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Autore: Tubo Belmont    10/04/2023    6 recensioni
[Chainsawman]
[Satanic Panic AU]
Coraggioso Cacciatore di Demoni.
Riuscirai a mantenere lo stesso tipo di coraggio, una volta che troverai il tuo percorso sbarrato da un Male così intendo da essere in grado di consumare la realtà stessa?
Genere: Dark, Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il cielo è blu.
L’acqua è bagnata.
Il fuoco è caldo.
E tra le più stupide ovvietà e certezze che esistevano al mondo, Hayakawa Aki ne aggiunse mentalmente un’altra, quando il suo sguardo si posò sull’orizzonte.
In quella Casa, dimora il Male.
Non tecnicamente.
Non filosoficamente.
Non si trattava nemmeno di una stupida metafora, come quelle che si dicono in giro per indicare un luogo dove sono avvenuti orribili fatti di cronaca nera o l’abitazione di un serial killer. Era un concetto puro e semplice, il fatto che quelle rovine di tegole precipitate, legno marcio e vernice scrostata fosse come la tana di un super predatore che trascendeva l’esistenza e l’alba della razza umana stesse.
Per quale motivo uno come lui, così tanto lontano da casa, si trovava lì?
All’inizio era rimasto perplesso: prendere un Jet privato dal Giappone fino in occidente, in quel luogo sperduto in mezzo al Mayne che nemmeno era segnato sulle mappe… solo per un Esorcismo fallito?
Poi, la Signorina Makima aveva aggiunto altre informazioni: trenta Sacerdoti, selezionati personalmente dal Papa in Vaticano, di cui adesso probabilmente lui stesso stava ripetendo i passi, svaniti senza lasciare traccia. In aggiunta, l’intero villaggio di pescatori nelle immediate vicinanze si era svuotato come la sala di un Cinema, alla fine di un film privo di scene extra. In aggiunta a ciò, isterie di massa; atti violenti totalmente ingiustificati e un’esemplare esplosione di aggressività, per quanto riguardava gli animali nei che abitavano le selve limitrofe.
Ed il fulcro era ciò che si trovava davanti ai suoi occhi azzurri ed alla sua espressione dura.
Espressione che, lentamente, stava cominciando ad incrinarsi.
Ciò che aveva davanti… faceva fatica a considerarlo un luogo realmente esistente, associandolo di più al quadro allucinato di un artista ad un passo dal suicidio: sopra ad una collinetta di erba secca e legni spezzati, s’ergeva una villa a tre piani dalle finestre sbarrate e dal tetto spiovente. Doveva essere l’orgoglio della famiglia che la abitava, un tempo, ne era certo. Ma adesso non era altro che una carogna di se stessa; un monumento oscuro e sinistro. Una piccola torre rialzata spuntava dal centro dell’abitazione, rivelando una grossa finestra ovale che, da fuori, doveva dare sulla soffitta.
Era l’unica finestra a non essere sbarrata.
Un sentiero di ciottoli e foglie secche partiva dall’uscio, serpeggiando in mezzo all’erba come una gigantesca anaconda, fino a passare tra il gigantesco gruppo di croci, sculture angeliche e immagini sante di qualsiasi religione, paese o etnia, fino a bloccarsi davanti ai mocassini del giapponese.
L’agglomerato avvolgeva il perimetro della casa come una specie di muraglia di amuleti, eretti per fare in modo che qualunque cosa si annidasse dietro quelle mura marcescenti non potesse proseguire ulteriormente. E vedendo che le prime file di effigi erano totalmente annerite e cadevano in pezzi… non era del tutto convinto che quella lieve protezione sarebbe durata ancora a lungo.
Il paravento a forma di drago, con le ali spalancate e la testa serpentiforme puntata verso l’alto, con le fauci spalancate, era rivolta al cielo terso, rosso come un drappo inzuppato nel sangue.
Aki si accese una sigaretta, portandosela alla bocca e buttando fuori un po’ di fumo.
“Sarà una nottata veramente lunga…” mormorò a bassa voce, infilandosi la mano destra in tasca.
“… non se qualunque cosa si trovi lì dentro ci ammazza prima.”
Aki chiuse gli occhi e sbuffò un altro po’ di fumo dalle labbra.
Quindi si girò verso il collega.
O meglio, l’unico altro pazzo disposto a farsi tutte quelle ore di viaggio dal Tempio per probabilmente morire tragicamente in un paese che nemmeno era il suo.
Con il solito abbigliamento in dotazione ad ogni singolo Sacerdote, costituito dalla spessa giacca nera con annessa camicia bianca e cravatta rossa – rigorosamente adornata dal ricamo di una croce dorata sulla punta – e pantaloni neri, al suo fianco stava in piedi un altro giovane ragazzo. Avevano entrambi la stesa età, ma agli occhi di un esterno poteva risultare almeno più giovane di cinque anni, soprattutto per la statura che superava di poco il petto del compagno. Lunghi capelli, rossi come una fragola matura, scendevano fino a metà della schiena, scompigliati e trasandati come se fossero passati sotto ad una turbina, ed incorniciavano un visino liscio e perfetto, che quasi risultava difficile da associare ad un ragazzo.
Alla cintura dei pantaloni, riposta in un fodero di pelle nera, riposava l’elsa dorata di una spada lunga, che quasi con la punta strisciava sull’erba.
“Anche se” il rosso voltò gli occhi del medesimo colore e l’espressione apatica verso Hayakawa, sbattendo lentamente le palpebre “Secondo me, prima di un Demone, sarà un cancro ai polmoni a farti fuori.”
Aki restò a guardarlo per un po’.
Poi buttò la sigaretta a terra e la spense con un pestone.
“Non dovresti scherzare su queste cose.”
“E chi scherza? Io mi preoccupo solo per te.” Ribadì, tornando a guardare il casolare.
L’altro invece si passò una mano in faccia, senza ribattere ulteriormente.
Tanto l’ultima parola non sarebbe mai stata la sua, a prescindere.
“… certo che…” la voce del rosso parve farsi più affranta “… che grandissima fregatura. Il Capo è davvero una stronza. Io volevo venire in America per mangiare gli Hamburger e vedere il Gran Canyon, non disinfestare una vecchia topaia!”
“Non siamo qua in vacanza, Angel.” Nel rispondere, Aki si passò una mano sui capelli bruni e, così facendo, sul leggero codino da samurai con la quale li teneva a bada. Quindi la mano arrivò dietro la schiena, dove incontrò l’elsa nera della katana.
“Dunque, se usciamo da lì prima dell’alba, ti prometto che ti porto a mangiare da qualche parte.” Estrasse l’arma. La lama luccicante fendette l’aria con un sibilo, creando un arco alla sua destra finché la punta dell’arma non sfiorò l’erba. Rapido, passò la mano sinistra sotto alla giacca, passandola sul calcio della pistola riposta nella fondina e… sul cofanetto di ferro.
Cofanetto di ferro allacciato alla cintola e che avrebbe preferito non dover aprire.
“Offro io.”
Angel guardò la schiena del collega, che aveva preso ad avviarsi senza di lui “Hai così tanta fretta di muovere quella ferraglia?”
“Mi sorprende tu non abbia ancora estratto la tua.”
“Makima mi ha dato in dotazione la spada più PESANTE che aveva! È faticoso tenerla per mano.” Poi aggrottò le sopracciglia “Inoltre, dubito troveremo locali aperti a notte fonda…”
“Sicuramente troveremo qualche fast food, da qualche parte.”
Angel sbatté le palpebre, incredulo “Tutti questi chilometri per-” sbuffò, chiuse gli occhi e alzò le mani al cielo, rassegnato “Proprio non ci sai fare con gli appuntamenti, tu…”
“Che?”
“Come?”
Non tornarono sul discorso.
Arrivati a metà del piccolo agglomerato di croci ed effigi, i due si accorsero del grave aumento di macchie nere e marcescenza.
La Malvagità che quel posto irradiava era quasi fisica.
Se Aki avesse sollevato una mano, era quasi convinto avrebbe potuto sfiorarne la superficie.
Superarono un paio di sculture angeliche dagli occhi anneriti e dalle ali corrose, quindi lo spadaccino si voltò verso il compagno, rompendo finalmente quel silenzio imbarazzante “Non mi hai ancora detto perché hai deciso di accompagnarmi. Non sei esattamente il tipo di persona che salta sul primo volo per una missione oltre Oceano.”
Angel chiuse gli occhi e si ficcò le mani in tasca, abbassando lievemente la testa “Volevo vedere l’America.”
“Hai sempre detto che il Mayne ti faceva schifo.”
Aki venne scrutato da un unico occhio scarlatto “Lo sai, ti preferivo quando non parlavi. Non ero costretto a inventarmi delle risposte, prima.”
“Risposte che sto ancora aspettando.”
Angel sospirò esasperato “Maledizione, Hayakawa” alzò le braccia al verso il cielo “Dannazione… lavoriamo assieme da un sacco di anni! Ti pare che ti lasciavo andare da solo in sto’ paese sperduto a farti ammazzare? Perché ci posso scommettere che quella psicopatica ci ha affibbiato una gatta da pelare grande quanto la Torre di Tokyo, questa volta. Siamo partner” lo superò, piantandosi davanti a lui e dandogli le spalle. Aki lo seguì con lo sguardo.
“Sei un disastro che si butta contro al pericolo a testa bassa come un imbecille.” Il rosso si voltò, intrecciando le dita dietro la schiena e piegandosi verso di lui “se non ci fossi io a tenerti a bada, saresti già tornato al Tempio in una bella confezione da quattro.”
E tornò ad avanzare con la sua andatura placida e delicata.
Aki sbatté le palpebre, cercando di processare il palese insulto misto a sincera preoccupazione del suo collega.
Chiuse gli occhi ed ebbe uno sbuffo di risa, scuotendo lievemente la testa.
Grazie per sopportarmi sempre…
Dopo una scultura della Vergine Maria ed una di Buddah decapitate, i due Sacerdoti superarono l’ultima ‘linea di difesa’ costituita da una muraglia composta da altissime croci di… quello che doveva essere marmo, ma che adesso era talmente nero da sembrare ossidiana.
Bastò poco.
I loro piedi uscirono dal cerchio di sacralità.
Lo fece il resto del corpo.
Angel si ritrasse, occhi sgranati e sudore freddo, una mano sulla bocca.
S’appoggiò con la schiena ad una delle croci per non cadere a terra.
Ma fu l’altro a subire di peggio, sentendo le budella che si contorcevano e la bile che correva lungo la sua gola mentre s’inginocchiava a terra, sudato marcio a sua volta e con gli occhi che parevano uscirgli dalle orbite, infilzando la katana davanti a sé per non rovinare a terra.
Passarono ad una velocità abnorme, davanti ai suoi occhi.
Ogni singola depravazione, atto impuro o più terrificante feticcio.
L’Idea stessa del Male.
Un Male troppo Antico e Perfetto per essere perpetrato dai miseri uomini.
Alzò gli occhi, respirando a fatica, verso quella casa nera che, a dirla tutta, osservata da davanti ricordava quasi la facciata frontale di una cattedrale di Messe Nere. Vide, come un’esplosione nucleare, un miasma di nuvole oscure ed urlanti che si sollevava dalle pareti scure, salendo verso l’alto.
La finestra ovale puntava verso di lui come l’occhio di un mostro incomprensibile.
Gli parve di scorgere un lieve movimento, dietro alla finestra.
“…ki…” le orecchie fischiavano e il respiro era l’unico suono che riusciva a comprendere chiaramente “… Aki…”
Qualcosa gli sfiorò la spalla.
“AKI!”
Un tocco delicato e fresco pervase le sue guance.
L’incubo finì, così come era iniziato.
Il respiro si fece pian piano regolare ed ogni singola terribile immagine, assieme a quella nuvola urlante, si dissolse nel nulla, sostituita dallo sguardo di Angel che, adesso, si trovava inginocchiato davanti a lui, a guardarlo con uno strano ardore in fondo agli occhi di rubino ed a tenergli le guance in ostaggio tra le mani lisce e gentili.
Quel contatto ebbe il potere di calmarlo quasi del tutto.
Al resto ci pensò la domanda “Sei con me, samurai?” utilizzando il nomignolo che aveva sempre pronto quando la situazione peggiorava drasticamente e doveva sdrammatizzare.
In un certo senso, Angel era sempre stato il più forte tra i due.
Lo dimostrava il suo essersi ripreso da quell’orribile irradiazione di oscurità.
Probabilmente non avrebbe mai trovato, a parole, il modo per spiegargli quanto fosse grato della sua presenza al suo fianco.
“S-sto bene. Scusami.” Il moro prese delicatamente le mani del collega, abbassandole. Quello le ritrasse quasi di scatto, distogliendo lo sguardo.
“L-la spada.” Mormorò con un filo di voce, arrossendo lievemente “ti è caduta…”
Aki non se lo fece ripetere due volte e afferrò l’elsa nera, per poi tirarsi su in piedi e spazzolarsi i pantaloni. Avrebbe voluto accendersi un’altra sigaretta, ma sapeva che se lo avesse fatto sarebbe stato sgridato.
“A quanto pare hai proprio ragione” disse, allungando la mano verso il compagno ancora in ginocchio davanti a lui “Se non ci fossi tu, sarei già crepato.”
Angel guardò la mano, poco convinto. Poi gonfiò la guancia destra e la prese “Io ho sempre ragione. Stupido…”
Lo aiutò ad alzarsi.
Poi, entrambi, voltarono lo sguardo verso quella vera e propria casa degli orrori.
Adesso più vicina che mai.
Miss Makima…
Aki si portò la parte piatta della spada sulla spalla
Questa volta vuole veramente farci fuori, dunque?
 
[…]
 
[https://www.youtube.com/watch?v=f717iNkYNLk]
 
L’interno, a parte risultare molto più grande rispetto a ciò che si poteva intuire da fuori, non era diverso da quello di una casa normale. O quantomeno, non era diverso da una casa che era stata abbandonata e dimenticata.
Passarono in mezzo all’atrio, sopra ad un tappeto polveroso e ricoperto di arabeschi. Nel calpestarlo, sollevarono qualche nuvoletta di polvere e sentirono un lieve e scrocchiante rumore sotto le suole. Ai loro lati, in mezzo a due mobiletti dalle quattro lunghe gambe a forma di zampa di leone, adornati da un piccolo vaso occupato da qualche fiore appassito, stavano quelle che dovevano essere le stanze principali della casa: un largo soggiorno buio e tenebroso, occupato da un paio di larghi divani avvolti da un lenzuolo bianco a destra, ed una sala da pranzo con un largo tavolo di legno al centro, coperto a sua volta.
Sembravano fantasmi, immobili ed imprigionati in una maledizione statica ed infinita.
Aki sfiorò qualcosa di duro con la punta della scarpa ed abbassò lo sguardo, fermandosi.
Ciò che vide gli strinse il cuore nel petto, costringendolo a mordersi il labbro inferiore con forza.
Sotto gli occhi di Angel, si chinò in avanti e prese in mano la cornice impolverata di una fotografia. Il vetro era spaccato in più punti, ma l’immagine della famiglia sorridente e felice per il diploma appena preso dalla figlia era nitida ed evidente.
Non importava dove andasse, o quale fosse il luogo che doveva esplorare per trovare il Male.
Ogni singolo posto raccontava una storia diversa.
Una storia che, indipendentemente che fosse triste o allegra, finiva sempre in tragedia.
Una storia che, con tutta probabilità, nemmeno si distanziava di troppo dalla sua.
 
Era inverno, nell’Hokkaido, in quel piccolissimo villaggio di periferia.
Aki e il suo fratellino Toiyo avevano passato tutto il pomeriggio a giocare assieme in mezzo alla neve, come non lo facevano da un sacco di tempo. Il più giovane degli Hayakawa, essendo molto cagionevole di salute, aveva sempre vissuto all’interno di quattro mura fredde e tristi e, benché l’amore della sua famiglia non fosse mai mancato, non era mai stato allegro di quella sua reclusione.
Poi, forse per un miracolo voluto dagli dei o per uno strano scherzo del destino, le cose avevano cominciato a migliorare, ed il piccolo Taiyo era finalmente guarito da ogni singolo male che avrebbe potuto affliggerlo.
E suo fratello era certo che, quella sera, fosse stato letteralmente il momento in cui più lo aveva visto in assoluto in forma.
Giocarono a palle di neve per tutto il tempo, ridendo e scherzando come non facevano da troppi anni.
E quando la madre li richiamò da dentro la casa, avvertendoli del fatto che avesse preparato la cioccolata calda, non ci misero molto a rientrare.
O almeno, Taiyo non lo fece.
Aki rimase fuori, a mettere a posto all’interno di una piccola baracca alcuni giocattoli.
 
“Le cose sarebbero state diverse… se fossi rientrato assieme a lui?”
“Sarei… riuscito a salvarti, fratellino?”
“E voi, mamma e papà?”
“Merito davvero di essere ancora vivo?”
 
Erano dubbi che affliggevano la sua mente, che lo avrebbero sempre fatto.
Ma la realtà era solo una: non avrebbe potuto fare nulla.
Perché quando il Male colpisce è come un proiettile in mezzo agli occhi: troppo violento, troppo veloce per essere fermato. E causa una morte rapida e certa.
Quando Aki era rientrato, sorridente, subito la gioia era stata sostituita dal più terribile e vomitevole sgomento, innanzi ad uno spettacolo che un bambino della sua età non avrebbe mai dovuto vedere.
I genitori fluttuavano a mezz’aria, con le ossa spezzate e gli arti piegati in modo così innaturale da farli assomigliare a bambole rotte. I loro volti erano coperti di sangue, a causa delle lacrime scarlatte e dal liquido scuro che usciva dai lati delle loro bocche, distorte in un innaturale sorriso. Le pupille erano rivolte verso un punto imprecisato del soffitto e la sclera bianca era deturpata da vene rosse.
Al centro di quell’orribile spettacolo, Taiyo era in piedi con il suo maglione di lana bianco e blu e la cuffia con le paffute corna da renna che spuntavano ai lati in testa.
Fu quando si voltò verso di lui che ogni singolo briciolo d’incredulità s’infranse come un bicchiere di cristallo che cade sul pavimento. Aki emise uno strillo e cadde sulle natiche, portandosi una mano davanti alla bocca e cominciando a piangere.
“T-Taiyo… c-che cosa…” la voce uscì come un lievissimo sussurro.
“Non sorridevano quasi mai, fratellone. Mamma e papà non sorridevano quasi mai. Sono rimasto così… deluso dal loro sorriso, quando me ne hanno finalmente regalato uno.” Il bambino si era voltato verso il fratello, rivelando gli occhi neri come due palle di catrame solidificato, la stella nera e sanguinante dalle cinque punte in mezzo alla fronte e il… terribile e mostruoso sorriso, che arrivava da orecchio ad orecchio, irto di denti affilati e aguzzi come quelli di uno squalo “Ma non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.”
Taiyo si voltò del tutto verso di lui, rivelando il maglione sporco di sangue come le mani.
Alzò le braccia e i cadaveri caddero a terra scompostamente con un rumore agghiacciante.
Aki urlò di terrore.
“Così, gliene ho dato uno io.” Sorrise, e lo stesso liquido nero cominciò a scendere dalle sue fauci.
Sono bellissimi. Non trovi?
La voce era la sua.
Ma Aki, in quel poco di stabilità mentale che ancora possedeva, era certo che quello non fosse suo fratello.
Qualunque cosa fosse, ora lo stava sbeffeggiando. Stava distorcendo l’immagine del suo migliore amico, con cui aveva condiviso momenti tristi, rabbiosi, allegri e commoventi.
Violentando i suoi ricordi e la sua mente.
Avrebbe voluto urlare di rabbia, ma era troppo spaventato ed impegnato a piangere per farlo.
Si rannicchiò su se stesso, piangendo ancora più violentemente.
“Ooooh… fratellone…” mosse dei passi verso di lui, con i Moon Boot ancora sporchi di neve che scricchiolava sul pavimento umido di sangue della casa.
“S-stammi lontano!” gridò Aki con le poche forze che rimanevano, strisciando a terra come un verme per mettere quanta più distanza che poteva tra lui e quell’orribile mostro.
“Non piangere… fratellone…” tese le braccia. Le unghie delle mani erano nere. Affilate come artigli “… adesso sistemerò anche te. Sorriderai anche tu come la mamma e il papà! Sarete assieme… per sempre…
“NO!” gridò l’altro bambino, in preda ad un panico sempre più crescente “Ti prego…”
Taiyo rise, divertito, poi parlò con una voce che non gli apparteneva. Profonda come un abisso, e che sembrava l’unione di più voci messe assieme “Piccolo maialino, non vedo l’ora di sentire come strilli mentre spacco tutte le tue ossa…”
Sentire quella voce provenire dalle labbra di suo fratello, probabilmente, fu la cosa che lo ruppe per davvero.
Soprattutto perché, innanzi a quello che successe dopo, non reagì in alcun modo particolare.
Si limitò ad osservare, impassibile ma con le lacrime che ancora gli rigavano le guance, mentre la fronte del bambino esplodeva di sangue nero.
“Cosa diavolo…” mormorò la creatura, mentre un altro scoppio esplose sulla sua spalla.
E poi se ne aggiunsero altri: uno sbarramento di proiettili colpì in più punti il corpo di suo fratello minore, mentre quello spalancava le fauci ed emetteva un ruggito dolorante da predatore ferito. Il suo corpo fu talmente tanto maciullato che, quando gli spari cessarono, nemmeno era più riconoscibile come umano.
Le sue gambe bucherellate e sanguinose si spezzarono.
Nell’impatto col suolo, si staccò anche il suo braccio destro.
Una larga pozza di sangue oscuro si propagò sotto il corpicino martoriato.
Aki sbatté le palpebre, senza nemmeno più comprendere se ciò che aveva davanti fosse reale oppure no.
E nel frattempo, una figura ammantata di nero lo superò, camminando sui tacchi a spillo dello stesso colore e facendo svolazzare la larga tunica da suora dietro la schiena longilinea. La figura si fermò a pochi centimetri dallo scempio che era diventato il piccolo Taiyo. Quello sollevò un volto deturpato verso di lei, con le cervella che colavano da un grosso buco a lato del cranio, le labbra scorticate dai fori di proiettile ed un occhio mancante.
“Lurida… puttana…” sibilò l’essere, sollevando debolmente il braccio con un dito penzolante verso la nuova arrivata “… come osi interrompere il mio… pasto…?”
La canna esageratamente lunga del revolver si appoggiò sulla fronte del bambino, esattamente dove c’era la stella nera. Il proprietario dell’arma fece fuoco e le cervella e il sangue volarono da tutte le parti.
Taiyo non si mosse più.
Ciò che rimaneva di lui, come per magia, si sgretolò nel nulla avvolto da fiamme nere come la pece.
“… mi dispiace. Se solo fossi arrivata qualche momento prima…” mormorò la pistolera, con voce placida ma carica di rammarico.
Aki, che non aveva per un attimo mosso lo sguardo da ciò che ne era stato di suo fratello, finalmente alzò la testa verso l’alto.
L’interlocutrice, in quell’abito da suora che metteva in risalto ogni singola e perfetta curva, rispose con un lieve e affettuoso sorriso: gli occhi gialli, brillanti come topazi, erano incastonati in un ovale perfetto e pallido, in mezzo ad una cascata di lunghi capelli rossi che partivano da un elegante cappello nero, a tesa larga, adornato da una fascetta bianca e liscia.
Aki la guardò dal basso, con le gambe contro al petto e il muco e le lacrime che continuavano a scendere.
Qualcosa lo inquietava, di quella nuova arrivata. Soprattutto quelle pupille così… strane, simili ad una spirale concentrica che si svolgeva fino al centro dell’iride brillante. Tuttavia, a differenza di ciò che aveva provato a fargli del male poco prima, sentiva che in lei non c’era la minima malizia.
La donna si avvicinò, cauta per non spaventarlo.
A pochi centimetri di distanza, piegò le ginocchia, poggiandovi sopra i polsi delle mani guantate di nero. Il largo crocifisso di legno pendette dal collo, legato ad una cordicella di spago.
“Ciao.” Disse dolcemente la donna, all’improvviso, allungando una mano verso di lui “Io mi chiamo Makima. Posso sapere qual è il tuo nome?”
E quel misero, semplice atto di gentilezza volto solo a cercare di tranquillizzare un bambino traumatizzato, fu troppo. Aki, in quel preciso istante, prese coscienza di ogni singola cosa che era appena accaduta. Ogni informazione colpì il suo povero cuore da bambino con immensa violenza e, senza più freni, scoppiò nuovamente a piangere disperato, buttandosi con le braccine al collo della perfetta sconosciuta che aveva appena sparato a suo fratello, stringendo con tutte le sue forze.
La donna posò la propria arma a terra e ricambiò l’abbraccio, poggiando il proprio mento sulla spalla del bambino e carezzandogli la schiena delicatamente.
“Non importa… me lo dirai dopo. Ora penserò solo a portarti via da qui.”
 
“Aki.”
Il Sacerdote si riscosse, scuotendo lentamente la testa, poi si voltò verso il collega che, adesso, lo stava guardando a metà tra l’impaziente e il preoccupato.
“S-scusami. Sto bene, davvero” tornò a guardare la foto, passandosi un dito sotto all’occhio destro “Mi ero perso a rimuginare…”
Poggiò la foto sul comodino più vicino, quasi per volerle dare una parvenza di normalità.
Poi si passò le dita sulle palpebre e sul naso.
Da quando Makima lo aveva preso con sé, era stata dura uscire dall’abisso in cui era precipitato. Nessun bambino ne esce sano, dopo aver visto ciò che aveva visto lui. E tuttavia, una forza di spirito che non era sicuro di avere dentro di se e la vicinanza di molti altri poveri orfani che avevano passato forse anche cose peggiori, lo avevano gradualmente cambiato.
Il suo mestiere era quello di annientare i Demoni che, una volta troppo radicati nell’animo dell’umano che decidevano di possedere, non sarebbero più potuti essere scacciati. Esattamente come ciò che si era preso suo fratello, quella notte. Un tempo, aveva deciso di diventare ciò che era adesso solo per la pura e semplice vendetta. Quello che era accaduto alla sua famiglia era imperdonabile, ed avrebbe annientato ogni singolo di quei maledettissimi mostri.
Dal primo all’ultimo.
Ma con il passare del tempo, la rabbia era andata scemando.
Lasciando spazio solo ad un infinito ed incessante vuoto, profondo, come l’irrazionale e inesatta consapevolezza che, in qualche modo, ciò che era accaduto fosse anche colpa sua.
E forse era proprio per questo che si trovava sempre in prima linea quando missioni terribilmente difficili, simili a quella che stava svolgendo al momento, finivano sulla bacheca. Il suo percorso di vendetta si era trasformato lentamente in uno di tossica redenzione e penitenza.
Perché lo sapeva, Aki Hayakawa, che se fosse morto contro uno di quelli non gliene sarebbe importato nulla. Perché sarebbe dovuto morire quella notte, a casa sua.
Al fianco della sua famiglia.
“… devo mandarti a fare in culo adesso o dopo?” aveva risposto Angel, aggrottando le sopracciglia.
Aki lo non riuscì nemmeno a voltarsi verso di lui, ridacchiando appena.
E nel mentre che mi deprimo, faccio stare in pensiero chi mi vuole bene. Sono davvero un disastro, come essere umano.
“… facciamo dopo. Pensiamo prima a liberare questa casa dal Male.”
“… va bene.” Angel sospirò rassegnato, voltandosi in avanti.
Lo spadaccino seguì lo sguardo del compagno, puntato sulla scalinata impolverata e dai gradini spezzati verso il basso. Ci volle poco per capire che il loro obbiettivo era, da qualche parte, ai piani superiori dell’edificio. Il miasma nero che fuori dalla casa aveva visto eruttare dalle pareti avvolgeva la ringhiera alta ai lati della scala, proseguendo verso l’alto in spire simili ai tentacoli di un mostro marino.
Se c’era una cosa che apprezzava dei Demoni particolarmente potenti, era quando loro stessi invitavano i loro sterminatori ad incontrarli.
Bastardi arroganti.
“Bene, almeno non sarà necessario cercarlo” disse il moro, passando assieme al compagno davanti ad un alto specchio dalla cornice dorata appeso al muro del corridoio principale.
Nessuno dei due si accorse che, le immagini dei loro riflessi sulla superficie di vetro, era stata sostituita da un’ombra nera e priva di forma.
“Credo ti convenga quantomeno tirare fuori la spada.”
Non si accorsero nemmeno dell’enorme agglomerato di braccia irte di dita umane, lunghe come serpenti aggrovigliati tra loro, che emersero dallo specchio come se quest’ultimo fosse stato una semplice pozzanghera d’acqua limpida.
“Forse abbiamo a che fare con uno dei Demoni più forti che abbiamo mai affrontato.”
Le braccia avvolsero il corpo del rosso che, per qualche strana ragione, non reagì minimamente, restando a guardare in avanti impassibile mentre veniva trascinato all’indietro di peso.
“Manteniamo i nervi all’erta.” Finalmente si voltò verso il compagno, che ancora non rispondeva “Angel?”
Non lo trovò al proprio fianco, ed inarcò un sopracciglio.
Voltò lo sguardo appena in tempo per vedere il corpo del collega immerso fino alla vita sulla superficie liquida dello specchio, tenuto per la nuca e per le spalle da quelle mani nere come la pece.
“… CAZZO!” Aki strinse i denti e afferrò la propria arma a due mani.
“Aki” lo sguardo estremamente e fastidiosamente passivo dell’altro ragazzo si puntò in quello preoccupato del compagno “penso che mi stiano catturando.”
“MA NON MI DIRE!?” lo spadaccino scattò verso lo specchio, i nervi a fior di pelle.
“FERMO LI’!” fece tuttavia l’altro, perentorio, riuscendo a liberare un braccio e puntandolo con un dito.
“… come dici?” Aki si fermò e abbassò la spada, incredulo.
“Non perdere tempo con me. Questo tizio che mi sta rapendo è solo un servitore del demonio che si trova in cima a questa casa. Deve essere lui il tuo obbiettivo principale!” affilò lo sguardo “Non fare quella faccia tutta preoccupata. So cavarmela anche da solo!”
Aki strinse i denti.
Sapeva che quell’altro aveva ragione… eppure non si sentiva del tutto sicuro a lasciarlo indietro senza nemmeno provare ad aiutarlo.
Angel però aveva ragione: il loro obbiettivo era da tutt’altra parte.
“Tu…” Aki arricciò il naso e digrignò i denti, mentre la testa del compagno svaniva dietro la pozza riflettente “… vedi di tornare indietro vivo, intesi!?”
Il braccio del rosso, unica parte del suo corpo ancora fuori dalla pozza, si tese all’improvviso.
La mano si chiuse a pugno, sollevando il pollice.
Quindi, anche quello scomparve.
“Razza di idiota…” scosse la testa, rabbioso “DAVVERO non si era accorto di quelle braccia?”
Ma adesso non doveva pensarci.
Si fidava di Angel: se diceva che se la sarebbe cavata da solo, lo avrebbe sicuramente fatto.
Per quanto riguardava lui, doveva proseguire.
Prese quelle scale avvolte dal miasma, cominciando a salire. Adesso con molte più ragioni di fare il culo a quel maledetto Demone rispetto a prima.
 
[…]
 
La prima cosa che Angel disse, dopo il capogiro che lo aveva assalito alla fine del suo rapimento e quando si era ritrovato in quella palese ‘altra dimensione’ fu “Grazie per avermici portato tu. Cercare di trovare questo posto da solo sarebbe stata una vera rottura.”
Il Sacerdote si trovava sopra ad una base di rovi neri, attorcigliati tra loro. Un quadrato che fluttuava in mezzo ad un nulla vorticante, rosso come il sangue, costellato da enormi macchie circolari, alcune più grandi altre più piccole che, ad una più acuta osservazione, parevano formare quasi dei volti bloccati in un’espressione di terrore. spuntando tra i rovi e fluttuando attorno alla piattaforma come strani droni, grossi specchi dalle forme più disparate riflettevano la sua immagine su di uno sfondo completamente bianco, come se l’ambiente circostante non esistesse per davvero.
E lì, proprio davanti a lui, vide il bastardo giocherellone che lo aveva separato da Aki: seduto sopra ad una montagna formata di pezzi di vetro riflettente più o meno grandi, stava una creatura vagamente umanoide, dalle lunghissime braccia e gambe terminanti in dita dai lunghi artigli affilati. Tutto il suo corpo era interamente ricoperto da una fitta pelliccia nera.
Quella che sembrava una versione più malsane e distorta di uno yeti, tuttavia, perdeva completamente la sua identità, non appena la testa entrava in contatto visivo: uno strano e deforme grumo rosso come il sangue, simile ad un grosso anemone, con una cinquantina di tentacoli danzanti simili a dita umane.
Al centro dell’anemone, un largo e disgustoso sorriso dalla dentatura umana marcia.
L’essere osservava lo spettacolo davanti a sé con sufficienza e con occhi inesistenti. Il ‘mento’ era appoggiato sulla mano destra, chiusa a pugno, il cui braccio era appoggiato tramite il gomito sul ginocchio. L’altra invece si trovava appoggiata sul fianco sinistro, a sua volta chiusa a pugno.
Angel chiuse gli occhi e sbuffò, cominciando ad avanzare svogliatamente, ponendo la mano sull’elsa d’oro della spada.
“Senti, non perdiamo troppo tempo: potresti lasciarti decapitare così poi me ne torno ad ammazzare il ‘vero’ Demone assieme al mio partner?”
Per tutta risposta, un bruciore lancinante esplose sul suo tallone.
Angel digrignò i denti e voltò di scatto lo sguardo verso dove aveva ricevuto l’offesa.
Lo spettacolo, dovette ammetterlo tra sé e sé, lo lasciò un po’ inquieto: una sua versione, dal corpo nudo più pallido e rachitico – poteva contare le costole sotto la pelle ad occhio nudo – e dai lunghi capelli non di un bel rosso fragola ma di un lieve rosa morente, stava uscendo da uno degli specchi che spuntavano dalla piattaforma di rovi. Quasi come se si fosse accorto del fatto che la sua controparte originale la stesse guardando, la coppia allontanò le fauci affilate dal piede del ragazzo, alzando la testa e rivelando un volto mortalmente terrificante, distorto da un sorriso allucinato sulle labbra viola; dal sangue incrostato sotto alle narici e dalle pesanti borse sotto due occhi che altro non erano che pozzi neri senza fondo.
Angel si allontanò, disgustato, guardandosi attorno concitatamente: notò come, da ogni specchio, quelle strane ed aberranti copie di sé stessero emergendo come morti viventi. Quelli che fuoriuscivano dagli specchi fluttuanti, precipitavano al suolo tutti anchilosati, per poi rialzarsi sulle gambe tremolanti come cadaveri in un film di zombie, muovendosi mogiamente verso di lui senza perdere quelle espressioni agghiaccianti.
Il sorriso del Demone peloso parve accentuarsi, di fronte allo smarrimento del Sacerdote.
Quando poi il numero delle creature raggiunse la trentina, quelle scattarono come belve inferocite verso Angel, spalancando le fauci e tendendo le braccia.
Quelle dita rachitiche e sporche non lo raggiunsero nemmeno. tuttavia.
Archi bianchi e lucenti brillarono intorno al corpo del rosso, mentre la sua immagine divenne sfocata come quella che si riflette su di una pozzanghera d’acqua mossa. Le copie-cadavere esplosero in sangue marcio e arti, cadendo a terra e bruciando in mezzo alle fiamme nere.
“Questi trucchetti del cazzo…” il ragazzo scrollò la spada lunga verso il basso, pulendola del sangue. Poi puntò la sua lama lucente verso il Demone “Esattamente, il tuo ‘Boss’ con chi ti ha detto di avere a che fare?”
Per tutta risposta, il mostro si limitò a sorridere.
E dal suo trono di frammenti di specchio cominciarono ad emergere come vermi di terra altri di quei disgustosi simulacri, passando gli uni sopra gli altri come formichine.
“Uhm… dunque è così che vuoi giocare?” Angel affilò lo sguardo, quindi si mise in guardia poggiando anche l’altra mano sull’elsa “Molto bene (CRISTO quanto è pesante questa spada). Allora prima mi occuperò di tutti i tuoi amichetti e poi ti sbudellerò in allegria.”
Concluse, mentre altri doppioni spuntavano dagli specchi, accerchiandolo mogiamente.  
 
[…]
 
Aki aveva cercato al piano superiore.
Ma, a parte due camere da letto estremamente spaziose e dai letti impolverati, non aveva trovato assolutamente nulla. Ma l’oscuro miasma, che come una musa malevola lo stava guidando, non si fermava solo a quel piano. Infatti, in fondo al corridoio di legno scricchiolante e dal lungo tappeto rosso impolverato, dopo le pareti adornate da quadri di natura morta realizzati dai colori più gelidi e morti che esistessero, c’era un’altra scalinata.
Le spire del miasma scivolavano sugli scalini, arrivando verso ad una porticina di legno socchiusa. Lo spadaccino inspirò a fondo, chiudendo gli occhi, poi si avviò.
La maniglia nera gli rimase in mano, quando fece per aprire la porta, trasformandosi in polverina scura.
Invitante…
Diede una spinta alla porta con un piede, per poi entrare circospetto, le sopracciglia aggrottate e la katana puntata in avanti, pronto per ricevere qualsiasi aggressore.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=NlQcKBUcgmA]
 
Non fu deluso da ciò che si trovò davanti.
I servi del Male non sono mai stati sobri.
E non lo sarebbero mai stati.
La finestra circolare che dava sul cielo pennellato di rosso, illuminava con un cono di luce vermiglia una stanza enorme e spaziosa. Era… troppo grande per trattarsi di una soffitta, ed il Sacerdote ebbe il chiaro sospetto che, in quel luogo, la realtà fosse completamente distorta a causa dell’influenza del Demone. A parte una quantità innumerevole di mobili impolverati e coperti da lenzuoli sporchi e stracciati, Aki notò anche un altro agghiacciante particolare: manichini.
Tipici manichini beige, senza lineamenti, braccia o gambe, infilzati dentro ad un piedistallo di legno. Alcuni fissavano il nulla, altri invece erano sotto quegli stessi asfissianti e polverosi sudari.
Ma non tutti i manichini coperti erano come gli altri: alcuni avevano una larga e scura macchia di scarlatto sotto di essi e parevano molto più larghi. Il lenzuolo era sporco di rosso a sua volta e, dove avrebbe dovuto esserci la testa, una mente sadica aveva ben pensato di tracciare un ghigno stilizzato con il sangue.
Ne contò una trentina, di quei ‘manichini’.
Dalle legnose e spesse travi del soffitto spiovente, pendevano invece trenta rosari, dalla dimensione, materia e grandezza differente.
La punta più bassa dei crocifissi gocciolava di scarlatto.
Non trovò quello che lo circondava particolarmente confortante, ma le sue attenzioni si rivolsero poi tutte al centro dell’enorme soffitta: seduta su di una sedia in legno, vi era un figura rachitica e cianotica. Le gambe pallide avevano la pelle attaccata alle ossa come macabri adesivi, e lo stesso lo si poteva dire delle braccia, appoggiate sui bracciali della sedia ed incatenate ad essa. Una semplice camicia da notte rosa copriva il corpo di quella ragazzina, pieno di macchie insanguinate e con gli orli gocciolanti.
O almeno, Aki pensava fosse una ragazzina, visto che il volto era celato da un sacco di plastica bianca.
I lineamenti premevano contro al materiale, ma era difficile capire che cosa ci fosse lì sotto.
Vista la quantità di sangue ai piedi della figura e alle condizioni in cui si trovava il corpo, non era difficile pensare che quella persona fosse morta.
Perciò il Sacerdote sussultò quando quella sollevò la testa di scatto, guardandosi attorno concitatamente “D-dove mi trovo?”
La debole voce da ragazza fugò ogni dubbio dalla mente di Aki, che sbatté le palpebre.
I nervi erano ancora a fior di pelle.
“M-mamma? P-papà?” la prigioniera cominciò ad agitarsi, tentando di liberarsi dalle catene che la tenevano costretta alla sedia. Accorgendosi però di quanto le sue azioni fossero inutili, smise di muoversi, prendendo a singhiozzare “… Q-questo è un incubo… c-cosa mi è successo…”
Il Sacerdote, mentre quell’altra piangeva, abbassò lentamente l’arma.
Quindi afferrò la pistola e scaricò tutto il caricatore sulla prigioniera.
Ogni singolo proiettile colpì la ragazzina in testa, riempiendo di buchi il nylon.
La vittima non urlò nemmeno, sussultando semplicemente ad ogni proiettile che le entrava in corpo.
Ed Aki continuò a sparare, con un’espressione impassibile, fino a quando il grilletto non premette a vuoto.
Il collo della ragazza si piegò in avanti e, assieme alla sua immobilità, nella soffitta tornò a regnare il silenzio, scandito dall’eco degli spari che andava scemando sempre di più.
Nessuna goccia di sangue fuoriuscì dal cadavere.
Il giapponese ebbe giusto il tempo di cambiare il caricatore.
“Voi… siete davvero una noia mortale.” Mormorò la ragazza. La paura e lo smarrimento nella sua voce totalmente scomparsi.
Aki aggrottò le sopracciglia, mentre la creatura davanti a lui sollevava di poco le braccia, spezzando le catene che la legavano alla sedia come fossero fatte di marzapane. Puntò dunque i piedi nudi per terra, sollevandosi eretta come se una forza invisibile l’avesse spinta da dietro la schiena, piegata di poco in avanti. I bossoli vuoti del caricatore caddero a terra tintinnando sul legno, e la sedia si sbriciolò sollevando una nuvola di polvere.
Il Sacerdote si rimise in guardia, come prima, attento ad ogni singolo movimento della sua interlocutrice.
Quella, come una scultura, non accennò nemmeno un respiro.
Poi il suo corpo venne scosso da un violento spasmo e, finalmente, sollevò la testa.
I fori di proiettile sul nylon erano scomparsi, rivelando solo tre grossi buchi: due, che si aprivano su occhi neri come la pece; uno, che si apriva su di un agghiacciante sorriso di denti affilati come pugnali.
“Pensavi davvero che un simile trucco avrebbe funzionato con me, Bestia?” mormorò Aki, puntando il Demone con la pistola e portandosi la katana davanti al petto, in verticale e con la lama rivolta verso il basso.
“La tua fama ti precede, Sacerdote. Volevo solo vedere come avrebbe reagito uno dei nostri più promettenti avversari innanzi a questo scherzetto.” L’essere si mosse, sempre in preda a violenti spasmi. Le ossa del corpo da ragazza parevano continuare a spezzarsi ed a ricomporsi, in una cacofonia disgustosa “sei molto lontano da casa, Hayakawa Aki. Tutta questa strada… solo per morire?”
Non era una sorpresa che un Demone tanto potente conoscesse il suo nome.
Ma non riuscì a mantenere il terribile brivido che gli corse lungo la schiena.
“Non sono qua per morire, ma per rimediare al fallimento del Vaticano.” Aki si umettò le labbra, mentre il sudore scendeva lungo la fronte “Niente di personale.”
Niente di personale… moccioso” il sorriso dell’essere si accentuò, mentre la voce di ragazza veniva sostituita da un tono profondo e cavernoso, che non poteva appartenere ad un essere umano “la storia che hai con la mia specie… è sempre stata personale. Non mentire a te stesso: posso leggerti come un libro aperto…” parlò ancora “… l’ho sempre fatto, fratellone.”
Sentendo la voce di suo fratello provenire da quella bocca, Aki sgranò gli occhi e strinse i denti.
Una rabbia cieca artigliò la sua anima, mentre sparò il prossimo colpo.
Il proiettile volò verso l’essere, che lo intercettò senza problemi. Snudò le fauci e lo bloccò tra i denti in un’esplosione di scintille.
Una risata gutturale fuoriuscì dal fondo della sua gola, mentre con una leggera pressione frantumava il proiettile. Il giapponese fece schioccare la lingua sul palato, infastidito.
“Sciocco arrogante… oggi hai morso molto più di ciò che puoi masticare” il Demone, tornato a parlare con la sua voce cavernosa, sollevò lentamente il braccio destro, puntando con un dito rachitico e artigliato di nero il suo avversario “la benedizione del tuo Signore è sopravvalutata. La tua abilità è sopravvalutata allo stesso modo. Questa casa di legno marcescente… sarà la tua tomba.” Rise “E poi, penserò al tuo amichetto…”
“Figlio di puttana…” sibilò avvelenato lo spadaccino, tra i denti.
I ‘manichini’ sorridenti vennero all’improvviso avvolti dalle fiamme. Il cielo, fuori dalla finestra, parve spegnersi come una lampadina, divenendo nero come la pece e buio come un abisso. I crocifissi si separarono dai grani di rosario e precipitarono dal soffitto.
Si conficcarono nel pavimento, capovolti, attorno alla figura del Demone dal volto coperto.
“Nella tua arroganza sei sempre stato convinto di conoscere il limite del Male, samurai” lo disse con tono di scherno e disgusto, ridendo “… ma oggi, ti presenterò un Male che non hai mai visto prima.”
La finestra ovale alle spalle della creatura si ruppe e le schegge di vetro volarono verso il ragazzo che, con una giravolta all’indietro e un rapidissimo movimento della mano destra, le distrusse sulla lama della katana. Sollevò lo sguardo, constatando che la finestra non fosse esplosa del tutto.
Formanva invece un gigantesco buco a forma di pentacolo rovesciato sul vetro rotto, da cui scendevano spessi rivoli di liquido nero simile a catrame, come se quella fosse stata la ferita sul corpo di una colossale creatura.
“Vieni a me, Aki Hayakawa” il sorriso si fece ancora più largo “mostrami la furia di un Sacerdote del Sol Levante!”
E il Demone scoppiò a ridere, con le fiamme che gettavano un’ombra agghiacciante e terribilmente deforme dietro al suo corpo.
Aki deglutì a vuoto, ma non si lasciò intimidire.
L’ultima cosa che voleva, era mostrarsi debole davanti ad una simile minaccia.
… questa serata lunga si è appena trasformata in una serata infinita…  

Mh... sì... l'edge scorre potente tra queste righe.
Devo ammetterlo... non riesco a prendere sul serio la parte finale di questo primo capitolo XD so che dicendo così, sembra che non mi piaccia la faccenda, ma in realtà è l'esatto opposto: porca miseria non avete IDEA di quanto io volessi scrivere una storia di questo tipo, in cui potermi completamente sbizzarrire con immagini sataniche, possessioni demonieche e TRAUMI DURI. Ok, detto così sembro un tizio che sacrifica capretti al Signore Oscuro, ma giuro che non è così!
Gli dei che venero ABORRISCONO i sacrifici di sangue! preferiscono il Burger King.
Ma dilagazioni a parte, devo ammettere che, per quanto metal ed edgy sia tutta la faccenda, sono contento di ciò che ho scritto. Come ho detto, è tipo da un sacco di tempo che volevo scrivere una storia con queste tematiche non esattamente religiose, e sono contento di averne trovata l'occasione! Perciò, ringrazio sia Anchestral e Scarlett per avermi ispirato talmente tanto con la Aki x Angel per permettermi di costruirci su questa storia. Che, devo ammetterlo, doveva avere un contesto diverso, ma poi ripensandoci ho detto 'COL CAZZO. Così è molto più figo!'
Quindi: Aki con un'infanzia ancora più traumatica e il suo scontro con Demoni che non sono solo dei mostri con una testa di pistola a caso. Spero di aver reso bene quanto queste creature siano... letteralmente Male fisico.
No, nessuna backstory triste o misunderstanding: sono Demoni infernali, che probabilmente in privato si toccano mentre vedono l'umanità soffrire.
L'unica cosa che mi dispiace è il non essere riuscito a scrivere tutto in un solo capitolo... MENDOZAAAAA ODIO il mio non-dono della sintesi. Certo, non sarà più lunga di due capitoli tutta faccenda, però uffi -.-
E dunque, come faccio sempre, vi ringrazio per essere passati alla mia PRIMA (magari neanche l'ultima) storia Shonen-ai che io abbia mai scritto, e vi lascio con un'immagine dei personaggi trattati, per chi non conosce l'opera originale!
Aki Hayakawa, und Angel, o Angel Devi. Anche se nella mia versione aureola e Ali da angelo non sono presenti. 
Per ora.
Grazie mille a tutti per essere passati! Al prossimo e ultimo (cazzo, me lo auguro) capitolo!
   
 
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