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Beyond the sky
(capitolo II)
Aprii gli
occhi, sbattendo lentamente le palpebre. La mia camera era buia e silenziosa,
ma i miei occhi non erano restii all’oscurità. Mi guardai intorno, con la vaga
sensazione che fosse successo qualcosa di strano.
Frammenti
di quello che doveva essere stato un sogno mi balenavano, veloci, nella mente,
senza che io potessi creare un nesso logico fra di essi. Tuttavia, provavo una
sorta d’ansia inspiegabile ed anche un’assurda paura nel rivederli.
Mi
riscossi, muovendo appena il capo, nel tentativo di cancellare quei residui di
una notte agitata, e tentai di alzarmi dal letto.
La mia
mano si posò, inavvertitamente, su qualcosa che era abbandonato, accanto a me,
fra le lenzuola.
L’avvicinai
a me, sorpresa.
Era un
quaderno.
Cosa ci
faceva sulla mia coperta?
C’era
decisamente qualcosa di strano.
Scivolai
piano fuori dalle coperte ed infilai le pantofole. Dopo aver aperto con
delicatezza la porta, sbattendo le palpebre per l’improvvisa luce che proveniva
dal corridoio, mi diressi nel salotto.
Il
quaderno era aperto sulla terza pagina e le sue righe erano ricoperti di una
grafia minuta e stretta, che mi era alquanto familiare. Non ricordavo, però, di
aver ricominciato a scrivere, e non avevo idea di cosa fosse narrato in quelle
parole.
Presi il
latte e, dopo averlo riscaldato, me ne versai un bicchiere.
Seduta
sul divano, sorseggiando con calma la mia colazione, mi accinsi a leggere dalla
prima pagina, sperando di trovare una spiegazione alle stranezze di quella
mattina.
La
pianura si stendeva vasta e brulla, fino ad un confine, tracciato da imponenti
montagne grigie e lontane, dalle cime perennemente ghiacciate. Il vento spirava
lento e diffondeva nell’aria l’odore di terra smossa, sferzando con la sua
intensità ogni cosa incontrasse sul suo cammino. Il panorama era immutato e si
estendeva per miglia e miglia, senza un suono a rompere la sua pace, senza un
respiro a dare un aspetto verosimile a quel luogo. Tutto era spento e gelido e
nell’aria si avvertiva una certa, insensata tensione, che era percepibile ad
ogni passo.
Non
c’erano alberi, non c’erano boschi, non c’era un raggio di sole né l’invisibile
pigolio di un uccello. Non c’era erba, né la rugiada che troppo spesso la
ricopriva, non c’era il tramestio di passi, il quieto rumore naturale, il gioco
perenne di ombre e di luci. Solo un’immensa valle, senza vita.
Un
imponente castello si stagliava all’orizzonte, visibile dall’altro capo della
landa, con i suoi torrioni alti e sinistri, con le sue ombre e con il suo cupo
silenzio. Le pareti, ampie ed altissime, erano di basalto nero, come le
finestre, le cui vetrate lasciavano intravedere appena l’interno, buio e tetro.
Il palazzo era enorme, doveva avere più di un migliaio di stanze, eppure nulla
lasciava presagire che ci fosse una qualche presenza al suo interno. Un
silenzio quasi spettrale, una calma innaturale.
La scelta
di quel luogo, per la collocazione della sua dimora, era dovuta ad un certo capriccio
sentimentale, se così si poteva definire. Naturalmente aveva considerato anche
le ragioni pratiche, l’utilità di una zona di confine, la favorevole barriera
che la separava da Eraia, creata da quelle cime maestose ed invalicabili.
Eppure, doveva ammettere a se stesso che non l’aveva designata come posto
perfetto per il suo regno, così detto
almeno dagli altri, solamente per quei motivi. La verità era che, quello che
ora era diventato Darkland, le ricordava lei.
Si
chiedeva come facessero gli abitanti di Eraia a considerarlo un tiranno. In
fondo lui non imponeva il suo dominio su nessuno. Quel luogo era spoglio e
privo di ogni forma di vita. Ad abitarlo erano solo lui, i suoi figli e qualche
servitore, che aveva scelto liberamente di seguirlo. Magari perché disperato,
ma in ogni caso lui non aveva costretto nessuno.
Eppure
persistevano a reputarlo uno dei più dispotici signori, un malvagio, un
orribile individuo.
Rise
fragorosamente.
La gente
poteva essere davvero ottusa, talvolta. Ma a lui non interessava affatto. Aveva
in ogni caso raggiunto il suo scopo. Ogni persona, ogni singolo individuo di
quel mondo aldilà del cielo lo odiava. Con tutto l’ardore, con tutta
l’intensità che quell’emozione poteva avere. Tutti.
O meglio,
pensò, questa volta con rabbia, tutti
tranne uno.
Sollevai
gli occhi, perplessa. Più leggevo, meno capivo. Non ricordavo affatto di aver
scritto qualcosa del genere, né di aver mai preso in mano la penna, in realtà.
Non riconoscevo i luoghi, che pur avevo descritto così minuziosamente, né la
persona a cui appartenevano le considerazioni che avevo espresso.
Sentivo
solo che tutta quella storia aveva a che fare con la mia strana dote di vedere
il presente. Perché era quello che avevo fatto, due anni prima. Avevo scritto
pagine e pagine di un racconto, che si era rivelato poi veritiero.
Seguitai
a valutare ogni possibilità, nello sconcerto più totale, finché il mio sguardo
cadde di nuovo sul foglio.
C’era il
nome di Matt.
Corrugai
la fronte e ripresi la mia lettura.
Matthew
Elliot.
Come poteva quel ragazzo non provare rancore
nei suoi confronti? Proprio verso di lui. Che si era macchiato di una colpa che
ai suoi occhi doveva parere imperdonabile. Eppure, lo avvertiva, non odiava..
Né lui, né nessun altro.
Era una
cosa piuttosto frustante.
Era
l’unica cosa che non era perfetta nel suo piano.
Rise,
divertito.
Il figlio
di Edward era stato molto perspicace.
Sebbene
suo padre non glielo avesse detto, sembrava aver capito. Quasi ogni cosa.
Gli era
chiaro che lui non lo faceva per potere, né per ricchezza. Non voleva Eraia e,
se aveva cercato di strappare dalle mani della sua famiglia il potere che
custodiva, l’avevo fatto per un motivo più che sensato.
Ecco,
quella era l’unica cosa che gli sfuggiva.
Si
chiedeva cosa desiderasse.
Non
poteva sapere.
Un
sorriso amaro affiorò sulle sue labbra, incurvandosi sulle guance pallide e
gelide, mentre i suoi occhi, neri come solo una notte senza stelle poteva
essere, si animavano di una sorta di nostalgia mal celata.
Ogni cosa
di lei era limpida nella sua memoria. Ogni piccolo dettaglio era vivido in
quell’angolo recondito della sua mente ed ognuno di essi sembrava non volerlo
mai abbandonare. Il suo corpo perfetto, le sue forme fluenti, la sua camminata
aggraziata, il suo viso splendente, i suoi capelli ramati, che le ricadevano,
come morbide onde, sulle spalle, i suoi occhi color smeraldo.
Lei
riviveva in quei luoghi, attraverso i suoi pensieri, correva su quelle rocce,
una volte brillanti sotto il sole d’estate, si rotolava nei campi di ginestre e
di gigli, che avevano riempito quella landa deserta e desolata, rideva, con la
sua risata cristallina, bella e luminosa come il sole, magica e dolce come la
luna.
Lei non
se ne era mai andata da lì. Abitava quelle colline, quella piana così vasta,
qual castello …
Respirò a
fondo.
Sarah
Hall riviveva nello sguardo del figlio, che tante volte si era posato su di
lui, dapprima con un rispetto abituale, poi con un disprezzo sempre più
intenso, con un crescente disgusto, con una manifesta incredulità.
La rabbia
e il profondo dolore per quello che aveva scoperto, per quello che credeva di
aver provocato, gli agitava ancora l’animo, lui lo sapeva. Aveva scelto di
andare via di lì, eppure sapeva che non sarebbe riuscito a sfuggire alla sua
angoscia. Al suo senso di colpa.
Ma la
cosa che più lo tormentava, era che una parte di lui soffriva per ciò che suo
figlio stava provando.
Ecco,
quello era stato uno dei suoi più grossi errori.
Lui aveva
amato Sarah. Ed aveva amato Charlie. Lo aveva amato così tanto da …
Rise
ancora, mentre rivedeva gli occhi, che tanto erano simili ai suoi, di suo
figlio, che si congelavano in un profondo ed insopprimibile dolore.
Charlie
si era innamorato quasi di un angelo. Era la ragazza più pura che avesse mai
visto, dopo Sarah. Quegli occhi azzurri innocenti, quei capelli biondi, come il
grano maturo, che fioriva nei campi d’estate, quel viso limpido e sincero.
Ma lei
non amava suo figlio.
E Sarah
non amava lui.
I suoi
occhi dardeggiarono attorno, crudeli.
L’aveva
uccisa, senza provare un briciolo di rimorso.
Charlie
non doveva vivere in una speranza non corrisposta, in un perenne desiderio, per
sempre unilaterale.
Anne
aveva scelto Matt. Ed aveva pagato.
Suo figlio
se ne sarebbe fatto una ragione.
Ma
l’amore di Charlie non era profondo come quello che lui aveva provato. Che
tuttora provava. Che lo consumava da sempre.
Sarah era
stata l’immagine di ogni sua più piccola brama. Ogni briciolo dei suoi
sentimenti. Gli aveva dato tutto. Donato tutto ciò che possedeva. La sua anima,
il suo cuore.
E lei
aveva scelto un altro.
Aveva
scelto suo fratello.
Aveva
scelto James.
Scosse il
capo, come per allontanare il grande desiderio che gli ardeva dentro.
Ecco
quello che voleva.
Voleva
lei.
E, visto
che non poteva più averla, si sarebbe preso la cosa più preziosa che Sarah
avesse mai posseduto.
Avrebbe
avuto il suo amore, i suoi sentimenti, il suo corpo.
Anche se,
pensò, divertito, almeno quello Sarah gliel’aveva concesso. Non certo di sua
spontanea volontà, ma l’aveva fatto.
Rise
sguaiatamente e l’eco riecheggiò tra le pareti del castello, terribile come
nessun altro poteva esserlo.
Nuovamente
alzai lo sguardo da quei fogli, ma questa volta un tipo ben diverso di stupore
si celava dietro l’espressione del mio viso.
I miei
occhi si posarono sulle pareti del mio salotto, così consuete e familiari, come
spaesati. Possibile che tutto quello fosse vero?
Respirai
a fondo, cercando d’impormi un certo autocontrollo. Quando mi parve di esserci
riuscita, posai il quaderno sul tavolo e rivalutai attentamente e con più
lucidità ogni cosa.
Matt mi
aveva detto che non riusciva a spiegarsi come mai avessi avuto quel tipo di
visioni, due anni prima. Mi aveva raccontato che non erano, in genere, frutto
d’un incantesimo preciso, ma legate a qualche vincolo magico. In ogni caso, mi
aveva assicurato che avrebbe cercato di capirci qualcosa in più. Sebbene molto
curiosa di scoprire a cosa dovessi quella strana dote, che evidentemente
possedevo, non mi ero soffermata ad indugiare in quel particolare. La mia
prerogativa era stata sicuramente quella di godere ogni attimo passato in sua
compagnia, che mi sembrava indispensabile, come lo era la luce della nostra
stella, che ogni giorno tingeva di allegre tonalità il mondo, che colorava gli
inizi di ogni giorno, che si accomiatava da noi, sfumando il cielo d’arancio.
Eppure,
adesso era fondamentale che io arrivassi ad una qualche conclusione su quel
punto.
Da quello
che avevo capito dalle mie parole, che evidentemente avevo scritto
inconsapevolmente, colui che aveva fatto quei commenti così amari era
l’individuo che avevo, con tutte le mie forze, condannato aspramente nella mia
precedente storia. Non avevo mai analizzato la sua personalità e mi chiesi in quale
modo riuscissi a leggerne i pensieri. Non mi sfiorò mai il pensiero che fossero
solo frutto della mia immaginazione. Forse perché intuivo la verità, forse per
la mia precedente esperienza. Sinceramente, non saprei dirlo.
Ma,
abbandonato ben presto quell’interrogativo, iniziai a pormene un altro. Charlie
era suo figlio?
Ricordando
i suoi occhi, ogni dubbio fu dissipato.
Ora
comprendevo le ragioni del suo senso di colpa. Ora capivo come doveva sentirsi,
qual era il peso che doveva sopportare. Era terribile, e mi rimproverai per
aver provato una sorta di rabbia nei suoi confronti, dopo le sue risposte
enigmatiche dell’ultima volta. Ora avvertivo la complessità di quelle che
dovevano essere le sue riflessioni, la confusione che doveva ravvivarle.
Sospirai
piano, cercando di riprendere il filo che mi aveva condotto fin lì, nella
speranza di trarne conclusioni quantomeno accettabili.
Io ero
stata in grado di percepire e di mettere su carta quegli che erano i sentimenti
di suo padre. Questo era, in buona sostanza, ciò che mi era accaduto.
Ero
abbastanza certa che fossero veritieri, ma decisi che dovevo in qualche modo
confermare la mia tesi.
Alzai lo
sguardo, cercando un briciolo di tranquillità tra le mie mille sensazioni.
Rivolsi i
miei occhi sul quaderno, fissandone la copertina, come catturata dai suoi
banali motivi geometrici.
Poi,
presa la penna che gli era accanto, con tratti veloci, scrissi, sulla prima
pagina …
… Beyond the Sky, capitolo II.
Marciai
avanti e indietro per la stanza, non so per quanto tempo, ma non riuscivo a
decidermi. Quasi imponevo ad una parte di me di chiedersi se quello che avevo
scritto fosse reale, nella speranza che quelle orribili rivelazioni fossero in
realtà frutto solo di una mia inconscia fantasia. Ma sembrava che lo sguardo di
Charlie tornasse a perseguitarmi, ogniqualvolta esprimessi quel desiderio. I
suoi occhi, così scuri, così enigmatici, così simili ai suoi …
Avevo
paura di parlargli. E se l’avesse preso come un intervento fuori luogo? E se
non avesse più voluto rivolgermi la parola, considerandomi inopportuna?
Ma perché
doveva essere tutto così complicato?
Mi
appoggiai al davanzale della finestra, sospirando.
Si
prospettava una mattina afosa. Nonostante fosse molto presto, nell’aria già si
avvertiva il calore, ed il sole ardeva nel cielo, infiammandolo con la sua
luce. Le striature bionde rilucevano brillanti, creando un piacevole contrasto
con l’azzurro soffuso dell’immensa distesa di sfumature cerulee. Quando ero
piccola, mi ero sempre chiesta quale fosse la consistenza del cielo. Mi
chiedevo come potesse avere così tante e così belle tonalità, come potesse
essere sempre così diverso e così magico. E la cosa più curiosa era che, nel
corso della mia infanzia ma anche per buona parte della mia adolescenza, avevo
sempre creduto che ci fosse qualcosa nell’universo, aldilà del limpido celeste,
dell’intenso azzurro, dell’imperscrutabile blu, che io non conoscevo.
Ecco, o
era stato intuito perfetto o fantasia abbastanza realista.
Sospirai,
cercando di trovare un briciolo di calma. Con lo sguardo fisso verso l’alto,
composi un numero sul telefono, sperando che fosse la scelta giusta.
Uno
squillo.
Il cuore
cominciò a battermi all’impazzata. E se non avesse voluto ascoltarmi? Se si
fosse arrabbiato perché m’intromettevo nei fatti suoi?
Secondo
squillo.
Ma cosa
stavo dicendo? Di certo non mi avrebbe ucciso! Anche se era suo figlio, figlio
di una persona che provava un odio così profondo e forte, non voleva dire che
Charlie fosse come lui. L’avevo conosciuto come un ragazzo sempre allegro e
sorridente, che era riuscito, in ogni occasione, a rendermi serena. Ed anche se
l’altra volta era stato criptico, non potevo sicuramente …
Terzo
squillo.
Forse non
avrebbe mai risposto. Forse mi stavo facendo domande per nulla. Forse, mi stavo
tormentando senza motivo. Forse …
Ma non
feci in tempo ad elencarne altri.
“Pronto?”,
chiese una voce, dall’altro capo del cellulare, facendomi sobbalzare.
Respirai
a fondo.
“Ciao,
Charlie!”, salutai, piano.
Parve
sorpreso e per un istante non disse nulla.
“Ciao,
Emily.”, rispose. Sembrava abbastanza tranquillo.
Spinsi me
stessa ad assumere un tono sufficientemente pacato, ma la mia agitazione era al
culmine. Avevo scoperto, mio malgrado, qualcosa che faceva parte dell’angolo
più recondito della sua anima, della realtà più difficile del suo passato, che
probabilmente non avrebbe mai voluto far sapere. Mi sentii egocentrica con le
mille domande che volevo porgli, con la mia egoistica curiosità, con il mio
desiderio di interrompere i tanti interrogativi che mi tempestavano. Ma non era
da me fingere con lui. Non potevo essere così ipocrita, perché lo consideravo
un amico. E, ad un amico, si deve tutta la propria sincerità.
“Come
va?”, domandai, cercando di modulare la mia voce e cercare le parole più giuste
per formulargli la mia richiesta.
“Bene.”,
rispose, suonando un po’ stupito. “Vuoi parlare con Matt, Emily?”
Sospirai.
Matt. Forse potevo prendere in considerazione la possibilità di domandarlo a
lui. Sarebbe stato più semplice. Ma, pensai poi, non sarebbe stato corretto nei
confronti di Charlie. Feci appello a tutta la possibile forza che mi
apparteneva e replicai:
“No, in
realtà no.”
Rimase in
attesa.
“Vorrei
parlare con te, a dir la verità.”, dichiarai, sperando che la mia voce suonasse
serena quanto dovesse.
Non
nascose il suo stupore. Immaginavo che non si aspettasse che io potessi avere
l’intenzione di dirgli qualcosa. In seguito, dopo aver finalmente confessato
tutto, mi sarei chiesta che tipo di congetture si era fatto. Ma ero così
preoccupata, che quasi non me ne accorsi in quel momento.
“Con
me?”, chiese, sorpreso.
“Già. Ti
va se ci vediamo al molo?”, proruppi, sperando e allo stesso temendo che
accettasse.
Impedii a
tutti i forse che accorrevano nella mia mente di travolgermi e m’imposi di
attendere lucida la sua risposta.
“Ok”,
assentì, curioso. “ Ci incontriamo più tardi, stamattina?”
Risposi
che andava bene.
“Perfetto,
a più tardi.”, ribatté, sempre più perplesso.
“Ok.”,
risposi, non saprei dire se prevalesse il sollievo che la nostra conversazione
fosse giunta al termine, o l’ansia per il nostro incontro.
Dopo
avermi salutato, chiuse la comunicazione.
Mi
accasciai sul divano, confortata ed turbata allo stesso tempo.
Ammetto
che forse non era una buona idea presentarmi da lui e chiedergli se suo padre
avesse ucciso Anne, cercato di rubare qualcosa che apparteneva agli Elliot e
chissà quante altre cose. Ma ormai la cosa era fatta.
Distolsi
i miei pensieri da quell’incontro. Presi il quaderno e lo nascosi nel cassetto,
dopodichè mi sedetti sul divano. La mia intenzione primaria era quella di
distrarmi, ma era piuttosto difficile. Decisi che la cosa migliore da fare era
leggere qualcosa.
Mi
piaceva immergermi dei libri, andare aldilà delle righe, essere affascinata da
qualcosa di diverso dalla mia realtà. Mi rilassava e mi faceva sentire più
serena. I pensieri e le preoccupazioni che fino a poco prima mi avevano tenuta
impegnata, si dissolvevano, come se sprofondassi in sogno inviolabile.
Era il
metodo perfetto per distendere i miei nervi, che erano tesi al massimo. E poi,
leggere era una delle poche cose che, fin da piccola, mi aveva donato sicurezza
e appagamento. Nel corso della mia vita ci sarebbero state pochissime cose che
mi avrebbero reso veramente serena. Una di queste, erano sicuramente i libri.
Un’altra cosa sarebbe stata la Sorgente.
Anche se
allora non potevo saperlo, non avendolo sperimentato, conoscevo, per quella
strana capacità di leggere nel presente, una sorta di ruscello, che scorreva
limpido e gioioso in una delle tante colline del mondo di Matt. Ne avevo
parlato diffusamente nel corso della mia vecchia storia, elogiandone le
caratteristiche e la bellezza. Be’, questo corso d’acqua avrebbe avuto, su di
me, una strana influenza.
Naturalmente
anche Matt costituiva la fuga dalla mia realtà, una fuga che definirei
esaltante e paranormale. Ma non credo di poterlo annoverare tra i sogni
inviolabili. Era, ormai, qualcosa di concreto e certo, di cui non potevo più
fare a meno. I miei pensieri si volsero repentinamente verso di lui.
Molte
persone, nel corso del tempo che passai in quella città, mi avevano detto che
ero particolarmente abile nel leggere il carattere delle persone. Conoscevo nei
minimi particolari quello di Matt.
Era e
sarebbe sempre stato molto complicato. O meglio, non proprio complicato, ma
così ricco di sfumature, che era difficile coglierle tutte. I suoi occhi,
quindi suppongo con sufficiente cognizione anche il suo animo, avrebbe sempre
visto l’avvicendarsi di mutevoli e differenti emozioni. Fu questo, mi disse, a
catturarlo di me, la prima volta che c’incontrammo. Il fatto che fossi riuscita
a captare qualcosa che agli altri sfuggiva. Una varietà di sfaccettature, come
quelle di una pietra preziosa, che contraddistinguevano lui e la sua
personalità. Non che io mi ritenessi così brava. Anzi, nonostante lo
conoscessi, mi stupivo di quante cose ancora non mi fossero chiare su di lui. E
poi, delle sue origini sapevo veramente pochissimo. O meglio, non mi aveva mai
raccontato nulla di se stesso. Se possedevo qualche informazione, era solo per
la mia storia. Ecco, quello sarebbe stato il nostro principale argomento di
conversazione, prefissai, non appena avessimo avuto l’occasione di stare un po’
insieme.
Sopirai,
sorridendo.
Non ero
facile alle distrazioni, mentre mi dedicavo al mio passatempo preferito, eppure
Matt riusciva a concentrare tutte le mie riflessioni nella sua singola persona.
Ripresi
la mia storia, cercando di dedicarvi maggiore attenzione. Sprofondai nei
meandri del libro, riscoprendo il piacere che di consuetudine provavo nel
leggerlo.
Ero così
concentrata a leggere, per tenere impegnata la mia mente e scacciare momentaneamente le mie paure, che
non mi accorsi dello scorrere del tempo. Erano passate circa due ore, quando il
campanello squillò.
Sobbalzai,
presa alla sprovvista, e corsi a rispondere.
Fu quel
giorno che vidi, per la prima volta, un dolore profondo, che non sarebbe più
stato lavato via, animare il volto della
mia migliore amica.
Aperta la porta, fui salutata da Lizzy, ma non
mi parve lei. Era come se il sole, che pareva brillare sempre nel suo volto,
fosse sparito a causa di un eclissi. Non rimaneva che sperare nel suo ritorno,
pensai, preoccupata.
“Elizabeth”,
salutai, allegramente.
La
invitai ad entrare e ad accomodarsi sul divano.
Si
dichiarò felice di rivedermi e dispiaciuta che avessimo avuto così poco tempo
per stare insieme, ultimamente.
Notai che
era profondamente abbattuta ed ancora una volta mi rimproverai di aver
sottovalutato l’emozione che, a quanto pareva, l’aveva completamente travolta e
sommersa.
“Come va
con Matt, Emily?”, mi chiese, guardandomi attentamente.
La
osservai. Ma come potevo non essermi accorta di nulla? Era così palese, così
chiaro dai suoi occhi, che la passione che provava era sincera e profonda! Che
razza di amica ero?
“Tutto
bene.”, risposi, cercando di mostrarmi contenta del suo interessamento. “E tu
che mi racconti?”
Sollevò
le spalle, con aria di noncuranza.
“Nulla di
nuovo.”, replicò, calma.
Mi
accigliai, ma poi respirai a fondo.
“C’è una
cosa che vorrei dirti.”, dichiarai, cercando di selezionare le parole più
adatte.
In
realtà, quella decisione non era stata presa dopo un’attenta riflessione, come
ero solita fare. Tuttavia, mi faceva troppo male vederla così. Era
insopportabile. Dovevo, anzi, doveva tentare. Almeno, in seguito, avrebbe
potuto, a titolo di conforto, dichiarare a se stessa che l’aveva fatto. Forse
non sarebbe bastato. Ma era meglio che consumare la propria esistenza nel
dubbio. In fondo, lui aveva bisogno di una ragazza come lei.
“Credo
che dovresti dimostrare a Charlie quanto vali veramente.”, affermai, fissandola
e sperando di non farla soffrire.
Lei
rivolse il suoi occhi sui miei, perdendo definitivamente il suo sorriso.
“Ma cosa
stai dicendo? Sai che non posso piacergli, Emily. È inutile tentare.”, ribatté,
quasi arrabbiata.
Notai
quanto quell’affermazione evidenziasse il dolore, che era già tanto forte in lei
e mi si strinse il cuore.
Scossi il
capo, con tutta la decisione della quale ero capace.
“Secondo
me potresti farlo innamorare di te.”, dissi, ma poi, cercando di non farla
illudere, “Non dico che di certo ci riuscirai, ma dovresti provarci.”
Strinse
le sopracciglia, scettica.
“Credevo
che fossi d’accordo con me e pensassi che tra noi non potesse funzionare.”,
rispose severa, fissandomi come se fossi uscita di senno.
“Non
avevo valutato alcune cose.”, replicai, tranquilla.
Ed era
vero. Ero, infatti, giunta alla conclusione che lui cercasse una persona che
fosse solare e spensierata, che lavasse via quella parte di vita con la quale
non voleva avere nulla a che fare. E questo l’avevo intuito ancor prima di
venire a conoscenza della sua storia. Tuttavia mi ero sempre astenuta dall’incoraggiarla,
temendo la stessa cosa che temevo per me e Matt. Senza contare che Charlie non
avrebbe mai potuto essere completamente sincero con lei. Ma, se era quella
verità che faceva parte dei suoi ricordi, che era una parte di lui, la realtà
che l’aveva ospitata non doveva parergli così bella da volerci tornare. Forse,
se veramente avesse amato Elizabeth, che era l’unica, a parer mio, che potesse
rasserenarlo veramente, avrebbe voluto rimanere accanto a lei. Forse era
egoistico, ma era quello che speravo.
Inevitabilmente,
ed anche in maniera egocentrica, a questo punto i miei pensieri si rivolsero a
Matt. Forse, non dovevo essere così sicura che la nostra storia avrebbe retto
alla grande distanza che ci divideva. Tuttavia, quei pensieri furono subito
scacciati. Un po’, forse, perché mi abbandonai nelle speranze del presente, un
po’ perché Lizzy aveva bisogno di me.
“Non
credo che illudermi sia la cosa di cui ho bisogno, Emily.”, ribatté, seria,
cercando di mantenere il controllo di sé.
Aggrottai
le sopracciglia, con aria sorpresa ed arrabbiata.
“Elizabeth
Young!”, esclamai, alzando la voce. “Non ti riconosco più. Dov’è la mia
combattiva e determinata amica?”
Sobbalzò,
stupita dalla mia reazione.
“Sono io
quella che, tra noi due, ha il dovere di fare la melodrammatica. Io sono la
depressa della vita, tra noi due. Tu sei quella allegra, quindi regolati di
conseguenza.”, soggiunsi, lanciandole uno sguardo di fuoco.
Lei
sospirò, ma poi mi concesse un sorriso stiracchiato.
Ricambiai,
sebbene i residui della mia occhiata fulminante ancora non svanissero dai miei
occhi.
“Cosa
farei senza di te?”, chiese d’un tratto Lizzy, fissandomi.
Capii che
aveva accettato la mia proposta. Sorrisi, radiosa.
“Staresti
molto meglio! Come hai potuto sopportarmi per tanti anni, io proprio non lo
capisco …”, dichiarai, con un aria fintamente incredula.
Una
cuscinata mi prese in pieno viso, mentre la sua prima, vera risata della
giornata, unita ben presto alla mia, riecheggiò, fragorosa, fra le pareti del
mio salotto.
Respirai
a fondo quell’aria, che mi era così familiare, eppure era sempre una grande
scoperta. Di nuovo seduta sul muretto del molo, di nuovo presa dai miei
pensieri, ma questa volta in attesa di qualcuno, osservavo i riflessi dorati,
che luccicavano sulla distesa azzurrognola d’acque.
Stavo
ripensando ai pensieri del padre di Charlie, con una sorta di tristezza
inspiegabile. Avevo sempre creduto che mi dispiacesse solo per il mio amico e
per il passato che inevitabilmente l’aveva segnato, ma la verità era che mi
colpivano enormemente anche i sentimenti di suo padre. Ero sconvolta da quello
che aveva provato e da quello che doveva aver subito e, sebbene non approvassi
nessuna delle sue reazioni, me ne rammaricavo profondamente.
Una volta
Elizabeth mi aveva detto che ero troppo buona. Mi preoccupavo per tutti,
diceva, anche per chi non avrei dovuto. Ma la mia non era bontà. Anzi, ero
piuttosto egoista come persona. I miei sentimenti molto spesso erano al primo
posto e le mie esperienze erano le più importanti nella mia anima.
Una
risata alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri.
Mi
voltai, sorpresa.
Lui mi
fissava e sembrava estremamente divertito.
“Ciao,
Charlie.”, salutai, fissandolo perplessa. “Posso sapere che cosa hai da ridere?
Lui mi
lanciò uno sguardo eloquente.
“Se tu
sei egoista, Emily …”, affermò, mentre quasi si piegava in due.
Assunsi
un’aria irata. Come aveva osato fare una cosa del genere?
“Stavi
curiosando tra i miei pensieri?”, tuonai, incrociando i suoi occhi, furiosa.
Lui
distolse lo sguardo, senza perdere il suo buon umore.
“Scusa,
ero piuttosto curioso.”, spiegò lui, più calmo.
Con un
espressione di rimprovero, mi voltai, offesa.
Mi si
avvicinò e si sedette accanto a me agilmente.
“Mi
spiace”, si scusò, con aria così sincera, che immediatamente desistetti dal mio
tentativo di sembrare offesa.
Sorrisi.
Anche lui
s’illuminò, poi mi disse:
“Tutti
facciamo pensieri su noi stessi, tuttavia questo non sminuisce la nostra
bontà.”
Arrossii.
“Da
quant’è che spiavi?”, domandai,piuttosto preoccupata.
Non
poteva aver letto i pensieri che avevo formulato su suo padre, o no?
“Mi sono
perso qualcosa di rilevante?”, replicò, incurvando le sopracciglia.
Mi
rilassai, poi mi voltai verso il mare.
“In realtà,
sì. Era il motivo per cui ho voluto vederti.”, spiegai, tornando nuovamente
alla mia contemplazione sui suoi occhi.
Erano
indubbiamente molto belli, anche se, dovevo ammetterlo, facilmente avrebbero
destato timore in chi non lo conosceva. Il loro colore era così particolare,
che ne rimasi quasi affascinata. Era una sfumatura che raramente mi era
capitato di vedere. Un castano scurissimo, che andava lentamente scolorendo in
tonalità lievemente più chiare, quasi dolci e limpide. Cercai di riprendermi, ricollegandomi
al filo dei miei pensieri. Avevo una missione da compiere, ricordai
perentoriamente a me stessa.
Lui mi
fissava con un’aria tra il curioso ed il preoccupato, forse chiedendosi cosa mi
passasse per la testa. Ma non penetrò, questa volta, le mie riflessioni. Mi
diede la possibilità di schiarirmi le idee.
“Immagino
che Matt ti abbia parlato della mia sorta di visioni.”, esordii, respirando a
fondo.
Lui
annuì, perplesso.
Iniziai a
raccontare. Gli dissi, senza mai fissarlo negli occhi, di ciò che avevo
scritto, dei pensieri di suo padre, di Sarah, la ragazza che evidentemente
aveva destato il suo odio, di James, che doveva quindi essere suo zio.
Lui mi
ascoltò, senza mai tentare d’interrompermi, ma non ebbi il coraggio di
guardarlo, né di appurare come reagisse.
Quando
gli chiesi se quella era la verità, dopo averlo rassicurato che non desideravo
saperlo per forza e che era libero di non dirmi nulla, attesi.
Tra di
noi calò un silenzio, che non riuscii in alcun modo ad interrompere. Per
alcuni, interminabili minuti mille pensieri si susseguirono nella mia testa ed
io ebbi paura che la nostra amicizia fosse irrimediabilmente compromessa.
Dopo
alcuni istanti, sentii la sua mano sfiorare la mia. Sollevai lo sguardo.
Sorrideva.
“Sì,
Emily, è tutto assolutamente vero.”, affermò, senza perdere il suo sorriso, ma
anzi osservandomi con una strana espressione affettuosa.
“Ed è
vero anche che io ho desiderato Anne per moltissimo tempo e che mio padre l’ha
uccisa.”, soggiunse, accarezzandomi la guancia.
“Per questo
motivo, sono andato via.”, concluse, tranquillo. “Ma sarà meglio che ti
spieghi.”
Respirò a
fondo, mi sorrise ed aspettò che mi rilassassi, poi iniziò a raccontare:
“Non ho
mai approvato quello che mio padre fece a Sarah, ma quando lo seppi per la
prima volta, ignorai ciò che ritenevo giusto.”
Mi chiesi
per quale motivo volesse raccontarmi tutte quelle cose, proprio a me, una
ragazza che aveva conosciuto da così poco tempo. Ma poi, la curiosità
sopraffece ogni mia perplessità. Presi ad ascoltarlo, con la massima
attenzione.
“Lui mi
trattava molto bene e mi concedeva vantaggi di cui godevo apertamente. Non lo
contraddissi. Ero veramente un ragazzo sciocco, mi pavoneggiavo come un idiota,
mi credevo superiore agli altri.”
Cercai
d’interromperlo, perché notai che i suoi occhi i erano animati di una rabbia
verso se stesso insopportabile, ma lui scosse il capo.
“Va bene
che io mi senta in colpa, Emily. È giusto.”, replicò, e mi sorrise.
Poi,
senza perdere la sua espressione serena, riprese, impedendomi di parlare:
“Ciò che
mi colpì di Anne fu la sua genuina bontà. Aveva un cuore puro ed un anima
limpida e sincera. Me ne innamorai.”
Ascoltavo
rapita ogni sua parola, divisa fra il crescente interesse e la paura per il
dolore che quelle rivelazioni potevano provocare in lui.
“Quando
mio padre se ne accorse, non fece commenti. Non avevo idea di cosa avesse
l’intenzione di fare.”, continuò, piuttosto triste.
“Quando
attaccammo il palazzo di Matt, lui …, be’, la uccise.”, concluse, sospirando.
Sembrava quasi cercasse di sorvolare rapidamente su quella parola, che
evidentemente gli faceva troppo male.
“Rimasi
profondamente disgustato dalla sua azione e non potei più ignorare la sua
crudeltà. Lasciai la mia casa e partii, senza sapere neanche dove andare.”,
riprese, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
Quanto
doveva essere difficile raccontarmi quelle cose! Anche solo ricordarle sarebbe
stato deleterio, ma parlarne così, con una ragazza che aveva appena incontrato
… Ma pendevo letteralmente dalle sue labbra e non riuscivo ad interrompere il
flusso delle sue parole.
“Nello
stesso periodo Matt si allontanò dal suo palazzo, perché credo che lì i ricordi
fossero troppo difficili da sopportare. Dopo poco tempo c’incontrammo.”,
affermò, guardandomi attentamente, quasi aspettandosi di vedermi inorridire per
i suoi errori.
Ma in
fondo lui non aveva nessuna colpa. In fondo, si era solo innamorato di una
ragazza. Qualcun altro si era macchiato di quella colpa gravissima. No, lui non
aveva fatto nulla.
Lui mi
sorrise.
“Anche se
sapeva che ero la causa della morte di lei, lui non se ne curò. Divenimmo
amici. Non so come in realtà, considerando che avrebbe potuto benissimo
odiarmi. Tornai a casa con lui e da allora siamo molto uniti. Non ho mai più
conosciuto qualcuno così buono.”, concluse, illuminandosi.
Impiegai
alcuni istanti per riprendermi dalle informazioni ricevute e non mi accorsi
delle lacrime che mi colavano sul viso, ormai da un po’.
Quelle
parole, quella confessione, gravida dei più penosi sentimenti, era così dura,
da provare anche la mia anima, sebbene io fossi estranea alla faccenda.
Lui
corrugò la fronte.
“Ehi, non
fare così.”, m’incitò, asciugandomi il volto.
Abbozzai
una smorfia, ma lui non parve soddisfatto.
“Scusami.”,
balbettai, cercando di riprendere il controllo di me.
Lui
scosse il capo, poi, cogliendomi decisamente di sorpresa, mi abbracciò.
Rimasi
immobile, serrata tra le sue braccia.
Aveva un
profumo intenso e dolce, una fragranza familiare e vicina, che mi travolse.
Chiusi gli occhi e mi appoggiai alla sua spalla. Mi pareva fosse uno sponda
familiare, un approdo sicuro. Qualcosa cominciò a martellarmi nel petto e,
quando si staccò da me, poco dopo, una sorta di senso di perdita si diffuse nel
mio cuore. Non volevo lasciarlo.
“Perdonami.”,
si scusò. “Non voglio sembrarti inopportuno. Solo mi dispiaceva di vederti
così.”
Cercai si
sorridere e poi, non senza una certa difficoltà, dissi: “Grazie.”
I suoi
occhi s’illuminarono. Assumevano una bellezza straordinaria, quando erano
sereni. Avvertii nel mio cuore un moto di affetto, che sarebbe stato una delle
prime avvisaglie del rapporto che sempre mi avrebbe legato a Charlie.
“Non è
stata colpa tua.”, dichiarai, un po’ più decisa.
Si limitò
ad annuire, ma sapevo che non mi credeva.
Stavo per
riprendere la mia sequela di ragionamenti, per cercare di persuaderlo, ma lui
me lo impedì.
“Ascolta,
Emily. Sarebbe meglio che non dicessi a Matt delle tua visione.”, asserì,
questa volta con un aria seria.
Corrugai
la fronte.
“Perché?”,
domandai, stupita.
Lui parve
irrigidirsi leggermente.
“Si
preoccuperebbe troppo. Ti prometto che cercherò io di scoprire qualcosa di più
su questa storia. Magari riuscirò anche a capire perché hai questo tipo di
apparizioni.”, annunciò, studiandomi.
Non mi
convinse. Non era certo quello il vero motivo per cui voleva il mio silenzio.
Ma , guardando il suo sguardo sincero, i suoi occhi quasi supplicanti, annuii.
Sentivo che era giusto che lo facessi, anche se non capivo perché.
Sorrisi
alla sua espressione più tranquilla e mi appoggiai a lui, chiedendomi quante
cose ancora non sapessi.
Ma poi,
il peso delle rivelazioni di quel pomeriggio si riaffacciò nella mia mente ed
allora mi convinsi che forse, forse non volevo sapere null’altro.
Un ciao speciale a tutti quelli che seguono
questa ff!
In questo cap., per la gioia della mia BT,
si parla di Charlie. Un Charlie per la prima volta completamente se stesso, un
Charlie che rivela la verità. O, almeno, parte di essa. Emily si sta lentamente
accorgendo che le cose si possono complicare in modo imprevisto, che c’è un
legame più forte fra lei e l’oscurità. Non le rimane che capire quale …
Spero davvero di non aver deluso i miei
lettori, che ringrazio immensamente per la loro pazienza. E adesso, invece di
chiacchierare troppo, vado a rispondere alla recensioni.
Padme Undomiel: Ti ringrazio tantissimo per
i tuoi commenti positivi. Sono contenta che il mio stile risulti scorrevole e che
i capitoli sappiano catturare l’attenzione. Mi sono impegnata molto per
raggiungere questo traguardo. Spero che questo cap. ti piaccia quanto il
precedente e che la mia distrazione in fatto di virgole non sia così evidente.
Grazie ancora per i tuoi continui
incoraggiamenti! Tvtttb
Mistery Anakin: Sono felice di averti
coinvolta con la prima parte del mio 10 cap e spero che questo non sia da meno.
Ti ringrazio per i commenti positivi che hai fatto sul mio stile, perché sono davvero
molto importanti per me e ti sono anche immensamente grata perché continui a
seguire la mia storia!XD XD Alla prossima! Tvtttb
Un ciao speciale a tutti quelli che
leggeranno questo cap!XD
Shine