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Autore: Rubra Bovina    07/04/2023    0 recensioni
Alcuni mesi dopo la sconfitta di Xana, i ragazzi ora vivono una vita normale, come tutti gli altri allenatori, si sono potuti dedicare alle loro squadre a tempo pieno e coltivare interessi diversi dal semplice dedicare le loro vite a salvare il mondo. Nemmeno l'arrivo nel prestigioso di due nuovi studenti sembra alterare questo equilibrio.
Tutto cambierà con l'incontro con un raro Pokémon, che spingerà il gruppo a ricercare una persona data scomparsa per anni.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ash, Serena
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Sai mantenere un segreto?



Arrivarono in stazione appena in tempo. Essendo molto presto, non avevano nemmeno fatto in tempo a fare colazione. In teoria non un male, l’avrebbero fatta appena arrivati in Belgio. Vuoi che non ci sia un bar alla stazione di Bruxelles? In pratica un autentico disastro. Nessuno dei due aveva mangiato dalla sera prima e questo non era l’ideale per affrontare un viaggio. Per fortuna non molto lungo. Appena un’ora e mezza.

Anche se, proprio per quel motivo, il viaggio sembrò non finire mai.

Arrivati alla stazione belga, un edificio moderno, realizzato in metallo, marmo e vetro, incredibilmente affollato. Uomini e donne d’affari, vestiti di tutto punto, che tenevano in mano delle ventiquattrore.

Rischiarono non poche volte di scontrarsi con qualcuno e di separarsi. 

A fatica raggiunsero una zona più tranquilla della stazione.

- Beh, ora che facciamo?

Chiese il ragazzo. Pochi istanti dopo, si sentì il rumore del suo stomaco.

- Beh, direi che la prima cosa è fare colazione.

La ragazza cercò di non ridere.

Le bastò alzare lo sguardo per notare che, proprio a due passi da dove si trovavano, era presente un bar italiano. I due si precipitarono e fecero colazione, non accorgendosi di essere spiati.

Su un tavolo poco distante da loro, una ragazza come tante stava facendo colazione, insieme al suo Piplup. Anche lei non aveva fatto colazione sino a quel momento.  

Aveva i capelli legati stretti e nascosti dal cappuccio della felpa. E indossava delle lenti a contatto castane, con l'obiettivo di non farsi riconoscere.

Un po’ si era spazientita. Quei due sembravano metterci un’eternità. Cosa ci voleva a bere un cappuccino e mangiare una pasta? E invece no. Quei due parlavano e parlavano. Parlavano di quello che avrebbero dovuto fare dopo. E se almeno uno dei due avesse qualche idea su come comportarsi una volta arrivati nel cuore della città.

Aveva capito che il suo punto sarebbe dovuto essere la ragazza. A detta sua era stata diverse volte in quella città e conosceva delle persone che li avrebbero potuti ospitare per la notte.

Dopo tantissimo tempo, finalmente il ragazzo si alzò e andò a pagare. E i due, finalmente se ne andarono. Non poteva seguirli subito, si sarebbero potuti insospettire. In ogni caso, aveva almeno un’idea di dove trovarli. Rue Camille Lemonnier. L’unico modo per raggiungerla era prendere i mezzi pubblici. 

Decise di aspettare un paio di minuti. Poi si alzò a sua volta e andò a pagare. Non si preoccupò di ritirare lo scontrino. Aveva fretta. Molta fretta. 

Secondo i suoi calcoli, avrebbe preso la metro successiva a quella presa dai due. Sebbene la metro fosse affollata, vi era comunque il rischio che i due la notassero e che potessero sospettare di essere seguiti. E in quel caso avrebbero potuto annullare l’operazione.

In ogni caso, per il momento, i due non avevano notato nulla. Avevano atteso la loro fermata ed erano scesi. A separarli dalla loro destinazione, un breve percorso a piedi.

Quella via era uguale a tante altre. Un viale alberato e tanti palazzi attaccati uno sull’altro. Alcuni di recente costruzione, altri risalivano al dopoguerra.

- Dovrebbe essere questo.

La ragazza indicò quello che forse era il palazzo più vecchio dell’intera via. Era di un bianco sporco e presentava numerose finestre. La grande porta era realizzata in metallo e sembrava molto robusta.

Accanto alla porta numerosi campanelli, inseriti in una placca di ottone. Sembrava quella di un normalissimo condominio.

- Dunque chi cercavamo?

Chiese la ragazza. Aveva notato come il ragazzo stesse cercando freneticamente un nome. Senza successo.

- Madame Lassalle. 

- Eccola qui. Provo a suonare, vediamo come va.

La ragazza trovò il nome in pochi istanti, ma per quanto insistesse, non riceveva alcuna risposta. Provò con altri citofoni, ma il risultato non cambiò di una virgola.

- Ehi! Voi due!

La coppia si girò di scatto, in direzione di quella voce. Proprio nella loro direzione stava passando un signore di almeno ottant’anni, era vestito in modo piuttosto elegante, nonostante all'apparenza stesse semplicemente facendo un giro in bici.

- Scusi, dice a noi?

- Si, figliola. Mi dispiace dirtelo, ma puoi suonare quanto vuoi, stai pur certa che non ti risponderà nessuno.

- Mi scusi, ma mi sembra un condominio come tanti, guardi qua. Comunque sia, cercavamo una certa Madame Lassalle. 

- Te lo ripeto, giovanotto. Vivo qui da sempre. Ho anche visto questa strada completamente devastata dalle bombe… e ti posso dire con assoluta certezza che questo palazzo è stato praticamente sempre vuoto. Per quel che ne so è appartenuto al governo. Non so cosa ci facessero, di preciso. 

A volte ci venivano delle persone, ma restavano al massimo un paio di settimane.

- Incredibile.

Commentarono i due, all’unisono.

- Però. Questa mi sembra una bella zona per vivere, la gente pagherebbe non poco per avere un appartamento in questa zona, mi sembra strano.

- Figliola hai ragione. Anch’io penso che la storia di questo palazzo sia piuttosto controversa. Potrebbero anche centrare i servizi segreti, per quel che ne so. E non fatevi strane idee sui film di spionaggio. I servizi segreti sono una cosa seria. 

I due salutarono e ringraziarono l’uomo, che proseguì con il suo giro.

Sembrava un tipo un po’ strano, ma aveva ragione. Se non rispondeva nessuno, evidentemente era perché dentro quel palazzo non c’era nessuno.

E quella pesante porta era sicuramente chiusa. Non poteva essere aperta a spinta e chiedere a uno dei loro Pokémon di aprirla era fuori discussione. Avrebbero rischiato di danneggiarla eccessivamente e di attirare troppo l’attenzione. 

- E ora come facciamo?

Chiese il ragazzo.

- Non ti dimenticare che alla base abbiamo una risorsa inestimabile.

- Einstein? 

- Einstein.

La ragazza mandò un breve messaggio all’amico, dove spiegava la situazione. Sperava di ricevere al più presto una risposta. Se davvero quel palazzo era del governo, allora sarebbero potute arrivare delle guardie da un momento all’altro e nessuno dei due aveva un motivo valido per stare davanti a quel palazzo.

Per sua fortuna la risposta arrivò quasi subito.

- Ok. Dobbiamo fare alcune foto alla serratura. Così potrà dirci cosa serve per aprirla.

- Aprirla? Ma è pazzo! Se è davvero un palazzo del governo sarà super sorvegliato!

- Hai altre idee? Non credi sia più pratico uno dei suoi sistemi che sfondare la porta con uno dei nostri Pokémon? Almeno, con uno dei suoi dispositivi, la porta rimarrebbe sostanzialmente intatta.

- Beh, hai ragione. Non abbiamo molte alternative. 

- In ogni caso ha scritto che, dopo che avrà la foto, non gli ci vorrà molto per mandarci un elenco del materiale necessario. Al massimo entro questa sera.

- Quindi rischiamo di passare la notte qui?

- Anche se fosse?

Gli chiese la ragazza.

- Te l’ho detto prima. Non devi preoccuparti, conosco qualcuno che ci può ospitare. E poi… non è la prima volta che siamo noi due… da soli, no?

- Oh, beh, in effetti…

- Intanto che aspettiamo che ci risponda, cosa ne pensi di fare un giro della città?

- Perché no?

- Mi scusi?

- Dici a me figliola?

La ragazza aveva fermato un signore anziano che aveva visto uscire da Rue Camille Lemonnier. Era vestito elegante e trascinava una vecchia bicicletta.

- Scusi se la disturbo, ma avevo un appuntamento con due miei amici in Rue Camille Lemonnier…

- Oh beh, si, ho visto due ragazzi in quella via…

- Erano un ragazzo coi capelli castani e una ragazza alta e coi capelli neri e abbastanza corti, tipo a caschetto? 

- Si, li ho visti poco fa. Proprio in quella via. Davanti a un palazzo bianco. Piuttosto vecchio. Non ho idea di cosa cercassero. È abbandonato da anni. Ho anche cercato di dissuaderli dicendogli che aveva a che fare con il governo, ma secondo me non ci sono cascati. 

- La ringrazio. Arrivederci.

- Arrivederci, figliola.

La ragazza, dopo essersi congedata con quel vecchietto, proseguì proprio in direzione di quel viale. Aveva individuato il palazzo che le era stato indicato, ma senza trovare i due ragazzi. 

- Un assassino torna sempre sulla scena del delitto.

Commentò sottovoce. 

- Di certo non me ne posso stare qui. Potrebbero vedermi.

Aggiunse poco dopo, mentre si nascondeva in una delle viuzze che attraversavano la strada. Di sicuro non l’avrebbero notata. 

Non lasciò quella posizione fino ad ora di pranzo. Quei due non si erano presentati. Quando mai l’avrebbero fatto a quell’ora? E infatti le sue previsioni non furono errate. Li aveva incrociati proprio in quel locale, intenti a mangiare. Come se nulla fosse. Sembrava stessero aspettando qualcosa, ma non aveva idea di cosa. 

Se quel signore avesse detto la verità, era molto probabile che quei due non avessero trovato quel che cercavano. Altrimenti se ne sarebbero già andati. Doveva continuare a seguirli e non farsi scoprire.

Continuò a seguirli a breve distanza, rischiando anche di farsi scoprire. In quel momento erano in un piccolo negozio, poco affollato, poteva essere scambiata dai due per una semplice cliente, ma anche per quei due non doveva essere diverso, dal momento che, apparentemente erano interessati a un palazzo abbandonato.

La risposta del loro amico arrivò solo in tarda serata, per cui avrebbero dovuto rimandare al giorno dopo. Quella notte dormirono da un’amica della madre di Yumi. La donna aveva promesso alla ragazza che avrebbe tenuto la bocca cucita sulla questione. Si alzarono piuttosto presto, per cui, invece di ringraziarla di persona, le avevano scritto un biglietto dove la ringraziavano sia per l’ospitalità che per il piccolo favore.

Si erano precipitati nel primo bar aperto che avevano visto per fare colazione, per poi precipitarsi al primo negozio di brico che avevano trovato.

Sapeva di aver fatto bene a non destare la loro attenzione. Si erano precipitati in un brico e avevano comprato diverse attrezzature. Un avvitatore a batteria, una serie di aghi e punte di ferro, batterie di ricambio per l’avvitatore e altri oggetti che, apparentemente, i due non avevano mai sentito nominare.

Li aveva visti chiedere aiuto a dei commessi. Aveva anche notato come, poco fuori dal negozio, si erano lamentati della spesa, di oltre centoventi euro.

Li aveva poi seguiti fino a un parco, non lontano dal viale dov’ erano stati il giorno prima.

- E io che credevo che Einstein fosse un tipo tranquillo. Mi chiedo che altri segreti ci nasconda. Mi chiedo proprio come abbia imparato a creare uno di questi… 

Il ragazzo era intento a smontare il trapano. 

- Grimaldelli elettronici. 

- Si giusto. Ma dimmi, ora che l’ho smontato, che devo fare?

- Vuoi la spiegazione terra terra o quella super dettagliata?

La ragazza, non ottenendo risposta, andò per la spiegazione più semplice.

- Noi non abbiamo la chiave, giusto? Con questo dispositivo possiamo emularne la presenza. La serratura è costituita da diversi pistoncini che, per aprire la porta, devono essere sollevati in un certo modo. Con questo dispositivo, possiamo forzare i pistoncini a sollevarsi e ad aprire la porta.

- Ok, come vuoi. Ma figurati cosa doveva essere la spiegazione tecnica.

- Lasciamo stare. Piuttosto, ora che l’hai sistemato, cosa ne pensi di collaudarlo? 

Il ragazzo estrasse dallo zaino una serratura nuova di zecca.

- Un pochino mi dispiace. L’abbiamo appena comprata e…

- Non avevamo alternativa. In ogni caso, provi a… sistemarla o devi celebrare tutto il funerale? 

Il ragazzo si sforzò per non ridere, per poi mettersi al lavoro. 

Dopo una mezz’ora e un numero imprecisato di imprecazioni, alzò bandiera bianca.

- Mi sa che questa volta Einstein ha toppato!

Commentò il ragazzo.

- Fammi provare. Magari ci riesco.

La ragazza provò solo un paio di volte, prima di riuscirci. Le bastò semplicemente dosare il movimento del braccio.

- Nel caso dovessi andare male con gli studi, ho futuro come ladra. Ma, tornando seri, dobbiamo fare in fretta. 

La ragazza seguì ancora quei due. La cosa si stava facendo interessante. Vi era una grande probabilità che vi fosse una correlazione tra il loro imparare ad aprire una serratura e quel palazzo poco distante in cui, stando a quel vecchietto, erano stati la mattina del giorno prima. 

In ogni caso non dovette attendere molto per avere una risposta alla sua domanda. 

Quei due si erano diretti proprio in quel palazzo. E la ragazza, dopo alcuni tentativi, era riuscita a scassinare la serratura.

Ora non doveva fare altro che attendere per capire cosa volessero fare e, in base a quello decidere sul da farsi. Lui aveva deciso di farla viaggiare fino a lì. Lui avrebbe deciso cosa fare. E, per cercare di raccogliere informazioni era disposto a tutto, anche a fare cose che altrimenti non avrebbe mai fatto.

In ogni caso decise di non entrare. Avrebbe atteso fuori. La riteneva l’opzione più sicura, in caso di emergenza sarebbe potuta fuggire. Certo, senza informazioni, ma anche tutta intera.

I due entrarono dentro il palazzo. Ignari di tutto.

L’interno odorava di chiuso. Sembra che nessuno aprisse quella porta da anni. 

- Credo che quel vecchietto si sbagliasse, non vedo telecamere qui.

Commentò la ragazza.

- Eh si! Credo l'abbia detto per spaventarci. Dopotutto non siamo esattamente insospettabili. 

L'ingresso era stretto e con il soffitto alto. La maggior parte dello spazio era occupato da una scala di marmo con una ringhiera in metallo.

A destra una porta di legno. Chiusa e priva di qualsiasi targhetta identificativa o campanello. In breve tempo convennero che la scelta migliore fosse quella di fare un sopralluogo generale dell’edificio.

L’edificio era alto otto piani e tra ogni piano vi erano due lunghe rampe di scale. Ogni piano era composto da un andito senza finestre e da quattro appartamenti, a cui si accedeva da altrettante porte, sempre prive di campanelli o targhe.

I pochi appartamenti accessibili erano completamente vuoti.  Percorsero tutti i piani senza trovare nulla di utile. Stavano per arrendersi e tornare indietro.

- Hai notato quella porta? Non ti sembra diversa? 

La ragazza stava indicando la porta più distante dalla loro posizione. Era rivestita di legno scuro, come le altre, ma sembrava molto più robusta. E forse anche la serratura sembrava fosse rinforzata.

Non avendo altre alternative, decisero di fiondarsi verso quella porta. La serratura era veramente robusta, Yumi dovette tentare ben tre volte, prima di aprirla.

Appena entrarono nell’appartamento, si accorsero immediatamente di quanto quest’ultimo fosse diverso da tutti gli altri. Era sostanzialmente uno stanzone, grande come un normale appartamento, molto simile a un vecchio ufficio. Il pavimento era una moquette beige e i muri erano rivestiti da una carta da parati a strisce beige e verde chiaro. 

La prima cosa che saltò agli occhi dei due fu un gigantesco tavolo di metallo quasi interamente occupato da apparecchiature elettroniche, tra cui dei giganteschi schermi. 

Le pareti della stanza erano, in gran parte, occupate da giganteschi computer. Uno di essi copriva in parte la sola finestra che illuminava la stanza.

La ragazza, fuori dall’edificio, aveva intuito che i due avevano trovato qualcosa. Erano dentro da parecchio tempo. Se non avessero trovato nulla, non avrebbero avuto motivo di restare.

Quello che non poteva aspettarsi era quello che i due avevano trovato.

L’attenzione del ragazzo venne immediatamente attirata da alcuni dispositivi presenti sul tavolo. All’apparenza erano dei vecchi caschi integrali da motociclista, neri. La visiera era stata sostituita da uno strano apparecchio, con una grossa antenna.

Vi erano anche dei guanti, sempre neri, con dei cavi che partivano dalle punte delle dita e si collegavano ad un antenna sul polso.

Accanto ai dispositivi, delle tastiere ingiallite dal tempo e dei pesantissimi monitor a tubo catodico. 

- Almeno non abbiamo viaggiato per nulla. Ora dobbiamo capire di cosa si tratta.

Si chiese il ragazzo, incuriosito dai dispositivi.

- Non vorrei dire, ma credo che sia una sorta di prototipo del Supercomputer. E potremo avere davanti i prototipi degli scanner. Quella specie di proiettore, invece, potrebbe essere un antenato del proiettore. 

- Stai scherzando? Pensi davvero che da qui si possa accedere a Lyoko? In un altro Stato? 

- Non sono sicura che si tratti del Lyoko che conosciamo, ma di una sua Replika. Come quelle che visitavamo con la Skid, che Xana aveva creato su alcuni supercomputer.

- In questo caso, potrebbe anche essere. Ma non potremo mai saperlo con certezza, a meno che…

- Che aspetti?

Avendo scoperto del dossier del professore, Xana, aveva deciso di indagare, non appena i suoi nemici avessero abbassato la guardia. E la notte era il momento ideale. Sapeva che quel dossier si trovava nella stanza di Ulrich e Odd. Era consapevole del fatto che quella notte, Odd dormisse da  solo. 

La stanza era appena accanto alla sua. Nella direzione opposta a quella dei bagni, per non farsi scoprire da Jim, sarebbe dovuto essere incredibilmente preciso. Recuperarlo sarebbe stato difficile, ma mai quanto la seconda fase. Quella di riportare il documento al suo legittimo posto. Nel mezzo l’operazione più semplice. Archiviare tutti i dati presenti all’interno del dossier. 

Ash si alzò in silenzio, facendo attenzione a non svegliare nè Pikachu nè il suo compagno di stanza. Era troppo importante. Si diresse poi verso i bagni. Rimase all’interno alcuni minuti, per poi tornare indietro, entrando, “involontariamente” nella stanza accanto alla sua. 

Per fortuna Odd aveva il sonno pesante. Russava come un vecchio trattore. Xana era consapevole del fatto che i suoi nemici non fossero degli sprovveduti, dopotutto lo avevano quasi ammazzato. 

Ma questa volta, rimase sorpreso dalla loro idiozia. Lo avevano semplicemente nascosto in un armadio. Forse non si aspettavano la sua presenza, ma per certi versi andava bene così. Non avendo idea della sua presenza, avrebbe potuto colpirli alle spalle. Recuperò il dossier e uscì dalla stanza. 

Memorizzò ogni singolo dettaglio del dossier e confrontò il suo contenuto con i suoi archivi, senza ottenere alcun riscontro, eccezion fatta per i progetti del Supercomputer. 

Riuscì a raggiungere l’ufficio del preside senza farsi scoprire. La serratura era stata riparata proprio quel pomeriggio, per cui l’ufficio era chiuso. Non un gran problema, l’avrebbe semplicemente fatta saltare con i suoi poteri elettrici, ma pur sempre un contrattempo. E lui detestava i contrattempi.

In ogni caso riuscì a entrare nell’ufficio e a sistemare il dossier nel luogo che ritenne più logico. Uscì dall’ufficio e sistemò di nuovo la serratura. Nessuno si sarebbe accorto di nulla, e  finalmente poteva permettere al suo burattino di dormire.

Si era accorta della loro assenza, e aveva iniziato a sospettare che avessero scoperto il dossier. Forse si era lasciata scappare qualche parola di troppo, oppure qualcosa del genere, ma non aveva prove. Poteva trattarsi di una semplice coincidenza. Non riusciva a pensare ad altro. Certo, la ricerca su quel Pokémon così particolare, la visita ricevuta nel suo ufficio da parte di Jeremy…

Proprio non riusciva a toglierselo dalla testa. Il solo modo che aveva di toglierselo dalla testa, era controllare di persona. Grazie al rapporto di estrema fiducia con il signor Delmas, poteva entrare nel suo ufficio senza permesso. Non lo aveva mai fatto, ma in questo caso era una necessità. 

L’ufficio era chiuso. Probabilmente il preside non era ancora arrivato. 

Prese, senza pensarci, il portapenne e ne svitò il doppio fondo. Le piccole chiavi del cassetto erano perfettamente al loro posto. Questo voleva dire che nessuno, a parte il signor Delmas, nessuno aveva toccato quel cassetto.

La sua sorpresa nel trovare il cassetto fu enorme. Iniziò a ipotizzare i peggiori scenari possibili, se avessero scoperto quell’indirizzo e quel palazzo, sarebbe stato un grosso guaio.

Tirò un grosso sospiro quando, aprendo il grosso archivio, trovò, ben posizionato, in mezzo a tutti gli altri documenti, proprio quel dossier. 

Questo voleva dire solo una cosa. Il dossier era stato semplicemente spostato, probabilmente per eccesso di prudenza, da parte del preside. Nascondere le cose in bella vista è sempre la cosa migliore, dopotutto.

Prese il grosso dossier e lo sfogliò, molto rapidamente. Sembrava fosse tutto perfettamente apposto. Anche il foglietto con l’indirizzo. Ora si sentiva leggermente più tranquilla, ma era ancora sospettosa.

Quello che non poteva sapere era che quel dossier si trovava lì per un motivo ben diverso e che la verità era ben diversa. 

I due, di comune accordo, avevano deciso di provare quelle attrezzature. Dopotutto non avevano nulla da perdere.

L’intuizione della ragazza si rivelò corretta. Una volta indossati guanti e caschi, i due vennero come trasportati in un altro luogo.

Una strana città in stile orientale, con palazzi alti e eleganti.

- Aspetta un attimo.

Il ragazzo si guardò attorno, era spaesato, non riusciva a capire dove si trovava.

- Ma questo non mi pare affatto Lyoko.

- Si, da una parte hai ragione, non riconosco questo posto, ma guardati…

Il ragazzo non ci aveva fatto caso, forse perché troppo preso da quel luogo, ma, facendo attenzione, il ragazzo si rese conto di non indossare più la maglietta a maniche lunghe e i jeans, ma era vestito come nel mondo virtuale, una tuta aderente gialla e marrone e una fascia gialla a tenergli i capelli.

Sulla schiena un portaspada dove alloggiava le sue due katane. 

Gettò poi lo sguardo sulla ragazza. Indossava una tuta bordeaux e magenta, con alcune protezioni marroni e sulla schiena un alloggiamento per le sue armi, due ventagli boomerang affilati come rasoi.

Entrambi, quasi senza pensarci, tentarono di estrarre le loro armi.

- Aspetta un attimo, ma… siamo…

- Disarmati.

Concluse la ragazza.

- Penso sia un problema, ma, qualora dovesse servire, potremo tranquillamente uscire da qui. No?

- Provaci.

Il ragazzo si mise le mani sotto al mento, convinto di trovare ancora la fibbia del casco. Rimase estremamente sorpreso da come la stessa fosse assente. Sentiva semplicemente la pelle del mento. 

Il ragazzo tentò allora coi guanti. Stesso risultato. Come se non ci fossero.

- Siamo fregati. Non ci possiamo difendere e non abbiamo la minima idea di come uscire di qui. Hai qualche idea? 

- Proviamo a vedere se qui c’è una qualche uscita. Magari sarà qui vicino.

- Hai idea di come ci si muove qui?

- Più o meno. Premi insieme pollice e indice della mano destra, e muovi la mano nella direzione in cui ti vuoi spostare. Non è esattamente facile, ma penso non sia impossibile.

La ragazza spiccò un balzo e atterrò delicatamente, muovendosi con la sua solita agilità. Il ragazzo, tentando di imitarla,  imburconò. 

- Che male!

- Non sono sicura che qui si possa provare dolore. I nostri corpi veri sono al sicuro, dentro l’appartamento. Penso sia semplicemente un riflesso.

- Come vuoi, ma ti posso assicurare che il dolore è vero.

Al secondo tentativo, il ragazzo riuscì a spiccare un balzo e atterrando senza problemi. 

Non potendo uscire dal mondo virtuale per mettersi in contatto con Jeremy e spiegargli la situazione. Non potevano fare altro se non che esplorare quel luogo.

La città, mano a mano che i due si addentravano all’interno della città, notarono come gli edifici stessero cadendo in rovina. Alcuni muri erano rovinati, i tetti sfondati e sul pavimento erano presenti dei buchi. Sembrava come se fosse stata bombardata. In più erano i soli in quella città.

Continuando il loro attraversamento della città, le sue condizioni peggiorarono ulteriormente. Attraversarono vie, ponti che permettevano di superare dei fiumi ormai in secca, dei parchi con delle piante che parevano di vetro, anch’essi come se fossero stati presi a martellate.

Proprio dopo uno di quei parchi giunsero al confine della città. Un muro.

Contrariamente a gran parte della città, il muro era in perfette condizioni. Era realizzato con un'infinità di mattoni neri. Opachi. Sembrava che la sua altezza si elevasse all’infinito. Guardando in entrambe le direzioni, il muro sembrava non finire mai. I due provarono a scalarlo, ma senza successo. Sembrava che si alzasse all’infinito.

- Magari se facciamo attenzione, potremo trovare una porta, o qualcosa di simile. Dopotutto ci sarà un modo per entrare in questa città.

Commentò la ragazza.

- Possiamo provare, a questo punto non abbiamo molto da perdere.

L’intuizione della ragazza si rivelò corretta. Dopo una camminata apparentemente infinita, costeggiando il muro, i due trovarono una gigantesca porta. Chiusa da un enorme battente. 

- Diavolo, avremo camminato dieci chilometri, è una faticaccia!

- Hai proprio.

La frase della ragazza venne interrotta da un rumore che ricordava uno sparo. Poi un altro. Questa volta entrambi riuscirono a comprendere la fonte. Un raggio laser azzurro.

Dopo alcuni istanti, entrambi giunsero alla stessa conclusione. Si trattava di una manta volante. Una creatura simile ad un’ala volante, sottile. Lunga circa sette metri e di colore bianco e blu scuro.

Sparava raggi laser dalla bocca. 

- Attenzione!

Gridò il ragazzo, mentre tentava di mettersi al riparo. Tentò nuovamente di estrarre le sue katane dal portaspada, nella speranza che fossero apparse. Ma niente.

Nella fuga, la ragazza venne ferita alla gamba da un laser. Cercò di nascondere il dolore con una smorfia del volto. 

- Pensi che qui sia come su Lyoko? Cioè che se veniamo colpiti troppe volte, torniamo nel mondo reale?

- Non te lo so dire. Non so proprio come funzioni questo mondo. E non ho molte intenzioni di scoprirlo.

Riposte la ragazza.

- In ogni caso ho paura di una cosa. Se qui ci sono i mostri, allora potrebbe esserci anche Xana.

- Non lo hai notato?

- Cosa?

- Le mante. Non avevano il suo simbolo sul corpo. Possiamo escludere la sua presenza. 

- Si, Yumi, Xana o non Xana ci attaccano lo stesso.

I due continuarono a correre, e ben presto si trovavarono in un parco. Simile a quello che avevano incontrato prima. 

- Guarda qui!

La ragazza stava indicando un punto proprio davanti a lei.

- Ma quello non è il Professore?

Chiese il ragazzo.

- Non lui di persona, ma piuttosto una sorta di ologramma. 

L'ologramma del professore lo rappresentava nell’aspetto che i due avevano ben imparato a conoscere. Un uomo non molto alto, di corporatura robusta e vestito con un camice da laboratorio. Aveva la barba scura e  degli occhiali dalle spesse lenti.

- Finalmente qualcuno che viene a farmi visita, erano anni che non vedevo qualcuno.

Finta la frase, l’ologramma scomparve oltre dei cespugli.

Prima che i due potessero tentare di raggiungerlo, vennero sorpresi alle spalle da un laser azzurro. Non fecero in tempo a girarsi che vennero colpiti simultaneamente da una ventina di mante.

Entrambi piombarono a terra. Indoloriti e con brutta voglia. 

- È stato terribile. Mi chiedo a cosa serva quel posto.

- Non ho capito una parola.

- Ulrich, siamo tornati nel mondo reale. Ti puoi sfilare il casco ora.

Il ragazzo tentò di sfilarsi guanti e casco. E, effettivamente era vero. Ora poteva farlo. Era finalmente tornato al mondo reale.

- Cosa hai detto prima?

- Mi stavo chiedendo a cosa servisse quel posto. Avremmo potuto indagare, se non fosse stato per quelle mante… avevo dimenticato quanto facessero male.

- Vuoi tornare dentro? Non so quanto sia sicuro. E poi per cosa? Per dare la caccia a un fantasma?

- No. Hai ragione, è troppo pericoloso. 

- Lo senti anche tu?

In breve tempo nella stanza si sentiva un rumore ritmato e regolare che si distingueva da quello di auto, camion e motorini. Il rumore assomigliava a una sorta di  “pow pow pow”. 

La ragazza ci mise un attimo a capire di cosa si trattasse.

- Cosa ci fa un elicottero qui?

La ragazza, nel frattempo, si era accorta di un altro rumore. Più debole. Ma che, piano piano diventava più forte.

Probabilmente qualcuno si era accorto dell’attivazione del sistema e voleva sapere chi e perché l'avesse fatto. I due sarebbero dovuti uscire, o sarebbero restati intrappolati. 

Il ragazzo aprì la porta e i due si fiondarono nel corridoio. Fecero in modo di non farsi vedere.

- Capo, sono al piano di sopra.

Nonostante fossero all’ottavo piano, quella voce era perfettamente udibile. A essa si aggiunse il rumore di passi. Qualcuno stava salendo le scale.

Il ragazzo, probabilmente in preda alla fretta, fece per scendere le scale il più rapidamente possibile, ma venne fermato dalla sua ragazza, che lo tirò per un braccio.

- Troppo pericoloso, accovacciamoci e tratteniamo il respiro. Potrebbero non notarci.

Gli disse sottovoce.

Il ragazzo seguì il consiglio. I due erano accovacciati vicino alla ringhiera. Incrociarono i loro sguardi con quelli di due uomini alti, coi capelli corti, occhiali da sole, mascherina e lunghi cappotti. Tutto in  nero.

Una volta fatti passare i due uomini, la coppia si precipitò verso il basso. La ragazza dovette schivare uno dei due uomini che cercò di tirarla per un braccio. Riuscì chiaramente a sentire la sua minaccia.

- Fermatevi, non sapete in che guaio…

Un altro, poco dopo minacciò di arrestarli. Aveva una potente R moscia.

I due, ignorando gli avvertimenti dei due, continuarono a correre. Dovevano fare molta attenzione o sarebbero imburconati e avrebbero dovuto affrontare tutte le conseguenze del caso.

Durante la loro discesa, sentirono chiaramente la voce di un altro uomo.

- Qui Linoone e Fuvvet ehm Furret a Lycanroc, Stanno arrivando, ora dovrebbero essere al quarto piano.

I due continuarono a correre, fino a raggiungere il primo piano. Qui incrociarono un altro uomo vestito di nero. Era armato. Aveva in mano una pistola gigantesca e lucida, che rifletteva la luce del sole in modo quasi accecante. 

- La vostra corsa finisce qui, mi spiace.

I due lo ignorarono e continuarono a correre, fino a precipitarsi all’interno di un appartamento. Era praticamente vuoto e triste come tutti gli altri. 

Il ragazzo decise di usare uno dei pochi elementi di arredo di quell'appartamento, una sedia, per bloccare l’uscita e a guadagnare del tempo.

- E ora? Siamo in trappola.

Ulrich guardò prima la ragazza, poi indicò una finestra poco lontano.

- Potremo uscire da lì, c’è un cornicione, potremo usarlo per attraversare il palazzo e raggiungere un tubo e scendere.

- Ne sei sicuro? Mi sembra molto pericoloso. 

- Hai altre idee? Sai che la porta non potrà reggere ancora per molto.

Il ragazzo aprì la finestra. Stava per posizionare i piedi sul cornicione, che appariva molto più sottile di quanto potesse immaginare. Al massimo una decina di centimetri. Il rischio di cadere era altissimo, ma non aveva alcuna scelta.

- Buneary! Presto! Usa Geloraggio! Crea uno scivolo su quella finestra aperta!

I due si guardarono negli occhi. Evidentemente  una ragazza si era accorta del fatto che qualcuno si trovasse in pericolo e voleva aiutarli.

Il piccolo Pokémon coniglio obbedì alla sua allenatrice, creando uno scivolo di ghiaccio che partiva dalla base della finestra e arrivava fino a terra.

L’allenatrice del piccolo Pokémon guardò i due scambiarsi uno sguardo d’intesa e poi precipitarsi lungo quello scivolo. Durante la discesa, entrambi avevano notato un ragazzo alla guida di un motorino arancione e verde. Dal portapacchi aveva estratto una pizza. 

Appena scesi vennero immediatamente inseguiti dai due uomini rimasti a terra.

- Buneary  usa di nuovo Geloraggio! Devi evitare che quei due li raggiungano!

Il piccolo Pokémon obbedì. 

Non troppo lontano dai due uomini creò una gigantesca lastra di ghiaccio. La ragazza, nel frattempo, aveva lanciato due ulteriori due Pokéball. 

Entrambi gli uomini vestiti di nero liscinarono, cadendo l’uno sull’altro. Quello sotto ebbe la peggio, emise un forte grido di dolore, e intimò quello sopra di alzarsi al più presto. Dopo che questi si alzò, lui tentò di fare lo stesso. Senza successo.

- Fovse mi sono votto una gamba. Pvocedete senza di me, questo lavovo è tvopo impovtante pev pensave a me. 

Il collega accettò il consiglio e, facendo estrema attenzione, superò la lastra di ghiaccio. 

I due ragazzi, intanto, avevano raggiunto il motorino. Per fortuna le chiavi erano ancora nel quadro. Il ragazzo dovetto solo premere un bottone per farlo accendere. Dopo qualche insistenza, il motore si accese con un borbottio.

La ragazza si sedette dietro di lui. Appena partirono, i due superstiti si precipitarono alla loro berlina, una Mercedes classe E AMG nera, una bestia da seimiladuecento centimetri cubi di cilindrata.

La loro situazione non era delle migliori. Entrambi non avevano il casco e stavano guidando un motorino che non poteva ancora guidare. 

Ma, nella loro situazione, quello era il problema minore. Avevano anche scassinato degli appartamenti ed erano inseguiti da degli uomini in nero con a bordo degli uomini armati. E non potevano scordarsi dell’elicottero.

Il ragazzo, nel frattempo era uscito dalla via e aveva imboccato una rotonda, nel curvare aveva piegato talmente tanto da rischiare di cadere. 

La ragazza si girò a guardare se la berlina stesse o meno guadagnando terreno.

- E io che credevo non potesse andare peggio!

Commentò.

- E cosa si sono inventati ora?

- Sono vicinissimi, qui non c’è traffico e con quel mostro hanno un grosso vantaggio. E poi, come se non bastasse, hanno anche un’agente in borghese e dei Pokémon.

- Vorrà dire che dovremo prendere una deviazione.

Il ragazzo girò bruscamente in una delle viuzze perpendicolari al vicolo. Perfetta per uno scooter, meno per una grossa berlina.

- In ogni caso, mi sai dire che Pokémon ha l’agente in borghese?

- Cavalca un Mamoswine, ha un Piplup sulla spalla e sembra che anche un Buneary e un Togekiss obbediscano a lei.

- Che? Vuoi lottare contro di loro?

- Troppo pericoloso. Quei tizi sono armati e io non rischio che i miei si prendano del piombo.

- Hai ragione.

La berlina gli aveva seguiti anche lì, anche se aveva perso molto terreno.

Continuando a correre al massimo delle possibilità del mezzo, ora i due si trovavano nuovamente su di un viale, di nuovo largo, di nuovo tallonati dalla berlina, dall’elicottero e da quella che credevano fosse un’agente in borghese.

- Hai qualche idea su come distrarli?

- Abbiamo solo delle pizze qui. 

- E allora lanciale. Se non vogliamo rischiare i nostri, almeno quelle possiamo rischiarle, no?

Il ragazzo rallentò, permettendo tanto alla berlina quanto alla ragazza che cavalcava il Mamoswine di avvicinarsi. 

- Mamoswine ora, usa riduttore!

Il grosso Pokémon colpì violentemente la berlina, facendola sbattere contro un muro e danneggiandola pesantemente. Nonostante questo, la vettura proseguì la sua corsa, recuperando di nuovo lo svantaggio che aveva accumulato dallo scooter.

La ragazza aveva estratto una delle pizze dal portapizze ed era pronta a lanciarla.

L’uomo sul sedile passeggero si sporse e puntò la pistola contro i due, ma prima che potesse sparare, si trovò la pizza lanciata dalla ragazza proprio in piena faccia.

- Bene Mamoswine, ora salta addosso a quella berlina!

Lycanroc, colpito dalla pizza riuscì a pulirsi almeno gli occhi e guardò nello specchietto retrovisore. E notò che lo stesso Pokémon che prima gli aveva colpiti ora si stava avvicinando di corsa, ed era pronto a saltare.

- Linoone, mi sa che ci conviene abbandonare la macchina, se non vogliamo finire compressi.

L’uomo alla guida arrestò l’auto con una sgommata e i due uscirono a dall’auto poco prima che l’imponente Pokémon potesse saltare addosso alla berlina.

Nel salto, il cappuccio della felpa si sfilò, rivelando i capelli della ragazza, di un insolito colore blu.

I due, nonostante questa prima vittoria, non potevano ancora considerarsi al sicuro. L’elicottero nero continuava a inseguirli. Dovevano raggiungere un posto sicuro e scappare.

- Togekiss, prendi quota e tu Buneary, usa Geloraggio sulle pale dell’elicottero!

I due Pokémon obbedirono. Il Pokémon festa si alzò a circa cinquanta metri di altezza. Faceva fatica a restare in posizione a causa delle correnti d’aria delle pale, ma doveva resistere. Il Pokémon coniglio, capendolo, fece in fretta. Uno spesso strato di ghiaccio si formò sulle pale del mezzo, che, a causa del peso, smisero di girare. Gli uomini a bordo del mezzo volarono su dei Jetpack. I due ragazzi, non ebbero il tempo di scusarsi e ringraziare quella ragazza dai capelli blu. Erano già a una delle fermate della metro. Prima di prenderlo lasciarono le chiavi del mezzo nel sottosella, insieme a un biglietto con delle scuse e una banconota da cinquanta euro.

Ennesima spesa di quel viaggio, ma non potevano fare altrimenti.

I due presero la metro fino alla stazione dei treni, per tornare a Parigi e riferire tutto quello che avevano visto. Sarebbero arrivati alla base per ora di cena. Stanchi morti, ma felici di aver trovato informazioni fondamentali.

Quando i due partirono, erano circa le due del pomeriggio a Washington DC, negli Stati Uniti. A quell’ora l’ufficio era in piena attività. Come tutti i giorni, del resto. In quegli ambienti era praticamente impossibile che vi fossero delle pause.

Dido lavorava ininterrottamente da ore. 

- Signora! 

La avvisò la sua segretaria. Quando quest’ultima comprese di avere tutta l’attenzione della donna, continuò la sua frase.

- Ho una telefonata urgente dal Belgio.

- Passamela.

La donna sapeva di avere degli agenti in Belgio, proprio a guardia della Replika. Se erano loro a telefonarla, voleva dire solo una cosa. Ma non ci voleva pensare.

- Qui Lycanroc. Capo?

- Spero che sia un’ urgenza! Sa benissimo che telefonare in questo modo viola tutte le normative!

- Signora è un’emergenza! Dei ragazzi hanno trovato l’appartamento in Rue Lemonnier.

Proprio quello che non voleva sentire. Lo scenario peggiore che poteva accadere.

- Hanno trovato la Replika?

- Sissignora. E sono anche riusciti ad attivarla. Noi abbiamo raggiunto il posto al più presto, ma avevano una complice e ci sono fuggiti. Non eravamo pronti a questo tipo di emergenze.

- Dovevate essere pronti! Vi avevo ordinato di esserlo!

- Sissignora, ma non potevamo aspettarci una situazione del genere. E poi non è mica detto che siano riusciti ad accedere, dopo averla attivata.

- Devo forse ricordarti che non abbiamo mai sperimentato cosa succede se a provare le apparecchiature siano dei ragazzi? Piuttosto, fammi un resoconto di tutto quello che è successo.

- Agli ordini! Quei due sono arrivati ed entrati nel palazzo. Lasciando fuori una loro complice. Un’allenatrice molto forte. Con i suoi Pokémon ha distrutto la Mercedes e messo fuori gioco l’elicottero. Nonostante fossimo io e gli agenti Furret, che tra le altre cose è stato ferito, Linoone, e sull’elicottero Thievul e Sneasel.

La loro complice aveva un Mamoswine che doveva pesare dieci tonnellate, un Togekiss e un Buneary e forse anche un Piplup, ma potrei aver visto male. 

La donna prese appunti, continuando ad ascoltare l’agente.

- I due e la loro complice sono scappati nella metro, probabilmente diretti al Kadic.

- Voi occupatevi di fare la guardia all'appartamento sigillatelo e assicuratevi che ci siano sempre almeno agenti sempre presenti a sorvegliarlo. Per il Kadic, beh, sapete benissimo che ho un’agente apposta lì.

- Ma signora! È fuori serv…

- Noi non siamo mai fuori servizio!

Dopo questa frase chiuse la cornetta. Molto arrabiata. Cercando di recuperare l’aplomb, passò gli appunti scritti rapidamente alla sua segretaria.

- Cerca negli archivi un’allenatrice che abbia questi Pokémon. 

- Agli ordini!

- Prima mettimi in contatto con il nostro agente al Kadic. Poi occupati di quell’allenatrice. 

La città più vicina era Dubai. Loro si trovavano nel bel mezzo del nulla. Un deserto infinito. La sua struttura era letteralmente una cattedrale nel deserto. Per chilometri e chilometri non c’era altro.

Era una villa di cinquantamila metri quadrati, con ogni tipo di intrattenimento. Dai campi lotta privati a delle arene dove, ogni volta che desiderasse, un esercito di coordinatori e coordinatrici, era pronto a sfidarsi in gare di lotta. Idem per le performer. Aveva anche un cinema e un teatro privati, degli stadi di calcio, dei campi da tennis, e via discorrendo.

Quella villa aveva anche un garodromo per Pokémon, un circuito privato lungo sei chilometri, su cui, volendo, poteva correre anche la Formula 1, e un aeroporto privato, all’interno del cui colossale hangar riposavano i suoi cinque Boeing 747. Su un’altro hangar poco lontano, invece, dei più “modesti” Airbus A320, a classe unica, per i suoi uomini.  Anche il suo parco auto faceva invidia. Aveva praticamente ogni modello di Supercar esistente.  Sia modelli in produzione, che modelli meno recenti sia proprio d’epoca. Tra esse risaltavano due Ferrari Enzo, due F50, due F40, una 612 Scaglietti, una 575, tre Testarossa, una Dino, una 250 GTO, aveva anche delle Lamborghini, tra cui due Countach, una Miura, tre Diablo, due Gallardo, due Murciélago, delle Mclaren tra cui una F1 e due Mercedes-Benz SLR McLaren, una Bugatti Veyron, e una Maserati MC12.

  un gran numero di berline e suv di lusso, tra cui cinque Maserati Quattroporte, tre Maserati 3200 GT, quattro Bentley Continental, due Maybach W240, tre Rolls-Royce Phantom, cinquanta Range Rover e venti Hummer H1.

  Aveva anche delle Formula 1 private, comprate direttamente dalle scuderie, anch’esse di vari periodi storici.

In quel momento l’uomo era seduto sugli spazi del garodromo. Erano coperti e serviti da un sistema di aria condizionata, per cui, nonostante il sole picchiasse forte, li si stava benissimo. 

Si sistemò il cappello e guardò negli occhi i suoi due ospiti. Due malavitosi, un russo e un cinese. 

- Ci tenevi proprio a sbatterci in faccia la tua ricchezza, eh, Hannibal!

Il cinese lo zittì.

- Non siamo qui per questo. E poi dovresti sapere come funziona. E poi che ti importa? Sei forse geloso? E anche se fosse? Sai che siamo qui per discutere di affari.

Il russo non rispose, si limitò a lasciarsi cadere contro la poltrona. 

Sulla pista del garodromo stava per partire una corsa di RA.

Hannibal li osservò con attenzione, erano tre RA giovani e forti, il suo si distingueva per l’essere shiny, quella del russo per una bandiera russa legata al collo. Quello del cinese per la bandiera cinese sempre sul collo..

- Vogliamo scommettere? 

Propose il russo.

- Dieci milioni sulla mia Havalla.

- Vada per dieci milioni su Red.

- Dieci milioni, ovviamente su Trottalemme.

Concluse Hannibal.

I tre si strinsero la mano e osservarono le ultime procedure prima della partenza. Il mago prese una ricetrasmittente, ne premette un pulsante e diede il via alla corsa. 

Appena i tre RA partirono, degli inservienti rimossero le gabbie, per non ostacolare il giro successivo. 

Già al primo passaggio era evidente come solo Trottalemme e Havalla fossero in lotta per la vittoria. 

- Vediamo come va a finire.

Commentò Hannibal.

Dopo poco, Hannibal venne raggiunto da una donna, che stava risalendo le gradinate.  Poteva avere al massimo cinquant'anni, e aveva lunghi capelli rosa. Al collo un bel ciondolo d’oro.

Scusi se la disturbo.

La donna aveva notato i suoi ospiti solo in un secondo momento. 

- Buongiorno Memory, dimmi tutto.

- C’è una chiamata importante per lei. 

- Non possiamo aspettare che finiscano? 

- Ho paura che non sia possibile.

La donna abbassò il tono di voce.

- È Grigory, ed è urgente. 

Hannibal si alzò dalla sua poltrona. Se a chiamare era il suo uomo migliore, doveva essere molto importante.

- Temo che non potrò vedere il finale. 

- Che importa?

Commentò il russo.

- Tanto ormai è chiaro chi sia il vincitore.

Hannibal sorrise, poi, con un gesto fulmineo sfoderò da sotto la leggera giacca di seta, una grossa pistola cromata. Sparò due colpi in rapida successione.

Dalle cosce dei RA del russo e del cinese, uscì un pennacchio rosso. 

Poco dopo entrambi caddero a terra. Le fiamme spente.

- Bastardo! Gli hai ammazzati.

- Direi che ho vinto. Ora vi tocca sganciare. 

Commentò Hannibal, prima di prendere la donna a braccetto e raggiungere la sua gigantesca villa.

L’uomo raggiunse una grossa porta di legno, dalla maniglia in oro. 

La donna si fece da parte per farlo passare. Sapeva che era un affare urgente e non voleva interferire. L’uomo entrò nella stanza e chiuse la porta a chiave, poi si sedette dietro la gigantesca scrivania. Su di essa troneggiava un gigantesco schermo ultrapiatto. 

Schermo riempito dalla sagoma del volto del suo agente.

- Spero sia urgente.

Mentre pronunciava quella frase, l’uomo giocherellava coi suoi anelli.

- Si, signore, lo è eccome. Ho scoperto che la francesina se la fa con la figlia di Hopper. E quest’ultima ha scoperto degli affari che non la riguardano. 

- E quindi? Non mi sembra affatto un’urgenza.

- Sono certo come la morte che, ben presto la condurranno al Supercomputer. 

- Devi portarmi notizie vere, non supposizioni.

- Eccole. Ho rintracciato alcune comunicazioni telefoniche. Ishiyama e Stern sono andati in Belgio e hanno trovato una sorta di copia del Supercomputer. Dovessero approfondire la  questione, naturalmente mi occuperò di registrare ogni singola parola.Vi hanno fatto accesso e una volta usciti sono stati inseguiti da degli uomini in nero.

E credo che lei sappia per chi lavorano. 

L’uomo sbattè un pugno sulla scrivania.

- Non pure loro! Non dovevano mettersi in mezzo. In ogni caso la prossima volta chiamami solo ed esclusivamente se scovi il Supercomputer.

- Agli ordini!

Hannibal spense immediatamente il suo computer.

Arrivati in Francia, Ulrich e Yumi erano troppo stanchi per parlare. Dormirono da subito dopo cena a quasi ora di pranzo del giorno dopo. Quando si incontrarono con gli amici.

I due avevano tantissimo da raccontare, dalla Replika al fantasma del Professore all’inseguimento con gli uomini in nero. Parlarono anche di sfuggita di una misteriosa allenatrice che gli aveva salvati. Certo, le erano grati, ma non ritenevano fosse importante. Poteva benissimo essere una comune cittadina.

Jeremy e Aelita, invece, aggiornarono i due sulla scoperta fatta all’Hermitage.  

- Se voi avete visto il Professore nella Replika, allora vuol dire che è una sua creazione.

Commentò Jeremy.

- Si, effettivamente c’era un suo fantasma. È un indizio sul fatto che sia stato lui a crearla e mi chiedo cosa potesse raccontarci.

- Pensaci, Yumi.

La riprese Ulrich.

- Mi chiedo quante volte quegli uomini abbiano visitato quella Replika e quante informazioni abbiano ricevuto. 

- Non so.

Commentò Jeremy.

- Se vi ricordate, il Professore, su Lyoko non aveva un aspetto… per così dire umano. Non è da escludere che sia così anche per loro. Almeno fino a prova contraria. Piuttosto, non mi è chiaro cosa c’entri la professoressa Hertz in tutto questo. Se davvero quella donna nel diario dell’Hermitage fosse lei…

Se solo avessimo ancora quel dossier… Odd, era tua responsabilità.

- E chi lo ha preso?

Odd era sicuro di averlo tenuto nel suo armadio, ma qualcuno doveva essere entrato nella stanza e lo aveva preso.

- Sarà stata la professoressa, non trovandolo.

- Come no. Non credo che possa arrivare a tanto. Deve essere stato qualcun’altro.

Intervene Ulrich.

- E poi dobbiamo ricordarci che ci sono altre forze in campo. Come quell’uomo con i due HOU e gli uomini in nero. E chissà chi altro. Non vorrai aggiungere anche la Hertz, dai.

- Mi chiedo. E se l’uomo con gli HOU fosse uno degli uomini in nero?

- Non penso, amico.

Jeremy riprese Odd.

- Lavorano in modo molto diverso. L’uomo con gli HOU lavora da solo e usa delle tecnologie incredibilmente avanzate. E in più non sembra rispetti alcuna legge. Gli uomini in nero, invece potrebbero lavorare per qualche organizzazione governativa o simile. Anche solo per far volare un elicottero ci vogliono numerosissimi permessi. E se le autorità non li conoscessero, non li lascerebbero fare, non trovate?

Quindi si, ci sono due forze in campo. Oltre a noi. E sembra che quei due siano addirittura nemici. 

Dall’altra parte del mondo, Dido era seduta sul sedile posteriore di una Cadillac prodotta appositamente per i servizi segreti.

Una vettura dotata di ogni comfort che si possa desiderare e di altrettanti dispositivi di sicurezza, tra cui una blindatura di altissimo livello, un serbatoio da enorme realizzato in kevlar, un motore dalla bassissima potenza specifica, sistemi di purificazione dell’aria da qualsiasi minaccia e decine e decine di altri sistemi.

La donna sapeva che quello era l’orario ideale per fare una telefonata in Francia. A quell’ora la persona che cercava era sicuramente a casa. La mattina presto di un lunedì.

Prese il telefono satellitare dal vano posto all’interno del bracciolo centrale e compose il numero. 

Il telefono fece alcuni squilli, poi, finalmente qualcuno rispose, con un tono scocciato. Probabilmente quella persona credeva si trattasse di una chiamata di qualche call center o simili.

- Pronto?

- Sono Dido.

L'interlocutore rimase in silenzio per diverso tempo.

- Si, mi dica signora.

- Ho una missione da affidarti. Presto verrà qualcuno a prenderti. Preparati. Verrà a prenderti un…

Il tono della donna cambiò, per far capire al suo interlocutore, che si trattasse di una semplice copertura.

- Taxi.

- Signora. Non sono più qualificato e soprattutto non ricordo nulla. 

- Non credo che tu ti possa opporre. Fonti sicure mi dicono che in questa storia è coinvolto Hannibal Mago. Quando arriverà, lei deve essere pronto ad accoglierlo. 

- Le ripeto che non sono più qualificato. Non ricordo nulla. 

- Jean. Ricordi quanto basta. Hai fatto delle cose molto brutte ed  è per questo che non puoi più vedere tua moglie e tua figlia.

L’uomo fece una smorfia di dolore. Quella donna sapeva benissimo dove colpire.

- Quindi. Se vuoi vederele hai solo una possibilità. Mettere fine a questa storia di cui sei stato protagonista quasi dodici anni fa. Come ti ho detto alcuni uomini andranno a prenderti e ti spiegheranno tutto. Ho detto loro della tua lunga inattività, per cui inizieranno con qualcosa di semplice.

Detto questo la donna chiuse la chiamata, per mettersi poi in contatto con l’agente Lycanroc, che rispose immediatamente.

- Agente Lycanroc. Vada con l’agente Linoone a prendere Jean e chiedigli di fare la cosa più semplice da fare in questa missione, sai bene a cosa mi riferisco. E non voglio proteste di alcun tipo.

L’uomo non rispose. Si mise immediatamente in marcia con il suo collega. Il capo aveva ordinato a lui e al suo collega di raggiungere Marsiglia senza fornire spiegazioni, ma ora il motivo era chiaro.

I due si trovavano a bordo di un finto taxi marsigliese. Dall’esterno nulla poteva far pensare che la verità fosse ben altra. La vettura non era una normale Peugeot 406.

Il finto taxi giunse proprio davanti alla casa di Jean. l’uomo aveva appena fatto in tempo a prepararsi. Uscì di casa e chiuse la porta. Quindi salì sul sedile posteriore di quella Peugeot.

- Eccoti qui. Jean. O dovrei dire Giovanni Roberto. Come previsto.

Salutò l’uomo alla guida. L’altro uomo, seduto davanti, indicò una borsa, appoggiata sul sedile posteriore, proprio accanto a Jean. 

- Prendi quello che c’è dentro e cambiati. Fai in fretta. Non abbiamo tempo da perdere. 

L’uomo iniziò a cambiarsi, mentre l’auto si sollevò da terra. Le ruote diventarono più grandi e il battistrada più ampio, dal cofano motore uscì una presa d’aria, dal paraurti anteriore degli splitter, alcuni profili aerodinamici, delle prese d’aria per i freni. Da sotto le porte, delle minigonne, dal cofano un grosso spoiler e altri profili aerodinamici dal paraurti posteriore.

L’uomo alla guida partì a razzo,Jean venne colto impreparato. Ancora non aveva superato la sensazione di ridicolaggine che lo ricopriva. Era completamente vestito di nero. Scarpe, pantaloni, camicia, giacca, occhiali da sole. E la pistola che portava sotto l’ascella pesava e gli dava fastidio.

E in più non ricordava nulla. Non sapeva quanto potesse essere di aiuto alle indagini.

Ricordava tutto quello che era accaduto dopo il 1994, ma nulla di quello che era accaduto prima. Si ricordava perfettamente quando Dido, per motivi di sicurezza gli aveva ordinato di stare lontano dalla moglie e dalla figlia. Gli aveva anche trovato un nuovo lavoro a Marsiglia, come impiegato.

Sapeva che era stato allontanato perché aveva fatto delle cose brutte che avevano a che fare con il signor Hopper e con degli uomini vestiti di nero.

Lycanroc, l’uomo alla guida del mezzo percorse a tavoletta i quasi ottocento chilometri che separavano Marsiglia da Parigi. Le uniche soste furono per fare benzina.

Jean si rese conto di come l’uomo alla guida non avesse rispettato alcun limite di velocità. 

Percorse una strada che normalmente si percorre in circa otto ore, in poco più di quattro. Appena entrato in città l’uomo fece sì che il taxi tornasse ad apparire come una normale Peugeot 406. 

L’insegna venne sostituita per farlo apparire come un taxi parigino e non più marsigliese.

- Siamo arrivati anche troppo in anticipo. Il capo ci aveva detto che dovevamo essere qui dopo pranzo. Alle due e mezza. Ma è appena mezzogiorno. 

Protestò l’uomo seduto sul sedile del passeggero. 

Avrebbero dovuto aspettare parecchio, e non potevano raggiungere il luogo indicato prima di quell’ora.

- Dovrai perlustrare l’Hermitage. Immagino che il nome ti dica qualcosa. Non è vero?

Jean non rispose. Quel nome gli metteva i brividi. Sapeva che aveva a che fare con Franz Hopper, ma non ricordava altro. E questo non gli piaceva affatto.

E in più il fatto di non poterci andare prima delle due e mezza gli metteva molta ansia. 

Dopo aver pranzato, Jeremy, Ulrich, Odd e Yumi andarono all’Hermitage. Jeremy era piuttosto impaziente di mostrare la replika creata dal Professore. Nonostante questo, però, avrebbe aspettato l'arrivo di Aelita. 

La ragazza era a un corso di cucina, dopo quello che era successo quella notte, e quel piccolo incidente diplomatico con Serena, aveva promesso a quest’ultima di partecipare con lei a quel corso.

Un corso aperto a qualsiasi studente o studentessa volesse partecipare, tenuto da Jim. Il professore, come prima cosa, aveva raccontato di come fosse stato un cuoco provetto, ma che preferirebbe non parlarne.

Jeremy fece uno squillo ad Aelita. La ragazza rispose al telefono quasi subito.

- Ciao, Jeremy, dimmi tutto.

- Siamo all’Hermitage. Aspettiamo solo te per la Replika. Quella che avevi esplorato quella notte…

- Si, vedo di arrivare appena posso, ora ho un piccolo impegno, ma appena posso arrivo. Ci vediamo dopo.

La ragazza chiuse la telefonata.

- Scusa, ma devo andare un attimino in bagno.

- Vai pure.

Aelita andò verso i bagni, ma, invece di raggiungerli, deviò verso il locale caldaie, dove si trovava uno dei passaggi segreti che permetteva di raggiungere la fabbrica, o anche, volendo, l’Hermitage, che si trovava poco lontano. 

La ragazza percorse il tunnel fino a raggiungere il punto in cui si incrociava con uno dei tunnel che partivano dai sotterranei della villa. Raggiunse il gruppo dalla scala che portava ai sotterranei.

Il gruppo la salutò con il solito calore.

Si stavano per dirigere ai sotterranei e, per l'appunto, visitare la Replika, quando l’attenzione di Yumi venne attratta da qualcosa. La ragazza si avvicinò alla finestra, sperando in un falso allarme.

Dal lato della strada opposto a quello della villa, qualcuno aveva appena parcheggiato un taxi. Una Peugeot 406. Una normale berlina allestita come taxi.

Solo che era strano che si trovasse in quel posto. Come se il passeggero avesse esplicitamente chiesto di portarlo lì. Ma per quale motivo? 

Dalla macchina scese un uomo, completamente calvo e completamente vestito di nero. Sembrava si stesse dirigendo verso la villa. Intanto quella berlina aveva iniziato ad allontanarsi. Proprio come un normale taxi. 

- Ragazzi. Abbiamo un'emergenza. Uno strano tizio si sta avvicinando pericolosamente. 

- Dobbiamo affrontarlo.

Si propose Ulrich.

- Se è solo non dovrebbe essere troppo pericoloso.

Aggiunse poco dopo.

- Non credo ci siano alternative. 

Aggiunse Yumi.

Ognuno di loro fece uscire dalla Pokéball il Pokémon più forte. Jeremy fece uscire il suo ME, Aelita la sua Gardevoir, Yumi la sua Greninja, Ulrich il suo Gallade Odd il suo Incineroar.

Uscirono rapidamente dalla villa scortati dai loro Pokémon, che in breve tempo circondarono l’uomo. 

- Gardevoir, usa Psichico!

La Gardevoir di Aelita utilizzò i suoi poteri per sollevare in aria l’uomo. L’allenatrice fece cenno alla Gardevoir di farlo cadere a terra, e di riprendere la presa all’ultimo. E poi di risollevarlo in alto e ripetere la procedura.

- Basta! Basta! Mi arrendo!

La Gardevoir interruppe l’attacco, facendo cadere l’uomo a terra. Prima che questi potesse rialzarsi, venne bloccato sul terreno dagli Acqualame ghiacciati della Greninja di Yumi. Anche volendo non poteva alzarsi. 

- Siete più forti di quanto pensassi. 

Commentò.

- Non posso fare altro che arrendermi. Sono solo e i miei colleghi sono già partiti.

- E cosa ci garantisce che tu non stia mentendo?

Gli chiese Ulrich. Estremamente dubbioso. 

- Ve lo posso giurare. Su tutto quello che volete. 

- E va bene.

Rispose Yumi. mentre scambiava uno sguardo d’intesa con Aelita. La ragazza ordinò alla sua Gardevoir di usare Psichico un’ulteriore volta, per assicurarsi di condurre l’uomo all’interno della villa senza che questi potesse fuggire.

Giunti nel salotto della villa, la Gardevoir fermò l’attacco, facendo attenzione a non fare troppo male a quell’uomo.

Fuggire era impossibile. Tentando dalla finestra sarebbe stato colpito a vista, mentre la porta era occupata per intero da quell’imponente ME. L’uomo aveva solo una scelta. Parlare.

- Evidentemente vi devo delle spiegazioni. Le avrete. Le avrete. Ma, purtroppo non vi posso dire tutto perché ho dimenticato  praticamente tutto. 

Il mio capo mi ha promesso che se avessi risolto questa situazione, avrei potuto rivedere la mia famiglia. Non avevo altra scelta e ho accettato. Mi promettete che se vi racconto quello che so, mi aiuterete a trovare almeno mia figlia. Non la vedo da quando era una bambina di  tre o quattro anni. Si chiama Serena. So che oggi è una performer e coordinatrice anche piuttosto famosa ma…

Aelita ebbe come un mancamento.

Un uomo pelato. Una bambina di tre o quattro anni chiamata Serena. Che ora è una coordinatrice e performer. Poteva essere lui l’uomo che aveva visto in quella Replika? Il padre di quella bambina che oggi era la sua compagna di stanza? 

Dopotutto le aveva detto di come non vedesse suo padre da quando era molto piccola… troppe coincidenze. Ma si sa. Le coincidenze non esistono.

Mentre la ragazza dai capelli rosa era persa nei suoi pensieri, Ulrich e Yumi guardarono attentamente quell’uomo. Era vestito esattamente come quei tizi che gli avevano inseguiti in Belgio. Era un uomo in nero. 

- Te lo prometto.

Disse Aelita. Con un tono che esprimeva un enorme coraggio.

L’uomo riprese il suo racconto.

- Negli anni novanta, lavoravo per delle persone molto pericolose. Dei terroristi, credo. A quei tempi vivevo qui. Mi ero sposato da alcuni anni con una promessa delle corse coi Rhyhorn, e avevamo una figlia, di cui vi ho parlato prima.

Non ricordo come, ma conobbi un professore chiamato Hopper, che cercava dei finanziamenti per un suo progetto. Un progetto molto molto importante. 

Quelli per cui lavoravo mi imposero di aiutarlo. Mi diedero tantissimi soldi per pagare i suoi progetti.  E mi imposero di  attendere che li finisse per poi passarli a loro. Diventammo ottimi amici. E sua figlia, era praticamente diventata la babysitter di mia figlia.  

Però.

L’uomo iniziò a piangere.

- Lo tradì. Accettai di venderlo. Di rivelare dove si nascondeva.

- Gardevoir usa…

La ragazza si fermò prima di ordinare l’attacco. Le premeva particolarmente che Serena sentisse queste esatte parole. 

Doveva essere grata di aver avuto a che fare con un mostro del genere.

- Mi hanno detto che se non avessi accettato, sarei stato arrestato e mi avrebbero rinchiuso in quarantuno bis per tutto il resto dei miei giorni. Oppure mi proposero di tradirlo. Mi avrebbero creato una nuova identità. E avrei anche potuto ricominciare da zero. Per motivi di sicurezza non avrei potuto vedere più mia moglie e mia figlia, ma sarei stato un uomo libero. Così accettai. Usarono uno strano macchinario che cancella la memoria. Lasciarono intatta solo la mia colpa. 

I ragazzi incominciarono a parlare a bassa voce. In un angolo lontano della stanza.

- Credo che sia giusto chiamarla.

Propose Aelita.

- Ma tu stessa ci hai spiegato e lui ci ha confermato che non si vedono da tantissimi anni. Lei era praticamente una bambina.

Precisò Yumi.

- Certo. Ma non possiamo comunque negare a un padre il diritto di vedere sua figlia.

Si aggiunse Ulrich. Tutti sapevano del difficile rapporto con suo padre. Quelle parole avevano un peso notevole. 

- E poi, se le cose dovessero andare male, potremo sempre usare il Ritorno al Passato.

Propose Odd.

- Sarebbe alquanto inutile. Lui sarebbe di nuovo qui e ci troveremo allo stesso punto. Lei non è stata scansionata. Per lei sarebbe sempre la prima volta. Creeremo un loop temporale, in poche parole.

Lo riprese Jeremy.

Subito dopo Aelita si era allontanata. Aveva fatto cenno al ME di Jeremy, che sbarrava la porta di farla passare, e questi obbedì immediatamente, per poi riposizionarsi davanti alla porta, una volta che la ragazza la richiuse.

Una volta allontanatasi a sufficienza, prese il telefono e si mise in contatto con la compagna di stanza, che rispose quasi subito, con un tono tra il preoccupato e il perplesso.

- Si, ma dove sei? Perché mi stai chiamando? È successo qualcosa?

- Si. Tuo padre.

- Mio padre? Mio padre cosa? 

- È qui. E vuole vederti. 

- Sai benissimo cosa ti ho detto su di lui. Non voglio vederlo. 

- Certo, chiaro. Ma pensavamo che avvisarti fosse la cosa giusta. Anche perché ha spiegato perché vi ha dovuto abbandonare. E, credimi. È una storia terribile. Voglio che sia lui a raccontarlo. Perché è terribile.

- Va bene, vengo. Ma almeno dimmi dove sei.

- Villa Hermitage. Non è molto lontano da qui. 

- Non so dove si trova. 

- Facciamo una cosa. Vai al parco della scuola. Cammina sino a quando non raggiungi un tombino lì in mezzo.penso sia un buon punto di riferimento, visto che non è molto normale un tombino lì in mezzo.

 Per il momento usalo come punto di riferimento. 

- Va bene. Poi?

- Poi troveremo un modo per guidarti fino alla villa. 

- Va bene.

Le due attaccarono la telefonata praticamente insieme. 

Serena provava un mix di emozioni difficile da descrivere. Da una parte era curiosa di sapere perché suo padre l’avesse dovuta abbandonare, ma era anche schifata da un uomo del genere. Tanto più che i motivi, a detta di Aelita erano terribili.

La ragazza iniziò a incamminarsi verso il parco della scuola, quando incrociò Ash, il suo ragazzo.

- Tutto bene?

Le chiese il ragazzo.

- Niente affatto. È una cosa personale. Voglio risolverla da sola.

- Come vuoi.

Serena era perplessa. Solitamente Ash le sarebbe stato accanto anche in situazioni così particolari. Ma, dopotutto, Aelita le aveva fatto intendere che doveva andare da sola. 

Lei si fidava di quella ragazza, nonostante alcune stranezze nei suoi comportamenti. Però, non sembrava avesse motivi per mentirle. Soprattutto su una cosa così seria. 

La ragazza si diresse verso il parco del collegio, proprio vicino al tombino. Il solo tombino dell’area. Effettivamente non aveva molto senso che un tombino si trovasse nel bel mezzo di un parco. 

La ragazza iniziò ad avere un po’ di paura. Tanti pensieri le riempivano la testa. Prese una delle sue Pokéball dalla borsa e fece uscire uno dei suoi Pokémon. La sua Sylveon. 

Quest’ultima, vedendola piuttosto preoccupata, strinse uno dei suoi nastri sul braccio della ragazza, come gesto di affetto e comprensione. 

- Grazie. 

La ragazza sentì un fruscio e alzò lo sguardo verso il cielo. Non notò nulla di anomalo. Alcuni Pokémon uccello che svolazzavano tranquilli. 

- Menomale. Mi sono spaventata per nulla.

Pochi istanti dopo una grossa sagoma bianca, volò a poca distanza da lei. Facendola spaventare e costringendola a fare un passo indietro. 

Fece molta attenzione a non imburconare. Se quella sagoma fosse tornata, doveva essere pronta ad affrontarla. 

Ed in effetti quella sagoma tornò. E si rivelò per quello che era. Una Togekiss, che si posò elegantemente davanti alla ragazza.

Serena rimase in silenzio alcuni istanti, cercando di riordinare i pensieri, fino a giungere ad una conclusione quantomeno sensata. Lei conosceva solo un'allenatrice che aveva quel Pokémon. Per cui tanto valeva tentare.

- Sei la Togekiss di Aelita. Non è vero?

Il Pokémon confermò. 

La ragazza prese dalla sua borsa alcuni Pokébignè che aveva preparato poco prima, proprio a quel corso, e ne diede alcuni alla sua Sylveon, altri alla Togekiss di Aelita. Entrambe sembrarono apprezzare.

Dopo mangiato, la Togekiss spiccò il volo, per poi girarsi verso la ragazza, come per farsi seguire. Cercava di volare lentamente, in modo da farsi seguire. 

Dopo un breve percorso, la ragazza iniziò ad intravedere la sagoma di una villa alta e stretta. Con un basso garage appoggiato su di un lato. Mano a mano che la ragazza si avvicinava, la sagoma diventava sempre più chiara. Era una villa abbandonata, apparentemente da moltissimi anni.

- Cosa ci fa mio padre qui?

Si chiese. Pur consapevole del fatto che il solo modo di trovare risposte, fosse quello di entrare. Dopotutto suo padre era là dentro. E lei voleva ottenere risposte.

Arrivata nel retro della villa, era indecisa se proseguire per il lato del garage o per il lato opposto. Dopotutto il risultato non sarebbe cambiato. No? 

- Aspetta!

La ragazza riconobbe immediatamente quella voce. Era Aelita. Come mai le aveva chiesto di fermarsi? Stava forse andando dalla parte sbagliata? Era forse una trappola? Aveva fatto male a fidarsi di lei?

In ogni caso ora non poteva tornare indietro. Per cui decise di ascoltarla.

- È meglio passare dal garage. È meglio che tu sia pronta ad affrontare la verità, è come un fiume in piena, credimi. 

Serena non rispose. Si limitò a seguirla. 

Le ragazze entrarono all’interno del garage. Era in gran parte occupato da un’auto e da degli scaffali con vari prodotti per la cura dell’auto, attrezzi da meccanico, vernici e via discorrendo.

Serena guardò quell’auto. Era di un giallo molto acceso, nonostante il grosso strato di polvere che la ricopriva. Non aveva mai visto un’auto del genere. Era piuttosto squadrata, aveva quattro fari tondi della stessa dimensione, delle grosse prese d'aria sul cofano, i parafanghi molto larghi. Dal parabrezza, stranamente pulito, erano perfettamente visibili gli interni. Neri. 

Sul retro uno spoiler. 

La performer era piuttosto perplessa. Quella macchina sembrava abbandonata lì da almeno dieci anni, se non di più. Come il resto della villa.  

E suo padre l’aveva abbandonata da oltre dieci anni. Che quella villa avesse a che fare con suo padre? Ma a quel punto la vera domanda era un’altra. Cosa ci faceva Aelita in una villa abbandonata da così tanti anni? E con chi era? Dopotutto aveva usato il plurale nella sua telefonata. 

Serena prese coraggio.

- Mi devi alcune spiegazioni.

- Lo so bene. Per il momento non posso entrare troppo nei dettagli, ma questa villa è appartenuta a mio padre. E, qualche tempo fa ti ho mentito. Mio padre non è morto qualche mese fa. Ma bensì dodici anni fa. 

- Perché hai mentito?

- Perché non volevo che venisse scoperta la verità. Mio padre aveva un passato oscuro e temevo che se ti avessi parlato di lui, ti avrei persa. Ecco.

- A quanto pare anche mio padre ha un passato oscuro, ma non mi sembra che tu mi sia saltata addosso o altro del genere. Anzi. Mi hai chiamato per venirci a parlare. E io ho accettato. 

- Vedi. Il fatto è che quando ti ho detto quelle cose… non potevo sapere che tuo padre fosse coinvolto. 

- Coinvolto in cosa?

Aelita ebbe come un crollo. Si era messa in un grosso guaio. A quel punto non poteva non raccontarle tutto. 

- Forse è meglio che sia lui a raccontarti tutto. Poi ti racconteremo tutto. Promesso.

- Promesso?

Le due ragazze fecero la promessa del mignolo. Un gesto molto antico, che simboleggiava una promessa solenne che, se non fosse stata mantenuta, avrebbe comportato il taglio del dito della persona che aveva infranto la promessa.

Aelita l’accompagnò fino alla stanza in cui suo padre era rinchiuso. 

- Se le cose dovessero mettersi male, avvisaci con questo. Falla cadere per terra. Farà un gran rumore e noi ti potremo aiutare.

- Va bene.

Aelita passò alla ragazza una sorta di sacchetto con all’interno del materiale difficile da definire. Era grigio scuro e sembrava morbido. La ragazza decise comunque di non toccarlo. Fosse stato esplosivo, si sarebbe potuta ferire.

I ragazzi, di comune accordo, avevano deciso di lasciarli da soli. Consapevoli di poter intervenire rapidamente in caso di emergenza.

Serena entrò nella stanza, scortata dalla sua Sylveon. Sola con quell’uomo pelato. Seduto per terra, contro un muro. 

La ragazza si sedette dalla parte opposta della stanza, con accanto la sua Sylveon, che non aveva mai smesso di stringere il braccio della ragazza con i suoi nastri.

La ragazza era seduta con le mani appoggiate sotto il mento e lo sguardo basso. Non voleva guardare in faccia quell’uomo che l’aveva abbandonata quando era ancora una bambina.

- Sei persino più bella di quando ti inquadrano in televisione.

Esordì l’uomo. 

Per tutta risposta, la Sylveon iniziò a soffiare minacciosamente contro quell’uomo e a inarcare la schiena, per sembrare più grande.

La ragazza lo ignorò totalmente.

- Immagino che tu non sia venuta per questo. Dopotutto ti devo delle spiegazioni. E avresti ragione. Non posso sparire per così tanti anni e iniziare così. Facciamo finta che non sia successo. Facciamo finta che sei entrata adesso e che non ti ho detto niente. 

La ragazza continuò a ignorarlo.

- E va bene.  Parlerò. Ma spero che tu non rimanga delusa. Ho dimenticato praticamente tutto. 

Devi sapere che io mi sono allontanato da te e da Primula per proteggervi.

- Proteggerci? 

- Vedi, ti parlo di cose accadute negli anni novanta, quando lavoravo per delle persone molto pericolose. Dei terroristi, credo. A quei tempi vivevamo qui. Io e tua madre eravamo sposati da pochi anni e, quando sono successe le cose peggiori, avevi tre anni. 

Ma le cose sono iniziate prima che tu nascessi. Non ricordo come, ma conobbi un professore chiamato Hopper, che cercava dei finanziamenti per un suo progetto. Un progetto molto molto importante. 

- Aspetta un attimo.

Lo interruppe.

- Dimmi tutto.

Serena rimase in silenzio. Quindi suo padre era coinvolto con un certo Hopper. Che fosse il padre di Aelita? Ma quella ragazza faceva Stones di cognome. Non poteva essere lei. A meno che non l’abbiano costretta a cambiare identità per proteggerla, dopo la scomparsa di suo padre.

Capendo di avere nuovamente l’attenzione della figlia, l’uomo riprese il suo racconto.

- Quelli per cui lavoravo mi imposero di aiutarlo. Mi diedero tantissimi soldi per pagare i suoi progetti.  E mi ordinarono di attendere che li finisse per poi passarli a loro. Con il passare del tempo diventammo ottimi amici. E sua figlia, era praticamente diventata praticamente la tua babysitter.  

Come poco prima, Serena gli chiese di fermarsi. 

Più di qualcosa non le tornava. I suoi genitori le avevano entrambe detto che la figlia di Hopper, Franz Hopper, è stata la sua babysitter. Dalla madre aveva scoperto che quella ragazza si chiamava Aelita e che era scomparsa insieme a suo padre nel millenovecentonovantaquattro. Allora quella ragazza aveva circa tredici anni. Se fosse ancora in vita, ne avrebbe dovuti avere venticinque. E poi quell’attentato al Kadic? Rivendicato da dei terroristi che cercavano Franz Hopper? Per cui lei e sua madre erano dovute fuggire in Giappone. 

Ma allora chi era Aelita, la sua compagna di stanza? Era la figlia di quell’Hopper oppure era semplicemente una coincidenza che i loro padri avessero lavorato insieme e che lui fosse morto dodici anni prima per delle cause diverse?  Facendo finire il racconto a suo padre, avrebbe ottenuto delle risposte?

L’uomo continuò a parlare. Contemporaneamente iniziò a piangere. 

- Però lo tradì. Accettai di venderlo. Di rivelare dove si nascondeva.

La ragazza era piuttosto arrabbiata. Suo padre aveva fatto la cosa peggiore che una persona poteva fare. Tradire un amico.

- Quelli che mi contattarono mi dissero che se non avessi accettato, sarei stato arrestato e mi avrebbero rinchiuso in quarantuno bis per tutto il resto dei miei giorni. Oppure mi proposero di tradirlo. Mi avrebbero creato una nuova identità. E avrei anche potuto ricominciare da zero. Per motivi di sicurezza non avrei potuto vederevi, ma sarei stato un uomo libero. Così accettai. Usarono uno strano macchinario che cancella la memoria. Lasciarono intatta solo la mia colpa. 

Serena non sapeva che fare. Sentire la confessione di suo padre era forse la cosa peggiore. 

Ma ora che era dentro, non poteva tirarsi indietro. Certo, era una situazione davvero difficile, ma cosa poteva fare ora? Non di certo tirarsi indietro. Forse la scelta più giusta era indagare. E non poteva che partire dalla persona che l’aveva portata fino a lì. Aelita.

La ragazza corse fuori dalla stanza, insieme alla sua Sylveon. Lasciando l’uomo da solo. In parte poteva giustificare il suo comportamento. Voleva tenerla lontana dai guai. 

La ragazza entrò nella stanza accanto, dove l'aveva vista entrare. 

Spalancò la porta e vide Aelita e tutto il gruppo con la quale era solita uscire. Non gli conosceva proprio benissimo. Ma se lei era lì, era anche, in parte, grazie a loro.

- Aelita. Mi devi delle sp…

Prima che la ragazza potesse finire la frase, qualcuno suonò il campanello. 

Vado ad aprire.

Ulrich si era alzato per andare ad aprire la porta, o perlomeno a vedere chi stava suonando. 

Il ragazzo guardò dallo spioncino. A suonare un ragazzo dai capelli neri con un Pikachu sulla spalla. Il ragazzo ci mise un attimo a capire chi fosse.

Indeciso sul da farsi, Ulrich, tornò dal gruppo. 

- Allora. È Ash. 

- Il mio Rag…

Si lasciò scappare Serena.

Perché lo aveva detto? Voleva che anche lui venisse coinvolto? 

- Vedi.

Le spiegò Aelita.

- Ormai dovresti aver capito che le cose non sono esattamente come ti ho detto.

- E cosa facciamo con Ash?

Si chiese Odd, rimasto fino a quel momento in silenzio.

Tutti incrociarono i loro sguardi. Giungendo ad una conclusione soddisfacente.

- Solitamente teniamo le relazioni fuori da queste cose, ma… se può farti stare meglio. Possiamo fare un’eccezione.

Propose Yumi.

Ma, prima di tutto, devo farti una domanda.

- Dimmi tutto.

- Sai mantenere un segreto?

La ragazza rimase in silenzio. Dopotutto chi tace acconsente, no? 

Intanto Ulrich si era nuovamente alzato e aveva aperto leggermente la porta ad Ash. L'apertura non permetteva al ragazzo con il Pikachu di entrare. Ma era più che sufficiente per parlare.

- Come sei arrivato qui? 

- Ho visto che Serena si è allontanata e volevo sapere dove fosse finita. Ho visto che stava inseguendo un Togekiss, fino a questa villa qui. Ho girato intorno alla villa, senza trovarla e ho pensato che fosse entrata. 

- Capisco. Ma vedi. Questa è una situazione piuttosto particolare. Non è uno scherzo. 

- Si, chiaro. 

- Bene. Dato che è una cosa molto seria, devo farti una domanda. Sai mantenere un segreto? Forse il segreto più grande che dovrai tenere per tutta la vita?

Xana sapeva di cosa si stava per parlare. Ma se voleva tornare allo splendore di prima doveva stare al gioco e accettare.

- Si. Certo.

Il ragazzo sganciò la catena che teneva ferma la porta. Permettendo a Ash e Pikachu di entrare. Quindi li guidò nella stanza con tutti gli altri.

- Ora che ci siamo tutti. Direi che, finalmente vi possiamo svelare il segreto. Raccontare tutta la verità. Dopotutto nessuno di noi avrebbe mai immaginato che la situazione avrebbe potuto prendere questa piega.

- Cosa vuoi dire con questa frase?

Serena ancora non capiva. Qual era la verità? Sarebbe stata pronta a scoprirlo? 

- Partiamo con ordine. Esordì Jeremy.

Si, facile dirlo. Pensò. Da dove doveva partire? Dalla storia di Franz Hopper? Dalla storia di come si era formato il gruppo?  Forse la scelta più giusta era la seconda opzione. Raccontare le cose nell’ordine in cui sono state scoperte, piuttosto che nell’ordine in cui sono avvenute. Non consapevoli del fatto che fossero osservati da più di qualcuno, cominciarono il loro racconto.

- Vedete. Voi siete i primi a cui raccontiamo questa storia. È molto difficile scegliere da dove cominciare. Ma forse l’ideale è cominciare dove tutto è iniziato.

Era il nove ottobre di quattro anni fa. 

La professoressa Hertz ogni sei mesi indice un concorso di scienze. Quella volta decisi di costruire un piccolo robot. Avevo notato, poco lontano dalla scuola, un grosso edificio. Una fabbrica abbandonata della Renault. Qualche tempo prima avevo notato che la fabbrica e il collegio fossero collegati attraverso le fognature, tramite un tombino al centro del parco.

Quella fabbrica poteva essere una miniera d’oro per il mio robot. Trovai quello che mi serviva e anche di più.

A Xana quelle cose interessavano ben poco. Almeno fino a quando non l’avrebbero condotto al Supercomputer e forse nemmeno quello sarebbe bastato. Per questo mollò la presa.

Ash iniziò ad immaginare la storia come se fosse un film. 

Immaginava il ragazzo attraversare la fognatura e giungere di fronte a un edificio gigantesco e polveroso. Dalla porta, a detta del ragazzo, si accedeva a un ballatoio a sospeso a diversi metri da terra. La fabbrica doveva essere immensa e desolata. Sulle pareti passerelle e anditi, stanze piene di macchinari in disuso.

Le poche finestre intatte completamente ricoperte di polvere. Insomma Ash immaginava un luogo in cui nessuno metteva più piede da anni. 

Continuando ad ascoltare, Ash immaginò quel ragazzo buttarsi da una corda che partiva dal soffitto e permetteva di raggiungere il piano terra, dato che la scala era crollata chissà quanti anni prima.

Il piano terra era ricolmo di carcasse di auto, lattine e bottiglie di birra, pneumatici, rifiuti elettronici, materassi, lastre di eternit e quant’altro. Sembrava una discarica, ma dalle parole del ragazzo, sembrava fosse una miniera d’oro.

Percepì quasi il dolore nelle mani del ragazzo causato dall’attrito con quella corda e si immaginò la grossa nuvola di polvere sollevata dal ragazzo durante la sua caduta.

Ora il ragazzo gironzolava per la fabbrica per trovare quel che cercava, quando la sua attenzione venne attratta da un ascensore. Dalle parole del ragazzo era un semplice container metallico con una semplice pulsantiera su un lato, composta da due bottoni rossi.

Il ragazzo, a quel punto si chiese se convenisse o meno provare ad azionarlo. Comprendendo di non aver nulla da perdere, il ragazzo, decise di provare a premere il pulsante che comandava la discesa. Tanto quell’ascensore non aveva motivi per funzionare.

Ash poteva solo immaginare lo stupore del ragazzo, nello scoprire il fatto che l’ascensore fosse perfettamente funzionante.

L’ascensore ci mise oltre un minuto a raggiungere la sua destinazione. Tempo, a detta del ragazzo, sufficiente a pentirsi.

Alla fine l'ascensore si fermò e la grata si sollevò. Un sistema automatico fece aprire una porta automatica. 

Ora immaginava il ragazzo all’interno di una stanza illuminata da luci al neon di un colore freddo, tendente al verde.

Dal soffitto pendeva una gigantesca apparecchiatura fatta di tubi di metallo e cavi elettrici. Ricordava una sorta di braccio che partiva da un cerchio in metallo sul soffitto. Ash lo immaginò come un gigantesco lampadario.

Sul pavimento era presente un cerchio sollevato da terra che ricordava una sorta di pedana. 

Sul braccio meccanico sul soffitto erano presenti tre schermi. Uno grande e due più piccoli, della stessa altezza ma più stretti, come a avvolgere chi guarda. Poco sotto una tastiera.

Sul pavimento una sorta di monorotaia che conduceva fino a un sedile. Per certi versi ricordava una postazione di comando. Stando a quel ragazzo, non fu subito chiaro chi avesse creato quella cosa fosse stata creata da umani o meno, né tantomeno lo scopo per cui la stessa fosse stata creata. 

Il primo dubbio a venire sciolto fu chi avesse creato quella cosa. Era stata creata da degli esseri umani. La tastiera era, apparentemente una normale tastiera da computer. 

Certo, questo non aveva risolto molti dei suoi dubbi, come per esempio il motivo per cui tutte quelle attrezzature si trovassero in quel posto. 

Certo, il luogo era pieno di cartelli di avvertimento di ogni tipo, ma era relativamente facile accedere a quel posto. 

Stando a quel ragazzo vi era la possibilità che l’area fosse videosorvegliata. Proprio questa paura, a detta sua, lo spinse a continuare ad indagare. Dopotutto non trovava nessun motivo razionale per nascondere quelle apparecchiature in un edificio abbandonato da anni.

Si sedette nella poltrona, ma non successe nulla, e anche i monitor erano spenti.

Nessun risultato nemmeno provando con la tastiera.

 Come se mancasse ancora un pezzo al puzzle. E non era detto che quel pezzo si trovasse in quella stanza. Il ragazzo l’aveva esplorata completamente senza trovare nulla di utile. 

La soluzione doveva essere da un’altra parte. Il ragazzo prese l’ascensore e scese al piano inferiore. Forse la soluzione era lì. Per scoprirlo non doveva far altro che aspettare.

L’ascensore si fermò e una porta simile a quella precedente, si aprì, permettendo al ragazzo di entrare all’inferno della nuova stanza. Una stanza dalle pareti di un colore caldo, tra il giallo e l’arancione. Al centro della stanza una sorta di pozzo. Ma questa non fu la cosa più interessante della stanza. 

Disposte a formare un triangolo, tre apparecchiature collegate al soffitto con degli spessi fasci di cavi. Ognuna di quelle apparecchiature, simili a delle colonne, che sembrava potessero essere aperte, in qualche modo. 

La sola cosa chiara al ragazzo, è che quelle colonne avevano qualcosa a che fare con l’apparecchiatura di sopra.

Ancora non aveva idea dell’utilità di quei dispositivi. Aveva tante domande, che forse avrebbero trovato risposta trovando l'interruttore del sistema. E di sicuro non era in quella stanza.

Il ragazzo prese di nuovo l’ascensore per verificare se fosse ancora possibile andare più in basso. L’ascensore scese ulteriormente. Forse l'interruttore era lì sotto. 

Stando al racconto del ragazzo, quest’ultimo si aspettava una stanza piena di computer di diverso tipo o qualcosa di simile.

Quello che il ragazzo si ritrovò, invece fu molto diverso.

Un grosso cilindro verde e coperto da una sorta di rete dorata. A detta sua si trattava di un dispositivo incredibilmente tecnologico. A detta sua non aveva mai visto nulla di simile.

Il ragazzo, a quel punto decise di accendere quello strano apparecchio. Dopotutto non aveva nulla da perdere. E poi avrebbe mai potuto funzionare, abbandonato com’era da chissà quanti anni?

Il ragazzo abbassò la leva. Privo di aspettative.

Da essa partì una piccola scintilla azzurra. Poi tutti i profili dorati del dispositivo si ricoprirono di una luce accecante.

Risalì al piano superiore e si sedette su quella poltroncina. Ora il dispositivo funzionava. E lo condusse fino al monitor. 

Su quel dispositivo simile a una pedana, si innalzò un fascio di luce di un proiettore olografico. Esso proiettò l’immagine di una sorta di una sorta di mappamondo, diviso in quattro aree. Ognuna di colore diverso e con dei dettagli diversi. Uno ricordava un deserto, uno un ambiente montuoso, uno un ambiente polare e l’ultimo una foresta.

A quel punto il timore del ragazzo raggiunse un ulteriore picco. Credeva ancora una volta di trovarsi in una base militare. Solo che alcune cose non gli tornavano. Quella sorta di mappamondo non era affatto la Terra. Non sembrava avere continenti né tantomeno oceani. 

Smanettando coi controlli, riuscì ad avere una visuale di quel mondo. L’interno scuro di una sorta di edificio nelle pareti scorrevano fiumi di dati. All’interno dello strano edificio, una ragazza.

Una ragazza coi capelli a caschetto di un rosa tendente al rosso. Aveva delle orecchie a punta che per certi versi ricordavano un elfo. Era vestita di verde chiaro e rosa, con un abito che contribuiva allo stesso modo a darle quell’aspetto. Aveva un trucco abbastanza particolare, che poteva, per certi versi, assomigliare a delle pitture di guerra. Due strisce verticali dello stesso colore dei capelli che partivano da sotto gli occhi.

Sembrava fosse addormentata, ma poi  si svegliò.

Non interrompendo il racconto, tanto Ash quanto Serena si voltarono verso Aelita.

Il ragazzo fu alquanto sorpreso nello scoprire di poter comunicare con quella ragazza, nonostante all'apparenza non vi fossero delle telecamere o dei microfoni. Dovevano essere nascosti bene.

La ragazza sembrava avesse perso la memoria. Non si ricordava come fosse finita lì, non si ricordava neppure il suo nome. 

Fino a quando non se lo sarebbe ricordato, i due scelsero di comune accordo, Maya.

Ash non si accorse nemmeno del cambio di narratore.

Per Ulrich Jeremy era un ragazzo normalissimo, il classico secchione, e fino a quel momento entrambi vivevano le loro vite normalmente. Anche Ash pensava lo stesso di lui, fino a quando non era stato posseduto da Xana. 

Aveva raccontato di come i due si fossero incontrati. Jeremy stava prendendo qualcosa alle macchinette, aveva messo una moneta  quando, a un certo punto, venne fulminato dallo stesso. Cadendo come un sacco di patate. 

Ulrich lo soccorse, portandolo in infermeria. Dopo quello strano evento, tutto sembrava andare normalmente. 

Qualche tempo dopo, il ragazzo si trovava nella sua stanza, quando, dalla stanza vicina, iniziò a sentire delle urla. Era entrato di corsa nella stanza e aveva visto il compagno di classe lottare contro una sorta di scattoletta su ruote. Dopo averlo bonariamente preso in giro, lo aiutò. Ma a quel punto la curiosità del ragazzo era troppa. Non poteva non chiedergli cosa diavolo stesse succedendo. E Jeremy era consapevole del fatto che quel ragazzo avesse ragione.

Il giorno seguente, quindi, lo aveva accompagnato alla fabbrica.

Ulrich non voleva credere a quello che vedeva. Conosceva quella fabbrica abbandonata, ma non avrebbe mai pensato che fosse qualcosa di più di una semplice fabbrica di auto abbandonata. Non aveva motivi per farlo.

Ash poteva solo immaginare lo stupore del ragazzo nel dover attraversare la fognatura e dover raggiungere, appunto quell'edificio. Appena salita la scala che portava al ponte, superato il disorientamento dovuto alla luce del Sole, dopo diverso tempo al buio, il ragazzo si accorse dell’incredibile vista che si poteva godere da lì.

A dire il vero, la preoccupazione maggiore del ragazzo era quella di come togliersi l’odore della fognatura, che sembrava non potesse togliere in alcun modo.

Durante il tragitto per raggiungere la fabbrica, Jeremy gli aveva raccontato che allora non aveva trovato particolari informazioni su quella fabbrica, a eccezione del fatto che si trattava di una ex fabbrica della Renault.

In ogni caso i due, dopo una certa insistenza da parte di Jeremy, entrarono all’interno dell’edificio. 

Raggiunsero la sala al piano di mezzo. Ulrich era curioso di sapere a cosa servissero, non ottenendo risposte di alcun tipo, a parte una generica ipotesi relativa al fatto che Maya fosse entrata nel mondo virtuale attraverso quei dispositivi. Solo che nessuno dei due voleva rischiare di utilizzarle. Dopo una breve discussione tra i due, entrambi convennero che la cavia perfetta fosse il Lillipup di Odd, che allora era appena diventato il compagno di stanza di Ulrich. Il ragazzo lo riteneva alquanto

Insopportabile, per cui lo riteneva la cavia ideale. Si sarebbe infiltrato nella stanza che condivideva con il nuovo arrivato, avrebbe sequestrato Kiwi, il suo Lillipup, e lo avrebbe portato alla fabbrica.

Altro cambio di narratore. Ancora una volta Ash non ci fece caso.

Odd, nonostante stesse dormendo, si accorse che qualcosa non tornava. Non aveva più sentito il ronfare del suo piccolo Lillipup e si era preoccupato. 

Aveva poi sentito i suoi latrati deboli e confusi. Temeva che qualcuno lo avesse rapito, sequestrato o qualcosa del genere. Anche se non ne vedeva il motivo.

Sapeva che il suo compagno di stanza non lo sopportava, ma non gli sembrava tipo da arrivare a tanto. Non avendo altre piste da seguire. E, uscendo dalla stanza, gli era sembrato di vedere proprio la sagoma di un ragazzo. Non poteva che essere il suo compagno di stanza.

Ash immaginò il ragazzo infilarsi la giacca e correre, ancora in pigiama a ciabatte e seguire il sequestratore.

Sapeva che quel ragazzo non aveva idea di dove potesse essersi ficcato.

E in più, non solo doveva seguirlo, ma doveva anche fare attenzione a non farsi scoprire.

In ogni caso, dopo averli seguiti nelle fogne e poi nell’ascensore, poco dopo il loro arrivo, scoprì che il suo Lillipup si trovava dentro una specie di dispositivo di forma cilindrica. Sentiva qualcosa a riguardo di un processo di trasferimento, o qualcosa di simile riguardante proprio il suo Lillipup. 

Vedendolo dentro quello strano dispositivo, il ragazzo fece per salvarlo, finendoci, involontariamente all’interno e venendo trasferito nel mondo virtuale al suo posto.

Inizialmente il ragazzo non aveva realizzato dove si trovasse. Sembrava una sorta di videogioco. Tutto attorno a lui sembrava irreale. Alberi altissimi ed estremamente simili fra loro. Il terreno, che aveva dei colori tra il verde e il marrone, non sembrava per nulla realistico. 

Ancora il ragazzo non aveva realizzato cosa fosse successo al suo corpo. Ora non indossava più un pigiama e una giacca, ma una tuta aderente viola che gli dava un aspetto felino. Gli era anche spuntata una lunga coda, sempre viola. Aveva anche dei guanti che gli avevano trasformato le mani in estremità simili a zampe, con tanto di artigli. 

Il ragazzo raccontava di come fosse estremamente disorientato e di non capire per bene dove si trovasse. Certo, Jeremy gli aveva spiegato, a modo suo, quello che era successo al suo corpo, ma comunque non gli fu ugualmente chiaro. Allo stesso modo rimase sconcertato quando incontrò delle creature dalla forma appuntita che lanciavano dei raggi laser da una sorta di cerchio posto in basso, vicino ai piedi.

Appena venne colpito si rese conto di come, per quanto quel mondo somigliasse ad un videogioco, il dolore fosse reale. 

Dopo un po’ venne materializzato nel mondo virtuale anche Ulrich. Lui era vestito in modo simile a quello di un samurai, con tanto di katana. Questo scatenò la gelosia di Odd, che credeva di non essere armato. 

Dopo aver esplorato insieme parte di quel mondo e fatto conoscenza di Maya, i due si colpirono a vicenda per vedere se si tornasse al mondo reale in quel modo. 

Altro cambio di narratore. 

Ora stava parlando Yumi.

Aveva raccontato di come avesse conosciuto Ulrich, durante un allenamento di arti marziali e di come inizialmente non credesse alle sue parole circa una gigantesca sfera di energia elettrica che li inseguiva e allo stesso modo non credeva all’esistenza di quel mondo virtuale, né tantomeno di Maya, la ragazza che l’abitava.

Dovette ricredersi quando Ulrich l’accompagnò lì e, le mostrò come fosse tutto vero. Lei nel mondo virtuale appariva come una sorta di Geisha armata di ventagli affilati come rasoi. Ma, come gli altri, non ebbe molto tempo per adattarsi a quella strana realtà, prima di venire anche lei attaccata da degli strani mostri.

Raccontava di come tutti pensassero che, se Maya fosse stata veramente umana, sarebbe potuta tornare sulla Terra anche lei, in qualche modo.

Per esempio entrando dentro uno strano edificio, simile, per certi versi a una grossa candela, per altri un albero. Sulla parte superiore un alone rosso.

Altro cambio di narratore. Aelita.

La ragazza raccontò di come, appena entrata nella Torre, si trovò dentro ad una piattaforma con il simbolo simile ad un occhio, un puntino con attorno due cerchi concentrici e quattro stanghette. Tre che partivano dalla parte bassa, una in alto.

Ogni cerchio si illuminò al suo passaggio di un colore tra il bianco e l’azzurro. 

Arrivata al centro venne sollevata da una forza invisibile, che la portò fino al piano superiore, dove vi era una piattaforma simile. Giunta anche al centro di essa, apparve uno schermo trasparente e anch’esso di una tonalità di azzurro. 

La ragazza, quasi istintivamente, vi posò la mano. E, in quel momento, finalmente apparve il suo vero nome. Aelita. E il fatto che inserisse un particolare codice, appunto il codice Lyoko.

Questo permise all’alone della torre di cambiare colore dal rosso al blu, ma la ragazza rimase all’interno della stessa. Non tornò nel mondo reale. 

A quel punto quella sorta di film nella mente di Ash, terminò. Ma non altrettanto il racconto. Per Ash era come se Jeremy non avesse mai smesso di parlare.

- Solo in quel momento capimmo che l’accensione del Supercomputer, avevamo anche risvegliato un entità malevola, che viveva al suo interno, Xana. Nel corso del tempo, ha attaccato in diversi modi, tra cui possedendo un peluche gigante, preso il controllo di un autobus per farlo schiantare contro un impianto petrolchimico, tentato di far schiantare due treni che trasportavano merci pericolose, cercato di far affondare il collegio, manipolato la gravità, creato una musica in grado di uccidere…

- Scusa se ti interrompo, ma non ho mai sentito parlare di tutte queste cose…

Lo interruppe Serena.

- Normale. Ogni volta che Aelita disattivava la Torre, lanciavo il ritorno al passato e tutto tornava come se non fosse mai successo, facendo dimenticare a chiunque non fosse scansionato, tutto quello che era accaduto. Tu e Ash siete stati alla vecchia fabbrica quando avevate visto Meloetta, ma, proprio a causa del ritorno al passato, non ve lo potete ricordare.

- Ah. Se lo dici tu…

- Vi risparmio tutti gli altri attacchi di Xana e arriviamo al punto fondamentale, quando pensavamo che tutto fosse finito. Il giorno che riuscimmo a portare Aelita sulla Terra.

Anche qui trovare il modo di materializzarla non è stato affatto facile, abbiamo dovuto lavorare per ore e ore. 

- Ero incredibilmente emozionata. Finalmente avrei potuto vivere come una ragazza normale, avremmo potuto spegnere il supercomputer e Xana per sempre. Quando arrivai sulla Terra fu un enorme trauma, mi sembrava tutto stranissimo. Ma ci avrei fatto l’abitudine. Solo che… appena tentammo di spegnere il Supercomputer… beh. Mi raccontarono che svenni. Pensavano fossi morta. Riaccesero immediatamente il Supercomputer e, poco a poco ripresi i sensi. Non ci sapevamo spiegare il motivo.

- Pensavamo si trattasse di un virus creato da Xana per impedirci di spegnere il Supercomputer, a meno di non sacrificare anche Aelita. 

Continuò Jeremy.

- Avevo delle visioni riguardanti una villa poco lontano dal collegio. L’Hermitage. Proprio questa villa. Erano ricordi terribili e confusi. Ma qualcosa dovevano pur significare. Così, insieme a Jeremy fecimo delle ricerche a riguardo. E scoprimmo che questa villa era appartenuta a un signore chiamato Franz Hopper. 

Xana, ogni volta che ne aveva l’occasione tentava di attaccarmi con lo Scyphozoa, la creatura più terribile che tu possa immaginare. Capace di immobilizzarti e di rubarti i ricordi con i suoi tentacoli. 

Per tante volte Odd, Yumi e Ulrich sono stati in grado di difendermi. Ma non quella volta. Ci trovavamo nel settore cinque, Cartagine. Il cuore pulsante di Lyoko. 

Jeremy era riuscito a decifrarne il diario di Franz Hopper, colui che aveva creato Lyoko. Grazie ad esso pensavamo di aver trovato il modo di creare il sistema che permetteva di sciogliere il legame tra me e il supercomputer. E per fare questo dovevamo andare proprio nel settore cinque.

In quel momento scoprì la verità. Xana mandava lo Scyphozoa per rubarmi la chiave di Lyoko e poter fuggire nella rete. 

Mi raccontarono che, nel farlo, mi uccise e che pensavano fosse finita. 

Non so descrivere cosa successe di preciso, ma venni come investita da ricordi che non sapevo di avere. Ricordi di cose avvenute moltissimi anni fa. Ricordi della mia vita precedente. 

In quel momento scoprì che Franz Hopper, il creatore di Lyoko, era mio padre. Mi ha dovuto trasferire su Lyoko per proteggermi da delle persone che lo cercavano. Anche se qui credevamo di trovarci al sicuro. Sono rimasta bloccata su Lyoko per quasi dieci anni. Prima che succedesse tutto quel che vi abbiamo raccontato. 

- Yumi? Puoi venire fuori con me un attimo?

Serena e Yumi uscirono dalla villa, e andarono  nel giardino posteriore. Entrambe le ragazze, con la coda dell’occhio, videro qualcosa muoversi in modo estremamente rapido. Poteva trattarsi di una semplice illusione ottica.

Serena si sedette per terra, con la schiena poggiata contro il muro. Yumi accanto a lei.

La performer si girò verso la ragazza dai capelli corvini. Tentava inutilmente di non piangere.

- Non voglio perderla. Non voglio perdere la mia amica. Non per colpa di mio padre. 

- Credimi. Io conosco benissimo Aelita. È la mia migliore amica. È una ragazza molto intelligente. Sa benissimo che tu non sei come lui. Tu una cosa del genere non la faresti mai. Tu la puoi aiutare a superare tutto questo. 

Hai un potere enorme in questo momento. La sua fiducia.

- Dici? 

- Non ho motivi per mentire. Credimi. Se non vuoi sentire il resto della storia, ti posso capire. Deve essere davvero molto difficile per te accettare queste cose…

- Non è quello. Ormai sono dentro fino al collo. Non credo che cambi qualcosa se me lo raccontiate oggi, domani o tra una settimana. È cambiato il mio modo di vederla. Sapere che ha passato dieci lunghissimi anni bloccata in quel mondo per colpa di mio padre, mi fa stare male. Malissimo. E io non posso fare nulla per rimediare. 

Yumi poteva solo immaginare come si sentisse quella ragazza. Aveva scoperto che quella ragazza che quando era appena una bambina di tre anni, le faceva da babysitter, era misteriosamente scomparsa insieme a suo padre ormai dodici anni prima, era rimasta imprigionata in quel mondo virtuale per oltre dieci anni a causa di suo padre. E ora? E ora era una ragazza della sua età con cui condivideva la stanza. Anche se avrebbe dovuto avere dieci anni in più. E chissà cos’altro avrebbe scoperto se avesse sentito il resto del racconto. 

- Io, invece, credo che possa fare qualcosa. Certo. Mi rendo conto che potrebbe essere difficile, ma dovremo tornare dentro e, per quanto sia difficile, finire di ascoltare questa storia. 

- Preferisco che sia tu a dirmelo.

- Non posso. Deve essere lei.

Non avendo molta scelta, entrambe le ragazze, entrarono nuovamente nella villa.

- Forse dovresti raccontare solo la parte più importante di tutta questa storia. Per quanto sia la più dura. 

- Con quei ricordi, arrivò anche la domanda più terribile di tutte. Una domanda che per molto tempo ho tenuto per me stessa, ma che, qualche tempo fa è uscita spontaneamente. Cos’è successo a mia mamma?

Ecco perché è successo tutto questo.

Tornando alla nostra storia. Questa è la parte per me più difficile di tutte. Insieme a Jeremy e a mio padre, siamo stati in grado di mettere a punto un programma in grado di distruggere Xana, che era diventato più forte che mai. Non potevamo permettere che ogni giorno mettesse in pericolo umani e Pokémon.

Eravamo anche vicinissimi a riportare mio padre sulla Terra ma…

La ragazza iniziò a piangere.

- Il programma per distruggere Xana richiedeva più energia di quella che il Supercomputer fosse in grado di fornire. E lui dovette dare la sua vita per distruggerlo.

Tutti stettero in silenzio. Anche se loro avevano vissuto quella storia in prima persona ed erano consapevoli dei tanti fatti collaterali saltati per evitare di appesantire ulteriormente il racconto. Come il fatto che il ritorno al passato rendesse Xana più forte, fino a essere in grado di controllare le persone, il fatto che abbia infettato dei supercomputer in giro per il mondo creando delle replike di Lyoko, per poi sfruttarle per creare il Kolosso, un mostro gigantesco e potentissimo. Dei loro viaggi nel mare digitale con la Skid e tanto altro ancora. 

- Ora non ci resta che portarvi alla fabbrica.

Entrambi accettarono. Serena perché dopo tutto quello che era capitato, non poteva di sicuro tirarsi indietro, mentre per Xana sarebbe potuta essere una grossa occasione. Anche se le probabilità di successo erano minime. In ogni caso doveva comunque andare con loro. 

- Aspettate un attimo. Devo fare una cosa.

Mentre tutti gli altri si stavano dirigendo verso l’uscita, Serena era entrata nella stanza dov’era rinchiuso suo padre. Non aveva accanto a sé la  sua Sylveon, precedentemente ricoverata nella Pokéball.

- Torna dal tuo capo e dì di non aver visto nulla. Sappi che non ti vorrò più vedere fino a quando non ritroverai la madre di Aelita. Glielo devi.

La ragazza uscì sbattendo la porta, per poi ricongiungersi con il gruppo.

Il gruppo entrò nel passaggio segreto che collegava l’Hermitage alla vecchia fabbrica. Attraverso una ports che portava alle fognature. Non un bello spettacolo, ma non avevano scelta.

Dopo aver percorso le fognature fino alla fine della fognatura, dove la stessa sgorgava nella Senna. Una scaletta permetteva di salire sul ponte, che portava all’interno della fabbrica.

Mostrarono ai due l’intero edificio, compresa la sala dei comandi, il supercomputer e la sala scanner. 

Finito il tour della fabbrica, tornarono al Kadic. Jean aveva approfittato della loro assenza per contattare i suoi e andarsene. Non sapevano di essere stati spiati. 

Nicolapolus si mise in contatto con il suo capo, il quale rispose quasi immediatamente.

- Spero che sia importante. Sai che rischiamo tanto con queste chiamate.

- Capo. Posso confermare che il Supercomputer esiste. Hanno portato la francesina al Supercomputer. Si trova in quella vecchia fabbrica. E in più hanno anche incontrato il traditore. 

- Molto bene. Sai cosa fare. Cerca in ogni modo di levarli di torno e noi potremo lavorare senza ragazzini tra i piedi. Dopodomani saremo lì.

I due chiusero insieme la chiamata. Hannibal per radunare i suoi uomini e mezzi con cui avrebbe raggiunto la città, Nicolapolus per prendere il suo mezzo ed eseguire i compiti assegnatigli dal capo. Il suo piano era quello di spaventarli a morte, in modo da costringerli a scappare e a toglierli di mezzo.

Andato alla villa, utilizzando i suoi dispositivi ad alta tecnologia, si accorse di come la villa fosse vuota. Non potendo restare lì tutto il tempo, poiché sarebbe stato molto sospetto vedere un tizio vestito di nero, con due HOU, e un grosso pick-up americano parcheggiato poco lontano.

Per fortuna lui era un tipo previdente. E sapeva come comportarsi anche in situazioni come queste. Le sue apparecchiature potevano comunicare senza fili con i suoi computer, e avvisarlo in caso di variazioni dei sensori.

Li regolò in modo da assicurarsi che potessero captare il calore emesso da esseri umani, in modo da non ricevere falsi allarmi.

In questo modo sarebbe potuto tornare alla base, lontano da occhi indiscreti. Come se avessero sentito la sua chiamata con il capo, non si presentarono il giorno seguente. Ma solo quello dopo ancora.

Jean si era riunito con i suoi colleghi, e aveva riferito di non aver trovato nulla nella villa. 

- Bene così. Allora vuol dire che quei ragazzini hanno imparato la lezione. Non ficcarsi negli affari più grandi di loro.

- In ogni caso…

Aggiunse agente Linoone.

- Pare che il tuo ex datore di lavoro stia arrivando. Dovremmo essere pronti a dargli una calorosa accoglienza. A Marsiglia. Dei nostri colleghi attenderanno al porto, noi all’aeroporto.

Jean non si ricordava molto, ma sapeva che quello che Linoone aveva definito come suo “ex datore di lavoro”, doveva essere  quello che gli passava i soldi per finanziare Hopper. In ogni caso non poteva rifiutarsi. Era stato praticamente ricattato dalla figlia e avrebbe fatto di tutto per ripulirsi la coscienza.

Dopo un altro viaggio spericolato verso la città nel sud della Francia, i tre raggiunsero l’aeroporto. Lycanroc parcheggiò il finto taxi in un’area su cui solitamente era vietata la sosta.

- Chiedo scusa, Lycanroc, ma… questa è un’area riservata alle manovre degli aerei. Non possiamo parcheggiare qui.

Si lamentò Jean.

- Non ti preoccupare. Abbiamo tutti i permessi del caso. Piuttosto controllate il traffico aereo.

Tanto Linoone quanto Jean avevano un computer portatile su cui potevano monitorare tutto il traffico aereo. Erano concentrati su di una specifica area attorno a Marsiglia. 

- Non trovate che sia strano?

Chiese Jean. Osservava il traffico aereo e aveva notato come non ci fosse nessun aereo in quell’area. Cosa strana dal momento che, normalmente, in quell’aeroporto atterravano e decollavano centinaia e centinaia di aerei al giorno.  

Anche a terra la situazione era simile. Non un singolo aereo accennava a muoversi. Sembrava fossero incollati al terreno. C’era un silenzio irreale.

Il silenzio venne rotto, dall'atterraggio sulla pista principale, di un colossale Boeing 747, seguito poco dopo, sulla pista più corta, di un Airbus A320. Entrambi gli aerei erano verniciati di un grigio chiaro.

- Certo che questo Hannibal non ha proprio gusto! Guardate con che grigio orribile dipinge i suoi aerei!

- Jean. Non è questione di gusti. Se hai notato, non abbiamo visto i suoi aerei né sul traffico né sul radar. Questo vuol dire che aveva il transponder  spento e che usava la vernice speciale.

- Vernice speciale?

- Sì, vernice MD10. Un brevetto dell’esercito americano per rendere invisibile ai radar anche dei colossi come il 747. Mi chiedo come abbia potuto ottenerla. 

La pista dell’aeroporto venne invasa da un convoglio di Jeep dai colori militari e camion in testa una Range Rover bianca. Stando ai colleghi dei due agenti segreti, quel corteo di auto era partito dal porto. 

Hannibal, scese dal suo aereo privato, scortato da una donna dai lunghi capelli rosa. Lui era interamente vestito di viola, la donna indossava un abito elegante.

I due scesero dalla scaletta dell’aereo e si sedettero sul sedile posteriore del lussuoso fuoristrada.

Il corteo, con in testa il capo, partì alla volta di Parigi. 

Quasi come se lo sapessero, quei ragazzi si erano diretti all’Hermitage. I ragazzi avevano accompagnato Ash e Serena fino alla stanza segreta, fino allo scanner. 

- Bene. Ora che siete dentro, dovrete sottoporvi alla scansione. Non scenderò troppo nei dettagli, ma tramite questo dispositivo potrete diventare immuni al ritorno al passato e non potrete essere posseduti da Xana.

- Oh… bene.

Commentò Ash. 

Meno felice Serena, un pò claustrofobica, vedendosi costretta a entrare dentro quel dispositivo che ricordava una sorta di doccia con le pareti metalliche.

- Forse è meglio che qualcuno di voi resti  qui. Non si sa mai che quel tizio con gli HOU ritorni. Ash, Serena e Aelita sono esclusi, ovviamente. 

Il ragazzo prese delle matite, le sistemò nella mano in modo da essere difficile comprendere quale fosse la più lunga o altro del genere.

- Facciamo così. Chi pesca la matita più corta va. Gli altri due restano. 

I tre rimasti esclusi accettarono.  

Alla fine la fortunata fu Yumi, con Odd e Ulrich esclusi.

- Solita sfortuna, eh.

Commentò il biondo. L’amico rimase in silenzio. 

- Molto bene. Direi che possiamo cominciare. 

- Serena. Inizia te.

- Che cavaliere!

Commentò Odd, in tono scherzoso.

La porta del dispositivo si aprì con uno sbuffo. La ragazza entrò dentro quello strano dispositivo metallico. Appena entrata, la porta si chiuse.

- Trasferimento Serena…

Si udì il rumore di una grossa ventola, che sollevò la ragazza ad una quindicina di centimetri da terra. Quel potentissimo flusso d’aria le aveva completamente scompigliato i capelli.

- Scanner Serena…

Ora il corpo della ragazza stava venendo colpito da una luce di colore verde. Iniziava anche a sentire un piacevole pizzicore sulla pelle.

- Virtualizzazione.

Ora la ragazza si trovava in uno strano posto. Non era per nulla realistico. Un prato verde gigantesco. Davanti a lei una grossa quercia.  Poco lontano un’altra. 

Solo dopo alcuni istanti, si rese conto di come avesse completamente cambiato aspetto. Ora indossava una tuta aderente gialla e rossa e in mano aveva una sorta di bastone, molto simile a quello della sua DE.

- Aspetta. Tra poco ti mando gli altri. 

- Ehi! Ma come faccio a sentirti? 

- Non importa. È abbastanza complesso da spiegare.

In breve tempo venne raggiunta anche da Yumi, che apparve con il suo aspetto classico nel mondo virtuale. Una tuta rossa e bordeaux, con sulla schiena, finalmente il suo porta ventagli.

E in seguito anche da Ash, che apparve indossando una tuta gialla, con delle piccole decorazioni nere. La sua arma era una spada a forma di saetta.

- Bene ora vi mando anche Aelita. Mi ha detto che voleva far vedere una piccola cosa a Serena. 

La ragazza era entrata all’interno del dispositivo e Jeremy stava iniziando le procedure per trasferire la ragazza all’interno del mondo virtuale. Quando, poco dopo il trasferimento, ma prima della scansione, mancò la corrente. 

Jeremy accese una torcia per poi tentare di aiutare i due amici ad aprire la porta del dispositivo. Si sentiva un forte odore di bruciato. 

Fortunatamente Odd e Ulrich riuscirono ad aprire la porta del dispositivo e a far uscire la ragazza. Prima che fosse troppo tardi. Jeremy e Ulrich uscirono dalla stanza e si precipitarono fuori, nel tentativo di riattaccare la corrente. 

Effettivamente qualcuno aveva aperto il contatore e staccato i cavi. Si vedevano delle impronte di scarpe che andavano in direzione del contatore. Poi era tornato indietro. Sulla strada poco davanti si vedevano delle grosse sgommate. Evidentemente qualcuno aveva staccato la corrente e poi era scappato. Ma perche?

In ogni caso, i due ripristinarono la corrente e tornarono nella stanza con lo scanner.

- Qualcuno ha staccato la corrente ed è scappato. 

Spiegò Jeremy.

- E sembra che nel farlo abbia anche danneggiato lo scanner.

Aggiunse, mentre muoveva la mano per scacciare l’odore di bruciato. Il ragazzo si mise poi in contatto con  i tre, bloccati nel diario di Franz Hopper.

- C’è stato un problema con lo scanner. Dovrò trovare il modo di ripararlo. Per cui Aelita non potrà arrivare presto. Ora che ci siete, dirigetevi nell’albero vicino a voi. 

I tre seguirono il consiglio del ragazzo. Entrando nella quercia. Quello che trovarono fu sorprendente. Una copia esatta del mondo reale. Fermo, a giudicare da un giornale tenuto in mano da un signore poco lontano, a oltre dodici anni prima. 




Ecco quindi svelato il secondo motivo per cui sono stato “costretto” a scegliere Serena e Lucinda e perché Lilya non sarebbe stata adatta. Oltre al fatto che sarebbe stato difficile giustificare il motivo del suo arrivo (ok, forse la madre che per il suo bene decide di iscriverla al Kadic, ma non mi sarebbe piaciuta molto come scusa e non avrei avuto motivi per non farla stare con Odd che, a mio parere, se la sarebbe cavata dopo una chiacchierata a quattr’occhi con Iridio)  e no. Non la shipperei con Ash nemmeno sotto tortura. Inoltre sarebbe stato anche molto difficile giustificare come i suoi genitori fossero coinvolti nel progetto, se consideriamo che si tratta di fare da intermediario con dei terroristi. Paver? Troppo buono. Samina? Troppo giovane (si, ha più di quarant’anni, ma il Professore, senza tutto quello che era successo, avrebbe avuto quasi settant’anni). Samina all’inizio del progetto Lyoko avrebbe avuto poco più di vent’anni, e poi aggiungiamo anche il fatto che ha avuto due gravidanze, e quindi dobbiamo considerare il relativo congedo di maternità per entrambe. Se non posso sostituire Serena, allora perché non sostituire Lucinda? Primo motivo. Sarebbe stato difficile trovare una scusa per essere posseduta mentre si trovava lontana dalla famiglia. E ok, passa la notte da Ibis o Suiren, ma non mi sarebbe piaciuto molto. Il secondo motivo è che, conoscendo la sua famiglia, avrebbero smosso mari e monti pur di trovarla. E, in quel caso sarei stato costretto a fare delle cose non molto belle. O meglio a farle fare a Xana. E non serve che mi spieghi. 






   
 
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