servo del Diavolo – cominciò a gran voce padre Petrit, continuando a stringere le mascelle del ragazzo tra le dita artiglianti. – È la piaga peggiore che Bliaint potesse mai generare. E sapete perché? Perché questo serpente… non solo ha portato un’arma mortale dentro il nostro villaggio, l’arma peggiore che la nostra generazione e quelle future possano lontanamente temere… non solo, egli ha anche attirato qui, NEL NOSTRO SACRO VILLAGGIO SANTIFICATO DAI DUE SIGNORI, un nemico che non possiamo sconfiggere, esponendoci al pericolo!!
Non temete, tuttavia!! I nostri Signori ci proteggeranno da ogni minaccia!!
Dalla folla si elevarono urla di approvazione, affermazioni rabbiose e consenzienti.
Così, il monaco continuò fieramente: - Lui è il male. Il male impersonificato. Non lo vedete? Egli è il Demonio. Il Demonio che si è incarnato su questa terra, un Demonio terribile e pericoloso, temuto persino da Lucifero stesso. Questo volto! Questo volto che vedete, è il volto del maligno!! Il volto della punizione che i Signori hanno deciso di darci, a causa dei peccati commessi dai nostri antenati, nei confronti dei Bambini sciagurati!!
Lui è la penitenza per la crudeltà commessa dai nostri antenati!!
È lui!!
Quante sciocchezze  non riuscì a fare a meno di pensare Ambrose, schifato dal comportamento dei monaci.
Come poteva essere stato cieco fino a quel momento?
Era stato necessario il suicidio di Folker per fargli aprire gli occhi su quei luridi e infami “messaggeri di dio” fasulli, che li avevano sempre governati e manipolati.
Analfabeti, semplici di mente, facilmente raggirabili.
Questo erano sempre stati, per loro.
Null’altro.
Come poteva Judith avere ancora fiducia in loro?
Eppure, molte persone sembravano ancora credere ciecamente nei monaci: tra la folla, si elevarono esclamazioni di assenso, accompagnate da qualche “Bruciatelo! Sbrigatevi a bruciarlo!” e “Il ragazzo è il male, liberateci da lui!”.
- NO!!! – padre Craig non si arrese e continuò a tentare di ribellarsi dalla presa di coloro che lo tenevano fermo. Guardava verso l’alto, verso l’unico giovane uomo che avrebbe mai amato. – LUI NON HA FATTO NIENTE!!
Blake era ancora costretto dalla presa artigliante del monaco sulle mandibole, e quando questo lo lasciò andare, dei piccoli rivoli di sangue sbucarono dalla sua pelle, laddove era rimasta l’impronta delle unghie.
Dopo di che, il monaco infilò la mano sotto la maglia larga e leggera che copriva il torace del ragazzo, dall’alto, e tirò fuori il ciondolo opale che indossava.
Gli staccò via il ciondolo con forza, gettandolo lontano e guardandolo fisso negli occhi, con odio e frenesia:
- Le tue ultime parole, Even Blake?
Dicci, illustraci per quale motivo hai fatto tutto ciò che hai fatto – lo sfidò. – Una nostra fedele figliola ti ha visto compiere un sacrilegio nella tua fucina, trasformando il piombo in oro.
Un’esclamazione di estremo stupore si elevò dalla folla, nell’udire tali parole.
Dunque è vero…?
- Esattamente il sacrilegio che vogliono farti compiere gli stranieri che tanto disperatamente ti cercano.
Fanno bene a volerti, quindi! Ma gli stranieri non conoscono una fondamentale legge contenuta nei nostri testi sacri: A Bliaint ogni vita è sacra e intoccabile. Anche quella dei Demoni come te. Sei battezzato al Diavolo, e in quanto servo del Diavolo di Bliaint la tua vita è sacra esattamente come la nostra. Motivo per cui non puoi lasciare questa terra senza attirare l’ira dei due Signori.
Non potremmo mai lasciarti a loro. Brucerai come meriti di bruciare, e i tuoi peccati imperdonabili verranno purificati col fuoco, mentre la tua carne giovane e tenera verrà consumata fino all’osso.
- NO!!
Non ve lo permetterò!!
Bruciarlo al rogo NON È LA SOLUZIONE!! – strillò padre Craig, sgolandosi.
- Avanti, Blake, dimmi…: perché hai trasformato il piombo in oro?
Perché pratichi un’arte blasfema e oscura, chiamandola “alchimia”, incurante delle conseguenze?? - insistette padre Petrit, avvicinandosi al volto del ragazzo.
Ambrose, così come tutti gli altri, attese con trepidazione la risposta.
Blake, di contro, guardò il monaco negli occhi senza timore, poi puntò le iridi sulla folla presente e intenta ad osservarlo. Schiuse le labbra sbiancate e parlò:
- Non ho bisogno di dare spiegazioni.
Mi accusate di praticare inadeguatamente la magia, ma quella che pratico io non è magia.
Non chiedo al mio Signore di darmi la forza e il potere, non l’ho mai fatto.
Non mi serve. Tutto ciò che mi serve è l’ingegno che proviene dall’uomo.
La trasmutazione è possibile, e non perché me lo ha permesso il Diavolo.
Il Diavolo non è il mio dio. Così come non è il dio di nessuno di voi. Né lo è il Creatore.
- È anche blasfemo! Bruciatelo ora, prima che oltraggi ancora i nostri Signori!
Blake non si curò di quel grido proveniente dalla folla, e continuò:
- Io faccio solo ciò che ho sempre fatto e che voglio fare.
C’è un mondo là fuori, che noi neanche conosciamo.
Un mondo pieno di scoperte, di tesori e di mille altre cose che non possiamo minimamente immaginare.
Io so qual è il mio posto, ed è lontano da qui.
Bliaint non mi appartiene, il Diavolo non mi appartiene.
- Eppure… hai l’aspetto di un figlio del Diavolo. In tutto e per tutto – contestò padre Petrit accanto a lui, con voce bassa, accarezzandogli delicatamente uno zigomo con l’indice, sfiorando i capelli setosi, come per sfregio.
Padre Craig lanciò un urlo di puro odio in risposta.
Blake non si oppose, ma si mostrò superiore, ancora una volta:
- Nessuno ha l’aspetto del Diavolo, qui.
La bellezza non è sinonimo di maligno.
L’aspetto esteriore non è un criterio per scegliere chi sia figlio di quale dio.
Abbiamo già appurato che Allister Chaim, di errori ne ha commessi sin troppi, e che le sue parole sono tutt’altro che oro colato – gli rispose, dritto in faccia.
Era immobile, tenuto fermo e inerme dalle corde che lo stringevano ovunque, eppure sembrava avere la situazione in mano, nonostante tutto.
Ambrose ne fu meravigliato.
- Al rogo!! – urlò il monaco.
- Al rogo!! – seguì la maggior parte della folla.
Ma prima che padre Petrit potesse prendere la fiaccola accesa e buttarla sulla paglia che circondava i piedi di Blake, Ambrose diede il via alla rivolta con il segnale che avevano concordato:
Alzò una mano al cielo, ben visibile, e gridò come un lupo.
A ciò, tutti coloro che facevano parte della rivolta, nonché decine e decine di giovani ragazzi, di locandiere, più i genitori dei due suicidi, si accalcarono sopra ogni monaco presente e lo tramortirono tramite colpi, pugni, calci, e altre forme di violenza.
I monaci, la maggior parte in età matura, provarono a ribellarsi, ma non poterono nulla contro la furia e l’energia dei giovani che li stavano attaccando corpo a corpo.
- Uccideteli tutti!!! – urlò Ambrose, con il fuoco negli occhi.
E senza attendere un secondo di più, con un sottofondo di urla umane appartenenti alla parte del villaggio che non era a conoscenza della rivolta, ma che stava osservando il tutto senza muovere un dito, Ambrose e i suoi compagni assassinarono ogni monaco presente a Bliaint, liberando il villaggio dal giogo di quelle carogne umane.
Vendicando Folker. E Bridgette.
Barclay urlò di gioia al cielo, con le mani e i vestiti sporchi di sangue, tutti gli altri lo seguirono.
Prudence sembrava l’unica ad essere rimasta totalmente impassibile dinnanzi a quello spettacolo rivoltante e aberrante: sapeva cosa sarebbe successo, non vedeva l’ora che succedesse, ma era rimasta ferma, ad osservare, algida e serafica, lontana, senza prenderne parte.
Anche Ambrose urlò a squarciagola alla vittoria, con in mano il pugnale sporco del sangue di padre Petrit, fin quando la voce non gli mancò.
Blake, padre Craig e tutta la fetta del villaggio inconsapevole, dal loro canto, erano sconvolti dallo spettacolo a cui avevano appena assistito.
- Il villaggio è nostro!!
- Il villaggio è nostro!!!
Ambrose non poteva vederlo, ma, in quel momento, Ephram sorrise a distanza, sotto il cappuccio.
Per un attimo, anche lo sguardo di un piacevolmente incredulo padre Craig si incrociò col suo, e i due si sorrisero, inevitabilmente.
Padre Craig lo stava ringraziando in ogni lingua e in ogni modo possibile, dentro di sé, Ambrose ne era certo, ed era più che felice di aver salvato la vita di Blake, seppur lo conoscesse a malapena.
Eppure… non sarebbe stato facile convincere l’altra fetta del villaggio di aver fatto la cosa giusta.
Non sarebbe stato facile convincerli di aver sterminato i monaci per una giusta causa. D’altronde, anche Beitris ci aveva provato, mesi prima, ed era stata giustiziata per questo.
Non sarebbe stato facile, soprattutto, convincere l’altra fetta del villaggio che Blake meritasse di vivere.
Padre Craig si accinse a salire sul palco e incontrò lo sguardo di un Blake ancora allibito e legato.
Ambrose li osservò e sorrise, invidioso e al contempo felice per loro.
Craig si fiondò subito dietro Blake, dove si trovava il palo a cui il ragazzo era ancorato e a cui erano legate strettamente le corde che lo imprigionavano.
- Ci penso io – gli promise l’uomo, sorridendo con le lacrime agli occhi, come un bambino, mentre maneggiava le corde cercando di scioglierle senza fare male all’oggetto del suo amore, ma queste erano troppo strette. – Ci penso io, Blake… - continuò a ripetergli, come un mantra, a mo’ di rassicurazione. – Cercherò di non farti male, ci penso io, ti slego e sarai libero in men che non si dica… non ti faranno più del male, non lo permetterò, io non lo permetterò…
La voce dell’uomo era tremante, e c’era un’implacabile, plastica e travolgente brama di abbracciarlo e stringerlo a sé, in lui, da fare quasi male al solo guardarlo, al solo osservare i movimenti frenetici e tremanti delle sue mani mentre tentava di slegare quelle corde troppo strette e laceranti sulla pelle del ragazzo.
- Sei tornato… - disse solamente Blake, poggiando la testa sul palo dietro di sé e sospirando di sollievo per non essere ancora invaso dalle fiamme. - Perché sei tornato?
Padre Craig bloccò i movimenti, come se stesse per svenire da un momento all’altro per la troppa emozione, per le troppe intensissime sensazioni provate tutte insieme.
Blake voltò il viso di lato, per cercare di guardarlo, ma non vi riuscì in quella posizione.
- Per te. Sono tornato per te – rispose solamente Craig, con una fermezza e una decisione senza pari nel tono di voce, riprendendo a tentare di slegare quelle corde impossibili.
A ciò Ambrose andò in suo soccorso, mentre tutti gli altri si stavano occupando di disfarsi dei cadaveri e di placare la fetta di folla che si chiedeva cosa stesse succedendo, e che si stava opponendo.
- Lasciate fare a me, padre – gli disse Ambrose, poggiandogli una mano affabile sulla spalla, spronandolo ad alzarsi. – Voi state tremando e queste corde sono troppo strette: serve un po’ di forza bruta per slegarlo – lo incoraggiò, accennandogli un lieve sorriso. – Lo libero io.
- Niente “padre” – gli rispose l’uomo, riconoscente. – Solo “Craig”, d’ora in avanti.
- D’accordo, Craig – rispose Ambrose, avendo ben capito che l’uomo avesse rinnegato i propri voti, decidendo di vivere come un popolano comune, e comprese bene anche il perché.
- Grazie, Ambrose. Fa’ in fretta! – lo spronò apprensivo, lasciandogli fare e accostandosi a Blake dalla parte opposta.
- Non potete slegarlo!! Quel Demonio merita di morire!! Bruciatelo!! – urlò una donna in mezzo alla folla, mentre Ambrose si accovacciava dietro il palo, all’altezza dei polsi di Blake, e tentava di sciogliere quei nodi che stavano comprimendo il corpo del ragazzo in modo a dir poco doloroso.
Si diede dello stupido quando si rese conto, dopo un minuto buono di tentativi inutili, che avesse un pugnale a portata di mano. Afferrò il pugnale e fece per tagliare le corde, ma venne bloccato immediatamente da uno strillo acuto e assordante, proveniente dalla folla, che lo spinse a rialzarsi e ad affilare lo sguardo, per capire cosa stesse succedendo.
Avrebbe preferito non averlo fatto…
Non appena si tirò su, notò un esercito di soldati a cavallo, fermi a diversi metri da loro.
Quello che doveva essere il comandante dell’esercito aveva il braccio alzato in alto, come per indicare ai propri uomini di non avanzare ulteriormente.
Dunque era vero… i soldati stranieri erano riusciti a raggiungere Bliaint.
E i due Signori non li stavano proteggendo, come invece sostenevano i monaci.
Erano soli.
Soli, contro un plotone armato.
Ambrose si paralizzò, così come erano paralizzati tutti gli altri.
Il fermento e la confusione generale della folla, per gli eventi appena accaduti, aveva distolto l’attenzione di chiunque dal rumore placido degli zoccoli dei cavalli che si avvicinavano da lontano.
Nessuno si era accorto di nulla fin quando non se li erano ritrovato davanti, che li osservavano, a metri di distanza.
- Mi chiamo Charles, e ho accompagnato questi uomini oltre il mare, per giungere qui, a Bliaint - esordì l’uomo più avanti degli altri, con il braccio alzato, coperto dall’armatura. La sua voce era ferma, alta, sicura, il suo accento molto strano. – Sicuramente saprete che il signore che serviamo, il nobilconte Agloveil, vuole qualcosa da voi – precisò con ovvietà, ma senza arroganza. – Noi non abbiamo intenzione di farvi del male – chiarì.
Prudence, intanto, salì a sua volta sul soppalco, per guardare meglio gli stranieri, da quella posizione rialzata, nonostante la distanza.
- Noi vogliamo solo un ragazzo.
Un vostro servo del Diavolo.
Un alchimista in grado di compiere la prodigiosa trasmutazione dei metalli.
Non vogliamo le vostre ricchezze. Non vogliamo le vostre gemme. Vogliamo solo lui – continuò Charles, affilando lo sguardo.
Craig deglutì rumorosamente, sentendosi pizzicare le mani; mentre Blake era pietrificato.
- Il suo nome è Even Blake – scandì bene quel nome Charles, a distanza.
Nessuno gli rispose, i popolani rimasero immobili, a guardarlo, diffidenti e scostanti, come se fossero pronti, da un momento all’altro, a fare qualcosa di irrecuperabile.
L’uomo analizzò la situazione che si stava trovando dinnanzi:
Una folla di persone era riunita intorno ad un soppalco, sopra il quale era legato un ragazzo ad un palo.
Sapeva bene che a Bliaint amassero bruciare la gente al rogo.
Aguzzò la vista, per osservare quel ragazzo, nonostante la distanza.
Non riuscì a vedere molto di lui, ma tre cose riuscì a scorgerle distintamente:
Decisamente di bell’aspetto, dunque un servo del Diavolo.
Capelli castani.
Occhi blu.
La descrizione di Selen combaciava.
Sorrise, vittorioso: non doveva neanche cercarlo, in quanto il suo bottino di guerra era esattamente davanti ai suoi occhi. Altrimenti per quale motivo avrebbero dovuto bruciare un giovane al rogo, se non per punire le pratiche alchemiche con cui egli si dilettava? – Sei tu Blake, non è vero? – domandò a gran voce, facendosi ben udire.
 
 
MYRIAM

La strega si scagliò disperatamente contro la botola di quel sotterraneo in cui li avevano appena rinchiusi, mentre Judith continuava ad urlare come una dannata.
Poco prima, allo scoccare dell’alba, Myriam era stata rapita e rinchiusa in quel sotterraneo insieme a Judith. Con loro vi erano anche Hinedia, Quaglia e il medico del villaggio.
Il motivo? Le doglie di Judith erano vere stavolta. Entro la mattinata avrebbe partorito i suoi tre gemelli, vivi o morti.
E dato che la levatrice era morta, serviva qualcun altro in grado di garantire la sopravvivenza della ragazza e dei suoi tre gemelli, durante il travagliato parto.
Ecco il motivo per cui la strega si era ritrovata rinchiusa, contro la propria volontà, in quel sotterraneo sotto la cattedrale, imprigionata insieme agli altri quattro, che non volevano trovarsi lì almeno quanto lei.
La spiegazione dei monaci era stata semplice e basilare: Judith non deve vedere nè sentire cosa succederà là fuori, per non agitarsi; inoltre deve essere assistita nel parto da quante più persone competenti possibili.
Ma al villaggio non c’erano persone competenti per far partorire tre gemelli ad una giovane ragazza.
Dunque, si erano accontentati di ciò che avevano: Quaglia era stato scelto in quanto alchimista (non che l’alchimia avesse mai fatto nascere bambini, ma era pur sempre qualcosa); il medico era stato scelto per ovvi motivi; Myriam era stata disgraziatamente scelta in quanto “la sua magia avrebbe forse potuto riparare l’irreparabile”; mentre Hinedia, era stata rinchiusa lì solo e solamente per tranquillizzare Judith. Ed era quella che stava facendo un lavoro molto più proficuo e utile del loro, a dir la verità.
Così, quella tremenda combriccola si era ritrovata in quel luogo stretto, umido e illuminato solo da due fiaccole, con una Judith sdraiata sull’unico giaciglio piccolo e spoglio presente, intenta ad urlare come un’ossessa, in preda al dolore.
Un dolore sia fisico che mentale, Myriam ne era più che certa.
Difatti, tutti e cinque sapevano bene cosa sarebbe accaduto quella mattina.
Blake era stato imprigionato la sera prima, e sarebbe stato giustiziato esattamente in quel momento, in mezzo alla piazza, mentre Judith era impegnata a mettere al mondo tre vite.
Un tempismo perfetto aveva avuto quella ragazza.
Myriam continuò a dare pugni e calci alla botola, urlando come un animale in cattività, strappandosi di tanto in tanto i capelli dall’ira e dalla tremenda preoccupazione.
Poco prima, Quaglia, nervoso e delirante quanto lei, le aveva chiesto se la sua magia potesse tirarli fuori di lì; ma lei aveva risposto che no, la sua magia poteva fare molto, ma non arrivava a quei livelli, disgraziatamente.
Anche se fossero stati fuori di lì, non avrebbero potuto fare nulla per salvare Blake.
Eppure… la sola consapevolezza di non poterlo vedere, nemmeno un’ultima volta, nonostante quell’ultima volta sarebbe stata su una pira infuocata, li distruggeva tutti.
Myriam continuò a calciare la porta, inutilmente, ferendosi.
Quaglia si strinse i capelli e camminò avanti e indietro per la stanza, con il volto contrito e la bocca serrata.
Il medico, invece, stava provando, come poteva, a facilitare le spinte di Judith.
Hinedia stava cercando in tutti i modi di non pensare a cosa stesse avvenendo là fuori, e di concentrarsi solamente sulla sua amica sofferente, stringendole la mano, accarezzandole i capelli e rassicurandola.
Judith, dal canto suo, era un disastro quasi mitologico: la vestaglia bianca che indossava era un bagno di sudore, la sua chioma di fluenti capelli rossi era sparsa a raggi sul cuscino candido, il suo corpo era teso come una corda di lira, le gambe nude piegate e spalancate in faccia al medico, con l’intimità già dilatata in bella vista, i piedi arricciati e stretti alle lenzuola sudice sotto di sé.
Era selvaggiamente e drammaticamente bella, come potevano esserlo le tigri o i giaguari.
Seppur in preda ad una sofferenza incomparabile, che la spingeva a stringere le dita sul materasso sotto di sé come se volesse disintegrarlo, emanava una forza sovrumana, un’autorevolezza senza pari, suscitando soggezione e spavento.
La giovane donna urlò, buttando la testa indietro con violenza, con la bocca spalancata, il volto sudato sconvolto dal dolore e gli occhi colmi di lacrime secche.
- Fatemi uscire di qui!!! – urlava. – FATEMI USCIRE DI QUI!!!
- Ci sto provando, Judith!!! Non dimenticare che vogliamo uscire di qui quanto te!! – le urlò Myriam, continuando a calciare la botola irrazionalmente, nonostante sapesse non servisse a nulla, per nulla interessata al parto della ragazza.
La strega non voleva rassegnarsi. Per nulla al mondo. Se fosse uscita di lì, forse avrebbe trovato il modo di salvarlo.
Di salvarlo ancora e ancora, come l’aveva sempre salvato.
- FATEMI USCIRE DI QUI!!! – continuò Judith, tra una spinta e una contrazione. – VOGLIO VEDERLO!!! COSA GLI STANNO FACENDO?? COSA GLI STANNO FACENDO?!?
VI PREGO!!! – urlava e urlava ancora, nonostante la voce gli uscisse oramai dalla gola come un suono roco e doloroso, spaccatimpani.
Non si capiva se stesse soffrendo più per la consapevolezza di ciò che stessero facendo all’uomo che amava, là fuori, o per i dolori delle contrazioni.
“Judith non deve vedere cosa succederà là fuori. Deve essere isolata, e partorire in tranquillità, senza pensieri negativi. Più si agiterà, più aumenterà la probabilità che non sopravviva al parto dei gemelli”.
Quegli idioti credevano davvero che, rinchiudendo Judith dentro un buco con loro, le avrebbero risparmiato il dolore e la sofferenza…?
Judith sapeva bene cosa stesse succedendo fuori di lì.
Nessun monaco si era rinchiuso dentro quel buco con loro, tra l’altro, in quanto erano tutti impegnati nell’esecuzione di Blake.
Dunque, i gemelli sarebbero stati benedetti da Myriam.
Ma Myriam non aveva alcuna intenzione di preoccuparsi di quei gemelli, né di Judith.
Hinedia, intanto, con le lacrime agli occhi, guardava la sua amica soffrire come un’ossessa, stringendole la mano e cercando di incoraggiarla.
- Spingi, Judith, spingi!
- Deve spingere più forte, vedo la testa del primo, ma non riesce a dilatarsi più di così… - balbettò il medico, rivolto ad Hinedia.
A ciò, la serva del Creatore strinse maggiormente la mano di Judith.
- Judith, sono con te!!
Però devi spingere, amica mia! Spingi!!
- Hinedia, fammi uscire di qui, ti prego!!! – le urlò Judith, voltandosi verso di lei, piangendo disperata. - Hinedia!!
- Non posso, Judith…! Se solo potessi, ci farei uscire tutti di qui, ma siamo rinchiusi!
Lo capisci?? E tu stai partorendo, perciò la tua priorità è far uscire i tuoi bambini sani e salvi!!
Pensa ai gemelli!
- Non posso pensare ai gemelli quando là fuori stanno uccidendo Blake!!! – contestò la rossa, stringendo la mano di Hinedia tanto forte da farle scricchiolare le ossa. – DEVO VEDERLO!!!
- Anche io voglio vederlo, Judith, ma non possiamo fare nulla al momento!! Riesci a capirlo?!? Judith, per favore… spingi!!! Spingi e non mollare!!!
Avevano trascorso lì dentro quelle che erano sembrate loro ore.
Nonostante ciò, non era stato tirato fuori neanche il primo dei gemelli.
Judith era sfinita.
- NON MOLLARE, JUDITH!
AMICA MIA, GUARDA ME, GUARDA ME!! – le urlò prendendole il viso tra le mani e guardandola dritta negli occhi. – DEVI SPINGERE E SALVARTI LA VITA! NON PUOI MORIRE COSÌ, E NON PUOI LASCIAR MORIRE I TUOI FIGLI COSÌ!!
Myriam rimase sorpresa dalla determinazione di Hinedia.
Quest’ultima si voltò verso di loro con gli occhi scuri iniettati di sangue, di preoccupazione e di disperazione: - VOLETE AIUTARMI?!? LASCERETE MORIRE UNA RAGAZZA DI PARTO SOLO PERCHÉ NON POTETE ESSERE LÀ FUORI?!? DATEVI DA FARE E VENITE AD AIUTARMI!!
A ciò, Quaglia sembrò acquistare un po’ di lucidità, e Myriam con lui.
Si avvicinarono a Judith, la quale urlava ancora, con le sue ultime forze.
Myriam osservò Hinedia: era come se la ragazza si stesse trattenendo. Stesse trattenendo qualcosa dall’uscire fuori di sè.
Si concentrò su Judith, aprendole maggiormente le gambe, sostituendosi al medico: quei tre gemelli non sarebbero morti. Di Judith non le importava nulla. Ma quei gemelli sarebbero venuti al mondo, a qualsiasi costo.
- Spingi, Judith, avanti!!! – la spronò la strega, con decisione. – Pensi che Blake vorrebbe questo?? Pensi che vorrebbe vederti struggerti per lui e mollare tutto?!? – non appena disse quelle parole, proprio come aveva immaginato, la rossa si placò, e alzò il volto sfinito per guardarla, con occhi spalancati.
- Ha ragione, Judith! – venne in loro aiuto anche Quaglia, il quale si posizionò di fianco a Judith, dal lato opposto ad Hinedia, e le strinse l’altra mano. – Questi gemelli sono i tuoi figli. Del resto non importa. Devi metterli al mondo ora, e devi sbrigarti, altrimenti collasserai o morirai dissanguata. Se ci fosse anche solo una possibilità che Blake riesca a salvarsi… non vorresti rivederlo??
- Certo che lo vorrei… più di qualsiasi altra cosa – spirò la giovane donna.
- Allora spingi!!! Fa’ un ultimo sforzo e resta viva!! – esclamò l’alchimista.
I monaci, per quanto fossero stupidi, crudeli e subdoli, tenevano davvero a Judith, proprio come a una figlia.
Per tale motivo avevano fatto tutto ciò che era in loro potere per farla partorire “in pace”, al sicuro, e con tutto l’aiuto che avevano a disposizione.
Myriam fu in grado di riconoscerlo, nonostante la furia, l’odio, l’apprensione e la frustrazione che la animavano.
Miracolosamente, il primo gemello uscì fuori, appiccicoso e strillante come lo era ogni neonato che si affacciava alla vita, accolto dalle calde mani di Myriam.
Era una femmina.
Hinedia rise istericamente non appena la vide, e Quaglia non riuscì a credere ai suoi occhi.
Il medico, che li assisteva a lato, sorrise sollevato a sua volta.
Myriam gli poggiò la prima figlia di Judith tra le mani, e l’uomo la prese, tentando di cullarla.
- La piccola è viva?? – domandò Quaglia, preoccupato.
- È più che viva. È un portento – rispose Myriam, tranquillizzandoli.
- Judith, ce l’hai fatta!!! La prima è nata e sta bene!! – esclamò Hinedia.
- L’ultima cosa che ho fatto, l’ultima volta che l’ho visto… è stata incolparlo e gridargli addosso, nonostante sia stata io a ferirlo di più!!! – urlò Judith, in preda al dolore. – LE ULTIME PAROLE CHE GLI HO RIVOLTO ERANO PAROLE DI ODIO!!
Non le importava nulla della bambina. Il suo unico pensiero, al momento, era rivolto a Blake.
Ma non era finita lì. Ve ne erano ancora due da far uscire fuori, e Judith doveva rimanere concentrata e continuare a spingere.
- Spingi, Judith!!! – la spronò ancora Quaglia, stringendole la mano.
- Judith, Blake ti ama.
Nulla cambierà questo.
Non importa quali siano state le ultime parole che vi siete detti.
Lui sa che lo ami, e tu sai che lui ama te. Immensamente.
Solo questo importa! – la rassicurò Hinedia, accarezzandole i capelli sudati e sorridendole tristemente.
A ciò, Judith spinse ancora, urlando fino a consumarsi le corde vocali.
La testa del secondo neonato apparve.
- SPINGI, JUDITH! – la spronò Myriam, iniziando già a prendere con cautela quella testolina.
La giovane donna instancabile spinse ancora, stritolando le mani di Hinedia e di Quaglia.
La seconda bambina vide la luce, finendo tra le mani di Myriam a sua volta.
La strega sorrise, nel guardarla piangere a dirotto, energica e vivace quanto sua madre.
Porse la seconda neonata tra le braccia di Quaglia, il quale la cullò.
Intanto, il medico era riuscito a calmare la prima, coprendola con un panno pulito. L’uomo si rivolse a Myriam: - È vivo il secondo?
- “Seconda” – lo corresse Myriam, riprendendo velocemente la sua postazione. – È una femmina anche lei – precisò. – Ed è vivissima, esattamente come sua sorella.
Il medico assunse uno sguardo allarmato, a ciò. – Speravo che almeno uno dei tre morisse, nel parto: non è di buon auspicio partorire tre gemelli…
- State scherzando, vero?!?! – gli urlò contro Hinedia, a distanza. – TAPPATEVI LA BOCCA E CONTINUATE A CULLARE LA BAMBINA. QUESTI BAMBINI SOPRAVVIVRANNO, TUTTI E TRE! - esclamò con sicurezza la serva del Creatore, e Myriam non poté fare a meno di sorriderle, fiera.
Era vero, non era ancora finita. Ne mancava uno, da tirare fuori sano e salvo, l’ultimo della cucciolata.
- MI AVEVANO PROMESSO CHE NON GLI AVREBBERO TORTO UN CAPELLO!
I MONACI ME LO AVEVANO PROMESSO!!! NON HANNO MANTENUTO LA PROMESSA!!
SONO DEI VERMI SCHIFOSI!! – pianse a squarciagola Judith, oramai delirando, scuotendo la testa in preda agli spasmi.
- JUDITH, NON MOLLARE ORA!
CONCENTRATI, AMICA MIA!
MANCA L’ULTIMO, POI SARÀ TUTTO FINITO! – la supportò nuovamente Hinedia, stringendole la mano.
- Avanti, Judith!! Puoi farcela!! – andò di nuovo in suo aiuto Quaglia, il quale stava cullando la seconda gemella sgambettante, lì di fianco.
Judith fece l’ultimo sforzo, e fiumi di sangue uscirono dalla sua apertura.
Tutto quel sangue era allarmante, ma Myriam non glielo disse. Continuò invece ad incoraggiarla, insieme agli altri due, fino alla fine.
- Vedo la testa!!! – esclamò la strega, ponendo già le mani in posizione, accanto all’intimità estremamente dilatata della rossa.
- AVANTI, JUDITH, CI SIAMO!! – continuò Hinedia.
Judith spinse ancora, e urlò, urlò talmente tanto da venire colpita da qualche conato di vomito.
Il suo intero corpo era un bagno di sangue e sudore.
Tuttavia, se avessero fermato il sangue in tempo, sarebbe sopravvissuta.
Ma, soprattutto, se l’avessero fatta riposare e avessero placato la sofferenza e il tumulto del suo cuore scarnificato.
Anche la sofferenza emotiva estrema poteva portare alla morte, Myriam lo aveva appreso tempo prima.
La testa uscì completamente, e con essa tutto il corpo.
Myriam accolse tra le proprie braccia l’ultimo gemello, un bel maschietto rigoglioso.
Tuttavia, il maschietto non pianse subito come le sue sorelle, tanto da far allarmare Myriam.
La strega lo cullò e lo scosse con gentilezza, cercando segni di vita in lui, e, all’improvviso, il bambino aprì gli occhi.
Iniziò a piangere, dimostrando di essere vivo e forte.
Myriam sorrise sollevata, poi guardando Hinedia, dandole tacitamente la conferma che tutti e tre i gemelli fossero sani e salvi.
Quaglia sorrise a sua volta, mentre il medico sbiancò.
- Ce l’hai fatta Judith!!! – Hinedia pianse e le accarezzò i capelli. – Ora che la tua pancia è vuota… puoi tenerne uno, se vuoi. Ma non di più, non devi affaticarti più di così…
Credendo che Judith volesse tenere almeno uno dei suoi figli in braccio, Myriam porse l’ultimo nascituro tra le braccia di Hinedia, che era accanto a Judith.
La serva del Creatore ammirò quella meravigliosa creaturina, che muoveva le braccine e sbatteva gli occhietti ancora annebbiati, provando il desiderio di piangere a dirotto, fino alla fine dei tempi.
Gli accarezzò una guancia con la punta delle dita. – Ciao, piccolino…
Judith la guardò stringere il neonato, ma si voltò dall’altra parte. – Non voglio tenerli – disse.
Hinedia alzò lo sguardo dal bambino e lo posò sull’amica.
Non era lì per giudicarla. Tuttavia, sapeva che, se non l’avesse convinta ad instaurare un primo approccio con i tre gemelli in quell’esatto momento, Judith se ne sarebbe pentita per tutta la vita.
- Prendilo solo un attimo.
Ti somiglia tantissimo – le sussurrò discretamente.
A ciò, Judith si voltò verso di lei e, sfinita, si convinse a prenderlo tra le braccia nude e stanche.
Non appena se lo accoccolò al petto, la giovane donna osservò il volto del neonato, sentendo scariche di brividi attraversarle tutto il corpo intorpidito.
Le sembrò di vedere le porte del Paradiso e quelle dell’Inferno insieme, e di non averne paura.
Guardarlo, era come guardare le stelle del cielo, con la consapevolezza di poterle stringere, accarezzare, persino baciare, e ammirare all’infinito.
Judith sorrise, piangendo. Infilò l’indice della mano sul palmo minuscolo del bambino, e questi lo strinse immediatamente e istintivamente.
Avvicinò le labbra carnose alla fronte del pargolo, inspirando il suo buon odore, un odore che non avrebbe mai e poi mai dimenticato.
Lo baciò.
Si rese conto che non le importava più che fossero di Naren.
Non le importava di chi fossero.
Non le importava, perché quei bambini erano suoi. Tutti suoi. E sempre lo sarebbero stati.
- È così che si sentono le madri…? – domandò improvvisamente Judith, con voce sibilante e rotta, rotta d’amore. Cullò suo figlio, premendolo al suo seno, chiudendo gli occhi.
Intanto, il medico aveva avuto un mancamento a causa del fatto che tutti e tre gemelli fossero nati vivi e in salute, così Myriam si occupò della primogenita al suo posto.
- Qualcuno deve bloccare la fuoriuscita di sangue – ricordò a tutti la strega. – Hinedia, sei l’unica con le mani libere, pensaci tu.
La serva del Creatore fece per obbedire, ma venne bloccata dalla mano di Judith sul suo polso, che la trattenne accanto a sé. - Hinedia… - la richiamò l’amica, voltandosi verso di lei, mentre accostava suo figlio maggiormente a sé.
- Sì?
- Sei stata una buona amica.
La migliore che potessi desiderare – le disse sorridendole amorevolmente.
Hinedia sorrise in risposta, con gli occhi lucidi e pieni di affetto. – Insieme. Fino alla fine – le promise, stringendole ancora la mano.
- Ma non è finita qui – quelle parole di Judith la allarmarono, e non seppe neanche il perché.
- Che cosa intendi?
Lo sguardo di Judith mutò e si riempì di determinazione di ferro.
I suoi grandi occhi neri la perforarono da parte e parte, mentre la guardava. – So che lo ami.
Hinedia schiuse la bocca e incespicò sulle proprie parole, non sapendo cosa rispondere. Il soggetto era sottointeso: sapeva benissimo di chi stesse parlando. – Judith, che cosa…?
- So che lo ami – ripeté la rossa. – L’ho saputo sin dalla prima volta in cui mi hai chiesto di lui. E mi va bene, amica mia, dico davvero, mi è sempre andato bene – la rassicurò, con sincerità. – Non sei l’unica, oltre me, ad amarlo. Ma ora ti chiedo… in onore dell’amore che provi per lui e in onore dell’amicizia che ci lega… io ti chiedo, con il cuore in mano, di far uscire fuori Layla.
Per l’ultima volta, falla uscire fuori di tua volontà.
Solo lei può tirarci fuori di qui.
- Judith, no! – esclamò la serva del Creatore, scattando in piedi come scottata.
Myriam non comprese di cosa stesse parlando esattamente, ma se ciò poteva tirarli fuori di lì, allora ben venga.
Quaglia, invece, sapeva sin troppo bene cosa Judith stesse chiedendo ad Hinedia.
Conosceva la gravità e la pericolosità di quella tremenda richiesta.
Ma Judith era decisa, più di quanto lo fosse mai stata: voleva rivedere Blake. Voleva rivederlo, prima che fosse troppo tardi, e impedire ai monaci di ucciderlo, in qualsiasi modo possibile o immaginabile.
- Se le permetterò di uscire… poi dovrò togliermi la vita, Judith… - balbettò Hinedia, terrorizzata da tale richiesta.
“Adsum martikhoras”
- Non dovrai farlo, perché riuscirai a controllarla, noi ti aiuteremo a controllarla e a tornare in te stessa.
- Tu non capisci! Non puoi capire…!!
- Hinedia – la richiamò fermamente Judith afferrandole nuovamente il polso con la mano libera e riportandola ad un palmo dal suo viso. – Vuoi o non vuoi salvare Blake?
- Darei qualsiasi cosa per salvarlo! – liberò quel sentimento, urlandoglielo addosso con cruda sincerità.
- Allora fallo, amica mia. Io sarò con te, fino alla fine. Esattamente come tu mi hai assistita nel momento più importante della mia vita, io assisterò te e non permetterò a Layla di avere il sopravvento. Ma ti prego, ti supplico, ti imploro… tiraci fuori di qui. Io devo vederlo e devo impedire che lo giustizino. Devo salvarlo.
Anche io voglio salvarlo.
Non immagini neanche quanto.
 
 
BLAKE

- Il ragazzo è proprio lì, Charles.
Ti basta dare ordine alle truppe di avanzare e lo prenderemo con uno schiocco di vita, ammazzando tutti quelli che ci si metteranno in mezzo – sussurrò Gregory, accanto a lui.
- No – disse Charles, placandolo con la mano. – Aspettiamo. Non siamo qui per fare strage di innocenti, senza tentare la strada della diplomazia.
Se non ci ascolteranno, sarete autorizzati a depredarli tutti, a ucciderli o a fare schiavi, a vostro piacimento.
Ma ti ricordo che il ragazzo che Nostra Signoria vuole ardentemente è legato, in mezzo a loro: sono loro ad avere il coltello dalla parte del manico, per ora.
Cerchiamo di convincerli con le buone – concluse, per poi rivolgersi nuovamente alla folla di abitanti di Bliaint, alzando la voce:
- Popolazione di Bliaint, ascoltatemi, vi prego:
Non siamo qui per fare strage di innocenti, né per fare schiavi.
Noi vogliamo solo il ragazzo che vi stavate accingendo a bruciare al rogo.
Se lo volete bruciare, non dovrebbe esservi molto utile, no? Non dovrebbe essere un problema cederlo a noi.
Dunque, ecco il nostro accordo:
Se ci consegnerete Blake, vi risparmieremo tutti.
Se, invece, deciderete di non farlo… saccheggeremo il vostro villaggio, prenderemo con noi tutte le donne e i bambini, e uccideremo tutti gli altri. Bliaint verrà rasa al suolo.
Prendetevi il vostro tempo per pensarci, se ne avete bisogno: noi resteremo esattamente qui.
Terminata la sua orazione, la folla iniziò a vociferare tra loro.
La risposta a tale accordo sembrava sin troppo semplice per quei soldati stranieri: se fossero stati al loro posto, avrebbero ceduto un ragazzo ad un esercito straniero, senza neanche pensarci.
Eppure, per Bliaint non era così. Per Bliaint ogni vita consacrata al Diavolo o al Creatore era pura, intoccabile, e cederla ad uno straniero significava macchiare la sacralità di Bliaint e del loro rapporto con i due Signori.
Blake lo sapeva bene. Osservò la folla confabulare, indecisa, in quell’aria di tensione, di terrore e di desolazione.
La corda stretta al suo addome aveva iniziato a strappare i vestiti sotto di sé, arrivando alla carne.
Ma, oramai, quel dolore non lo sentiva quasi più.
E anche in quel bivio di vita o di morte, non riuscì a non domandarsi dove fosse Judith, se il parto fosse andato bene, se fosse ancora viva, se i suoi gemelli fossero vivi. Lo sperò con tutto se stesso.
Prudence prese parola, alzando una fiaccola al cielo:
- Io non ho più alcun desiderio per la vita.
Eppure, le mie parole non sono plasmate dalla mia noncuranza nei confronti della mia vita, spogliata dai miei figli.
Parlo a nome delle sacre leggi di questo villaggio, che ci spingono ad essere impavidi e senza paura, confidando ciecamente nei nostri due Signori: non possiamo cedere questo ragazzo ad un conte straniero. Egli deve essere bruciato esattamente come merita, per tutto ciò che ha fatto.
E anche se il suo cuore fosse innocente… non potremmo esimerci dall’ucciderlo: solo così eviteremmo che questi sporchi stranieri mettano le mani su di lui! – disse a gran voce, incontrando l’evidente dissenso da parte di Craig, di Ambrose, degli altri componenti della ribellione e dei bambini dei vizi capitali.
- Prudence, cosa stai dicendo?? – le domandò confuso Ambrose, avvicinandosi a lei.
Lei, Ambrose e Craig erano gli unici ad essere ancora sopra il soppalco, insieme a Blake.
- Sai anche tu che è giusto così, Ambrose – disse asettica la donna.
- No, non può essere giusto… se rifiutiamo di cedergli Blake, ci attaccheranno e ci uccideranno! Non possiamo combatterli, saremmo spacciati! Inoltre, abbiamo appena salvato questo ragazzo dal rogo, dalla condanna ingiusta dei monaci… non possiamo condannarlo ora, solo per non cederlo agli stranieri.
- Quale abitante di Bliaint, quale essere umano senziente, preferirebbe rinunciare alla propria libertà, essere ceduto come un oggetto, come schiavo, ad un nobile straniero, che potrebbe fare di lui qualsiasi cosa, piuttosto che morire dignitosamente? – replicò freddamente Prudence, come se fosse ovvia la risposta.
- Stai ponendo sullo stesso piano la morte al rogo e una vita trascorsa come schiavo…! – le rispose Ambrose, in difficoltà.
Poi, improvvisamente, il servo del Creatore si rese conto che non avevano ancora interpellato l’oggetto e protagonista di tutta quella disputa.
Si voltò verso Blake, mostrando il suo volto spaesato, in cerca di risposte: - Tu cosa ne pensi di tutto questo? Preferiresti andare con loro… o morire ora?
Blake non si aspettava di venire interpellato: era ancora legato, privato del diritto di scelta sulla propria vita.
Per tale motivo nel suo volto si dipinse sorpresa, dinnanzi al quesito di Ambrose.
Craig, invece, era come paralizzato.
- Se non permetterete che mi portino con loro… vi uccideranno, stupreranno le donne, tortureranno i rimanenti, probabilmente – rispose ragionevolmente Blake. – Non è questione se io preferisca cedermi spontaneamente come schiavo, o morire ora. Si tratta della vita degli abitanti di Bliaint. Sono stati chiari: Bliaint verrà rasa al suolo se non mi avranno.
Perciò la scelta è scontata, ai miei occhi: cedetemi a loro. Permettete che mi prendano e avrete salva la vita – disse ad Ambrose, fissandolo dritto negli occhi con cruda sincerità, come in una sorta di preghiera.
- Il ragazzo è intelligente! – si elevò una voce, proveniente dai cavalieri stranieri, in attesa. – Fareste meglio ad ascoltarlo!
- No!!! – fu l’esclamazione ben chiara di Craig, il quale sembrò risvegliarsi dall’oltretomba, attirando gli sguardi su di sé. Si voltò a guardare Blake, Ambrose e Prudence: - Blake non verrà bruciato al rogo, né verrà ceduto come mera merce di scambio a questi bifolchi – affermò deciso.
A ciò, Ambrose riprese la parola, riflettendo: – Blake ha ragione. Se non lo cederemo a loro… moriremo tutti – disse guardando il succitato negli occhi, come per scusarsi in anticipo delle parole che avrebbe a breve pronunciato, a cui sarebbero dovute seguire le azioni. Poi si voltò verso Prudence: - È deciso, Prudence: doneremo Blake ai soldati, proprio come ci hanno chiesto, così saremo salvi.
In risposta, la donna si girò a guardarlo, congelandolo sul posto. – Tu non decidi proprio niente, qui. È il popolo che decide, unanimemente – disse. – Ti sei fatto incantare da lui così velocemente? – lo derise.
- Non mi sono fatto incantare. È ciò che è giusto fare, Prudence, per salvare la vita del nostro popolo.
Ma la donna non lo ascoltò neanche, rivolgendosi direttamente alla folla, con la fiaccola alzata. - NESSUNO CI GARANTISCE CHE QUESTI STRANIERI MANTERRANNO LA PAROLA E RISPARMIERANNO LE NOSTRE VITE, DOPO CHE GLI AVREMO CEDUTO IL RAGAZZO!
IO DICO DI BRUCIARLO! BRUCIARLO, PRIMA CHE SE NE APPROPRINO! E DICO ANCHE DI TOGLIERCI LA VITA, PRIMA CHE SI APPROPRINO DI NOI!
COSÌ VORREBBERO I NOSTRI SIGNORI!
COSÌ DEVE ESSERE FATTO!
NON SIATE CODARDI E NON ABBIATE PAURA!
AL CONTRARIO, ABBIATE PAURA DELL’IRA CHE SI SCAGLIERÀ SU DI NOI, SE DOVESSIMO DISOBBEDIRE ALLE SACRE SCRITTURE E AL VOLERE DEL CREATORE E DEL DIAVOLO!
LA PUNIZIONE CHE CI COLPIRÀ POI, SE ANCHE QUESTI CAVALIERI DOVESSERO RISPARMIARCI LA VITA… SARÀ MOLTO PEGGIO DI TUTTE LE CALAMITÀ E LE EPIDEMIE CHE BLIAINT HA SOPPORTATO SINORA!
Inoltre… - concluse la donna, voltandosi verso Blake e puntando il dito contro di lui. – QUESTA CREATURA PECCATRICE DEVE MORIRE! HA CONDOTTO GLI STRANIERI DA NOI, MERITA LA MORTE!
Un coro di urla di approvazione si elevò dalla folla, la quale iniziò ad urlare:
“A morte!
A morte!
A morte!”
Improvvisamente, Blake visualizzò anche la figura di Ephram, che avanzava tra la folla, verso il soppalco, con sguardo allarmato, come se ogni suo piano e proposito gli si fosse rivoltato contro, andando in fumo: - NO! Che diavolo state facendo?!? Vi rendete conto della gravità di ciò che state facendo, razza di carogne urlanti?!? – urlò lo stregone, trascinando Ambrose giù dal palco con violenza e scagliandoglisi contro: - Non era questo quello che intendevo quando ti ho incoraggiato ad aizzare una rivolta contro i monaci!! Non ti ho chiesto di mettere a capo di questa rivolta una donna pazza e incurante verso la vita!!! – gli urlò, strattonandolo, mentre Ambrose continuava a guardare con orrore il corpo di Prudence muoversi verso Blake. – Prudence, NO!! FERMATI! – le urlò il ragazzo, ma non vi fu verso.
Accadde tutto troppo in fretta.
Troppo in fretta per essere fermato da qualsiasi azione dei soldati, e da qualsiasi altro volesse salvargli la vita, o evitare di condannare Bliaint alla rovina.
Craig si scagliò su Prudence, tenendola ferma, come una belva feroce che difende con le unghie e con i denti i suoi cuccioli.
Blake non lo aveva mai visto così.
In quei pochi minuti, stava scoprendo lati di Craig che non aveva mai visto prima.
Poi, però, l’uomo venne afferrato da diverse paia di mani, appartenenti a uomini che erano profondamente d’accordo con Prudence. Lo tirarono giù dal soppalco, tenendolo fermo, mentre questo urlava e si dimenava, piangendo disperato.
Nel soppalco rimasero solo Prudence e Blake, legato.
La donna lo guardò negli occhi, gelida.
Blake ricambiò lo sguardo, non dicendo nulla, attendendo solamente, che il proprio fato gli bruciasse addosso.
Quando la donna lanciò la fiaccola accesa ai piedi di Blake, decretando la decisione del popolo, anche l’urlo di Charles giunse alle loro orecchie, che non si aspettava minimamente quel risvolto, e non era stato abbastanza veloce per impedirlo.
Blake ebbe il tempo di fare molte cose, in quei pochi secondi che lo dividevano dalla morte, mentre le fiamme consumavano velocemente la paglia ai suoi piedi:
Individuò la figura di Mona, tra la folla, che piangeva e lo guardava, pentita di averlo denunciato alle autorità.
Il suo volto diceva:
“Perdonami”
E Blake la perdonò, dentro di sé.
Poi, riportò gli occhi su Ephram, il quale lo guardava dal basso, incapace di muovere un muscolo, sconcertato, scioccato, sbiancato, come non lo aveva mai visto.
E gli venne quasi da ridere nel vederlo così, tanto debilitato, impaurito, svuotato.
Il suo volto diceva:
“Perché non te ne sei andato, come ti avevo chiesto, amico mio?”
Blake gli sorrise, perché infondo se lo meritava, e perché sapeva di essere stato sin troppo duro con lui.
Poi, Blake sperò di vedere anche Myriam, Quaglia e Hinedia, tra la folla, un’ultima volta, per imprimersi i loro volti a sangue nella memoria, prima di spirare.
Ma loro non c’erano.
Così come Judith, che, nei sogni di Blake, in quel momento stava abbracciando i suoi tre gemelli neonati, tutti vivi, ridendo, sfinita dal parto, e rendendosi conto di avere un’immensa voglia di tenerli con sé.
La sua Judith che gli sorrideva e gli diceva che, in un modo o nell’altro, sarebbero riusciti a salutarsi, a riabbracciarsi di nuovo.
L’idea che anche Ioan si sarebbe potuto trovare lì in mezzo se le cose fossero andate diversamente, fu in grado di fargli provare un ultimo brivido alla spina dorsale, che gli sconvolse tutto il corpo: il suo scopo era stato portato a termine, il suo dovere l’aveva fatto.
Suo fratello era salvo. Lontano da tutto quel baccano, da tutto quel sangue, da tutto quel dolore, da quella puzza di bruciato.
Se suo fratello stava bene… poteva morire in pace, sereno e realizzato.
Poi, per ultimo, Blake voltò lo sguardo verso l’ultima persona che gli mancava da guardare, affrontando l’ostacolo più grande e più bello.
Se lo era lasciato per ultimo perché sapeva, immaginava cosa l’uomo volesse dirgli.
Quell’amico devoto, che si era insinuato nel suo cuore silenziosamente e con costanza, a cui avrebbe letteralmente affidato la vita, tanta era la fiducia che nutriva verso di lui.
L’amico che si era reso conto volesse al suo fianco.
L’amico che non era disposto a veder andare via.
L’amico che gli era sempre stato accanto, salvandolo in ogni modo possibile.
L’amico… che meritava molto di più da lui, meritava più che essere chiamato semplicemente “amico”.
L’amico che meritava il suo cuore intero, meritava di stringere a sé la sua anima nuda.
L’amico che Blake sperava riuscisse ad andare avanti, dopo quello che i suoi occhi stavano vedendo, perché non avrebbe sopportato l’idea che morisse, per niente al mondo.
Va’ avanti senza di me, Craig.
Vivi la tua vita, senza paura.
La mia morte non è la fine di tutto.
Non è la tua fine.
Vivi.
E scappa via di qui.
Blake lo guardò intensamente, vedendolo dimenarsi tra le braccia degli uomini che tentavano inutilmente di tenerlo fermo, di tenerlo lontano da lui.
Ma Craig era una belva, un animale.
Sfuggì alla loro presa e si aggrappò con le braccia alla superficie del soppalco, esattamente ai suoi piedi. Cercò di issarsi su, per salire, ma il suo corpo era tremante, instabile, le sue mani sudate, le sue gambe ridotte a due pezzi di carne gelatinosi.
A ciò, Craig lo guardò dal basso, con il volto sconvolto dalle lacrime.
Erano vicini, così vicini, ma al contempo troppo lontani, come lo erano sempre stati.
Craig si beò di ogni cosa di lui, saziando i suoi occhi, come era abituato a fare.
Poi, schiuse la bocca, e quelle parole che avrebbe voluto dirgli da mesi e mesi, quelle parole che si tratteneva dentro come macigni consumanti, quelle parole che lo divoravano e infuocavano giorno dopo giorno, finalmente lasciarono le sue labbra, dinnanzi all’unico giovane uomo che avrebbe mai amato, che le udì forti e chiare:
- Ti amo.
Ti amo, da morire.
Ti amo…
Ti amo!
Ti amo!!
TI AMO!
TI AMO!!!
Gliele urlò piangendo, tirandole fuori senza paura, senza vergogna, liberandole al cielo, liberandole per Blake.
Blake, in risposta, pianse.
Pianse e gli sorrise.
Gli sorrise in un modo in cui non gli aveva mai sorriso.
Gli sorrise con gli occhi e il viso pieno d’amore.
Infine, quando iniziò a sentire il fuoco raggiungergli le caviglie, Blake guardò davanti a sé, trovando, dopo tanto tempo, una vecchia conoscenza venuta a fargli visita.
Una vecchia conoscenza che aveva scoperto gradire immensamente.
- Bonnie… - sussurrò Blake, guardando la bambina bionda sporca di terra, in piedi davanti a sé.
Bonnie gli sorrise, con un sorriso troppo diverso da quello dei bambini.
Gli sorrise quasi come avrebbe fatto una madre, poi volò in aria, staccando i piedini nudi da terra e avvicinandosi al suo viso.
Allungò una manina e accarezzò la guancia bagnata di lacrime del ragazzo.
Blake si beò di quel contatto, guardandola negli occhi e sorridendole, distrutto. – Ho paura, Bonnie. Ho tanta paura…
La bambina gli sorrise nuovamente, con immensa premura, poi intonò il suo canto, il canto del fantasma:
- “Ho sentito scaturire in me il terrore della morte e dell’ignoto.
Ho cercato tutti i miei pezzi, sepolti chissà dove, a metà tra i due mondi, ma non li ho trovati.
Mi dissolverò come il vento, lo so.
Ti vedo ma tu non vedi me.
Non sogno più, quindi mi infilo nei tuoi, di sogni, per non perdermi.
Fammi dormire ancora, fammi dormire e fammi sentire i battiti del tuo cuore, perché io non sento i miei.
Guarda il mio sudario un’ultima volta e smetti, smetti di piangere, altrimenti non riuscirò mai ad addormentarmi sottoterra”
Non avere paura – concluse la bambina. – Non averne. Io sono con te.
Blake annuì, rassicurato, poi alzò gli occhi blu, lucidi come le stelle, verso l’alto, guardando il cielo.
Come ad ogni rogo, in cielo splendeva il sole. Anche stavolta.
Poi, il fuoco lo raggiunse.
E mentre le urla atroci del ragazzo si innalzavano, Charles e i suoi soldati tentavano ancora di superare la folla accanita, che impediva loro di raggiungere il soppalco.
 
 
HINEDIA
 
Judith le aveva appena chiesto di liberare il suo nemico più grande: se stessa.
O meglio, la parte più oscura di sé.
Layla stava scalpitando per uscire sin da quando erano stati chiusi contro la loro volontà in quel sotterraneo, ma, come ogni volta, Hinedia aveva lottato per tenerla a bada.
Ora, invece, si trovava dinnanzi ad un bivio: o uscire di lì per tentare di salvare Blake, o mantenere il controllo di sé, respingendo quella parte distruttiva in fondo, lì dove sarebbe dovuta restare.
Tentare di salvare Blake e tenere prigioniera Layla non erano coinciliabili.
Poi, però, pensò che la soluzione era molto semplice: dopo aver risvegliato Layla, avrebbe pronunciato la famosa frase che avrebbe liberato il veleno della manticora, e che l’avrebbe resa libera, uccidendola.
Infondo, voleva morire sin da quando aveva tolto la vita a Dun Rolland, macchiandosi di omicidio.
Ora era il momento giusto: Judith era salva, con i suoi tre bellissimi gemellini, e Blake sarebbe stato salvo a sua volta, se Judith fosse riuscita a convincere i monaci a non giustiziarlo. Anche Quaglia stava bene, lì accanto a lei.
Eppure, prima di prendere la decisione finale… volle consultarlo.
Oramai la figura di Quaglia era divenuta pari a quella di un maestro spirituale per Hinedia.
L’ultima parola sulla faccenda, l’avrebbe avuta lui.
Hinedia si voltò verso l’uomo, che già la stava guardando, con in braccio la secondogenita della cucciolata.
- Secondo te cosa dovrei fare?
- Qualsiasi cosa sia, falla uscire – parlò a sproposito Myriam, che smaniava per uscire a sua volta: forse anche la sua influenza in quanto monaca sarebbe servita a convincere i monaci a non giustiziare Blake.
Quaglia si avvicinò a lei, e le sorrise rassicurante: - Falla uscire, Hinedia. Ti riporterò io indietro – le garantì con decisione.
E Hinedia si fidò ciecamente di lui, così come si fidò ciecamente di Judith, che le strinse la mano, prima di guardarla avvicinarsi alla botola.
Vieni fuori, Gemella.
Vieni fuori…
Le bastò pensare a tutto l’odio che nutriva nei confronti dei monaci, coloro che stavano per far bruciare al rogo Blake, per istigare lo spirito protettivo di Layla ad uscire fuori, facendolo scatenare.
Quando la ragazza riaprì gli occhi scuri, non era più Hinedia, bensì il mostro.
Urlò disperata ed esagitata, spaventando tutti, iniziando a prendere la rincorsa e a scagliarsi contro la botola come un toro.
La sua volontà si era sostituita alla sua forza fisica: il suo corpo era animato solo dal morboso e malato spirito protettivo che Layla nutriva nei confronti di Blake.
Fu solo per tale ragione che, dopo dodici violentissime spallate di rincorsa, con cui Layla tartassò incessantemente la porta, questa venne sfondata, e alcune schegge di legno si infilzarono dentro la pelle della ragazza.
- Usciamo di qui, svelti!! – le parole di Myriam punsero le loro orecchie come aghi.
Myriam prese in braccio tutti e tre i gemelli, mentre Quaglia prese in braccio il corpo debolissimo e prosciugato di Judith, riuscendo anche a trascinarsi Layla con sé, mentre risalivano le scalinate della cattedrale e giungevano al portone.
Prima di aprire il portone, Quaglia adagiò Judith a terra, poi si accostò a Layla.
Era evidente Hinedia stesse combattendo dentro di lei, per riuscire fuori.
“Adsum martikhoras
Adsum martikhoras
Adsum martikhoras” si ripeteva dentro di sè la ragazza.
Era il momento.
Era il momento di pronunciarla, con le ultime briciole di lucidità che le rimanevano.
Era ora di liberarsi per sempre di Layla. E di se stessa.
- Adsum-
- No!! – la interruppe Quaglia prontamente, sapendo bene cosa stesse per fare. – La colpa dell’esistenza di Layla è solo mia, ricordi??? Tu non hai colpe. Perciò svegliati, Hinedia. Svegliati e dominala. Non devi morire per questo.
NON DEVI MORIRE.
Improvvisamente, Hinedia riaprì gli occhi, ritrovando se stessa.
Era stato pari ad un miracolo, ma le parole di Quaglia erano state in grado di scacciare via il mostro.
La ragazza gli sorrise, immensamente riconoscente, ma ora non vi era tempo di pensare a ciò.
- Aprite questo maledetto portone!!! – esclamò Myriam, con i tre gemelli in braccio.
Quaglia si affrettò a spalancare il portone che dava sulla piazza principale del villaggio.
Ma lo spettacolo che si trovarono dinnanzi era il peggio, del peggio, del peggio che si potessero immaginare.
I soldati stranieri, uomini armati fino ai denti, stavano uccidendo chiunque capitasse loro a tiro, i loro cavalli calpestavano senza grazia i cadaveri a terra, molti di loro trascinavano per i capelli donne e bambini, incatenandoli, altri le stupravano come cavalli da monta, all’aria aperta, tra le urla, il sangue, le grida di disperazione, il lamento di un popolo intero condotto alla rovina.
Per orgoglio.
Per bigottismo.
Per una fede cieca, che chiedeva sempre e non dava mai in cambio.
Per abbandono di ogni speranza.
In mezzo a tutta quella catastrofe, a quelle urla, a quei lamenti, a quella tragedia consumata dinnanzi ai loro occhi, si stagliava il soppalco, a distanza, in mezzo alla piazza.
Legato al palo, consumato a sua volta, vi era uno scheletro carbonizzato, oramai prossimo a divenire polvere.
Myriam fu la prima a ritrovare la capacità di muoversi e di pensare, dinnanzi a quella visione: poggiò i tre gemelli tra le braccia di Quaglia, e iniziò a camminare, poi a correre, diretta verso il soppalco.
Il suo andamento era quello di una morta vivente, privata di ogni spirito vitale, di ogni speranza, di ogni motivazione a continuare a vivere.
Quaglia era ancora immobile, congelato sul posto.
Judith, dal suo canto, guardava il soppalco da sdraiata a terra, a distanza.
I suoi occhi scuri erano spalancati, stralunati, sembrava volessero uscirle dalle orbite.
Inoltre… stava continuando a perdere sangue, ma gli altri non si accorsero di nulla.
Ne perdeva ancora e ancora, e sembrava che il suo stato mentale, il desiderio di morte che stava nutrendo in quel momento, stesse contribuendo a farle uscire ancora più sangue, a realizzare la brama di riunirsi al suo amore.
- Amore mio… - sussurrò Judith, sentendo una gravissima stanchezza piombarle improvvisamente addosso. – Amore mio, perdonami… perdonami se sono arrivata tardi. Sto per raggiungerti…
“Apri gli occhi, chiudi gli occhi, oh mia piccola dolce Arley Arley …
Arley, Arley, non guardare …”
Le parole di sua madre la cullarono nel cammino verso la morte.
Poi, poco prima di chiudere definitivamente gli occhi, accogliendo la Nera Signora incappucciata, un’unica voce, calda e amatissima, risuonò nelle orecchie della fanciulla:
“Spero tu stia facendo bei sogni”
Sto arrivando, amore mio.
Curerò le ferite che ti ha procurato il fuoco del rogo e non sentirai più alcun dolore, amore.
Sto arrivando…
Quando Judith chiuse gli occhi, in una pozza di sangue, abbandonando la testa a terra, Hinedia stava per muovere i primi passi verso la piazza, verso il soppalco, esattamente come aveva fatto Myriam, mossa dal disperato desiderio di avere un’ultima parte di lui, anche se si fosse trattato di abbracciare la cenere.
Poi, però, posò lo sguardo su Judith e la trovò in quel modo.
Sgranò gli occhi, iniziando a respirare affannosamente, abbassandosi su di lei e alzandole la testa e il busto pesanti. – Judith! Judith!! Judith, ti prego, rispondimi!!! JUDITH! RISPONDIMI, JUDITH, TI STO CHIAMANDO!! SONO QUI CON TE, CON TE FINO ALLA FINE, AMICA MIA!
JUDITH!!!
Hinedia alzò gli occhi su Quaglia, come per chiedergli aiuto, ma l’uomo era ancora paralizzato a guardare il soppalco a distanza, e i soldati che sterminavano e stupravano la popolazione di Bliaint.
Era un miracolo che possedesse ancora la facoltà e la razionalità di tenere in braccio i tre neonati, appena divenuti orfani.
Hinedia non ci poteva credere. Non ci poteva credere che anche Judith se ne fosse andata.
Strinse il corpo della ragazza a sé, piangendo piano, immaginando di star stringendo, con Judith, anche il corpo di Blake.
Poi, in uno sprazzo di lucidità, udì la voce di uno dei soldati stranieri avvicinarsi, camminare verso il portone della cattedrale.
Quaglia, ancora paralizzato, non ebbe reazioni.
La mente di Hinedia, invece, si riempì solamente di un pensiero:
Proteggi i bambini.
Nel momento in cui la fanciulla si voltò, l’uomo si stava avvicinando a Quaglia, osservando i tre gemelli, a metà tra l’intenerito e il divertito: - Carine, queste bestioline. Sono servi del Diavolo? Se sono servi del Diavolo, li porto con me, se non ti dispiace – disse l’uomo, tirando fuori la sua spada, poi alzando lo sguardo verso Quaglia. – Oh… che sorpresa. Ciao, Philippus – il soldato lo riconobbe come il “messaggero da Bliaint”.
- Non toccarli!!! – gridò Hinedia, scattando in piedi e fronteggiandolo, con rabbia ferina.
Layla era ben sotto controllo.
Ora era lei, Hinedia, ad essere infuriata.
- Oh, chi abbiamo qui?? Suppongo una serva del Creatore, a giudicare dall’aspetto che lascia a desiderare – la sdegnò l’uomo, avvicinandosi, per poi posare i suoi sudici occhi sul cadavere di Judith, steso a terra. – Gesù Cristo… chi è questa dea? E chi ha osato ucciderla? Sia maledetto chiunque ha stroncato la vita una giumenta tanto meravigliosa… che spreco. Però, posso averne un assaggio anche ora, dato che il suo cadavere mi sembra ancora fresco… e morbido – disse avvicinandosi.
Ma Hinedia si stagliò tra il corpo di Judith e il soldato, fulminandolo ferocemente.
- Non.Osare.Avvicinarti.A.Lei – scandì bene ogni parola, facendo ridere l’uomo.
- Sennò?? Sennò che fai?? Mi colpisci con l’orlo della tua sottana??
L’uomo alzò la spada su di lei, ma Hinedia schivò abilmente il colpo, mettendo in pratica gli insegnamenti di Quaglia.
In poco tempo, riuscì a disarmarlo, dandogli un’improvvisa e inaspettata ginocchiata sullo stomaco.
Dopo di che, conficcò la spada sul petto dell’uomo.
Gente come quell’essere non meritava di stare al mondo.
Fatto ciò, Hinedia ebbe chiaro in mente il da farsi.
Doveva agire subito, fare in fretta.
Si abbassò per prendere il corpo di Judith e riporlo in una zona della cattedrale più nascosta possibile.
Poi, la abbracciò un’ultima volta e le diede un bacio sulla fronte. 
In seguito, tornò da Quaglia e lo risvegliò dal suo stato di trance.
- Dammi uno o due dei gemelli, Quaglia, alleggerisciti – lo spronò. – Dobbiamo portare questi bambini via di qui. ORA.
A tali parole, l’uomo si riscosse, obbedendo e lasciandole tra le braccia due dei neonati.
- C’è un modo per scappare via da Bliaint, senza dover attraversare la piazza? – domandò Quaglia, pratico.
Hinedia vi pensò su, allontanandosi dal portone. - Il bosco… - realizzò. – Possiamo raggiungere il bosco dal retro della cattedrale. Judith, una volta, mi ha rivelato che c’è un modo per uscire dalla cattedrale del Creatore, tramite un tunnel che si trova nelle cucine, un tunnel che Maroine e Maringlen usavano sempre per infiltrarsi dentro – spiegò.
- Bene. Affrettiamoci.
Così, insieme, corsero verso la salvezza, con tre gemelli in braccio.
 
EPHRAM

La violenza imperversava ovunque.
Uomini che violentavano donne e anche qualche giovane fanciullo.
Luridi vermi che rapivano e trascinavano per i capelli la sua gente, senza averne la minima cura.
Nessuno, tra la sua gente, era addestrato a combattere.
Saresti dovuto essere qui in tempo, Ruben, per salvarci.
E invece non ci sei.
Dove sei, ragazzino?
Osservò quel tremendo spettacolo dinnanzi a sé, a distanza, con il cappuccio tirato su, a coprirgli il volto.
Blake era morto.
Il suo villaggio stava venendo massacrato.
Cosa rimaneva ancora, di Bliaint?
Poi, improvvisamente, uno dei numerosi soldati stranieri si accorse di lui, e gli si avvicinò puntandogli una spada alla gola.
- Togliti il cappuccio – lo minacciò. – Voglio vederti in faccia.
- Perché, che vuoi fare, cane? – gli domandò Ephram sprezzante, alzando le mani, imitando un fasullo segno di resa.
A ciò, il soldato gli tolse il cappuccio con la lama della spada, scoprendogli il viso.
Osservò il suo bel volto, poi fece scorrere gli occhi sui disegni neri e indelebili che sbucavano dal collo e dalla nuca. – Sei un servo del Diavolo. E anche uno stregone, vero? Ci hanno detto che quelli con i segni come i tuoi sul corpo sono stregoni, a Bliaint. Ci può tornare utile uno stregone. E poi… sei pur sempre un servo del Diavolo. Vali molto – annunciò il soldato, rinforzando la presa sulla spada puntata al collo del giovane stregone, poi prendendolo per un braccio e strattonandolo. – Ora fa’ il bravo e vieni con me… - gli sussurrò.
Ma Ephram gli sorrise sdegnato e schifato, strattonando il proprio braccio dalla presa di quel verme.
- Voi non ci avrete mai – gli disse, fissandolo negli occhi con una sicurezza e un’intensità che fecero paralizzare l’uomo.
- Che cosa…?
- Ho detto: Non ci avrete mai.
Nel caso fosse accaduta la peggiore delle ipotesi… mi sono armato. Anche per questo – la fiducia nelle proprie parole, che traboccava dai suoi occhi chiari, era spiazzante. – Ho fatto il mio dovere, e ho provveduto ad invocare il volere di qualcuno molto più potente e assetato di sangue, rispetto al Diavolo e al Creatore – lo informò.
Il soldato rise di sfregio, in risposta. – Ah sì?? E chi avresti pregato di salvarvi, sentiamo??
- Lo vedrai.
“Ho già pregato il mio Signore.
Ma ora rivolgo le mie preghiere a Te, Dio Sanguinario
Improvvisamente, la terra tremò.
Come Ephram aveva previsto, Lui venne in suo aiuto, accompagnato da tutti gli spiriti inquieti e tormentati dei Bambini, morti come lui.
“Hai ucciso i tuoi fratelli e sorelle, e ti sei tolto la vita.
Hai compiuto il gesto che ha permesso alle persone che amavi di raggiungere la libertà, Dominic.
Ho versato questo sangue per te come sacrificio”
La terra tremò, facendo impietrire tutti i soldati e gli abitanti di Bliaint soggetti alle loro torture e alla loro violenza.
Ephram sorrise, fiero.
“Ho bisogno che tu, tu e i tuoi compagni, malediciate questa Terra.
La malediciate, contro tutti gli invasori stranieri che vi metteranno piede.
Da qui, fino all’eternità”
I brutali tremori della terra partirono da tutte le cripte dissotterrate e dalla galleria.
Improvvisamente, delle crepe iniziarono ad aprirsi sul terreno, dalle cripte, scoperchiando anche la galleria, estendendosi su ogni singola porzione del villaggio di Bliaint.
“Ascolta le mie parole, Dominic!
Ascoltate le mie parole, Bambini Sciagurati!
Se non volete proteggerci… allora maledite anche noi abitanti di Bliaint!
Malediteci tutti, ma vi imploro, maleditela anche contro i nostri invasori, in modo che nessuno di noi soffra mai a causa loro!”
- Che diavolo sta succedendo?!? – domandò il soldato, spaventato a morte.
Ephram rise ancora, pronto alla morte a sua volta. – È il potere del Dio Sanguinario.
“Accetta questo sangue come dono, Dominic, e ascolta, ascolta le mie parole”
Ogni essere vivente presente sul suolo di Bliaint venne inghiottito dalle crepe, inghiottito dalla terra.
La sofferenza terminò, terminò quando sopraggiunse l’estinzione.
 
RUBEN

Quando Ruben mise piede sul suolo di Bliaint, trovò solo desolazione e tanto, tanto dolore, che aveva il colore del sangue secco, ma ancora fresco.
Ogni cadavere era stato inghiottito dal terreno, da delle crepe enormi e innaturali, che lui e i suoi compagni d’arme furono costretti a scavalcare con dei lunghi e grandi salti, per non caderci dentro.
Distruzione radicale fu tutto ciò che videro, relitto di quell’imponente e glorioso villaggio, la cui maestà poteva scorgersi dalle solenni e splendide cattedrali, ora distorte, a causa delle crepe.
- Che accidenti è successo qui?? – domandò il suo comandante, tappandosi il naso, per non sentire l’odore del sangue putrefatto perforargli in naso.
Un odore che avevano sentito già un’infinità di volte, prima d’allora, a cui avrebbe dovuto ormai esser avvezzo.
Ruben camminò tra le crepe, saltando da parte a parte, guardandosi intorno.
Il sole splendeva in cielo, il vento era vento di Primavera.
Nessun superstite.
Nessuno, da nessuna parte, nemmeno dentro le case.
Ruben vagò ancora, raggiungendo la parte centrale della piazza, occupata da un soppalco, inclinato dalla crepa sotto di esso. Sopra quel soppalco c’era un palo semicarbonizzato, con i resti quasi totalmente polverizzati di uno scheletro.
Ruben lo osservò, guardando il vento portare via quella cenere nera e spessa.
Alzò una mano al cielo, facendosi sfiorare da quei resti, appartenuti a chissà chi.
Siamo arrivati tardi, papà.
E tu?
Dove sei, tu?
Inghiottito anche tu, dalle fauci della terra di questo villaggio che tanto amavi?
Il mio viaggio in mare durato settimane… mi ha portato a questo?
Mi dispiace. Di essere arrivato tardi.
Non era rimasto nulla.
Era inutile rimanere lì.
Il leggendario villaggio di Bliaint era solo un ricordo, svanito nel nulla.
Prima che Ruben se ne andasse, di nuovo una voce, indistinta, gli carezzò le orecchie col suo canto misterioso:
Cala la luna
Il cielo la inghiotte
Cala la notte
Il sole si ammala, il fuoco non brucia, il palco scompare, nessuno urla più
Cala la luna
Ti sta cercando, chiudi gli occhi, trattieni il respiro e rimani laggiù.
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:

Perdonatemi per questo finale atroce alla George Martin, ma non amo i finali allegri, sfortunatamente.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto fino alla fine, capisco che seguire una storia del genere di sessanta e passa capitoli, non deve essere facile.
Spero vi sia piaciuta 🙏🏻
Comunque (per chi fosse interessato), la nostra storia non finisce qui:
Ho intenzione di scrivere anche un sequel, prossimamente, ambientato anni dopo, che seguirà le gesta di Ruben, dei figli di Judith e della figlia di Ephram e Sybil, principalmente (ma incontreremo anche qualche vecchia conoscenza)
Se vorrete seguire anche quella, ne sarei molto felice!
Grazie a tutti e buon anno nuovo (un po’ in anticipo) 🎉

 
 
 
 
   
 
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