Fumetti/Cartoni americani > Batman
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    02/04/2023    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Always proud of you Titolo: Always proud of you
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 2426
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Thomas Alfred Wayne-Kent (OC)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Advent Calendar: 126. Tra le righe


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    Jon ebbe appena il tempo di aprire la porta di casa che Tommy, nervoso, lo superò per gettare in un angolo la mazza da baseball e il casco, correndo al piano di sopra sotto lo sguardo sconfortato di suo padre.

    Conosceva bene quella sensazione di sconfitta e la cocente delusione che si annidava nel petto dopo una partita andata male, la sensazione degli sguardi degli altri compagni di squadra che sembravano incolparti per la sconfitta e la voglia di correre il più lontano possibile per nascondersi dagli sguardi giudicanti, quindi Jon sapeva come potesse sentirsi Tommy in quel momento. In quanto padre avrebbe dovuto essere di supporto, parlargli a cuore aperto e cercare di confortarlo, ma ricordava bene il desiderio di voler restare da solo con i propri pensieri… e se Tommy avesse avuto bisogno di quello stesso spazio? Aveva undici anni, stava crescendo e facendo i conti con le complicanze che a volte comportava il diabete, quindi forse--

    «Vuoi che ci parli io?» si fece sentire d’un tratto Damian, accostandosi a lui per poggiargli una mano sulla sua spalla e riscuoterlo dai suoi pensieri.

    Andare insieme aveva aiutato a far sentire Tommy il più supportato possibile – lo avevano visto voltarsi verso le tribune e regalar loro un gran sorriso – ma, a dispetto di tutto il tifo che lui e Damian avevano fatto, quando il lanciatore della squadra avversaria gli aveva rifilato tutti e tre gli strike… il sorriso sulle labbra di Tommy si era affievolito fino a scomparire ed entrambi lo avevano visto chiudersi in sé stesso al suono dei fischi degli altri ragazzi e dei rimproveri per aver sbagliato. Jon stesso era rimasto immobile sugli spalti, lo sguardo fisso sul figlio che usciva dal campo e la mano di Damian sulla coscia, più che consapevole di ciò che aveva provato Tommy. Aveva provato la stessa cosa, e anche cercare di tirarlo su durante il tragitto di ritorno – Damian aveva persino proposto di fermarsi per un gelato, cosa più che strana se detta da uno come lui – era stato inutile; Tommy si era limitato a brontolare un “No” con la guancia premuta contro il finestrino del furgone, le braccia incrociate al petto e lo sguardo spento, e a Jon aveva fatto davvero male vederlo così. E quella reazione a casa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

    «Grazie, D, ma… credo… credo sia meglio che vada io», disse infine Jon, voltandosi per cercare di sorridere rassicurante. Damian aveva partecipato ad una delle sue partire quand’era più giovane e aveva anche saputo della sconfitta, quindi Jon gli era davvero grato per quella premura… ma sentiva che avrebbe dovuto affrontare la cosa senza girarci intorno o provare a scappare. Suo figlio aveva bisogno di lui.

    Capendo, Damian si limitò ad annuire e si chiuse la porta alle spalle. «Fai un fischio se hai bisogno».

    «Preoccupato che Tommy possa piangere?» stemperò Jon, ma Damian scoppiò a ridere.

    «Sono piuttosto preoccupato che potresti farlo tu». Si sporse verso di lui per baciarlo a fior di labbra quando sentì Jon borbottare, fissandolo con attenzione negli occhi qualche attimo dopo. «Perdere è… sempre un brutto colpo, in qualunque campo. Thomas è un ragazzo emotivo, ma ne verrete a capo».

    Jon lo fissò per un lungo istante, il capo chino verso il volto di Damian; si perse in quegli enormi occhi verdi e lesse in essi tutto il supporto di cui aveva bisogno, facendo scivolare una mano lungo il braccio di Damian per afferrargli le dita e intrecciarle con le sue, prendendosi un altro piccolo momento per concederne ancora anche a Tommy stesso. Forse quei modi sarebbero potuti sembrare strani per altre persone, per certi versi persino controproducenti – erano loro gli adulti della situazione, secondo molte persone avrebbero dovuto avere la verità in mano ma non era così che funzionava –, eppure la loro dinamica aveva sempre funzionato nel corso di quegli undici anni. E Jon, dopo aver stretto ancora un po’ quelle dita, alla fine sorrise e annuì quando Damian gli sorrise a sua volta, allentando la presa per imboccare le scale e salire al piano di sopra.

    Davanti alla porta di Tommy, Jon indugiò con una mano a mezz’aria, le nocche già pronte a bussare ma che ancora non si decidevano a farlo. Avere undici anni non era facile, tutti gli adulti ci erano già passati ma la maggior parte di essi dimenticavano com’era stato, e forse era anche merito del suo cervello per metà kryptoniano se aveva immagazzinato con attenzione quei ricordi; era incerto se lasciare ancora un po’ di spazio a Tommy o meno, soprattutto perché aveva cominciato a sentire l’inconfondibile suono di una palla da baseball lanciata contro il muro, ma alla fine trasse un sospiro e si decise a bussare, schiarendosi la gola con un colpo di tosse.

    «Ehi, campione… posso entrare?» domandò, e i colpi cessarono del tutto solo una buona trentina di secondi dopo – sì, Jon li aveva contati, e allora? –, come se il ragazzo si fosse preso un momento per valutare la cosa.

    «Come ti pare».

    La voce di Tommy era un borbottio sconnesso, un basso brusio che lasciava benissimo trasparire quanto ancora gli bruciasse e, quando Jon aprì lentamente la porta, lo vide seduto sul materasso con la divisa ancora addosso. Si era poggiato con la schiena contro la testiera del letto e aveva affondato i tacchetti nelle lenzuola nonostante lui e Damian gli avessero sempre ripetuto di non salire con le scarpe sul letto, ma in quel momento Jon non se la sentiva proprio di fargli una ramanzina per quello.

    «Ehi». Jon si avvicinò piano, prendendo posto al lato del materasso per poterlo guardare dritto in viso, ma fu Tommy a parlare prima ancora che potesse aprire bocca.

    «Non sono tagliato per il baseball», replicò con la fronte aggrottata. «Sto solo sprecando tempo».

    Jon si sentì un po’ male nel sentirlo parlare così. Tommy aveva dimostrato una grande passione per il baseball e lui e Damian avevano cercato di supportarla – a volte, quando andava a trovarli, Dick gli portava persino figurine di giocatori famosi -, quindi vederlo arrendersi era davvero difficile. «Non è così, campione… capita di perdere, sul serio. Fa parte del gioco».

    «Non abbiamo solo perso, papà. Ho giocato da schifo», sbottò, lanciando nuovamente la palla contro la parete davanti a sé; stavolta usò più forza e la pallina si schiantò contro l’armadio, rotolando rovinosamente sotto il letto. «Ho deluso la squadra… e anche te e baba. Volevo farvi vedere quanto ero migliorato e volevo… volevo che vi sentiste fieri di me».

    Jon a quelle parole lo abbracciò di slancio, pur sentendolo irrigidirsi un po’. Ma ormai era abituato ai momenti “no” di Damian. «Io e baba saremo sempre fieri di te», sussurrò, sollevandogli un po’ il viso per poterlo guardare in quegli occhi così diversi e profondi. Poteva vedere in essi la frustrazione, leggere tra le righe quanto l’aver perso lo facesse stare male e quanto credesse davvero di dover abbandonare una passione solo per quell’unico fallimento, ma Jon non voleva che si abbattesse così. «Devi fare ciò che fai prima di tutto per te stesso, Tommy. Sei bravo, abbiamo visto quanto ti piaccia questo sport e quanto ti impegni ogni giorno per migliorare… era solo una giornata no, questo non significa che tu non sia in grado di giocare. Ho avuto anch’io momenti simili alla tua età, sai?»

    Tommy roteò gli occhi e sbuffò nel sentirlo, pur restando tra le braccia del padre e fissando un punto indefinito. «Sì, come no. Lo dici solo per farmi sentire meglio».

    «Oh, dico davvero. Puoi chiedere a nonna Lois se non mi credi». Jon gli diede un colpetto sul naso con due dita, vedendolo arricciare la punta con un piccolo borbottio. «Anch’io ero piuttosto giù di morale, quel giorno… ma poi ho capito che ci sarebbero state tante altre partite in cui avrei potuto dimostrare quanto valevo. Basta perseverare e continuare ad allenarsi, campione», soggiunse nel dargli un bacio sulla testa, e Tommy mugugnò qualcosa, cercando di sistemare inutilmente i ciuffi ribelli.

    «Ho undici anni, papà. Sono grande per i baci sulla testa».

    Jon ridacchiò, seppur un po’ sconfortato. Crescevano così in fretta… «Giusto, giusto. E per un altro abbraccio?» provò nell’allargare esageratamente le braccia, vedendo Tommy soppesare la cosa prima di lanciarsi lui stesso verso di lui.

    «Quelli mai», sussurrò, affondando il viso nel suo petto, con l’orecchio premuto contro di esso ad ascoltare il battito del suo cuore.

    Non seppero quanto tempo rimasero così né gliene importò, erano solo un padre e un figlio che si godevano un momento di cui ne avevano sentito la mancanza –  tenendo conto che negli ultimi tempi Jon partiva spesso per lavoro, Tommy non lo aveva visto spesso –, l’uno stretto all’altro senza il bisogno di proferire parola, finché non fu Jon ad allontanare un po’ il viso e, sorridendogli, non lo guardò negli occhi e gli scompigliò poi i capelli nonostante la piccola rimostranza che ci guadagnò.
«Ora va’ a cambiarti, aiuto baba a preparare la cena. In cucina tra dieci minuti», disse, e Tommy annuì con riluttanza prima di sciogliersi da quell’abbraccio e schizzare in bagno sotto lo sguardo più tranquillo di Jon.

    Quando tornò di sotto, Damian si era già cambiato e aveva preparato sul bancone tutti gli ingredienti per la cena, Jon lo colse proprio mentre gli dava le spalle e si stava allacciando il grembiule; con un sorriso a fior di labbra, lo raggiunse per aiutarlo, senza stupirsi più di tanto quando Damian, senza nemmeno voltarsi, gli lanciò il suo.

    «Com’è andata?» chiese senza tanti giri di parole, e Jon si strinse un po’ nelle spalle prima di infilarsi il grembiule e allacciarlo.

    «Direi… abbastanza bene».

    Damian stavolta si voltò per fissarlo attentamente, inclinando il capo di lato. «Ancora arrabbiato?»

    «Forse un po’… ma gli passerà, suppongo».

    «Certo che gli passerà». Damian ghignò, dandogli un pugno su una spalla. «Riesci ad essere piuttosto persuasivo, quando ti intestardisci», affermò, e Jon abbozzò un sorriso prima di cingergli i fianchi per attirarlo a sé.

    «Lo dici come se fosse una brutta cosa».

    «Dipende dai punti di vista».

    Jon rise genuino e chinò il viso verso di lui, sorridendo nel sentire le mani di Damian scivolare lungo la sua schiena e al limitare delle sue natiche, provocandogli un piccolo brivido di piacere. «Vogliamo vedere quanto posso essere persuasivo in altri “frangenti”?»

    «Puoi provarci», sentenziò ironicamente Damian, issandosi sulle punte per sfiorargli le labbra con un bacio; si tennero stretti in quello sfiorarsi di labbra, una leggera carezza bocca contro bocca, sentendo poco dopo dei passi fermarsi proprio davanti alla porta e una piccola esclamazione sorpresa, seguita da un “Trovatevi una stanza!” scherzosamente pronunciato da Tommy e risero entrambi contro la bocca dell’altro prima di separarsi.

    «Ehi, campione, preciso come un orologio!» scherzò Jon nel voltarsi verso di lui proprio nel momento in cui Tommy, dopo aver fatto qualche passo, perse l’equilibrio e cadde in avanti; ad occhi sgranati, si gettò verso di lui come a rallentatore ma Damian fu più veloce di lui e afferrò il figlio al volo, facendogli poggiare la testa sulle sue gambe.

    «Thomas, ehi, figliolo. Riesci a sentirmi?»

    «Io… io… sì, non so cosa… solo… capogiro…» riuscì a dire con la bocca impastata, trovando un po’ di difficoltà a parlare mentre strizzava le palpebre come se faticasse a mettere a fuoco i loro profili. Fino a cinque minuti prima stava bene, anzi, lo stomaco aveva persino reclamato e provocato un bizzarro senso di fame che lo aveva spinto a darsi una mossa e a scivolare letteralmente lungo il corrimano, anche se aveva ignorato il mal di testa martellante e lo aveva solo imputato al fatto che la giornata fosse stata lunga e che avesse giocato fino a quel momento; adesso, invece, aveva la vista annebbiata e qualche brivido, e attraverso la foschia vide suo padre muovere le labbra e sussurrare qualcosa.

    «Come ti senti?»
   
    «Ho… mal di testa», si sforzò di rispondere Tommy, umettandosi le labbra. «E ho freddo. Mi gira tutto, siete così… sfocati».

    «Ipoglicemia», dissero in coro i suoi genitori, ma fu il padre a raddrizzarsi in piedi e a dirigersi verso la credenza, mentre il suo baba gli sistemava meglio la testa sulle cosce.

    «No, sto… sto bene», insistette il ragazzo nel cercare di tirarsi su, ma il suo baba lo costrinse a restare immobile e lo fissò con intensi occhi verdi.

    «Sta’ fermo, eaziz».

    «Tieni, campione». Suo padre Jon comparve nel campo visivo con un bicchiere d’acqua, in cui Tommy vide vagamente che si stava sciogliendo lo zucchero sul fondo. «Bevi piano».

    Tommy annuì lentamente e allungò un po’ a tentoni la mano per afferrare il bicchiere, sorseggiando il contenuto un piccolo sorso dopo l’altro sotto lo sguardo di entrambi i genitori, senza muoversi dalla posizione in cui si erano ritrovati; lo aiutarono a sedersi sullo sgabello solo quando finì tutto il contenuto del bicchiere, distraendolo nel chiacchierare del più e del meno finché Damian non gli porse un pezzo di pane e lo spronò a mangiarlo, accennandogli di restare seduto e di non preoccuparsi mentre lui e Jon si occupavano della cena e gli lanciavano di tanto in tanto qualche occhiata, chiedendogli come si sentisse e soprattutto se i capogiri erano passati. Solo una trentina di minuti dopo suo padre ricomparve con il glucometro e lo poggiò sul bancone, gettandogli un’occhiata.

    «Che ne dici se controlliamo la glicemia, campione?» chiese, e Tommy si limitò ad annuire prima di porgergli il dito, senza smettere di guardare il suo baba che, seppur avesse ormai finito di cucinare, non lo aveva mai perso di vista. Aveva letto la preoccupazione sul suo volto, preoccupazione che lasciò ben presto spazio al sollievo quando i valori si presentarono nella norma sul display del glucometro. «Dopo cena si riposa, ragazzo».

    «Possiamo vedere un film?» tentò, vedendo i genitori lanciarsi un’occhiata e, allo sguardo che il suo papà lanciò al suo baba, capì di aver irrimediabilmente vinto; baba Damian roteò difatti gli occhi e borbottò qualcosa, ma nessuno dei tre, dopo cena, si meravigliò di essere capitato sul divano tutti insieme e di aver perso parecchio tempo davanti alla TV.

    Con Tommy accoccolato tra loro, addormentato con la testa contro il suo petto e la mano di Jon che gli sfiorava la spalla, Damian sorrise e sfiorò con le labbra quella massa scompigliata di capelli, rilassato. Ci sarebbero sempre stati dei momenti no, ma li avrebbero superati insieme.






_Note inconcludenti dell'autrice
Esattamente come lo scorso anno, questa storia è stata scritta per l'iniziativa #AdventCalendar indetta dal gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
Ammetto di averci messo letteralmente una vita ad aggiornare con questa storia, vuoi per un motivo vuoi per un altro (tra impegni e tanta altra roba, sto periodo è stato così incasinato che, boh, avevo letteralmente perso parecchie cose di vista), ma sarò di nuovo più costante!
Qui abbiamo un piccolo scorcio di come Jon e Damian in fin dei conti siano diventati dei bravi genitori e di come facciano di tutto per tener su il loro figlioletto, che sta cominciando ad affrontare il periodo più difficile della sua pre-adolescenza. Per fortuna che ha loro ad occuparsi di lui!
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Batman / Vai alla pagina dell'autore: My Pride