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Autore: sacripante23    17/04/2023    0 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Cronache_del_ghiaccio_e_del_fuoco]
[https://it.wikipedia.org/wiki/Cronache_del_ghiaccio_e_del_fuoco]
Il notaio criminale scoppiò in una risata fragorosa.
“E' sempre una questione di denari, Dante. Per ottenere grazie femminili, conforto religioso, la sicurezza... Gli uomini come te e come me, siamo degli alchimisti: impugniamo il ferro per ottenere oro” e toccava col palmo della mano l'arma portata alla cintura.

Braavos, la città rinascimentale che richiama in sè la galassia delle Signorie Italiane.
La Città Segreta, luogo di maschere pragmatiche, dove il guadagno fà da padrone, ma anche un luogo aperto e ferocemente anti-schiavista. Caratteristiche che ne fanno una macchia bianca che risplende nel mondo grigio e crudele descritto da G.R.R. Martin.
Ma cosa sappiamo veramente di lei e delle persone che la vivono?
In un racconto che incrocia le atmosfere da Cappa e Spada delle opere di Arturo Perez-Reverte e quelle Poliziesche di Raymond Chandler, uno spadaccino onesto, ma tremendamente cocciuto, entra nelle trame di Targaryen e Martell all'ombra del Titano.
Questo racconto ha lo scopo di offrire a chi legge momenti di svago e divertimento. In caso contrario chiedo ai lettori aiuto per migliorare in futuro e mi scuso in anticipo perchè, come diceva ben altro Autore, "non s'è fatto apposta"
Genere: Avventura, Azione, Noir | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CONDOTTIERO: 
chi esercita il mestiere delle armi ed è sotto contratto con l’autorità ducale; si impegna ad essere sempre pronto ad una improvvisa chiamata per mettere le sue capacità a servizio delle autorità di Braavos
 
RISVEGLIO
 
I vessilli della Condotta tremolavano alle loro spalle, dietro le lance. I dothraki erano già lì, come una fiumana di occhi spaventati o terribili, volti sanguinanti, grida, cavalli, spade. Selvaggi grossi, barbuti e coraggiosissimi, che cercavano di trafiggere ed assalivano spada alla mano, poi tornavano indietro e ripetevano il carosello. 
Erano tenuti a bada dalle corazze, ma ancora per poco, erano troppi. Vedeva che i rotellieri accanto a lui, scudo contro scudo, sguainavano i costolieri e si mettevano in guardia. Le frecce dei barbari fischiavano nell’aria e sfoltivano le loro file, le punte, sporche di sangue, ferivano e mutilavano; e Dante, che tirava fendenti e stoccate sporgendosi oltre la fila di corazze con le lunghe aste di frassino, afferrò la cintola di un dothraki che si era insinuato fra le lance. La corazza della sua lancia che gli stava di fronte, rapido, sguainò la daga che portava alla cintura e l’affondò nell’inguine del selvaggio finché il sangue gli arrivò alle mani. 
Tutto intorno era un labirinto di lance aggrovigliate tra cui imperversava la carneficina. Le malconce file indietreggiavano calpestando i corpi dei loro colleghi e lasciando il prato disseminato di cadaveri. Dante venne travolto dal flusso e riflusso delle file degli uomini, tra i vestiti sporchi e ruvidi, l'odore del sudore, della polvere e del sangue, corpi avvinghiati presi in una lotta disperata, al coltello: ormai le altre armi erano inutilizzabili. Un attimo dopo, tra gli schianti delle aste, i nitriti dei cavalli feriti e il cozzare delle spade, un’altra orda della cavalleria dothraki gli piombò addosso. 
Dante cacciò un urlo; squarciò il campo di battaglia e la realtà lo attendeva con le prime luci del mattino. 
"Braavos... fottimuli maledetti..." grugnì Dante scivolando fuori dal piccolo letto da campo strizzando gli occhi per il terribile dolore nella testa "Sono a Braavos"
Attraverso una persiana mal chiusa filtrava un lembo di luce che attraversava la sporca stanza, andando a colpirlo in piena faccia. Chiuse gli occhi, rilasciando un profondo respiro mentre tornava con la memoria alla sera prima; piena di boccali di vino che lo avevano stordito fino all'incoscienza, abbandonandolo fra alle solite promesse di non toccare mai più il vino sfuso dell'Anguilla Verde. 
Tre mesi cosparsi di simili promesse e giuramenti, aumentati con l'aumentare delle sue visite in quella e in altre oscure bettole del Porto degli Stracci. 
Il vero problema era che gli mancavano i soldi per potersi permettere di meglio. Certo, c'erano i compiti che gli passava la Casa Rionale. Le ronde notturne che svolgeva nei punti peggiori della grande città, ma erano saltuari e difficilmente era più di qualche soldo. La perdita di quella condotta era stata un disastro, un disastro peggiorato dall'ultima grida che informava che non ci sarebbero stati ulteriori offerte del Palazzo: la crisi dothraki era finita e con essa gli obblighi nei confronti di Pentos. Per uomini come Dante, la battaglia delle Colline Rocciose, aveva portato solo ferite, incubi ed una mezza borsa che era finita subito fra spese di rimpatrio, ferite da curare e che solevano dolergli quando l’umidità aumentava. Stentava a rimanere a galla in quell'enorme calderone che era la Città Segreta. 
Si guardava intorno ed indovinava più che vedere i quattro mobili che erano stati accatastati in quella stanza, al terzo piano di un fatiscente edificio al confine fra il Porto degli Stracci e la zona interna della città. Il lettino da campo ripieno dei suoi vestiti e della cappa che indossava durante il giorno; il mobile con il lavabo e la brocca per il mattino; un baule tutto tarlato ed infine una cassapanca che conteneva l'aria della città, dal Titano alle paludi circostanti. 
Era giunto il momento di aprire le persiane. L'eco distante delle voci e delle urla in una babele di lingue proveniente dal Porto lo richiamava alla realtà. Con un lieve brivido, accarezzando la cicatrice ancora arrossata, Dante si era messo sulle spalle il pesante mantello di lana grezza per ripararsi contro l'umida foschia di una tipica mattinata autunnale. Incespicando e borbottando contro il dolore al capo, si era avvicinato alla corda che assicurava i due pannelli di legno al chiodo ricurvo che sporgeva dal muro. 
Ora altra luce si riversava nella stanza, mentre gli occhi di Dante si chiudevano istintivamente, ma solo per un momento. Ancora una volta la familiare vista dei tetti, comignoli e grassi piccioni che incorniciavano l'ambiente urbano si presentavano ai suoi occhi. Un caos geometrico di mattoni e pietra, aggrovigliati in un mosaico che faceva da contrappunto alle ristrette viuzze. Molte avevano un canaletto che si poteva superare con un salto ed il cui odore di acqua salmastra arrivava fino alle sue narici e si confondeva con quello di torba bruciata che si fondeva con la leggera foschia che baluginava fra le vie ed i tetti. 
La presenza continua dell'acqua più o meno corrente permetteva alla maggior parte degli odori della citta, di corpi, di scorie e di animali nei rari appezzamenti di terreno, di dileguarsi al largo, oltre le isole che sorreggevano il possente Titano e da lì via nel mare aperto. 
Uno dei fatti che più seccava Dante era l'impossibilità di poter vedere dall'unica finestra del misero appartamento la statua simbolo ed orgoglio della città. Purtroppo aveva immediatamente appreso al suo ritorno dai campi di battaglia che quella possibilità rappresentava un lusso da pagare a caro prezzo e che lui non poteva permettersi. 
Presi gli stivali malconci da sotto il giaciglio, indossati ed allacciate le stringhe di cuoio, Dante si muoveva verso il piccolo lavabo per darsi una ripulita e togliersi il velo di barba che indossava da un paio di giorni. Quella sarebbe stata una mattinata particolare e valeva la pena avere un po' più di cura nell'aspetto. 
Il dolore al capo e un buco nello stomaco che non accennava a placarsi gli suggerivano che sarebbe stato meglio mangiare qualcosa prima di avviarsi. Aperto il piccolo baule e tirata fuori la borsa di pelle che conteneva l'avena in suo possesso, diede un'occhiata alla scarsella che portava alla vita. Sapeva benissimo quanto vi fosse all'interno, ma non riusciva a togliersi l'abitudine di controllare. 
90 soldi. 
22 denari e spiccioli. 
3 grossi e una manciata di trillini. 
Niente piastre. Non parliamo poi di scudi o pile.
In qualunque modo volesse vederla, ecco a quanto ammontavano le sue disponibilità liquide dopo tre mesi di vita in quelle condizioni. Con un sospiro la borsa di cuoio veniva aperta e una misura di avena per la farinata depositata nella scodella di latta, mentre la scarsella era religiosamente richiusa. 
In fondo alle scale, dietro una curva a gomito, Dante era ora nel piccolo cortile che l'edificio aveva in comune con quello accanto. Al centro, riparato da una piccola tettoia, si trovava il forno comune. A quell'ora vi erano già persone in attesa. Mentre un vecchietto girava con enorme attenzione un mestolo dentro una padella annerita dall'uso e l'aria si riempiva dell'odore di cibo, 
Dante si era posizionato all'estremità della panca, in fondo alla fila. 
"Salve condottiero"
A parlare era stata la moglie di un tintore che aveva la bottega ad un paio di calli di distanza. Era giovane, graziosa e sposata con un uomo che aveva il doppio della sua età. Era stato un buon matrimonio, ammetteva lei stessa, per una donna senza famiglia e con la paura del bargello sempre a due battiti di distanza. Neanche il marito poteva vantare la propria nascita braavosiana, ma il fatto di avere a proprio nome una attività stabile ed onesta nella città in cui i mercanti erano principi, faceva sì che le guardie incaricate di controllare la chiusura dei cancelli che al tramonto sprangavano l'accesso alla città per tutti gli stranieri che gravitavano attorno al Porto degli Stracci, chiudessero volentieri un occhio. 
"Buondì madama" disse Dante con un leggero piegare del capo.
La donna aveva dei progetti per l'attività del marito, una volta che avesse ereditato. Naturalmente avrebbe avuto bisogno di un socio con cui condividerle. Il guaio era che, probabilmente, con la sua salute cagionevole, il pover'uomo non sarebbe riuscito a sopravvivere fino al compimento dei 15 anni di attività economica ininterrotta che la legge del Duca stabiliva come limite per poter chiedere con successo l'iscrizione nei ruoli cittadini di se stessi e della propria famiglia. 
Era sempre stata la stessa Essie a raccontare tutto questo a Dante, una sera in cui lei lo aveva invitato a bere una coppa di vino, mentre il marito era impegnato in una transazione di affari lontano da casa. 
"Come sta oggi? Novità riguardo al suo ingaggio?"
Dante poteva rispondere solo con un cenno di diniego, mentre occhieggiava a che punto la coda si fosse mossa. 
"Finora nulla, ma oggi ho un appuntamento promettente. Dovrei ricevere buone notizie più tardi"
"Qua attorno? Potrebbe venire da me ad aggiornarmi"
"Il luogo dell'appuntamento è fissato in Piazza delle Gilde"
"Ooh! A due passi dai Bagni della Luna!" la donna sospirava "Immagino che dovrei augurarvi buona fortuna"
"Madama sarebbe troppo buona nel farlo"
Da quella fatidica sera la donna aveva perso qualsiasi attrattiva per Dante. Con una scusa aveva declinato l'invito a fermarsi di più ed aveva preso velocemente l'abitudine di scegliere osterie ben lontane da dove abitava. 
"Mi chiedo però se valga la pena continuare a provare, messer condottiero...Quanto tempo è passato? Cinque mesi?
"Tre mesi, se le è gradito" 
Il suo incubo ad occhi aperti era trovarsi una mattina nel letto della donna, mentre disteso sul pavimento stava il marito di lei con due palmi di coltello nel ventre. 
"E se non ci fosse niente per Lei? Dovrebbe pensare a qualche alternativa" adesso scuoteva il capo e lanciava sguardi di fuoco "Uomini come Lei possono andare molto lontano nella vita con la giusta persona al loro fianco..."
Guardandosi attorno poteva vedere che il vecchio si stava allontanando con il proprio paiolo fumante, mentre la donna prima di lui stava riprendendo in mano le pentole. 
"Mi scusi madama" in due passi Dante le stava di fronte e le sbarrava la strada al forno "Le dispiacerebbe cedermi il suo posto?"
La casalinga lo stava fissando con uno sguardo gelido negli occhi
"Oggi sono proprio di fretta" si affrettava ad aggiungere "Debbo sbrigarmi ed essere in movimento il più velocemente possibile" 
Non era la prima volta che la massaia si era concessa il lusso di accettare le sue richieste e non ci voleva molto a capire verso dove saettavano di tanto in tanto gli occhi preoccupati del suo interlocutore. 
"Ma certo messere. Se siete così pressato dall'urgenza di questo appuntamento..."
"La ringrazio" aveva ribattuto Dante con un inchino un po' più pronunciato di quello che aveva destinato alla sua persecutrice. Messa la scodella sulla griglia bollente ed aggiunto un po' d'acqua dalla piccola borraccia che aveva portato con sè, si concentrò nel preparare la farinata, mentre con la coda dell'occhio poteva osservare la moglie del tintore fare una smorfia di disappunto e tornare sui propri passi. 
Finito il pasto e con lo stomaco in ordine, sbarbato e con la mente snebbiata, Dante aveva avuto cura nell'indossare il proprio cappello floscio con la penna purpurea; oltre a fare un bel contrasto rispetto al farsetto di color azzurro polvere, la cappa verde scuro e i pantaloni alti al ginocchio e gli stivali in cuoio ingrassati, quella penna indicava la sua appartenenza ai condottieri. 
Nel caso, improbabile dopo quella grida, di una ripresa delle ostilità da parte della città di Braavos lui sarebbe stato uno dei primi professionisti delle armi ad essere consultato ed impiegato con regolare contratto palatino da parte del Duca in persona. Nel frattempo aveva licenza di esercizio della propria attività all'interno dell'ambito cittadino come lancia spezzata per commissioni legali, membro attivo dell'omonima gilda. In cambio era a disposizione della città per attività di difesa comune come le ronde notturne che ogni tanto svolgeva per conto delle case rionali o per il bargello, a capo dei cancelli del Porto degli Stracci. 
In altre parole era il segno distintivo che lo indicava come qualcosa in più di un bravo spaccone e violento. 
Si era fermato un attimo a guardare la propria immagine riflessa nel canale che ancora fumigava e dovette ammettere che i colori di pantaloni e farsetto erano un pò sbiaditi e la camicia tradiva una tonalità giallognola, ma il ritocco che aveva dato al colore del berretto teneva e la cinquedea che portava sul lato sinistro della cintola, vicina al costoliere, risplendeva grazie ai rilievi damascati dell'impugnatura. 
Raddrizzata la schiena, marciava deciso e con la convinzione che stavolta sarebbe stata l'occasione buona verso il ponte di pietra che lo avrebbe portato verso il Canale degli Eroi e Piazza delle Gilde. 
Questa sempre piena di mercanti, assistenti, artigiani ed altri professionisti. Tutti pronti a cercare un affare o a siglarlo in lunghe e concitate contrattazioni oppure in rapidi cenni e con una vigorosa stretta di mano. Le cappe blu notte e nere dei magistri e dei custodi si mischiavano, in una variopinta fantasia degna della tavolozza di un pittore, con i vestiti più o meno ricercati e sgargianti di impresari, giovani promesse, professionisti dell’avvocatura, dell’ambito notarile, della sapienza accademica e, perché no, anche del clero e di avventurieri di ogni risma. 
A fare da contrappunto a tutti questi individui stavano individui di evidente estrazione sociale inferiore, probabilmente provenienti dalla Teppa, che esercitavano la professione di borseggiatori e simili, controbilanciati dagli uomini pieni di buon acciaio alle dipendenze della Terza Spada di Braavos che rispondeva alle corti dei Placiti. 
In ultimo si aggiungevano i venditori ambulanti che cercavano sempre in luoghi come quello di fare buoni affari, mentre dal Canale degli Eroi imponenti barche e scialuppe più modeste, alcune a nolo, facevano sbarcare altri personaggi in un andirivieni di individui che sottraevano e aggiungevano in continuazione a quel calendoscopio di varia umanità che era la piazza di fronte alla Casa delle Cupole, dove risiedevano gli uffici delle più importanti corporazioni. 
Dante però non giungeva dal lato del canale, bensì si era fatto largo in una viuzza adiacente, passando per ponti e stradine che costeggiavano canali e corsi d’acqua che incrociavano tutto attorno alle isole e ai quartieri bravosiani. Siccome aveva la cappa, si muoveva agilmente per quelle vie indifferente al camminare sul lato della strada in ombra o al sole, ma sempre a testa alta e con la piuma purpurea nella fascia del cappello, che sfiorava con la mano per salutare qualche conoscente o si toglieva quando incrociava dame di un certo prestigio sia a piedi che sedute sulla propria barca, con stemma o meno sulla fiancata, ben intabarrate sotto la tenda di poppa perché il tempo autunnale di Braavos può essere umido ed insidioso come l’inverno è freddo e crudele. 
Dante non aveva mentito alla moglie del tintore. Effettivamente l’appuntamento era fissato presso una locanda adiacente alla grande Piazza delle Gilde. 
Alla locanda del Volantino lo stavano aspettando i soliti amici. Per orgoglio e per opportunità, li incontrava solo quando aveva avuto occasione di curare il proprio aspetto invece di lasciarsi andare, come nei giorni precedenti. Il proprietario era un cordaio che aveva esercitato per anni la propria attività nel Mare Stretto fino a quando aveva risparmiato abbastanza per rilevare quel locale e trasformarlo in un angolo di casa lontano da casa. 
Anche quel giorno si trovavano seduti attorno alla tavolata che Jhos riservava sempre loro la tavolata sulla sinistra, questa era più vicina ai fumi e alle porte della cucina, ma anche più riparata e senza dubbio quella che veniva servita più rapidamente. 
Malgrado la puzza di fritto e il fumo della cucina, il posto era confortevole. Ed era anche divertente, perché lo frequentavano abitualmente corrieri postali, magistrati, scrivani, uscieri, fiorai e commercianti della vicina piazza, impiegati della Banca del Ferro e anche vecchi soldati attirati dalla vicinanza delle principali strade della città e del ritrovo salottiero presso le piazze ducali, del Metallo, la Pozza Lunare, il Palazzo della Verità e i fedeli di passaggio da e per le Isole degli Dei. 
Aveva piovuto un po' all'alba e restavano impronte infangate sul pavimento della taverna, insieme all'odore di umidità e di segatura che lasciavano i giorni di pioggia. Il cielo stava schiarendo e un raggio di sole, dapprima timido e in seguito un po' più baldanzoso, incorniciava il tavolo. Fra i piatti di pezzi di pane e carne in intingoli piccanti e tazze mezze vuote, torreggiava la tavola da gioco di Cyvasse alla Jhos come era chiamata fra gli avventori abituali del locale. 
L'attrezzatura era quella normale usata per giocare al passatempo proveniente da Volantis: la tavola in legno riproponeva il campo in cui i due giocatori si davano battaglia con tanto di pianure e montagne, l’unica differenza era data dalle pedine da gioco, invece di essere in legno verniciato, si trattava di bicchieri con la medesima forma delle normali pedine. Riempite con diversi tipi di liquore, dai più semplici e meno ricercati per la pedina della marmaglia sino ad arrivare al rum e al più fino idromele per pezzi pregiati come l’elefante, il drago o il re. Veniva scelta sempre una tonalità che ricordasse le due diverse parti contrapposte, il bianco e il nero. Chi eliminava il pezzo dell’avversario doveva, in realtà, berlo. 
Difficilmente chi vinceva poteva dire, alla fine, di averlo fatto per bravura e nessuno dei giocatori poteva affermare di essere sobrio. 
In quel momento si fronteggiavano Caspar, un brillante e promettente giovane della Casa della Pupilla Celeste. Questi non mancava mai all’appuntamento con gli amici, quando non era imbarcato sulle capitane ed ammiraglie delle squadre di mercantili che viaggiavano fino a posti lontani come Qarth o Mussovy. Dall’altro lato si trovava Manlio Ghylphis, impiegato presso uno dei tanti uffici che svolgevano la funzione di cambiavalute nell’onnipotente Banca del Ferro. all’occhio appannato e dai riflessi piuttosto lenti nel salutarlo, Dante poteva intuire che stessero giocando la seconda o terza partita. 
Al loro fianco si trovava Gannifer, che si guadagnava da vivere o organizzando spedizioni di caccia nelle aree attorno a Braavos per conto dei diversi conciatori della città, sempre affamati di pellicce da utilizzare nelle loro opere, oppure come guida per esplorare e sondare le montagne a sud-est della costa assieme a studiosi ed operai minerari. Insieme a Reis, il Guaritore, un ex Maestro della Cittadella di Westeros che aveva abbandonato saio e catena per continuare la sua istruzione presso i cerusici di Braavos, si divertivano a suggerire strategie sempre più spericolate ai due giocatori semi sbronzi, ridendo fra loro quando uno dei due seguiva i suggerimenti. 
Solitamente l’arrivo di Dante avrebbe provocato una serie di commenti dai più blandi ai più salaci visto il suo ritardo, ma non in quella occasione. Nemmeno Reis, che era solito frequentare i ritrovi dei bravi al tramontare del sole e non si negava mai un’occasione per una rissa, una stoccata o per fare bisboccia, aveva nulla da dire, tranne un amichevole saluto. Proprio per le sue attività extracurriculari era stato vivamente consigliato di allontanarsi dalla Cittadella, ed in genere cercava sempre una scusa per scambiare un paio di stoccate con il condottiero usando lame non affilate. Diceva sempre che era per tenersi in esercizio e pronto nel caso gli servissero per davvero durante le sue uscite notturne. Ma in quell’occasione sembrava essersi dimenticato dell’ultimo incontro con Dante e la promessa strappata per una rivincita al più presto. 
Del resto non c’erano tracce di dadi da parte di nessuno degli altri commensali. Era prassi normale, anche se vivamente sconsigliata dalle gride, di organizzare o partecipare a giochi d’azzardo al di fuori delle case da giuoco regolamentate. Nonostante la presenza di Qorlo, biscazziere professionista e cantore dilettante, il quale stava in un angolo, con un liuto in grembo a provare e riprovare alcuni passi di una nota ciaccona che aveva fatto furore nella stagione precedente. 
La ragione era molto semplice, ed era seduta all’estremità della tavolata. 
Il notaio criminale Meridio era un tipo dalla scorza dura. Indossava sul farsetto un panciotto di camoscio, imbottito internamente, che era molto pratico per attutire le coltellate; e tra costoliere, mazza, busilarda e cinquedea, aveva più metallo addosso di quanto non se ne estraesse dalle Miniere Vecchie. Portava anch’egli sul cappello la piuma purpurea: era stato soldato di condotta sotto i vessilli del Duca, sia per terra che per mare, come Dante, militando nella stessa lancia: uno corazza e lanciere, l’altro rotelliere e spadaccino. 
Da buon collega aveva condiviso con lui pene e ambasce, anche se, alla lunga, era stato più fortunato. 
Mentre il condottiero si era impegolato con l’ultima spedizione a Pentos contro l’orda dothraki, ricavandone una ferita, terrori notturni e un pugno di monete, un cognato maggiordomo a Palazzo aveva aiutato Meridio a far fortuna in città. Aveva ottenuto il bastone di vimini imbiancato che lo metteva a capo di una bandiera di berretti, le guardie della Terza Spada di Braavos, detto anche Capitano di Verità, e che lo equiparava a quello di conestabile delle ronde che vigilavano sui singoli rioni. Era stato un buon combattente, aveva la pellaccia ricucita da molte ferite e si sapeva far rispettare con i pugni o con una lama in mano. Era, insomma, quanto di più rispettabile ci si potesse aspettare da un capo delle guardie. 
A sua volta rispettava Dante e cercava di favorirlo ogni volta che ne aveva l'occasione, come ad esempio chiederne l’aiuto nelle ronde od in altri incarichi in cui sarebbe toccato a lui decidere sugli uomini da impiegare. La loro era un'amicizia, si poteva dire, professionale; rude, ma concreta e sincera. 
I due uomini, come sempre, si erano limitati ad un saluto toccandosi il lato dei cappelli, prima di sedersi uno di fronte all’altro, Meridio aveva tenuto da parte una sedia come convenuto. Dopo aver lasciato il tempo al condottiero di versarsi da bere, era passato immediatamente al punto della questione. 
“Ho un incarico per te” aveva esordito il notaio criminale.
Dante si era limitato ad un cenno del capo. 
Meridio lo aveva studiato per qualche istante, accarezzandosi la barba che portava folta, per coprire un taglio che gli andava dalla bocca all'orecchio destro. Dopo aver guardato gli altri commensali che rimanevano con le orecchie ben tese, anche se facevano finta di essere assorti dalla partita a cyvasse, aveva fatto un cenno al condottiero e si erano incamminati, dopo un breve saluto di commiato.
“Quanto hai in saccoccia? Due, tre piastre?" aveva interloquito l’ufficiale, mentre osservavano le barche andare e venire 
"Possono sembrare molte, ma di questi tempi i prezzi aumentano da un momento all’altro: basta un mercante di pietre di Lys che si svegli con un mal di denti oppure un fortunale al largo di Lorath contro un paio di mercantili e il tuo gruzzolo finisce nelle mani di speculatori e compagnia bella. A quanto so a breve dovrai anche rinnovare l’adesione alla gilda. E senza appartenenza che puoi fare? Nel giro di due giorni avrai già accettato qualche lavoretto da niente, come scortare chissà quale bel damerino perché il fratello della sua amata non lo uccida lungo i canali, oppure finire a frequentare i ritrovi dei bravi nella speranza di attirare l’attenzione di qualcuno per fare il guardiano in qualche bisca, magari in quelle mobili della Pieve Sepolta o cercare agganci per arruolarti magari nei Secondi Figli… rischiando di finire nei guai, magari ai ferri e di fronte ad un placito per decidere fra cinque anni come rematore a paga ridotta oppure l’esilio e la perdita dei tuoi diritti come cittadino” finito di parlare, l’ufficiale aveva ripreso fiato. 
Dante si strinse nelle spalle.
“Hai forse un'idea migliore?”
Guardava il vecchio collega delle Terre contese fra Myr, Tyrosh e Lys, il bastone bianco che teneva appeso alla cintura, la penna purpurea sul cappello. 
E quell’espressione non aveva bisogo di altri commenti. 
Meridio si stuzzicò i denti con un'unghia e scosse la testa due volte, annuendo. 
«E per questo che sono qui, Dante. Tra poco ti spiegherò tutto. Non appena arriviamo al tuo banco.”
Superati un altro paio di viuzze e piccoli canali, in uno slargo, c’era una vecchia casa di pietre e mattoni di cinque piani che formava ai suoi piedi un ampio arco per permettere alla strada di proseguire. Sotto quell’arco, su di un lato, si trovava una pesante porta in legno chiaro con i rinforzi in metallo ed una finestrella all’altezza del viso, mentre sopra all’arco sporgeva una insegna che raffigurava una lancia purpurea spezzarsi a metà, accanto alla figura erano riportate le parole 
«Dante dei Liberti. Lancia Spezzata» 
Dietro a quella porta si trovava il così detto banco, cioè il luogo in cui Dante poteva ricevere eventuali clienti che richiedessero i suoi servigi. Si trattava di un piccolo locale con le pareti imbiancate a calce, di fronte alla porta si trovava un bancone dietro il quale il condottiero era solito mettersi in attesa di clienti, mentre sulla sinistra si trovava un piccolo caminetto, al momento spento. 
Questi così detti banchi erano in gestione alla Gilda che li assegnava in usufrutto ai propri regolari iscritti per poter esercitare l'attività in modo più decoroso che in bettole o lungo i canali. Dato il suo curriculum come condottiero, la sua cittadinanza e precedenti accordi stipulati prima della partenza per le Colline Rocciose, la Gilda aveva assegnato a Dante uno dei suoi banchi meglio arredati ed in una posizione abbastanza vicina al cuore di Braavos. 
Appena entrati, al riparo da orecchie indiscrete, Meridio non aveva perso tempo ed era tornato in argomento.
“C'è qualcuno che ha bisogno di te”.
“Questione personale o di interesse?”
Il notaio criminale scoppiò in una risata fragorosa.
“E' sempre una questione di denari, Dante. Per ottenere grazie femminili, conforto religioso, la sicurezza... Gli uomini come te e come me, siamo degli alchimisti: impugniamo il ferro per ottenere oro” e toccavava col palmo della mano sull'arma portata alla cintura.  
Era damascata e lucente come quella del condottiero. 
Fatta una pausa e bevuto un sorso di vino che Dante gli aveva offerto, aveva ripreso a parlare, abbassando un po' la voce. 
“E’ gente importante. Un colpo sicuro, senza rischi, eccetto i soliti... E in cambio c'è una buona ricompensa”
Il capitano osservò l'amico, interessato. In quei momenti la parola ricompensa sarebbe bastata per strapparlo al più profondo sonno o alla più terribile sbronza. 
“Quanto buona?”
“Circa sessanta scudi”
Le palpebre di Dante si erano contratte 
“Che tipo di lavoro?”
Meridio scuoteva la testa e ogni tanto guardava furtivamente la porta del banco.
“Ho ordini precisi di non dirti altro…Inoltre ignoro tutti i dettagli... Ed è meglio così: è un qualcosa organizzato a livello di vetrata di poppa... non so se mi sono spiegato. Tutto quel che so è che si tratta di una scorta. Una cosa discreta, di notte. Andare dal punto A al punto B. Fine.”
“Da solo o in compagnia?”
“In compagnia. Si tratta di andare sul sicuro. Evitare molti problemi, vuol dire andare in molti”
“Chi proteggiamo?”
Meridio guardava Dante passandosi la lingua sulle labbra, come se non si azzardasse di dire altro e avesse paura di lasciarsi sfuggire di più.
“Ogni cosa a suo tempo. E poi, io qua mi limito a fare lo stesso tuo lavoro”.
Il condottiero era pensieroso. 
Sessanta scudi, erano circa trecento piastre: quanto bastava per uscire dalle ristrettezze. Ci si poteva comprare della biancheria, un abito, pagare i debiti, mettere un po' di ordine nella propria vita. Sistemare decentemente la stanzetta affittata in cui viveva, sopra il cortile, magari cambiare proprio il posto dove dormire. Mangiare pasti caldi senza dipendere da chicchesia.
"E poi" aggiunse Meridio, che sembrava seguire il filo dei suoi pensieri, "ti farà conoscere gente importante. Gente che ti potrà giovare in futuro"
Il condottiero non potè farne a meno e si lasciò affiorare un sorriso sulle labbra. 
   
 
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