Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Shine     13/09/2009    2 recensioni
Spesso si ha la convinzione che il destino non esiste, perchè la vita è quasi sempre condizionata dalle nostre scelte. Tuttavia, esistono delle forze sovrannaturali che sono in grado di controllare determinate situazioni. Per esempio, in un'estate che si prospetta calda e afosa come sempre, può succedere qualcosa che modifichi l'esistenza di una diciottenne come tante. Può presentarsi un'occasione così improvvisa e di tale portata da sconvolgere le basi delle più profonde convinzioni umane. Perchè è solo il destino che ci fa sapere che esiste qualcos'altro, al di là del cielo...
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Beyond the sky (cap II)

11

Beyond the sky (capitolo II)

Aprii gli occhi, sbattendo lentamente le palpebre. La mia camera era buia e silenziosa, ma i miei occhi non erano restii all’oscurità. Mi guardai intorno, con la vaga sensazione che fosse successo qualcosa di strano.

Frammenti di quello che doveva essere stato un sogno mi balenavano, veloci, nella mente, senza che io potessi creare un nesso logico fra di essi. Tuttavia, provavo una sorta d’ansia inspiegabile ed anche un’assurda paura nel rivederli.

Mi riscossi, muovendo appena il capo, nel tentativo di cancellare quei residui di una notte agitata, e tentai di alzarmi dal letto.

La mia mano si posò, inavvertitamente, su qualcosa che era abbandonato, accanto a me, fra le lenzuola.

L’avvicinai a me, sorpresa.

Era un quaderno.

Cosa ci faceva sulla mia coperta?

C’era decisamente qualcosa di strano.

Scivolai piano fuori dalle coperte ed infilai le pantofole. Dopo aver aperto con delicatezza la porta, sbattendo le palpebre per l’improvvisa luce che proveniva dal corridoio, mi diressi nel salotto.

Il quaderno era aperto sulla terza pagina e le sue righe erano ricoperti di una grafia minuta e stretta, che mi era alquanto familiare. Non ricordavo, però, di aver ricominciato a scrivere, e non avevo idea di cosa fosse narrato in quelle parole.

Presi il latte e, dopo averlo riscaldato, me ne versai un bicchiere.

Seduta sul divano, sorseggiando con calma la mia colazione, mi accinsi a leggere dalla prima pagina, sperando di trovare una spiegazione alle stranezze di quella mattina.

 

La pianura si stendeva vasta e brulla, fino ad un confine, tracciato da imponenti montagne grigie e lontane, dalle cime perennemente ghiacciate. Il vento spirava lento e diffondeva nell’aria l’odore di terra smossa, sferzando con la sua intensità ogni cosa incontrasse sul suo cammino. Il panorama era immutato e si estendeva per miglia e miglia, senza un suono a rompere la sua pace, senza un respiro a dare un aspetto verosimile a quel luogo. Tutto era spento e gelido e nell’aria si avvertiva una certa, insensata tensione, che era percepibile ad ogni passo.

Non c’erano alberi, non c’erano boschi, non c’era un raggio di sole né l’invisibile pigolio di un uccello. Non c’era erba, né la rugiada che troppo spesso la ricopriva, non c’era il tramestio di passi, il quieto rumore naturale, il gioco perenne di ombre e di luci. Solo un’immensa valle, senza vita.

Un imponente castello si stagliava all’orizzonte, visibile dall’altro capo della landa, con i suoi torrioni alti e sinistri, con le sue ombre e con il suo cupo silenzio. Le pareti, ampie ed altissime, erano di basalto nero, come le finestre, le cui vetrate lasciavano intravedere appena l’interno, buio e tetro. Il palazzo era enorme, doveva avere più di un migliaio di stanze, eppure nulla lasciava presagire che ci fosse una qualche presenza al suo interno. Un silenzio quasi spettrale, una calma innaturale.

La scelta di quel luogo, per la collocazione della sua dimora, era dovuta ad un certo capriccio sentimentale, se così si poteva definire. Naturalmente aveva considerato anche le ragioni pratiche, l’utilità di una zona di confine, la favorevole barriera che la separava da Eraia, creata da quelle cime maestose ed invalicabili. Eppure, doveva ammettere a se stesso che non l’aveva designata come posto perfetto  per il suo regno, così detto almeno dagli altri, solamente per quei motivi. La verità era che, quello che ora era diventato Darkland, le ricordava lei.

Si chiedeva come facessero gli abitanti di Eraia a considerarlo un tiranno. In fondo lui non imponeva il suo dominio su nessuno. Quel luogo era spoglio e privo di ogni forma di vita. Ad abitarlo erano solo lui, i suoi figli e qualche servitore, che aveva scelto liberamente di seguirlo. Magari perché disperato, ma in ogni caso lui non aveva costretto nessuno.

Eppure persistevano a reputarlo uno dei più dispotici signori, un malvagio, un orribile individuo.

Rise fragorosamente.

La gente poteva essere davvero ottusa, talvolta. Ma a lui non interessava affatto. Aveva in ogni caso raggiunto il suo scopo. Ogni persona, ogni singolo individuo di quel mondo aldilà del cielo lo odiava. Con tutto l’ardore, con tutta l’intensità che quell’emozione poteva avere. Tutti.

O meglio, pensò, questa volta  con rabbia, tutti tranne uno.

 

Sollevai gli occhi, perplessa. Più leggevo, meno capivo. Non ricordavo affatto di aver scritto qualcosa del genere, né di aver mai preso in mano la penna, in realtà. Non riconoscevo i luoghi, che pur avevo descritto così minuziosamente, né la persona a cui appartenevano le considerazioni che avevo espresso.

Sentivo solo che tutta quella storia aveva a che fare con la mia strana dote di vedere il presente. Perché era quello che avevo fatto, due anni prima. Avevo scritto pagine e pagine di un racconto, che si era rivelato poi veritiero.

Seguitai a valutare ogni possibilità, nello sconcerto più totale, finché il mio sguardo cadde di nuovo sul foglio.

C’era il nome di Matt.

Corrugai la fronte e ripresi la mia lettura.

 

Matthew Elliot.

 Come poteva quel ragazzo non provare rancore nei suoi confronti? Proprio verso di lui. Che si era macchiato di una colpa che ai suoi occhi doveva parere imperdonabile. Eppure, lo avvertiva, non odiava.. Né lui, né nessun altro.

Era una cosa piuttosto frustante.

Era l’unica cosa che non era perfetta nel suo piano.

Rise, divertito.

Il figlio di Edward era stato molto perspicace.

Sebbene suo padre non glielo avesse detto, sembrava aver capito. Quasi ogni cosa.

Gli era chiaro che lui non lo faceva per potere, né per ricchezza. Non voleva Eraia e, se aveva cercato di strappare dalle mani della sua famiglia il potere che custodiva, l’avevo fatto per un motivo più che sensato.

Ecco, quella era l’unica cosa che gli sfuggiva.

Si chiedeva cosa desiderasse.

Non poteva sapere.

Un sorriso amaro affiorò sulle sue labbra, incurvandosi sulle guance pallide e gelide, mentre i suoi occhi, neri come solo una notte senza stelle poteva essere, si animavano di una sorta di nostalgia mal celata.

Ogni cosa di lei era limpida nella sua memoria. Ogni piccolo dettaglio era vivido in quell’angolo recondito della sua mente ed ognuno di essi sembrava non volerlo mai abbandonare. Il suo corpo perfetto, le sue forme fluenti, la sua camminata aggraziata, il suo viso splendente, i suoi capelli ramati, che le ricadevano, come morbide onde, sulle spalle, i suoi occhi color smeraldo.

Lei riviveva in quei luoghi, attraverso i suoi pensieri, correva su quelle rocce, una volte brillanti sotto il sole d’estate, si rotolava nei campi di ginestre e di gigli, che avevano riempito quella landa deserta e desolata, rideva, con la sua risata cristallina, bella e luminosa come il sole, magica e dolce come la luna.

Lei non se ne era mai andata da lì. Abitava quelle colline, quella piana così vasta, qual castello …

Respirò a fondo.

Sarah Hall riviveva nello sguardo del figlio, che tante volte si era posato su di lui, dapprima con un rispetto abituale, poi con un disprezzo sempre più intenso, con un crescente disgusto, con una manifesta incredulità.

La rabbia e il profondo dolore per quello che aveva scoperto, per quello che credeva di aver provocato, gli agitava ancora l’animo, lui lo sapeva. Aveva scelto di andare via di lì, eppure sapeva che non sarebbe riuscito a sfuggire alla sua angoscia. Al suo senso di colpa.

Ma la cosa che più lo tormentava, era che una parte di lui soffriva per ciò che suo figlio stava provando.

Ecco, quello era stato uno dei suoi più grossi errori.

Lui aveva amato Sarah. Ed aveva amato Charlie. Lo aveva amato così tanto da …

Rise ancora, mentre rivedeva gli occhi, che tanto erano simili ai suoi, di suo figlio, che si congelavano in un profondo ed insopprimibile dolore.

Charlie si era innamorato quasi di un angelo. Era la ragazza più pura che avesse mai visto, dopo Sarah. Quegli occhi azzurri innocenti, quei capelli biondi, come il grano maturo, che fioriva nei campi d’estate, quel viso limpido e sincero.

Ma lei non amava suo figlio.

E Sarah non amava lui.

I suoi occhi dardeggiarono attorno, crudeli.

L’aveva uccisa, senza provare un briciolo di rimorso.

Charlie non doveva vivere in una speranza non corrisposta, in un perenne desiderio, per sempre unilaterale.

Anne aveva scelto Matt. Ed aveva pagato.

Suo figlio se ne sarebbe fatto una ragione.

Ma l’amore di Charlie non era profondo come quello che lui aveva provato. Che tuttora provava. Che lo consumava da sempre.

Sarah era stata l’immagine di ogni sua più piccola brama. Ogni briciolo dei suoi sentimenti. Gli aveva dato tutto. Donato tutto ciò che possedeva. La sua anima, il suo cuore.

E lei aveva scelto un altro.

Aveva scelto suo fratello.

Aveva scelto James.

Scosse il capo, come per allontanare il grande desiderio che gli ardeva dentro.

Ecco quello che voleva.

Voleva lei.

E, visto che non poteva più averla, si sarebbe preso la cosa più preziosa che Sarah avesse mai posseduto.

Avrebbe avuto il suo amore, i suoi sentimenti, il suo corpo.

Anche se, pensò, divertito, almeno quello Sarah gliel’aveva concesso. Non certo di sua spontanea volontà, ma l’aveva fatto.

Rise sguaiatamente e l’eco riecheggiò tra le pareti del castello, terribile come nessun altro poteva esserlo.

 

Nuovamente alzai lo sguardo da quei fogli, ma questa volta un tipo ben diverso di stupore si celava dietro l’espressione del mio viso.

I miei occhi si posarono sulle pareti del mio salotto, così consuete e familiari, come spaesati. Possibile che tutto quello fosse vero?

Respirai a fondo, cercando d’impormi un certo autocontrollo. Quando mi parve di esserci riuscita, posai il quaderno sul tavolo e rivalutai attentamente e con più lucidità ogni cosa.

Matt mi aveva detto che non riusciva a spiegarsi come mai avessi avuto quel tipo di visioni, due anni prima. Mi aveva raccontato che non erano, in genere, frutto d’un incantesimo preciso, ma legate a qualche vincolo magico. In ogni caso, mi aveva assicurato che avrebbe cercato di capirci qualcosa in più. Sebbene molto curiosa di scoprire a cosa dovessi quella strana dote, che evidentemente possedevo, non mi ero soffermata ad indugiare in quel particolare. La mia prerogativa era stata sicuramente quella di godere ogni attimo passato in sua compagnia, che mi sembrava indispensabile, come lo era la luce della nostra stella, che ogni giorno tingeva di allegre tonalità il mondo, che colorava gli inizi di ogni giorno, che si accomiatava da noi, sfumando il cielo d’arancio.

Eppure, adesso era fondamentale che io arrivassi ad una qualche conclusione su quel punto.

Da quello che avevo capito dalle mie parole, che evidentemente avevo scritto inconsapevolmente, colui che aveva fatto quei commenti così amari era l’individuo che avevo, con tutte le mie forze, condannato aspramente nella mia precedente storia. Non avevo mai analizzato la sua personalità e mi chiesi in quale modo riuscissi a leggerne i pensieri. Non mi sfiorò mai il pensiero che fossero solo frutto della mia immaginazione. Forse perché intuivo la verità, forse per la mia precedente esperienza. Sinceramente, non saprei dirlo.

Ma, abbandonato ben presto quell’interrogativo, iniziai a pormene un altro. Charlie era suo figlio?

Ricordando i suoi occhi, ogni dubbio fu dissipato.

Ora comprendevo le ragioni del suo senso di colpa. Ora capivo come doveva sentirsi, qual era il peso che doveva sopportare. Era terribile, e mi rimproverai per aver provato una sorta di rabbia nei suoi confronti, dopo le sue risposte enigmatiche dell’ultima volta. Ora avvertivo la complessità di quelle che dovevano essere le sue riflessioni, la confusione che doveva ravvivarle.

Sospirai piano, cercando di riprendere il filo che mi aveva condotto fin lì, nella speranza di trarne conclusioni quantomeno accettabili.

Io ero stata in grado di percepire e di mettere su carta quegli che erano i sentimenti di suo padre. Questo era, in buona sostanza, ciò che mi era accaduto.

Ero abbastanza certa che fossero veritieri, ma decisi che dovevo in qualche modo confermare la mia tesi.

Alzai lo sguardo, cercando un briciolo di tranquillità tra le mie mille sensazioni.

Rivolsi i miei occhi sul quaderno, fissandone la copertina, come catturata dai suoi banali motivi geometrici.

Poi, presa la penna che gli era accanto, con tratti veloci, scrissi, sulla prima pagina …

… Beyond the Sky, capitolo II.

 

 

Marciai avanti e indietro per la stanza, non so per quanto tempo, ma non riuscivo a decidermi. Quasi imponevo ad una parte di me di chiedersi se quello che avevo scritto fosse reale, nella speranza che quelle orribili rivelazioni fossero in realtà frutto solo di una mia inconscia fantasia. Ma sembrava che lo sguardo di Charlie tornasse a perseguitarmi, ogniqualvolta esprimessi quel desiderio. I suoi occhi, così scuri, così enigmatici, così simili ai suoi …

Avevo paura di parlargli. E se l’avesse preso come un intervento fuori luogo? E se non avesse più voluto rivolgermi la parola, considerandomi inopportuna?

Ma perché doveva essere tutto così complicato?

Mi appoggiai al davanzale della finestra, sospirando.

Si prospettava una mattina afosa. Nonostante fosse molto presto, nell’aria già si avvertiva il calore, ed il sole ardeva nel cielo, infiammandolo con la sua luce. Le striature bionde rilucevano brillanti, creando un piacevole contrasto con l’azzurro soffuso dell’immensa distesa di sfumature cerulee. Quando ero piccola, mi ero sempre chiesta quale fosse la consistenza del cielo. Mi chiedevo come potesse avere così tante e così belle tonalità, come potesse essere sempre così diverso e così magico. E la cosa più curiosa era che, nel corso della mia infanzia ma anche per buona parte della mia adolescenza, avevo sempre creduto che ci fosse qualcosa nell’universo, aldilà del limpido celeste, dell’intenso azzurro, dell’imperscrutabile blu, che io non conoscevo.

Ecco, o era stato intuito perfetto o fantasia abbastanza realista.

Sospirai, cercando di trovare un briciolo di calma. Con lo sguardo fisso verso l’alto, composi un numero sul telefono, sperando che fosse la scelta giusta.

Uno squillo.

Il cuore cominciò a battermi all’impazzata. E se non avesse voluto ascoltarmi? Se si fosse arrabbiato perché m’intromettevo nei fatti suoi?

Secondo squillo.

Ma cosa stavo dicendo? Di certo non mi avrebbe ucciso! Anche se era suo figlio, figlio di una persona che provava un odio così profondo e forte, non voleva dire che Charlie fosse come lui. L’avevo conosciuto come un ragazzo sempre allegro e sorridente, che era riuscito, in ogni occasione, a rendermi serena. Ed anche se l’altra volta era stato criptico, non potevo sicuramente …

Terzo squillo.

Forse non avrebbe mai risposto. Forse mi stavo facendo domande per nulla. Forse, mi stavo tormentando senza motivo. Forse …

Ma non feci in tempo ad elencarne altri.

“Pronto?”, chiese una voce, dall’altro capo del cellulare, facendomi sobbalzare.

Respirai a fondo.

“Ciao, Charlie!”, salutai, piano.

Parve sorpreso e per un istante non disse nulla.

“Ciao, Emily.”, rispose. Sembrava abbastanza tranquillo.

Spinsi me stessa ad assumere un tono sufficientemente pacato, ma la mia agitazione era al culmine. Avevo scoperto, mio malgrado, qualcosa che faceva parte dell’angolo più recondito della sua anima, della realtà più difficile del suo passato, che probabilmente non avrebbe mai voluto far sapere. Mi sentii egocentrica con le mille domande che volevo porgli, con la mia egoistica curiosità, con il mio desiderio di interrompere i tanti interrogativi che mi tempestavano. Ma non era da me fingere con lui. Non potevo essere così ipocrita, perché lo consideravo un amico. E, ad un amico, si deve tutta la propria sincerità.

“Come va?”, domandai, cercando di modulare la mia voce e cercare le parole più giuste per formulargli la mia richiesta.

“Bene.”, rispose, suonando un po’ stupito. “Vuoi parlare con Matt, Emily?”

Sospirai. Matt. Forse potevo prendere in considerazione la possibilità di domandarlo a lui. Sarebbe stato più semplice. Ma, pensai poi, non sarebbe stato corretto nei confronti di Charlie. Feci appello a tutta la possibile forza che mi apparteneva e replicai:

“No, in realtà no.”

Rimase in attesa.

“Vorrei parlare con te, a dir la verità.”, dichiarai, sperando che la mia voce suonasse serena quanto dovesse.

Non nascose il suo stupore. Immaginavo che non si aspettasse che io potessi avere l’intenzione di dirgli qualcosa. In seguito, dopo aver finalmente confessato tutto, mi sarei chiesta che tipo di congetture si era fatto. Ma ero così preoccupata, che quasi non me ne accorsi in quel momento.

“Con me?”, chiese, sorpreso.

“Già. Ti va se ci vediamo al molo?”, proruppi, sperando e allo stesso temendo che accettasse.

Impedii a tutti i forse che accorrevano nella mia mente di travolgermi e m’imposi di attendere lucida la sua risposta.

“Ok”, assentì, curioso. “ Ci incontriamo più tardi, stamattina?”

Risposi che andava bene.

“Perfetto, a più tardi.”, ribatté, sempre più perplesso.

“Ok.”, risposi, non saprei dire se prevalesse il sollievo che la nostra conversazione fosse giunta al termine, o l’ansia per il nostro incontro.

Dopo avermi salutato, chiuse la comunicazione.

Mi accasciai sul divano, confortata ed turbata allo stesso tempo.

Ammetto che forse non era una buona idea presentarmi da lui e chiedergli se suo padre avesse ucciso Anne, cercato di rubare qualcosa che apparteneva agli Elliot e chissà quante altre cose. Ma ormai la cosa era fatta.

Distolsi i miei pensieri da quell’incontro. Presi il quaderno e lo nascosi nel cassetto, dopodichè mi sedetti sul divano. La mia intenzione primaria era quella di distrarmi, ma era piuttosto difficile. Decisi che la cosa migliore da fare era leggere qualcosa.

Mi piaceva immergermi dei libri, andare aldilà delle righe, essere affascinata da qualcosa di diverso dalla mia realtà. Mi rilassava e mi faceva sentire più serena. I pensieri e le preoccupazioni che fino a poco prima mi avevano tenuta impegnata, si dissolvevano, come se sprofondassi in sogno inviolabile.

Era il metodo perfetto per distendere i miei nervi, che erano tesi al massimo. E poi, leggere era una delle poche cose che, fin da piccola, mi aveva donato sicurezza e appagamento. Nel corso della mia vita ci sarebbero state pochissime cose che mi avrebbero reso veramente serena. Una di queste, erano sicuramente i libri. Un’altra cosa sarebbe stata la Sorgente.

Anche se allora non potevo saperlo, non avendolo sperimentato, conoscevo, per quella strana capacità di leggere nel presente, una sorta di ruscello, che scorreva limpido e gioioso in una delle tante colline del mondo di Matt. Ne avevo parlato diffusamente nel corso della mia vecchia storia, elogiandone le caratteristiche e la bellezza. Be’, questo corso d’acqua avrebbe avuto, su di me, una strana influenza.

Naturalmente anche Matt costituiva la fuga dalla mia realtà, una fuga che definirei esaltante e paranormale. Ma non credo di poterlo annoverare tra i sogni inviolabili. Era, ormai, qualcosa di concreto e certo, di cui non potevo più fare a meno. I miei pensieri si volsero repentinamente verso di lui.

Molte persone, nel corso del tempo che passai in quella città, mi avevano detto che ero particolarmente abile nel leggere il carattere delle persone. Conoscevo nei minimi particolari quello di Matt.

Era e sarebbe sempre stato molto complicato. O meglio, non proprio complicato, ma così ricco di sfumature, che era difficile coglierle tutte. I suoi occhi, quindi suppongo con sufficiente cognizione anche il suo animo, avrebbe sempre visto l’avvicendarsi di mutevoli e differenti emozioni. Fu questo, mi disse, a catturarlo di me, la prima volta che c’incontrammo. Il fatto che fossi riuscita a captare qualcosa che agli altri sfuggiva. Una varietà di sfaccettature, come quelle di una pietra preziosa, che contraddistinguevano lui e la sua personalità. Non che io mi ritenessi così brava. Anzi, nonostante lo conoscessi, mi stupivo di quante cose ancora non mi fossero chiare su di lui. E poi, delle sue origini sapevo veramente pochissimo. O meglio, non mi aveva mai raccontato nulla di se stesso. Se possedevo qualche informazione, era solo per la mia storia. Ecco, quello sarebbe stato il nostro principale argomento di conversazione, prefissai, non appena avessimo avuto l’occasione di stare un po’ insieme.

Sopirai, sorridendo.

Non ero facile alle distrazioni, mentre mi dedicavo al mio passatempo preferito, eppure Matt riusciva a concentrare tutte le mie riflessioni nella sua singola persona.

Ripresi la mia storia, cercando di dedicarvi maggiore attenzione. Sprofondai nei meandri del libro, riscoprendo il piacere che di consuetudine provavo nel leggerlo.

Ero così concentrata a leggere, per tenere impegnata la mia mente  e scacciare momentaneamente le mie paure, che non mi accorsi dello scorrere del tempo. Erano passate circa due ore, quando il campanello squillò.

Sobbalzai, presa alla sprovvista, e corsi a rispondere.

Fu quel giorno che vidi, per la prima volta, un dolore profondo, che non sarebbe più stato lavato via, animare il  volto della mia migliore amica.

 Aperta la porta, fui salutata da Lizzy, ma non mi parve lei. Era come se il sole, che pareva brillare sempre nel suo volto, fosse sparito a causa di un eclissi. Non rimaneva che sperare nel suo ritorno, pensai, preoccupata.

“Elizabeth”, salutai, allegramente.

La invitai ad entrare e ad accomodarsi sul divano.

Si dichiarò felice di rivedermi e dispiaciuta che avessimo avuto così poco tempo per stare insieme, ultimamente.

Notai che era profondamente abbattuta ed ancora una volta mi rimproverai di aver sottovalutato l’emozione che, a quanto pareva, l’aveva completamente travolta e sommersa.

“Come va con Matt, Emily?”, mi chiese, guardandomi attentamente.

La osservai. Ma come potevo non essermi accorta di nulla? Era così palese, così chiaro dai suoi occhi, che la passione che provava era sincera e profonda! Che razza di amica ero?

“Tutto bene.”, risposi, cercando di mostrarmi contenta del suo interessamento. “E tu che mi racconti?”

Sollevò le spalle, con aria di noncuranza.

“Nulla di nuovo.”, replicò, calma.

Mi accigliai, ma poi respirai a fondo.

“C’è una cosa che vorrei dirti.”, dichiarai, cercando di selezionare le parole più adatte.

In realtà, quella decisione non era stata presa dopo un’attenta riflessione, come ero solita fare. Tuttavia, mi faceva troppo male vederla così. Era insopportabile. Dovevo, anzi, doveva tentare. Almeno, in seguito, avrebbe potuto, a titolo di conforto, dichiarare a se stessa che l’aveva fatto. Forse non sarebbe bastato. Ma era meglio che consumare la propria esistenza nel dubbio. In fondo, lui aveva bisogno di una ragazza come lei.

“Credo che dovresti dimostrare a Charlie quanto vali veramente.”, affermai, fissandola e sperando di non farla soffrire.

Lei rivolse il suoi occhi sui miei, perdendo definitivamente il suo sorriso.

“Ma cosa stai dicendo? Sai che non posso piacergli, Emily. È inutile tentare.”, ribatté, quasi arrabbiata.

Notai quanto quell’affermazione evidenziasse il dolore, che era già tanto forte in lei e mi si strinse il cuore.

Scossi il capo, con tutta la decisione della quale ero capace.

“Secondo me potresti farlo innamorare di te.”, dissi, ma poi, cercando di non farla illudere, “Non dico che di certo ci riuscirai, ma dovresti provarci.”

Strinse le sopracciglia, scettica.

“Credevo che fossi d’accordo con me e pensassi che tra noi non potesse funzionare.”, rispose severa, fissandomi come se fossi uscita di senno.

“Non avevo valutato alcune cose.”, replicai, tranquilla.

Ed era vero. Ero, infatti, giunta alla conclusione che lui cercasse una persona che fosse solare e spensierata, che lavasse via quella parte di vita con la quale non voleva avere nulla a che fare. E questo l’avevo intuito ancor prima di venire a conoscenza della sua storia. Tuttavia mi ero sempre astenuta dall’incoraggiarla, temendo la stessa cosa che temevo per me e Matt. Senza contare che Charlie non avrebbe mai potuto essere completamente sincero con lei. Ma, se era quella verità che faceva parte dei suoi ricordi, che era una parte di lui, la realtà che l’aveva ospitata non doveva parergli così bella da volerci tornare. Forse, se veramente avesse amato Elizabeth, che era l’unica, a parer mio, che potesse rasserenarlo veramente, avrebbe voluto rimanere accanto a lei. Forse era egoistico, ma era quello che speravo.

Inevitabilmente, ed anche in maniera egocentrica, a questo punto i miei pensieri si rivolsero a Matt. Forse, non dovevo essere così sicura che la nostra storia avrebbe retto alla grande distanza che ci divideva. Tuttavia, quei pensieri furono subito scacciati. Un po’, forse, perché mi abbandonai nelle speranze del presente, un po’ perché Lizzy aveva bisogno di me.

“Non credo che illudermi sia la cosa di cui ho bisogno, Emily.”, ribatté, seria, cercando di mantenere il controllo di sé.

Aggrottai le sopracciglia, con aria sorpresa ed arrabbiata.

“Elizabeth Young!”, esclamai, alzando la voce. “Non ti riconosco più. Dov’è la mia combattiva e determinata amica?”

Sobbalzò, stupita dalla mia reazione.

“Sono io quella che, tra noi due, ha il dovere di fare la melodrammatica. Io sono la depressa della vita, tra noi due. Tu sei quella allegra, quindi regolati di conseguenza.”, soggiunsi, lanciandole uno sguardo di fuoco.

Lei sospirò, ma poi mi concesse un sorriso stiracchiato.

Ricambiai, sebbene i residui della mia occhiata fulminante ancora non svanissero dai miei occhi.

“Cosa farei senza di te?”, chiese d’un tratto Lizzy, fissandomi.

Capii che aveva accettato la mia proposta. Sorrisi, radiosa.

“Staresti molto meglio! Come hai potuto sopportarmi per tanti anni, io proprio non lo capisco …”, dichiarai, con un aria fintamente incredula.

Una cuscinata mi prese in pieno viso, mentre la sua prima, vera risata della giornata, unita ben presto alla mia, riecheggiò, fragorosa, fra le pareti del mio salotto.

 

 

Respirai a fondo quell’aria, che mi era così familiare, eppure era sempre una grande scoperta. Di nuovo seduta sul muretto del molo, di nuovo presa dai miei pensieri, ma questa volta in attesa di qualcuno, osservavo i riflessi dorati, che luccicavano sulla distesa azzurrognola d’acque.

Stavo ripensando ai pensieri del padre di Charlie, con una sorta di tristezza inspiegabile. Avevo sempre creduto che mi dispiacesse solo per il mio amico e per il passato che inevitabilmente l’aveva segnato, ma la verità era che mi colpivano enormemente anche i sentimenti di suo padre. Ero sconvolta da quello che aveva provato e da quello che doveva aver subito e, sebbene non approvassi nessuna delle sue reazioni, me ne rammaricavo profondamente.

Una volta Elizabeth mi aveva detto che ero troppo buona. Mi preoccupavo per tutti, diceva, anche per chi non avrei dovuto. Ma la mia non era bontà. Anzi, ero piuttosto egoista come persona. I miei sentimenti molto spesso erano al primo posto e le mie esperienze erano le più importanti nella mia anima.

Una risata alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri.

Mi voltai, sorpresa.

Lui mi fissava e sembrava estremamente divertito.

“Ciao, Charlie.”, salutai, fissandolo perplessa. “Posso sapere che cosa hai da ridere?

Lui mi lanciò uno sguardo eloquente.

“Se tu sei egoista, Emily …”, affermò, mentre quasi si piegava in due.

Assunsi un’aria irata. Come aveva osato fare una cosa del genere?

“Stavi curiosando tra i miei pensieri?”, tuonai, incrociando i suoi occhi,  furiosa.

Lui distolse lo sguardo, senza perdere il suo buon umore.

“Scusa, ero piuttosto curioso.”, spiegò lui, più calmo.

Con un espressione di rimprovero, mi voltai, offesa.

Mi si avvicinò e si sedette accanto a me agilmente.

“Mi spiace”, si scusò, con aria così sincera, che immediatamente desistetti dal mio tentativo di sembrare offesa.

Sorrisi.

Anche lui s’illuminò, poi mi disse:

“Tutti facciamo pensieri su noi stessi, tuttavia questo non sminuisce la nostra bontà.”

Arrossii.

“Da quant’è che spiavi?”, domandai,piuttosto preoccupata.

Non poteva aver letto i pensieri che avevo formulato su suo padre, o no?

“Mi sono perso qualcosa di rilevante?”, replicò, incurvando le sopracciglia.

Mi rilassai, poi mi voltai verso il mare.

“In realtà, sì. Era il motivo per cui ho voluto vederti.”, spiegai, tornando nuovamente alla mia contemplazione sui suoi occhi.

Erano indubbiamente molto belli, anche se, dovevo ammetterlo, facilmente avrebbero destato timore in chi non lo conosceva. Il loro colore era così particolare, che ne rimasi quasi affascinata. Era una sfumatura che raramente mi era capitato di vedere. Un castano scurissimo, che andava lentamente scolorendo in tonalità lievemente più chiare, quasi dolci e limpide. Cercai di riprendermi, ricollegandomi al filo dei miei pensieri. Avevo una missione da compiere, ricordai perentoriamente a me stessa.

Lui mi fissava con un’aria tra il curioso ed il preoccupato, forse chiedendosi cosa mi passasse per la testa. Ma non penetrò, questa volta, le mie riflessioni. Mi diede la possibilità di schiarirmi le idee.

“Immagino che Matt ti abbia parlato della mia sorta di visioni.”, esordii, respirando a fondo.

Lui annuì, perplesso.

Iniziai a raccontare. Gli dissi, senza mai fissarlo negli occhi, di ciò che avevo scritto, dei pensieri di suo padre, di Sarah, la ragazza che evidentemente aveva destato il suo odio, di James, che doveva quindi essere suo zio.

Lui mi ascoltò, senza mai tentare d’interrompermi, ma non ebbi il coraggio di guardarlo, né di appurare come reagisse.

Quando gli chiesi se quella era la verità, dopo averlo rassicurato che non desideravo saperlo per forza e che era libero di non dirmi nulla, attesi.

Tra di noi calò un silenzio, che non riuscii in alcun modo ad interrompere. Per alcuni, interminabili minuti mille pensieri si susseguirono nella mia testa ed io ebbi paura che la nostra amicizia fosse irrimediabilmente compromessa.

Dopo alcuni istanti, sentii la sua mano sfiorare la mia. Sollevai lo sguardo.

Sorrideva.

“Sì, Emily, è tutto assolutamente vero.”, affermò, senza perdere il suo sorriso, ma anzi osservandomi con una strana espressione affettuosa.

“Ed è vero anche che io ho desiderato Anne per moltissimo tempo e che mio padre l’ha uccisa.”, soggiunse, accarezzandomi la guancia.

“Per questo motivo, sono andato via.”, concluse, tranquillo. “Ma sarà meglio che ti spieghi.”

Respirò a fondo, mi sorrise ed aspettò che mi rilassassi, poi iniziò a raccontare:

“Non ho mai approvato quello che mio padre fece a Sarah, ma quando lo seppi per la prima volta, ignorai ciò che ritenevo giusto.”

Mi chiesi per quale motivo volesse raccontarmi tutte quelle cose, proprio a me, una ragazza che aveva conosciuto da così poco tempo. Ma poi, la curiosità sopraffece ogni mia perplessità. Presi ad ascoltarlo, con la massima attenzione.

“Lui mi trattava molto bene e mi concedeva vantaggi di cui godevo apertamente. Non lo contraddissi. Ero veramente un ragazzo sciocco, mi pavoneggiavo come un idiota, mi credevo superiore agli altri.”

Cercai d’interromperlo, perché notai che i suoi occhi i erano animati di una rabbia verso se stesso insopportabile, ma lui scosse il capo.

“Va bene che io mi senta in colpa, Emily. È giusto.”, replicò, e mi sorrise.

Poi, senza perdere la sua espressione serena, riprese, impedendomi di parlare:

“Ciò che mi colpì di Anne fu la sua genuina bontà. Aveva un cuore puro ed un anima limpida e sincera. Me ne innamorai.”

Ascoltavo rapita ogni sua parola, divisa fra il crescente interesse e la paura per il dolore che quelle rivelazioni potevano provocare in lui.

“Quando mio padre se ne accorse, non fece commenti. Non avevo idea di cosa avesse l’intenzione di fare.”, continuò, piuttosto triste.

“Quando attaccammo il palazzo di Matt, lui …, be’, la uccise.”, concluse, sospirando. Sembrava quasi cercasse di sorvolare rapidamente su quella parola, che evidentemente gli faceva troppo male.

“Rimasi profondamente disgustato dalla sua azione e non potei più ignorare la sua crudeltà. Lasciai la mia casa e partii, senza sapere neanche dove andare.”, riprese, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.

Quanto doveva essere difficile raccontarmi quelle cose! Anche solo ricordarle sarebbe stato deleterio, ma parlarne così, con una ragazza che aveva appena incontrato … Ma pendevo letteralmente dalle sue labbra e non riuscivo ad interrompere il flusso delle sue parole.

“Nello stesso periodo Matt si allontanò dal suo palazzo, perché credo che lì i ricordi fossero troppo difficili da sopportare. Dopo poco tempo c’incontrammo.”, affermò, guardandomi attentamente, quasi aspettandosi di vedermi inorridire per i suoi errori.

Ma in fondo lui non aveva nessuna colpa. In fondo, si era solo innamorato di una ragazza. Qualcun altro si era macchiato di quella colpa gravissima. No, lui non aveva fatto nulla.

Lui mi sorrise.

“Anche se sapeva che ero la causa della morte di lei, lui non se ne curò. Divenimmo amici. Non so come in realtà, considerando che avrebbe potuto benissimo odiarmi. Tornai a casa con lui e da allora siamo molto uniti. Non ho mai più conosciuto qualcuno così buono.”, concluse, illuminandosi.

Impiegai alcuni istanti per riprendermi dalle informazioni ricevute e non mi accorsi delle lacrime che mi colavano sul viso, ormai da un po’.

Quelle parole, quella confessione, gravida dei più penosi sentimenti, era così dura, da provare anche la mia anima, sebbene io fossi estranea alla faccenda.

Lui corrugò la fronte.

“Ehi, non fare così.”, m’incitò, asciugandomi il volto.

Abbozzai una smorfia, ma lui non parve soddisfatto.

“Scusami.”, balbettai, cercando di riprendere il controllo di me.

Lui scosse il capo, poi, cogliendomi decisamente di sorpresa, mi abbracciò.

Rimasi immobile, serrata tra le sue braccia.

Aveva un profumo intenso e dolce, una fragranza familiare e vicina, che mi travolse. Chiusi gli occhi e mi appoggiai alla sua spalla. Mi pareva fosse uno sponda familiare, un approdo sicuro. Qualcosa cominciò a martellarmi nel petto e, quando si staccò da me, poco dopo, una sorta di senso di perdita si diffuse nel mio cuore. Non volevo lasciarlo.

“Perdonami.”, si scusò. “Non voglio sembrarti inopportuno. Solo mi dispiaceva di vederti così.”

Cercai si sorridere e poi, non senza una certa difficoltà, dissi: “Grazie.”

I suoi occhi s’illuminarono. Assumevano una bellezza straordinaria, quando erano sereni. Avvertii nel mio cuore un moto di affetto, che sarebbe stato una delle prime avvisaglie del rapporto che sempre mi avrebbe legato a Charlie.

“Non è stata colpa tua.”, dichiarai, un po’ più decisa.

Si limitò ad annuire, ma sapevo che non mi credeva.

Stavo per riprendere la mia sequela di ragionamenti, per cercare di persuaderlo, ma lui me lo impedì.

“Ascolta, Emily. Sarebbe meglio che non dicessi a Matt delle tua visione.”, asserì, questa volta con un aria seria.

Corrugai la fronte.

“Perché?”, domandai, stupita.

Lui parve irrigidirsi leggermente.

“Si preoccuperebbe troppo. Ti prometto che cercherò io di scoprire qualcosa di più su questa storia. Magari riuscirò anche a capire perché hai questo tipo di apparizioni.”, annunciò, studiandomi.

Non mi convinse. Non era certo quello il vero motivo per cui voleva il mio silenzio. Ma , guardando il suo sguardo sincero, i suoi occhi quasi supplicanti, annuii. Sentivo che era giusto che lo facessi, anche se non capivo perché.

Sorrisi alla sua espressione più tranquilla e mi appoggiai a lui, chiedendomi quante cose ancora non sapessi.

Ma poi, il peso delle rivelazioni di quel pomeriggio si riaffacciò nella mia mente ed allora mi convinsi che forse, forse non volevo sapere null’altro.

 

Un ciao speciale a tutti quelli che seguono questa ff!

In questo cap., per la gioia della mia BT, si parla di Charlie. Un Charlie per la prima volta completamente se stesso, un Charlie che rivela la verità. O, almeno, parte di essa. Emily si sta lentamente accorgendo che le cose si possono complicare in modo imprevisto, che c’è un legame più forte fra lei e l’oscurità. Non le rimane che capire quale …

Spero davvero di non aver deluso i miei lettori, che ringrazio immensamente per la loro pazienza. E adesso, invece di chiacchierare troppo, vado a rispondere alla recensioni.

 

Padme Undomiel: Ti ringrazio tantissimo per i tuoi commenti positivi. Sono contenta che il mio stile risulti scorrevole e che i capitoli sappiano catturare l’attenzione. Mi sono impegnata molto per raggiungere questo traguardo. Spero che questo cap. ti piaccia quanto il precedente e che la mia distrazione in fatto di virgole non sia così evidente.

Grazie ancora per i tuoi continui incoraggiamenti! Tvtttb

 

Mistery Anakin: Sono felice di averti coinvolta con la prima parte del mio 10 cap e spero che questo non sia da meno. Ti ringrazio per i commenti positivi che hai fatto sul mio stile, perché sono davvero molto importanti per me e ti sono anche immensamente grata perché continui a seguire la mia storia!XD XD Alla prossima! Tvtttb

 

Un ciao speciale a tutti quelli che leggeranno questo cap!XD

Shine

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Shine