Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Lella73    13/04/2023    7 recensioni
Buongiorno e bentrovati a tutti! Torno a condividere con voi uno dei miei racconti, una mini-long in otto capitoli in cui partendo dall'episodio 20 (per me cruciale con quel brillante doppio duello dell'incipit, il ballo in alta uniforme e la partenza di Fersen) del nostro anime preferito, per offrire una via diversa ai Nostri. Ho immaginato eventi che possano offrire a Oscar e André un poco di leggerezza e gioventù, nonché opportunità e scelte alternative a quelle delle vicende note; ho cercato infine di costruire per loro un passato di ricordi vissuti assieme ed emozioni condivise.
Confido nella lettura attenta e sensibile con cui è stato seguito il racconto che ho già pubblicato qualche mese fa e ringrazio fin d'ora infinitamente per il tempo che mi vorrete concedere.
Ho scelto di far seguire l'intera storia da un "contesto musicale", affidando ai titoli di celebri canzoni il titolo di ogni capitolo. Spero proprio che lo spirito di ogni pezzo ricordato possa aiutare a comprendere lo spirito di ogni parte della storia.
Con molta emozione, non mi resta che augurarvi buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 - Una ragazza in due
Soffre di più chi ama senza essere riamato

André se n'era accorto molto prima di lei. Se n'era accorto dall'incedere nervoso, dal modo in cui impartiva bruscamente gli ordini ai soldati della guardia reale, dall'insofferenza che dimostrava nei confronti del tenente Girodelle… ma soprattutto se n'era accorto dai suoi silenzi, dallo sguardo privo di attenzione quando sembrava guardare oltre l'orizzonte e dal non cercarlo più per le sue confidenze: Oscar stava scoprendo che dentro di lei c'era un cuore di donna… e così come se n'era accorto ben prima di lei, si era anche subito reso conto che quel cuore di donna non stava battendo per lui.


Seduto sui gradini antistanti il sontuoso ingresso di palazzo Jarjayes, André guardava in silenzio Oscar e il conte di Fersen sfidarsi al fioretto. Osservava il conte rivolgendogli di tanto in tanto qualche sguardo furtivo: pensava che non esistesse in tutta la Francia un uomo più solo di lui. Veniva spesso a palazzo Jarjayes; si intratteneva con Oscar e con lui… chiacchieravano… bevevano… Arrivava sempre con le spalle curve e quando se ne andava sembrava sempre più solo di quando era arrivato. Non veniva mai avanzando richieste, ma solo in cerca di amicizia e compagnia sincera, tormentato da una malinconia tangibile nel sorriso mite e da una tristezza struggente che traspariva nei begli occhi grigi.

In realtà passavano assieme pomeriggi o serate piacevoli. Fersen era brillante, la sua conversazione era interessante e sapeva persino essere spiritoso, prestandosi volentieri alla risata e non rifiutando mai un bicchiere in più, fosse di vino o di liquore. In quei momenti di spensieratezza, in cui tutti e tre mettevano da parte i loro ruoli e le loro vite, per essere semplicemente giovani e liberi di essere tali, André vedeva Oscar trasformarsi lentamente: il sorriso si addolciva, lo sguardo acquistava un languore che non aveva mai conosciuto, il tono di voce si faceva morbido, abbandonando per un momento la consueta severità marziale.

 

Una stoccata rapida, un movimento agile e aggraziato quanto veloce e preciso e Oscar aveva concluso la sfida. Fersen sorrise, allargando le braccia in un gesto di disarmata rassegnazione, inchinandosi appena in segno di rispettoso omaggio. Sorridendo a sua volta e invitandolo a bere qualcosa nello studio, Oscar gli porse la mano, che lui avvolse in una presa vigorosa e cameratesca, accettando l'invito. André si alzò, seguendoli in silenzio.

Seduti davanti a un tavolino intarsiato, Oscar e Fersen presero i bicchieri di sherry che André aveva riempito per loro, mentre una cameriera serviva con gesti veloci piccoli piatti di fichi secchi e biscotti alle mandorle. Fersen assaporò con piacere: la cantina di palazzo Jarjayes riservava sempre piacevoli sorprese. "Non sono venuto per parlare di qualcosa in particolare Oscar," disse "ma solo per misurarmi con voi; era da tempo che non usavo la spada e devo dire che con voi c'è sempre da imparare.". Oscar abbassò lo sguardo, sorridendo lusingata. André notò un lieve rossore sotto l'ombra che le lunghe ciglia le disegnavano sulle guance. Fersen continuò: "André! La prossima volta vorrei misurarmi con voi! Dicono che siate molto abile, anche se il vostro stile lascia a desiderare!". André, in piedi accanto alla finestra, un bicchiere di sherry in mano, alzò le sopracciglia in un'espressione di ironico stupore: chi poteva avergli detto che era abile con la spada? Oscar? Gli parlava di lui? Quando? Finì col sorridere a sua volta: nessun altro oltre a Fersen gli dava o gli aveva mai dato del voi. Rispetto? Gentilezza? … o forse soltanto un'amicizia sincera a cui in realtà non era capace di non corrispondere: Fersen era un uomo buono, la gentilezza dei suoi modi non era che l'espressione esterna di una gentilezza d'animo che lo induceva ad essere naturalmente premuroso col prossimo. André gli rispose con garbo: "Certo! Mi batterò volentieri con voi!". Fersen terminò di bere lo sherry e contemplò per un momento il fondo vuoto del bicchiere di cristallo che teneva fra le mani, prima di appoggiarlo sul tavolino e alzarsi facendo leva sulle ginocchia con le mani. Oscar gli si rivolse con un sorriso premuroso: "Fersen perché non desinate con noi? Sarebbe un'ottima occasione per chiacchierare da buoni amici…". La dolcezza del tono, la morbidezza nel pronunciare ogni parola, l'espressione del viso intrisa di una tenerezza dal candore quasi infantile non passarono inosservate allo sguardo di André, che aggrottò appena le sopracciglia, non riuscendo a trattenere un dolore sottile che si insinuò dentro di lui. Strinse le labbra impercettibilmente, espirando, e terminò di bere quanto restava nel proprio bicchiere.

Fersen sembrò valutare l'invito, ma poi rifiutò: "No, grazie. Oggi no madamigella Oscar…". Si era fermato tante volte… oggi no… Oscar nascose la propria delusione… Perché oggi no? Suo malgrado si trovò a pensare furtivamente a sua maestà la regina: oggi no… che lei lo aspettasse? Che avessero un appuntamento segreto? Come passavano il loro tempo assieme? Pensò alle serate passate chiacchierando fino a notte inoltrata in compagnia di buon vino e giochi di carte. Con Maria Antonietta di certo Fersen non si intratteneva in giochi di carte… lo immaginò stringerla e baciarla. Come doveva essere lasciarsi stringere e baciare da Fersen? Una sensazione di vuoto la colse alla bocca dello stomaco; sentì le labbra inaridirsi. Chiuse gli occhi solo un istante. Perché il cuore faceva così male?

Ormai il conte si era avviato verso il grande salone di ingresso di palazzo Jarjayes e Oscar lo seguiva in silenzio, guardandolo scambiare battute con André, che appena usciti recuperò il cavallo per lui.

Oscar salutò Fersen, poi rimase immobile a guardarlo allontanarsi: le spalle curve, la testa china. Avrebbe voluto seguirlo. André la osservava; un pensiero prese forma dentro di lui: "Ti sei innamorata, Oscar.". Guardò i suoi occhi azzurri farsi languidi seguendo il conte mentre si allontanava mesto. Gli sarebbe piaciuto avere qualche motivo per odiarlo, ma la verità era che al contrario sentiva per lui una grande pena. "Io credo che Fersen non se ne renda conto, ma a Parigi e forse in tutta la Francia parlano di lui." disse "Sta diventando un personaggio molto impopolare… corrono voci… dicono che la regina Maria Antonietta si sia innamorata del bellissimo Conte svedese e che si incontrino furtivamente nei luoghi più impensati…". Oscar si volse, un'espressione irritata sul volto. Certo che si incontravano! Si incontravano ovunque! Lo sapevano tutti! Lo sapeva anche lei… Lo sapeva e suo malgrado si ritrovava a pensarvi più spesso di quanto accettasse di ammettere con se stessa. André sorrise, Oscar corrugò la fronte: perché aveva sempre l'impressione che André leggesse dentro di lei? Che non riuscisse a nascondergli nulla? Le sembrò per un attimo che lo sguardo di André potesse leggere con imbarazzante chiarezza  i suoi pensieri, ma poi lui continuò: "A lungo andare tutto ciò può diventare molto pericoloso…". La sua espressione si fece seria, il tono quasi doloroso: "Comunque oggi ho notato uno strano sguardo negli occhi di Fersen… sembra che questo grande amore gli dia più sofferenza che gioia…". Oscar non sopportò di ascoltare altro e si incamminò verso l'imponente ingresso; André la seguì.

Tornarono nel salottino dove ancora le cameriere non avevano sparecchiato piatti e bicchieri. Oscar afferrò nervosamente un biscotto e raggiunse la finestra. André si sedette, la guardò; dandogli le spalle Oscar staccava distrattamente una scaglia di mandorla dal biscotto senza mangiarlo. André abbassò la testa. "Ecco…" mormorò "... io ho l'impressione che Fersen si senta in colpa per quello che sta accadendo…". Oscar non rispose. "Doveva soffocare l'amore…" aggiunse André piano. Deglutì; era ancora di Fersen che stava parlando ora? O stava parlando di sè? Sarebbe mai veramente riuscito a soffocare l'amore che provava per Oscar? Avrebbe veramente mai voluto soffocarlo? "C'è gente che ama una persona tutta la vita, senza che questa persona lo sappia…" sussurrò malinconico. Tornò a guardare Oscar, immobile in piedi davanti alla finestra; sembrava non ascoltarlo, assorta nei propri pensieri.

 

Oscar respirava nervosa, il biscotto ormai in briciole fra le dita, lo sguardo sfuggente a scrutare il paesaggio fuori dalla finestra... "C'è gente che ama una persona tutta la vita, senza che questa persona lo sappia…". Perché André doveva sempre puntualizzare ogni cosa? Perché non poteva lasciarla stare? Sentì una stizza pungente crescere inesorabile. Perché finiva sempre col riconoscersi tanto trasparente davanti a lui? … ma veramente la infastidiva che André vedesse con tanta chiarezza dentro di lei? … o la spaventava ammettere di provare per la prima volta qualcosa che non conosceva e non sapeva definire? Si girò repentinamente. Pensava di trovare sul volto di André un'espressione di compiaciuta certezza… invece riconobbe nei suoi occhi una malinconica rassegnazione che la fece sentire più esposta che mai. Immediatamente si trincerò dietro al suo carattere ruvido. "Prendi la tua spada André!" esclamò con tono perentorio "Voglio battermi ancora!". André la fissò e non potè fare a meno di sentire un'immensa tenerezza per lei: pensava davvero che sfinendosi di stanchezza e rabbia spada alla mano avrebbe potuto sfuggire a ciò che le faceva sentire il cuore pesante? Le sorrise prima di seguirla nel parco, dove ormai le ombre iniziavano ad allungarsi e la luce prendeva il colore dorato del tramonto. Sferrò due o tre colpi a vuoto e la guardò: le braccia alzate, la spada levata, i capelli indomiti,  la furia negli occhi… Pensò che non avrebbe potuto amarla mai più di così.

"André!" gridò Oscar "Farò sul serio questa volta!". In realtà stava minacciando se stessa. "Come vuoi Oscar…" le rispose André. Sorrise amaro: lui faceva sempre sul serio con lei… Desiderò che lei potesse guardarlo come guardava il conte di Fersen… desiderò prepotentemente che quel cuore di donna potesse battere per lui e lui soltanto.

Oscar attaccò fulminea. André si difese indietreggiando, ma poi attaccò a sua volta, deciso a non lasciarle alcun vantaggio. L'elsa stretta forte nella mano, la affrontò con un sentimento crescente di rabbia e determinazione, cercando di nascondere a se stesso una gelosia che non riusciva ad arginare. "Oscar dimenticalo! Dimentica il conte di Fersen!" pensò "Voglio che tu non pensi più a lui!". Sferrò un colpo violento. "Voglio che pensi a me! Voglio che guardi me!" il pensiero si insinuò in lui, inarrestabile. Avrebbe voluto urlarglielo, mentre le spade si incrociavano e il volto di lei si avvicinava; i lineamenti sembravano esaltati nella concentrazione: gli occhi luminosi quasi febbricitanti, l'azzurro incupito dalla passione nella sfida, le sopracciglia aggrottate, le labbra strette  e un rossore che André non riuscì a non trovare terribilmente sensuale sulla pelle accaldata.

Una voce accorata li distolse dal loro confronto: "Madamigella Oscar! Madamigella Oscar! La signora governante chiede di voi!". Rosalie correva per raggiungerla. André osservò Oscar: un'espressione di dolcezza comparve sul suo viso alla vista della giovane. Entrambi abbassarono subito le armi. Senza parlarsi si avviarono verso l'ingresso delle cucine.

 

La penombra li avvolse fresca. André recuperò immediatamente una bottiglia di sidro versandone due bicchieri, che bevve tutto d'un fiato uno dopo l'altro, lasciando che una goccia di liquido dorato gli corresse lungo il mento. Sua nonna lo apostrofò immediatamente: "Sei un villano! Perché non hai servito madamigella Oscar prima?!". Lui non rispose, ma si sedette al tavolo continuando a guardare Oscar. "Dov'è il conte?" le chiese l'anziana con voce severa. "Se n'è andato." rispose Oscar con tono incolore. "E perché non l'hai invitato a restare per cena?!" la incalzò. Oscar non rispose. Si sedette e prendendo il bicchiere di mano ad André lo riempì, bevendo avidamente.  "Ma che razza di modi sono?!? Lasciar andare via il conte a quest'ora senza invitarlo a cena…" la rimproverò la governante, aspra. André fissò Oscar: non aveva voluto rispondere che l'aveva invitato, il conte, ma che lui non aveva accettato; decise di tacere, sorridendo impercettibilmente, mentre sua nonna continuava a lamentarsi delle loro cattive maniere: "Razza di villani! Tutti e due! Muli con finimenti da cavalli… ma pur sempre muli!!". Rosalie aveva assistito mortificata a tutta la scena; l'anziana la prese per un braccio trascinandola con sè. "Non li guardare nemmeno!" le disse "Non vorrai diventare sfacciata come loro?!?".

Oscar alzò gli occhi dal bicchiere. André la stava ancora guardando, l'ombra di un sorriso divertito sul suo volto. Incrociando gli occhi verdi, Oscar si ritrovò a sorridere a sua volta. Si guardarono in silenzio per un attimo, poi non poterono trattenere una risata. "Villani!" sentirono la nonna di André urlare loro dal tinello.

 

Oscar era seduta alla scrivania del suo ufficio di comandante delle guardie reali; André, in piedi a pochi passi da lei, le braccia conserte, era appoggiato alla parete e la guardava silenzioso compilare documenti e verbali. Sapeva che era irritata, che i molti commenti ascoltati durante la passeggiata della regina nei sontuosi giardini della reggia l'avevano disturbata, che le riusciva difficile dissimulare un sentimento di disagio e che avrebbe voluto poter dire a Fersen di essere più discreto, non comprendendo che un sentimento così forte e intenso come quello che il conte provava per sua maestà, era impossibile da nascondere e arginare.

Con un sommesso bussare il tenente Girodelle annunciò la propria presenza prima di entrare. "Madamigella Oscar!" esordì pomposo "Sua maestà la regina vi attende nei suoi appartamenti.". Oscar lo ringraziò con distacco. Sperò se ne andasse, invece l'aspettò, con l'evidente intenzione di accompagnarla. Si sedette davanti a lei, i lunghi capelli incipriati e pettinati alla perfezione, un paio di guanti bianchi fra le mani curate e un ricco pizzo che fuoriusciva dai polsini ben inamidati della divisa.

Oscar terminò di sistemare alcuni documenti e li sistemò in faldoni ordinati, quindi fece per uscire. "André," disse "prepara i cavalli e aspettami.". Girodelle guardò furtivamente Oscar prima di rivolgere ad André uno sguardo di vago disprezzo, che lui sostenne senza abbassare il proprio. Girodelle si affrettò ad accompagnare Oscar, che già si era incamminata lungo il corridoio. André serrò la mascella e li seguì con lo sguardo; non gli piaceva Girodelle. Non gli piacevano i suoi modi sempre supponenti, il suo trattarlo con sprezzante sufficienza e soprattutto non gli piacevano i commenti poco lusinghieri e le velate critiche che muoveva contro Oscar quando pensava che lei non sentisse o non lo stesse ascoltando. André trovava che Girodelle mantenesse nei confronti di Oscar una sorta di falso ossequio che lui mal tollerava. Fingeva perciò spesso indifferenza e si allontanava, per evitare che il tenente si lanciasse in apprezzamenti talvolta  addirittura decisamente poco delicati (quando non fuori luogo), cercando in lui una complicità maschile che André non aveva nessuna intenzione di concedergli.

 

Oscar procedeva in silenzio e a passo deciso verso gli appartamenti privati di Maria Antonietta. Girodelle le marciava accanto cercando un qualsiasi spunto di conversazione: "Stasera il conte di Fersen dovrà improvvisarsi diplomatico, se vorrà incontrare la regina durante il ricevimento in onore della delegazione dei notabili di Prussia…" disse con una certa baldanza. Oscar gli rivolse uno sguardo tagliente. "Tenente!" lo ammonì con durezza "ricordate sempre chi servite!". Una risata di scherno morì sulle labbra di Girodelle. Oscar continuò: "Sapete che non tollero pettegolezzi! Se proprio non potete astenervi dal farne, cercate almeno di tacere in mia presenza.".

Raggiunto l'ingresso degli appartamenti di Maria Antonietta Girodelle fece per entrare con Oscar, ma lei lo fermò: "Non mi era sembrato di capire che foste stato convocato anche voi…" il tono fermo, l'espressione impassibile. Girodelle indietreggiò, abbassando lo sguardo, piccato: era vero, non era stato affatto convocato… Lasciò entrare il proprio comandante indugiando qualche istante prima di andarsene, girando indietro il capo un paio di volte mentre camminava  mesto lungo il corridoio. Era infastidito. Ripensò a un attimo prima: "Prepara i cavalli e aspettami." aveva detto Madamigella Oscar al suo attendente… "Aspettami."... per andare dove? … per fare cosa? Dove andavano quando lasciavano Versailles senza mai voltarsi indietro? Cosa facevano? Rientravano veramente a palazzo Jarjayes? E se veramente rientravano a palazzo Jarjayes, cosa facevano là? Trascorrevano insieme le loro serate? E cosa si dicevano quando li guardava allontanarsi parlottando a mezza voce, le cavalcature vicine? Madamigella Oscar sorrideva parlando con lui. Rideva addirittura! Ridevano di lui? Era sicuro che il servitore di Madamigella Oscar avesse dell'animosità nei suoi confronti… che facesse commenti irriguardosi sulla sua persona? Quando lo avvicinava per commentare gli atteggiamenti del giovane colonnello Jarjayes si allontanava e lo evitava. Dopotutto il comandante era una donna santo cielo! Se un uomo non poteva più nemmeno criticare una donna dove sarebbero andati a finire?

 

André accarezzava piano il muso di César, lisciando con le dita della mano destra il pelo fra i grandi occhi acquosi e sussurrandogli parole brevi, sempre le stesse, con tono tranquillo e rassicurante, mentre con l'altra mano tratteneva le redini di Alexandre, mansueto accanto a lui. Vide Oscar sopraggiungere: lo sguardo basso e cupo, il passo nervoso, l'espressione seria… non doveva esserle piaciuto quanto sua maestà aveva avuto da dirle. Quando lei lo raggiunse le offrì le briglie di César,  lei le prese e indugiò un istante, trattenendole fra le dita. "Allora Oscar," le chiese pacato "dimmi, che cosa voleva da te la nostra regina?". La guardò mentre restava in silenzio e distoglieva lo sguardo; la regina doveva averle parlato di Fersen. Gli parve quasi di toccare la delusione negli occhi di lei, di sentire quel malessere indefinibile in fondo al suo cuore, di avvertire quella ferita sottile sanguinare nel suo animo… Provò un'immensa tenerezza per lei. "Ti aspetto a casa." le disse "All'orizzonte il cielo è minaccioso, attenta a non farti sorprendere dalla pioggia.". Oscar si volse, nascondendo il viso mentre saliva a cavallo: non riusciva mai a celare niente ad André, non voleva che leggesse sul suo volto l'impazienza e la delusione. Spronó César partendo al galoppo; André la guardò allontanarsi, prima di montare a cavallo a sua volta ed avviarsi verso palazzo Jarjayes.

 

André aveva ragione: entro breve sarebbe venuto a piovere. Oscar guardava le nubi grigie e pesanti avanzare veloci nel cielo, coprendo il rossore intenso del tramonto. Seduta sull'erba, le ginocchia piegate, i gomiti appoggiati su di esse e la testa incassata fra le spalle, pensava che avrebbe dovuto sbrigarsi: non sarebbe stato piacevole cavalcare sotto la pioggia… non le piaceva la sensazione dei capelli bagnati sulla schiena: diventavano pesanti e freddi… e allora perché non si alzava? Perché non si affrettava? La verità era che non ci riusciva: ripensava a sua maestà che con il viso coperto dalle mani la pregava di portare in gran segreto un suo messaggio al conte di Fersen. Oscar avrebbe voluto che i suoi pensieri fossero di rammarico per il fatto che la regina di Francia si stava comportando come una donna qualsiasi, dimenticandosi che il grande amore di una sovrana dovrebbe essere solo il proprio popolo, invece si trovava a fare i conti con un dolore sottile che non l'abbandonava e le faceva pungere gli occhi, salendo inesorabile da qualche parte dentro di lei. Cercò di ridere di sè ma non le riuscì; una lacrima le percorse il viso suo malgrado. Ripensò alle lacrime di Maria Antonietta e se ne sentì in qualche modo provocata: perché sua maestà si era gettata in una relazione senza futuro né senso? Perché non poteva comportarsi con la dignità che il suo ruolo richiedeva? E soprattutto, perché aveva dovuto proprio far mostra del suo dolore dinnanzi a lei? E perché si sentiva in diritto di soffrire? Non era corrisposta dopo tutto? "... soffre di più chi ama senza essere riamato…" mormorò a se stessa, con un misto di frustrazione e tristezza che non riuscì a soffocare. Perché le faceva tanto male la consapevolezza dell'amore tra Fersen e la regina?

Un tuono annunciò che il temporale era vicino. Si alzò, montando César in fretta e avviandosi al galoppo.

 

Il conte di Fersen accorse alla porta sorpreso. Una pioggia insistente cadeva già da almeno mezz'ora quando il maggiordomo gli aveva annunciato la visita di una persona che si era rifiutata di entrare e che lo attendeva a cavallo davanti all'ingresso. Quando riconobbe Madamigella Oscar rimase turbato dall'espressione malinconica sul suo viso. "Voi qui!" le aveva detto, sperando di convincerla a scendere e ad accettare la sua ospitalità, ma lei non aveva nemmeno risposto ai suoi ripetuti inviti.

Quando Fersen era comparso sulla porta, Oscar era rimasta a guardarlo per un tempo indefinito, incapace di proferire parola, come in ostaggio fra l'imbarazzo che le provocava dover riferire il messaggio della regina e il disagio di dover ammettere con se stessa che  il riferire tale messaggio le provocava un turbamento… un turbamento terribilmente profondo…. Poi strinse le labbra ed espirò, quindi le parole le uscirono tutte in una volta, con la stessa precisione di un allievo intento a ripetere al precettore un brano a memoria.

"... e alla fine ha aggiunto: rimandiamo ogni cosa al ballo della prossima settimana.". Fece una pausa, poi: "È tutto". Fersen non sembrava affatto in imbarazzo ascoltandola; si rivolse a lei con gentilezza: "Vi ringrazio di cuore,  Madamigella.". Oscar annuì e accorciò immediatamente le briglie di César, pronta a partire velocemente. Fersen cercò di trattenerla: "Aspettate!" le disse "Dove andate con questa pioggia?!?", ma lei aveva già spronato il cavallo, partendo al galoppo con la testa bassa.

Fermo sulla porta, Fersen sospirò. Madamigella Oscar era un'amicizia difficile: sempre leale e tanto onesta da costringere lui stesso a porsi quella sua onestà come termine assoluto di paragone in ogni cosa. Oscar era capace di un'accoglienza calorosa e aveva una naturale dolcezza d'animo che faceva sentire chi le stava attorno protetto, eppure manteneva sempre quel distacco e quella ruvidezza che, pensò il conte, lo rendevano incapace di restituirle quello che da lei riceveva quanto ad appoggio e comprensione. Mentre la guardava allontanarsi sotto la pioggia, il capo chino sul collo del cavallo, si rese conto che la molta confidenza che riversava in lei non era in realtà corrisposta: era sempre lui a cercare la compagnia di Oscar. La sua e di André.

Madamigella Oscar gli offriva sempre ospitalità senza fare domande e lo ascoltava quando aveva bisogno di confronto e conforto… o forse solo di ascolto… André rimaneva sempre con loro, ascoltando in silenzio, senza mai permettersi un commento… eppure, le volte in cui aveva incrociato il suo sguardo, vi aveva sempre trovato un'infinita comprensione. Né lui né tanto meno Madamigella Oscar si erano mai permessi di fargli confidenze, eppure avevano sempre accolto le sue e lo avevano fatto senza mai  muovergli critiche e offrendogli piuttosto sincerità e momenti di spensieratezza. Si ritirò e guardando il maggiordomo chiudere il portone ripensò alle molte serate passate a palazzo Jarjayes: in compagnia di Oscar e André non aveva mai avuto bisogno di fingere. Con loro era sempre stato semplicemente se stesso; erano probabilmente gli amici più cari che avesse.  Sperò che spiovesse: era dispiaciuto al pensiero di Madamigella Oscar che cavalcava sotto la pioggia. Ripensò a quando tanto tempo prima Oscar si era presentata presso di lui per intimargli di andarsene. Le aveva chiesto se si fosse mai sentita sola dentro quell'uniforme… ripensandola galoppare via a testa bassa se lo chiese nuovamente.

 

La sera era già inoltrata. André guardava preoccupato dalla finestra la pioggia scendere copiosa. Pensava a Oscar: non si lamentava mai, ma sapeva che non amava cavalcare sotto la pioggia. Si coprì con il mantello e ne prese un altro con sè, prima di raggiungere le scuderie e avviarsi verso Parigi con un recalcitrante Alexandre, non contento di dover uscire sotto una pioggia battente.

Cavalcando con la testa bassa André pensava a Oscar; voleva che lei lo vedesse… che il suo cuore di donna battesse per lui… Sapeva di poter contare sul suo affetto profondo e sincero, ma questo non era più abbastanza. Del resto, non lo era mai stato… 

La scorse da lontano; era sicuro di non sbagliare cercandola sulla via di Parigi. Avvicinandosi le apparve in tutta la sua fragilità: curva sul collo del cavallo, sembrava più esile che mai… la chiamò a voce alta; la vide alzare il viso e andandole incontro le sorrise. Quando la raggiunse le offrì il mantello cingendole le spalle. Per un attimo i loro volti furono vicini e nell'azzurro di quegli occhi tristi André vide improvvisamente comparire una sfumatura di tenerezza… e, guardando il sorriso che si era aperto sul viso di Oscar, seppe che quella tenerezza  era per lui… e lui soltanto.

 

Galoppando sotto la pioggia Oscar si sentiva dolorosamente  sola, incapace di riconoscere le emozioni contrastanti che l'avevano investita. La pioggia le aveva bagnato la giubba e i capelli, appesantiti dall'acqua, la facevano sentire intirizzita; gocce fredde le scorrevano lungo il collo, facendola rabbrividire. Con la testa china sul collo di César e la fronte che ne sfiorava la criniera ispida, improvvisamente si sentì chiamare da lontano a voce alta. Alzò lo sguardo per riconoscere André che le veniva incontro. Lo vide sorriderle mentre la raggiungeva,  cingendole le spalle e avvolgendola in un mantello. Oscar levò lo sguardo sul suo viso  e non poté che sorridergli a sua volta: non era più sola.

 

Raggiunto palazzo Jarjayes André le aveva detto di rientrare velocemente: avrebbe pensato lui ai cavalli… ma Oscar aveva preferito aspettarlo e ora sedeva su un secchio rovesciato fra la paglia delle scuderie e  guardava André muoversi rapido e sussurrare parole a César e ad Alexandre. La marsina bagnata era pesante e fredda; si alzò per toglierla e appoggiarla a una delle traverse che delimitavano gli spazi per le bestie. Alcuni cani della tenuta la guardarono; uno si alzò e le si avvicinò uggiolando. Oscar si sporse per accarezzarlo dietro l'orecchio, quindi tornò a sedersi. "André!" lo chiamò a mezza voce "Cosa dici ai cavalli?". Lui si volse e la guardò, pallida e bellissima, appena illuminata dalla fiammella della lanterna poco distante. Le sorrise, poi piegò un attimo la testa di lato e alzò le spalle in un gesto noncurante: "Sempre le solite cose…" le rispose. Oscar corrugò le sopracciglia: le solite cose? E quali erano le solite cose? Rimase in silenzio. Forse era anche lei come i cavalli: forse anche lei ogni tanto aveva bisogno delle solite cose…

André terminò di sistemare e asciugare César e Alexandre; guardò Oscar. "Hai fame?" le chiese. Oscar annuì e si alzò. André prese i mantelli bagnati e guardò fuori: "Dovremo correre… piove ancora a dirotto…". Oscar fece spallucce e recuperó l'uniforme avvicinandosi alla larga porta di legno. Guardò André. "Pronto?" gli chiese sorridendo. Non aspettó la risposta. Partirono entrambi correndo a più non posso. Oscar ricordò le corse fatte da bambini: si tenevano per mano correndo finché non restavano senza fiato e tante volte finivano col rotolare a terra. Si volse solo un istante: l'espressione concentrata, André correva veloce… forse le sarebbe piaciuto poter ancora allungare una mano… Invece una mano la allungò André: avevano raggiunto la porta sul retro delle cucine di palazzo Jarjayes e lui l'aveva aperta, trascinando Oscar dentro con sè, tenendola saldamente.

 

L'ambiente era caldo e accogliente; una piccola lampada a olio spargeva una timida luce dorata. Appesero i mantelli gocciolanti al chiodo accanto all'ingresso. Residui di brace finivano pigramente di bruciare nel grande camino riempiendo l'aria di odore di fuoco e cenere. "Dammi l'uniforme!" disse André. Oscar gliela porse e lui l'appese a una sedia che sistemò davanti al camino, buttando fra la brace legna nuova per ravvivare la fiamma. Si tolse a sua volta la giacca e la appese."Vuoi darmi gli stivali?". Oscar indugiò; aveva i piedi bagnati e intirizziti, ma "No," gli rispose invece "non occorre…". André recuperó due pezze pulite da una cassapanca e ne lanciò una a Oscar. In silenzio iniziarono entrambi a strofinarsi testa e capelli, tamponando energicamente la lunghezza e asciugandosi il collo.

Oscar prese due bicchieri e cercò del vino, scegliendo fra le bottiglie già aperte nella madia, mentre André armeggiava con un coltello con cui tagliò qualche fetta di lardo, che mise a rosolare in una padella, per farcire due generosi pezzi di focaccia recuperati in dispensa assieme a qualche tocco di formaggio.

Seduti al tavolo su due sgabelli per il personale di servizio, mangiarono in silenzio; Oscar si sentiva a proprio agio: era bello non dover per forza parlare, non aver bisogno di apparire assolutamente impeccabile, non dover ostentare freddezza e distacco. La focaccia era saporita, il vino le scaldò il cuore e le mani e nel tepore della cucina i piedi ancora bagnati le parvero meno freddi. Finì di mangiare e si alzò, spostando rumorosamente lo sgabello indietro, levò le braccia inarcando la schiena e si stirò. André la osservava; lei gli si avvicinò appoggiandogli un attimo una mano su una spalla, poi afferrò la propria divisa e si incamminò verso la porta interna. "Buonanotte André." disse piano. "Buonanotte Oscar." le rispose lui.

 

Salendo le scale silenziose e buie Oscar pensava a una domanda che Fersen le aveva posto tanto tempo prima: "Non vi sentite mai sola?". Ricordò di aver risposto mentendo spudoratamente. "No." aveva detto. Ma chi voleva prendere in giro? Aveva detto che non si era mai sentita sola perché lo scopo della sua vita era diventare un generale, come suo padre. Ripensando a Fersen, le era sembrato che le avesse creduto. Sorrise di sè con amarezza: la verità invece era che la divisa non le faceva proprio nessuna compagnia. Non teneva affatto caldo al cuore, né dava un senso alle sue giornate. Sbuffò.

I corridoi di palazzo Jarjayes erano bui e silenziosi. Raggiunse le sue stanze; il fuoco scoppiettava allegramente nel camino. Una cameriera si materializzò dal nulla: "Posso aiutarvi Madamigella?". Oscar la guardò un istante: "Mi spoglio da sola." rispose con fredda cortesia. Si buttò sul letto; c'erano sempre occhi che la guardavano a palazzo Jarjayes. Inaspettatamente le balenarono alla memoria i ricordi dei soggiorni nella villa di famiglia in Normandia: le lunghe estati pigre e piene di quieta serenità passate giocando con André e trascinandolo in ogni genere di avventura piccola e grande… dopo aver accettato di comandare le guardie reali non vi erano tornati che poche volte e per soggiorni piuttosto brevi… pensò che le sarebbe piaciuto portarvi Rosalie. Nella villa sul mare la vita era semplice e informale: solo sette persone di servizio… e solamente due di loro dormivano in casa… niente occhi a guardarla continuamente… Si alzò velocemente a sedere e si tolse gli stivali scalciandoli via. Aveva ancora i piedi freddi e bagnati. Si liberò dei pantaloni e delle calze umide; avvolta in una coperta rimase lungamente seduta sulla poltrona a guardare il fuoco.


Note al capitolo 1
La storia porta il titolo di una canzone, gentilmente suggeritami da Betz73; per questo ho deciso di scegliere titoli di canzoni anche per i singoli capitoli

- Per l'intera storia:

These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

 

- Per il primo capitolo:
Una ragazza in due…
I Giganti - 1966

Molti dei dialoghi sono ripresi dall'episodio 20 della serie animata "Lady Oscar" ("Un amore impossibile") e riportati fedelmente secondo la traduzione del doppiaggio italiano.

La battuta sugli asini con finimenti da cavalli è presa a prestito da Margaret Mitchell: mi sono permessa di rubarla alla sua Mamy per offrirla a Nanny.

   
 
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