Anime & Manga > Pandora Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Aetheria_Nyx    27/05/2023    0 recensioni
"Vi è mai capitato di riflettere su eventi appartenenti al vostro passato? Ciò che è annidato in avvenimenti ormai trascorsi non può essere modificato quindi perché indugiare quando davanti vi si pone un presente da vivere e un futuro da scrivere?"
Memory of Music è una raccolta di momenti vissuti dai personaggi di Pandora Hearts, connessi tra loro dai temi della memoria e dell'amore. La musica accompagna per permettere l'immedesimazione negli eventi e nei sentimenti di coloro che hanno reso quest'opera così speciale.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Amaranth



Il Canone in Re Maggiore di Pachelbel è un Triplo Canone all’Unisono in cui il Primo Violino entra alla terza battuta, il Secondo Violino alla quinta mentre il Terzo Violino alla settima. Questo significa che ognuno di loro conduce in un momento mentre accompagna in altri, sparendo nello sfondo. Il Violoncello ha solamente due battute ripetute nel corso del brano, un elemento che l’autore ha scelto di non sviluppare o non è stato capace di modificare.



Come nasce l’inebriante sentimento chiamato “amore”? E quando ci si accorge di esserne preda?

Qualcuno probabilmente passa la vita a cercarlo e non si accorge di esserne già prigioniero, credendo di non esserne degno. Qualcun altro è convinto che chiunque sia destinato a sperimentare un amore così travolgente da scuotere gli animi. La verità è che quando ci si innamora la razionalità viene meno ed è difficile dare un nome a cosa si stia provando, si avverte solo il desiderio di viverlo in maniera piena.

È possibile allora che questo splendido sentimento cessi di esistere? Cosa si prova ad essere la causa della sua morte?



Preludio – Re maggiore

Le prime dieci battute impostano lo scenario della progressione armonica e arricchiscono la densità melodica introducendo gradualmente gli strumenti.



Leo si trovava alla Casa di Fianna, orfanotrofio gestito dall’illustre famiglia Nightray, da due anni ormai e, se all’inizio era stato difficile abituarsi ad un ambiente tanto vivo quanto confusionario, aveva imparato, con non poca fatica, a rapportarsi con i bambini che vivevano con lui. Non era inusuale che lo seguissero incuriositi dal fatto che fosse più grande e anzi, di conseguenza, amavano riempirlo di domande dalle più sciocche alle più delicate, riguardanti per lo più sua madre e il loro legame. Molti di questi bambini non avevano neanche mai conosciuto i loro genitori ed erano affascinati dall’amore che aveva ricevuto Leo. Proprio per questo motivo il giovane, tendenzialmente sulla difensiva, sceglieva di confidarsi e raccontare loro come era stato crescere con la tenerezza di sua madre, la sua unica alleata in un mondo ingiusto e doloroso. Alla fine inevitabilmente si era affezionato e aveva cominciato a definirli i suoi “fratelli”.

Quel giorno stranamente i corridoi del primo piano erano per lo più silenziosi e solo dopo un po’ di ricerca era riuscito a trovare James, che però sembrava pronto a correre alla sala d’ingresso. Si chinò all’altezza del piccolo e gli chiese perché la Casa sembrasse così vuota.

«Ma come Leo, non lo sai? Oggi sono venuti a farci visita i figli del Duca, sono sempre così gentili con noi. A quanto pare hanno portato con loro anche il signorino Elliot!»

Il moro si chiedeva il motivo di cotanta emozione di fronte a quella notizia. Non era affatto strano che i figli del padrone venissero a controllare che tutto filasse liscio all’orfanotrofio, quando non era lui stesso a prendersene cura. Chiaramente non lo facevano per una sincera premura nei confronti dei residenti, erano solo consci dei danni che avrebbe subito il loro buon nome se qualcosa fosse accaduto ai bambini. Decise però che sarebbe stato inutile tediare James con i suoi pensieri e lo lasciò libero di andare ad accogliere gli ospiti. Leo però non ne aveva alcuna intenzione, perciò si chiuse in biblioteca dove avrebbe potuto leggere senza alcuna interruzione.

«Ehi, cosa stai facendo qui?»

Evidentemente il destino aveva altri piani per lui.

«… non è ovvio?» si convinse che se avesse dato poca attenzione all’intruso questi se ne sarebbe andato, ragion per cui non alzò nemmeno lo sguardo, benché sapesse che il suo atteggiamento fosse oltremodo maleducato. Purtroppo non aveva idea di quanto fosse testardo il suo interlocutore.

«Io… io mi chiamo Elliot Nightray.»

Oh, Nightray, adesso era tutto più chiaro.

«Quindi?» si schiarì la voce «Ad essere onesto, mi stai distraendo… non vedi che sto leggendo un libro? Oppure, cosa? Non mi lascerai in pace se non mi inginocchio e bacio i tuoi stivali, come l’eroe di questo romanzo

Osservando di sottecchi il figlio del duca Nightray poté notare il suo viso sconvolto. Forse non era poi così male quel piccolo momento di disturbo, stava cercando di capire fin dove si sarebbe potuto spingere.

«Sei davvero poco interessante.»

A quel punto anche un sordo avrebbe potuto sentire le grida di Elliot, prontamente bloccato dal fratello maggiore prima che potesse colpire Leo.

Col tempo il giovane Nightray aveva cominciato ad andare con frequenza sempre maggiore alla Casa di Fianna, tanto che tutti piano piano avevano iniziato a volergli bene e ad accoglierlo come uno di famiglia. Il moro doveva ammettere che la sua compagnia non era poi così pessima come credeva. Ovviamente non l’avrebbe mai reso noto al diretto interessato, ma stava imparando ad apprezzarlo. Apprezzava però maggiormente farlo impazzire: Elliot non era proprio capace di gestire i suoi nervi.

«Elliot, hai completato il pezzo di cui mi parlavi l’ultima volta? Dai a tua madre una nuova composizione ogni anno per il suo compleanno, giusto?»

Seduto al pianoforte del salone, Leo vide il biondo avvicinarsi.

«Sì, quello l’ho finito. Adesso sto lavorando ad un altro brano.»

Elliot si chinò sul pianoforte, oltre la spalla di Leo, e fece sentire a quest’ultimo il frutto dell’impegno degli ultimi giorni. Il moro chiuse gli occhi come rapito dalla musica.

«È una melodia piacevole, hai già scelto un titolo?» il giovane Nightray sorrise in maniera così sincera che per un attimo sembrò brillare, la stella più luminosa di tutto il firmamento. Doveva volere proprio tanto bene a sua madre, quanto lo invidiava.

«”Statice”.»

«Bellezza eterna.» parve riflettere per un secondo «Non può essere… conosci il linguaggio dei fiori? Ad essere onesto, è un po’ da deboli.» il ghigno sulla faccia di Leo fece incollerire Elliot.

«ZITTO! PIACE A MIA SORELLA MAGGIORE, MIA SORELLA MAGGIORE!»

Senza che se ne accorgessero, il tempo continuò a scorrere imperterrito e il piacere di stare insieme divenne un’amicizia in piena regola.

«Ho deciso, sarai il mio valletto!»

Leo rimase pietrificato davanti all’immensa libreria. Si sarebbe aspettato qualsiasi cosa, meno che le parole appena pronunciate dal suo nuovo amico.

«Perché tiri fuori quest’argomento all’improvviso?»

«Ci ho pensato.» Elliot si alzò e tese la mano al ragazzo che gli stava di fronte «Il mio valletto deve essere qualcuno insolente come te.»

«Eh? Assolutamente no.» Leo si permise una breve pausa di riflessione in merito a ciò che aveva appena sentito.

Non aveva mai servito nessuno, ma di certo non poteva ambire ad altro nella vita, l’essere orfano e senza l’ombra di un soldo non lo metteva in una posizione gradevole. Cosa avrebbe fatto una volta divenuto grande abbastanza da non essere più idoneo alla permanenza all’orfanotrofio? Doveva riconoscere che non aveva mai considerato cosa sarebbe venuto dopo, eppure ormai aveva quattordici anni, non mancava molto alla maggiore età. Forse quella era veramente l’unica speranza di vivere una vita dignitosa e senza particolari preoccupazioni. Non voleva ammettere di avere paura di non essere abbastanza bravo come valletto che, tra la servitù, era comunque un ruolo di prestigio. Inoltre, si trattava del figlio di uno dei quattro Grandi Duchi, una responsabilità considerevole. Nonostante ciò si rese conto che l’idea di passare più tempo con Elliot gli andava particolarmente a genio. Stavolta fu Leo a sorridere e a tendere la mano al biondo.

«Sono sinceramente curioso riguardo alla biblioteca privata della famiglia Nightray. Inoltre, per usare un eufemismo, non mi dispiaci. Quindi… certo, perché no? Padrone



Prima sequenza armonica – La maggiore

Il Primo Violino suona il Motivo Principale Secondario, a complemento del Motivo Primario eseguito dal Secondo Violino. Il Motivo Primario viene suonato, per la maggior parte, più in basso rispetto al Secondario, assicurando così che il Primo Violino continui a condurre.



Leo si ritrovò a osservare per un tempo incalcolabile la maniglia della porta, che conduceva alle camere una volta appartenute al suo padrone, Elliot Nightray.

Nessuno poteva sapere, o semplicemente immaginare, quanto profondamente disprezzasse quella villa, casa di una famiglia che gli aveva donato un barlume di felicità per poi sottrargliela con estrema crudeltà. Non era trascorso un singolo giorno senza che si chiedesse cosa sarebbe cambiato se il duca Nightray avesse agito in maniera tempestiva per scindere il contratto con Humpty Dumpty e provare a salvare suo figlio. Invece, aveva permesso che il giovane valletto venisse distrutto dal senso di colpa fino a negare la realtà. Continuava a convincersi che il suo fosse stato solo un terribile incubo, che Elliot non fosse mai morto nella voragine a Sablier, ma nemmeno questo era sufficiente a scacciare il profondo senso di angoscia, che lo tormentava ogni qual volta il suo padrone mostrava atteggiamenti fuori dal normale.

Elliot, il suo amato Elliot.

Gli mancava il fiato solo al pensiero che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, non sarebbero più stati compagni in accademia. Non sarebbe più stato al suo fianco. Suo padre era stato così accecato dalla brama di potere da aver permesso che la sua famiglia si sfaldasse in maniera tanto atroce. In quei due anni di servizio aveva tollerato in silenzio le umiliazioni subite dai fratelli del giovane, aveva taciuto lo sdegno che lo attanagliava stando alla presenza di quelle persone, solo per amore del padrone. Non voleva che il solido legame che li univa venisse danneggiato a causa sua, specialmente non dopo che i fratelli maggiori di Elliot erano venuti a mancare, lasciandolo in uno stato sempre crescente di solitudine. Adesso però che colui che aveva amato e da cui si era sentito amato non c’era più, esattamente come il bersaglio del suo odio, si sentiva semplicemente svuotato.

Inutile.

Ecco cosa era sempre stato, come si era sempre sentito. Non aveva potuto fare nulla per sua madre, non aveva potuto impedire la morte dei bambini alla Casa di Fianna, non solo, non era riuscito a evitare la morte di Elliot. Ne era stato anzi la causa.

Ma allora qual era il senso della sua esistenza, a quel punto?

Nessuno, e proprio per questo aveva scelto di lasciarsi scivolare via.

La sua coscienza lo stava abbandonando, sovrascritta da quelle di Glen Baskerville, in particolare di Oswald che piano piano lo stava spegnendo. Aveva cominciato a confondere il piano della realtà con quello dell’immaginazione, non riusciva più a distinguere nitidamente cosa lo circondasse, come la porta davanti a sé. Si chiedeva se fosse davvero a Villa Nightray oppure se si fossero già diretti alla sede centrale di Pandora. In realtà, quello era solo l’ennesimo segno del cambiamento che stava avvenendo in Leo. Aveva smesso di portare gli occhiali che gli erano stati regalati, ma che in fin dei conti non avevano alcuna utilità effettiva. Si era liberato di quella matassa di capelli che ormai lo caratterizzavano e che avrebbero dovuto nascondere, non solo la tonalità singolare dei suoi occhi, ma anche il mondo stesso allo sguardo del ragazzo. Neanche riusciva a ricordare tutti i momenti in cui aveva desiderato essere “normale”, un colore diverso per le sue iridi, un colore che non fosse lo specchio del luogo a cui era stato legato fin dai primi momenti della sua vita e che ne era divenuto la rovina. Un monito continuo di un’esistenza del tutto diversa dall’ordinario, la consapevolezza che il ragazzo di nome “Leo” era solo un piccolo frammento del grande mosaico conosciuto come “Glen”.

Elliot aveva sempre adorato i suoi occhi, affermava che era un vero peccato che volesse nasconderli a tutti i costi e non riusciva a capirne il motivo.

Perché non glieli aveva mostrati più spesso?

Per quanto avesse cercato di dimenticarlo, alla fine il destino era arrivato comunque e a carissimo prezzo. Se fosse potuto tornare indietro, anche solo per un istante, probabilmente avrebbe scelto di vivere diversamente, non più credendosi un folle ma con la consapevolezza di essere “speciale”. Avrebbe voluto e dovuto dare ascolto ai suoi predecessori, avrebbe protetto Elliot da una fine tragica. Sapeva di aver sbagliato, ma per tutto quel tempo riusciva solo a chiedersi cosa avesse fatto di male per dover subire un simile fato.

Era rimasto da solo in così tenera età quando più aveva bisogno di sua madre, sempre al suo fianco in quella guerra contro se stesso. Doveva convivere con una sofferenza troppo grande per un ragazzino tanto giovane e quando aveva trovato una luce fioca, divampata poi in un vero e proprio incendio, in tutto quel buio anch’essa era stata sovrastata, per poi spegnersi, così come la sua speranza di una vita serena.

Si rese conto di quanto fosse inutile continuare a cedere all’autocommiserazione, poiché di lì a poco sarebbe divenuto un mero ospite intrappolato nel suo stesso corpo, per sempre conscio del suo dolore ma senza la grazia di potersene liberare.

Prima che fosse troppo tardi però, sentiva la necessità di fare ancora una cosa. Non si sarebbe mai perdonato se non fosse riuscito almeno in questo.



Seconda sequenza armonica – Si minore

Seguendo le regole del canone, il Secondo Violino adesso esegue il Motivo Primario mentre il Primo Violino retrocede al Secondario. Gradualmente quest’ultimo svanisce dal Motivo introducendo l’Accompagnamento.



Con un lieve tremore alla mano strinse la maniglia della porta. Rimase fermo ancora per qualche secondo, incerto all’idea di essere nuovamente travolto da quelle emozioni. Nonostante questi pensieri, si fece forza ed aprì.

Lo scorrere del tempo purtroppo aveva investito anche quelle stanze, seppur non abbastanza da rovinarne la bellezza, a sufficienza però da ricoprire ogni mobile e soprammobile di una polvere asfissiante. Era il ritratto dell’abbandono, segno che ormai in quella villa non vivesse più alcuno.

La camera era rimasta esattamente come il giorno in cui aveva aiutato Elliot a prepararsi per la festa. I completi, fuori dalla cabina armadio, si trovavano sul letto per permettere al biondo di scegliere più comodamente cosa indossare, mentre sul comodino Leo aveva poggiato la sua collezione di gemelli. Il suo padrone amava apparire sempre al meglio, diceva che anche il modo di mostrarsi agli altri era sintomatico del proprio prestigio e lui amava sino a tal punto la sua famiglia. Quella stessa famiglia che lo aveva lasciato morire, che lo aveva sacrificato al pari di un esperimento.

Il dolore si stava facendo sempre più opprimente, una lacrima aveva preso a scorrergli sulla guancia. Non riusciva più a guardare quella camera pregna degli ultimi istanti felici vissuti assieme: doveva uscire, gli mancava l’aria, la testa girava. Si diresse velocemente verso il salottino adiacente, in cui avevano passato tanto di quel tempo da conoscere la disposizione dei mobili a occhi chiusi. A riempire la parete di fronte alla porta v’era un’enorme libreria con tutti i titoli che Elliot apprezzava maggiormente. Sotto l’ampia finestra a sinistra della porta si trovava la scrivania, sopra la quale notò una lettera di cui Leo non sapeva nulla. La curiosità in quel momento lo spinse a muoversi dallo stipite contro il quale si era poggiato per chiudere gli occhi un secondo e calmare il crescente bruciore al petto. La lettera si rivelò ad una prima occhiata fugace essere un semplice foglio bianco accanto al quale giacevano la penna e la boccetta di inchiostro, come se lo scrittore fosse stato interrotto durante la stesura. Girando il foglio il giovane si accorse che non era affatto bianco.



Caro Leo,

ci sono molte cose di cui vorrei parlarti, tante che vorrei avere il coraggio di poter ammettere ad alta voce. In questo momento mi limiterò a farlo attraverso queste parole di inchiostro, ma spero di avere tutta una vita per poterti dire apertamente ciò che provo. Voglio avere tutta una vita insieme a te.”



Quella innocenza non faceva altro che acuire la sua sofferenza. Nonostante la tragedia che piano piano si stava consumando nella sua famiglia, ancora albergava in lui la speranza di una vita normale, come avrebbe meritato. Si strinse al petto quella lettera incompleta, rimasta tale poiché probabilmente era stata scritta lo stesso giorno in cui erano andati alla festa. Forse Elliot pensava di poterla completare l’indomani.

Al lato opposto della stanza, sotto la finestra simmetrica alla prima, si ergeva maestoso un pianoforte verticale in ebano lucido. Al centro della cassa, proprio sopra il leggio chiuso, erano incise in oro le iniziali E. N.: un regalo dei suoi genitori quando Elliot aveva cominciato a mostrare uno spiccato interesse per quello strumento tra tutti quelli che stava studiando. Sfortunatamente anche quello era stato intaccato dall’usura e sicuramente era solo questione di tempo prima che si scordasse per poi divenire inutilizzabile.

I ricordi del tempo passato insieme lo stavano sopraffacendo.

I pomeriggi seduti su quella panca con una mano alla tastiera e una al pennino per segnare le note che, unite, creavano la più armonica delle sinfonie. Memorie di Leo seduto a terra contro la libreria, che leggeva l’ultimo volume uscito di “Holy Knight” mentre Elliot lo rimbeccava, affermando che anche un valletto doveva mostrare un minimo di grazia, essendo il riflesso del suo padrone. Non soddisfatto lo costringeva a sedersi sul divano accanto a lui, che rimaneva sempre un volume indietro rispetto al servo, a causa del periodo di intenso studio.

Memorie di momenti che il mondo aveva modo di conoscere, ma solo in maniera superficiale e attimi che nessuno aveva diritto di sapere e rendere motivo di scandalo.

Quelle mura, presto decadenti, erano custodi di segreti che il moro proteggeva gelosamente. Avrebbero potuto portargli via tutto, ma non quei ricordi che aveva costruito giorno dopo giorno per gli ultimi due anni. Come quando il suo padrone si divertiva di tanto in tanto a privarlo degli occhiali per infastidirlo e ricevere attenzioni che venivano riservate solo ai libri.

Ricordava che una volta, nella furia di rincorrerlo per riprenderseli, cadde, inciampando in un volume di “Holy Knight” che probabilmente Elliot aveva lasciato a terra nella foga del momento. Fu così che Leo cadde sopra il padrone. Rimasero qualche secondo a fissarsi, quando accadde l’impensabile. Elliot si sporse in avanti quanto bastava per poggiare le labbra sopra quelle del valletto. Un momento, si sarebbe potuto definire quasi accidentale, se non fosse stato per il moro che decise di approfondire quel contatto. Il loro primo bacio fu la conseguenza di un piacevole incidente, ma non la prima volta che dichiararono i loro sentimenti.

Quello era e sarebbe stato per sempre il ricordo più nitido e prezioso che Leo avrebbe conservato.



Terza sequenza armonica – Fa diesis maggiore

In questa sequenza il Primo Violino suona nell'intervallo opposto al Secondo Violino facendo in modo che si sovrappongano costantemente. Questo è l'unico momento in cui il ritmo dell'Accompagnamento è uguale a quello del Motivo Principale, nonostante ciò si evita qualsiasi dissonanza. Il Motivo Principale Secondario è scritto come complemento del Principale Primario. Il Primo Violino, attraverso un crescendo dell’intensità del suono e di semicrome ascendenti mette in ombra il Terzo Violino.



Anche quel giorno, nonostante fosse autunno inoltrato, i brillanti raggi del sole tentavano di illuminare la camera da letto del giovane valletto, per informarlo che era arrivato il momento di alzarsi per assolvere i suoi compiti. Tutto si sarebbe potuto dire sul conto del ragazzo, ma non che fosse un tipo mattiniero, anzi sembrava avesse un legame tanto profondo con il sonno da non esistere ragione che potesse smuoverlo dal letto prima della tarda mattinata. Considerava infatti estremamente prezioso il fine settimana, dato che gli permetteva di riposare il più possibile. Ovviamente, il più possibile prima che quel tormento del suo padrone andasse a buttarlo giù dal letto, per poi fargli la ramanzina sul fatto che chi ozia non arriverà mai da nessuna parte. Il giorno in cui fosse riuscito a liberarsi da quella morsa bionda, almeno in quei momenti, probabilmente sarebbe stato davvero felice.

Le pesanti tende installate alle finestre facevano sì che nemmeno il sole potesse disturbare il suo pacifico sonno, sicuramente non il giorno del suo compleanno. Si meritava la tanto agognata serenità almeno in quella giornata di cui era il protagonista. Dato che tutti i fratelli soggiornavano a Villa Nightray in quel particolare fine settimana, anche Elliot aveva insistito affinché tornassero a casa. Onestamente Leo non riusciva, per quanto si sforzasse, a comprendere la gioia del padrone nello stare con la sua famiglia.

Era chiaro che il valletto non fosse ben voluto, per cui avrebbe preferito passare il suo tempo altrove, qualsiasi posto sarebbe andato bene, piuttosto che in quella casa. Da qualche tempo però, aveva capito che far ragionare Elliot era proficuo tanto quanto provare a farsi volere bene dai suoi fratelli: un’inutile perdita di tempo. Le uniche presenze che avevano impedito al giovane di buttarsi dal terrazzo della sua camera erano quelle dei fratelli adottivi del padrone, probabilmente gli unici Nightray che lo avessero accettato senza particolari problemi.

Quel misero momento di riflessione venne interrotto dal brusco, quanto atteso, bussare alla porta da parte della sua croce personale. Il signorino gli intimava di alzarsi prima che potesse entrare lui stesso per portarlo giù di peso. Fu in quel frangente che il moro cominciò a pentirsi di tutte le scelte prese nella sua vita. Anzi, a dirla tutta, si era pentito di aver seguito quel terremoto fino a casa sua due anni prima, proprio nell’esatto momento in cui aveva varcato l’uscio della Casa di Fianna.

Cominciò infatti a pensare che tutto ciò che doveva subire giornalmente fosse una sorta di punizione per le sue scelte sconsiderate.

Capì che era davvero il momento di alzarsi quando Elliot bussò così forte da minacciare di scardinare la porta. Quest’ultima chiaramente non era davvero chiusa a chiave e l’essere ottuso che si trovava dietro essa sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento, ma non spettava a Leo avvisarlo di tale constatazione. Si sarebbe divertito ancora un po’ prima di aprire e mostrargli che nessuna chiave adornava quella porta.

Dopo essersi sciacquato e vestito, si sistemò gli occhiali che fino a quel momento erano rimasti poggiati sul comodino accanto al suo letto e, infine, cercò di acconciare i capelli spettinati al meglio delle sue possibilità.

Quando aprì la tanto abusata porta, trovò davanti a sé il biondo con un’espressione che stava proprio invitando il valletto a sbattergliela in faccia con tutti i sentimenti più cari e sentiti. Decise però che sarebbe stato più saggio lasciarsi guidare dall’educazione e, stampandosi in viso un sorriso decisamente finto, diede il buongiorno al giovane Nightray.

«Buongiorno?! Ti rendi conto che il tuo compito come valletto richiede che ti alzi prima del padrone, per prepararlo per la giornata? Preparargli il bagno, vestirlo, portargli la colazione?»

Lo sguardo del maggiore voleva fargli intendere che da due anni a quella parte continuava ad aspettare che Leo avesse un’illuminazione e cominciasse a comportarsi come il suo status prevedeva. Quest’ultimo aveva senza dubbio compreso l’eloquenza di quell’occhiata da quando aveva preso servizio, eppure sceglieva di ignorarla ogni singola volta.

«Se ti aspetti che cominci a fare qualcosa che all’età di sedici anni dovresti saper fare da almeno dieci, te lo puoi dimenticare. Non sapevo fossi messo così male.» s’interruppe un attimo per assumere un’espressione pensierosa «Oppure è una richiesta implicita perché vuoi essere vestito da me? Ti appaga questa fant- ?»

Il sorriso di Leo era chiaramente divertito, ma Elliot non era della stessa idea e a quel punto della conversazione aveva anche sentito abbastanza. Il rischio che qualcuno passasse per quel corridoio e ascoltasse, anche solo per caso, cosa che nella famiglia Nightray non accadeva mai, era decisamente alto.

«Ahia! Ma sei impazzito?!»

Il valletto poté intuire che il ragazzo che gli stava di fronte non avesse la minima idea di come fermare quell’assurdo sproloquio, per cui, per correre ai ripari, tirare un calcio allo stinco del servo era stata la prima cosa che gli era venuta in mente.

«Parlavi a sproposito, dovevo pur far qualcosa. Avresti preferito che ci sentissero i miei fratelli?» Elliot rabbrividì al solo pensiero «O addirittura mio padre?»

«Non mi sarei mai voluto perdere la faccia del duca Nightray, che scopre il suo prezioso figlio a intrattenersi con un umile servo. Per di più un uomo, quale scandalo!» ridacchiò, infischiandosene completamente del padrone che era sbiancato improvvisamente.

«Andiamo in sala da pranzo a fare colazione, prima di dare ad Ernest e Vanessa altri motivi per prendersela con te.»

«Non vedo l’ora.»

Il sarcasmo di cui era pregna quell’affermazione fece sorridere il padrone, anche se tentò tutto il possibile per nasconderlo.

Leo in realtà sapeva che il ragazzo non amava che i fratelli lo disprezzassero a tal punto, ma ormai era una battaglia persa. Non si erano premurati nemmeno di accettare Gilbert e Vincent, che erano a pieno titolo membri di quella famiglia. Chiaramente non si aspettava che fossero affettuosi con un valletto, specialmente un orfano della Casa di Fianna. Perciò, fintanto che l’ambiente risultava vivibile, a lui andava bene così.

La colazione fu breve, non abbastanza per non notare lo sguardo di sdegno di ogni singolo membro della famiglia che si domandava perché un servo fosse a tavola con loro, ma abbastanza per non essere costretti a fare civile conversazione. Come se fosse possibile, in quella casa.

Dato che la sua giornata era priva di impegni scolastici, ed Elliot era occupato, Leo si poteva dedicare alla sua attività prediletta, leggere. Sarebbe potuto andare in biblioteca, ma era ben conscio che i libri che aveva puntato si trovassero nello studio di Elliot. Aveva quindi preferito evitare di attraversare tutta la villa, quando poteva arrivare al suo obbiettivo percorrendo molta meno strada. Aveva appena poggiato la mano sul pomello quando arrivò Gilbert, trafelato come se avesse corso per centinaia di metri, cosa che, conoscendo l’immensità della villa, non era nemmeno un’opzione così scartabile.

«Leo, fermo!»

Poiché aveva raramente avuto contatti con il nobile, si ritrovò quasi sconvolto dalla veemenza con cui era stato richiamato.

«Sì, nobile Gilbert? Posso esserle d’aiuto?»

«Sì, assolutamente. Sai, il mio vecchio padroncino era un grande appassionato di “Holy Knight” e, dato che anche tu ed Elliot lo leggete con tanto interesse, volevo capire come mi dovessi approcciare a quest’opera.»

Per Leo quella situazione era decisamente nuova e divertente. Conosceva Gilbert da due anni e in tutto quel tempo non aveva mai mostrato apertamente passione per l’opera mentre, tutto ad un tratto, l’interesse era tale da non permettergli nemmeno di entrare nello studio. Inoltre, poteva benissimo domandare ad Elliot, quindi la richiesta era piuttosto sospetta, ma era troppo stanco per ribattere. Nemmeno il giorno del suo compleanno riusciva ad avere un po’ di tempo per sé. Sospirò.

«Certo, nessun problema. Se vuole può entrare con me e le mostro l’ordine di lettura.»

Anche se è piuttosto banale dato che i volumi sono numerati” pensò il moro, che però non ebbe il cuore di esternarlo.

«A dire il vero, ho chiesto ad Elliot di prestarmi i primi volumi della serie e attualmente si trovano nella libreria nella mia stanza.»

«Oh.»

Strano, il suo padrone non era un tipo dedito alla condivisione anzi, se avesse potuto, avrebbe messo targhette con il suo nome e cognome su ogni oggetto di sua appartenenza.

«È forse un problema?» Gilbert sembrava davvero dispiaciuto e chiaramente non ce n’era motivo, pertanto Leo gli sorrise.

«Assolutamente. Andiamo?»

Si chiuse la porta alle spalle con un grosso sospiro. Onestamente il dover spiegare ad un uomo di ventiquattro anni come leggere una serie che nei dorsi conteneva l’ordine di lettura gli risultava incredibile. Per di più gli aveva fatto perdere del tempo prezioso che avrebbe di certo preferito passare in maniera diversa, almeno quel giorno.

Mentre si incamminava per tornare in biblioteca, rifletté proprio sul fatto che nessuno si era ricordato del suo compleanno. In realtà, non era nemmeno sicuro che i membri della famiglia, oltre ad Elliot, sapessero qualcosa in merito. Alla Casa di Fianna era solito essere riempito dagli auguri di tutti i bambini lì presenti; era l’unico momento di gioia tra i tanti problemi che li affliggevano già in tenera età. Da quando era arrivato a villa Nightray, invece, i pochissimi compleanni passati con Elliot erano stati giorni per lo più trascorsi a rilassarsi. Alla fine non facevano nulla di speciale, ma il giovane Nightray già dal primo mattino lo svegliava augurandogli un buon compleanno e poi, per un solo giorno all’anno, gli chiedeva cosa gli andasse di fare.

Leo teneva particolarmente al suo compleanno, era uno dei pochi giorni in cui la madre poteva permettersi di stare con lui completamente. Nonostante fossero poveri non gli aveva mai fatto mancare una piccola festa e gli preparava delle torte buonissime.

Forse a causa degli impegni dovuti al ritorno a villa Nightray, quell’anno sembrava proprio che Elliot si fosse scordato. Era anche l’unica opzione plausibile dato che erano passate ormai diverse ore e l’orologio segnava che era quasi ora di pranzo. Anche se non lo dava a vedere, era rimasto abbastanza deluso da quella dimenticanza del suo padrone, ma d’altronde andargliene a parlare era fuori discussione. Ammesso che si fosse liberato dalle incombenze con il padre, si sarebbe semplicemente scusato affermando che era stato indaffarato e che non era un gran problema, avrebbero recuperato in un secondo momento.

Preso com’era da quelle elucubrazioni, non si rese conto di essere arrivato davanti allo studio del padrone. La prima cosa che saltò all’occhio del valletto mentre apriva la porta fu la presenza di piccoli mazzi di amaranto che ricoprivano buona parte del pavimento, indicando tuttavia un sentiero. Leo non riuscì a distogliere lo sguardo dal pavimento, particolarmente confuso. Quando alzò gli occhi notò che il sentiero culminava ai piedi del pianoforte d’ebano lucido, che decorava la stanza riservata di Elliot. Un bouquet del suddetto fiore adornava anche la parte superiore del pianoforte, creando un contrasto sublime.

«Elliot, mi spieghi cosa sta succed-?»

«Buon compleanno Leo.»

Il sorriso di Elliot era così brillante e caloroso da oscurare i raggi del sole che illuminavano la stanza, esattamente come quella volta che avevano parlato per la prima volta dei suoi lavori come compositore.

Lo shock prese il sopravvento. Se c’era qualcosa in cui generalmente Elliot non era bravo, era proprio organizzare sorprese a causa del suo brutto vizio di parlare sempre e a sproposito. Doveva essersi impegnato al massimo e adesso capiva con chiarezza perché il fratello lo aveva tenuto ostaggio con quelle richieste tanto sciocche. Era riuscito a calcolare tutto nei dettagli, eliminando al meglio delle possibilità gli ostacoli.

Quando Elliot gli prese la mano, il cuore del moro perse un battito. Non riusciva a smettere di sorridere, l’emozione non gli permetteva di pensare lucidamente. Il ragazzo era stato chiuso nel suo studio per buona parte della mattina per organizzargli una sorpresa, lo stesso ragazzo che a stento dimostrava di tenere ai suoi fratelli, stava ora creando un momento speciale solo per il suo compleanno.

Si sedettero alla panca posta di fronte allo strumento, quando Elliot cominciò a illustrare la seconda parte di quel regalo.

«Leggi il nome del brano.»

«”Amaranth”… se non erro significa “amore eterno” nel linguaggio dei fiori.»

Si fece per un attimo pensieroso.

«Non mi sembra di conoscere alcun brano con questo nome. Chi è il compositore?»

«Io.»

In realtà Leo non si sarebbe dovuto stupire in quel momento. Uno dei giorni in cui Elliot andò alla Casa di Fianna, proprio a quest’ultimo regalò un brano di sua composizione chiamato “Statice”. Quegli spartiti erano custoditi gelosamente all’interno della sua personale copia di “Holy Knight”, in modo da non potersi rovinare col passare del tempo, cosa di cui ovviamente Elliot era ignaro. Quella era stata sicuramente un’occasione speciale e pertanto non si era ripresentata nel corso dei due anni successivi.

Sembrava che il valletto avesse perso tutte le abilità acquisite da bambino, non riusciva nemmeno ad articolare un suono. Anche in quell’attimo stavano condividendo un momento speciale, così speciale da dedicargli una composizione che avrebbe presto fatto compagnia a “Statice”. Sorrise, mentre Elliot spostava lo sguardo da Leo al pianoforte.

Cominciò l’esecuzione.

Con quel brano dalle dolcissime note, Elliot stava ufficializzando tutto ciò a cui quelle quattro mura, insieme a quelle di Lutwidge, avevano assistito nel corso degli anni passati insieme. Quello era stato il loro modo di dichiarare il loro amore senza dover dire nulla, di intendersi senza usare la voce. Le loro anime come note dell’infinito pentagramma che avrebbero scritto giorno per giorno, creando un brano che sarebbe stato solo loro.

Leo inclinò la testa per poggiarla sulla spalla del suo adorato compagno. Non era mai stato più felice.



Quarta sequenza armonica – Sol maggiore

Il Motivo Principale è connesso alle sequenze precedenti: condivide infatti il ritmo della seconda sequenza. L’unica dissonanza è la presenza di un’appoggiatura, una piccola nota posta davanti alla nota reale che modifica il valore di quest’ultima, alla fine del primo tempo.



Scosso dai singhiozzi incontrollati, Leo si ritrovò appoggiato contro al pianoforte come se non fosse più in grado di reggersi in piedi in maniera autonoma. Quello era troppo, tutto ciò che stava facendo era troppo. Il silenzio che permeava l’ambiente lo stava assordando.

Quando riuscì a frenare un minimo le lacrime, cadde come in uno stato di catalessi che spinse il moro a lasciarsi scivolare contro la parete fino a sedersi a terra. La mano ancora poggiata contro il freddo ebano venne ritratta di scatto come se si fosse scottato. Era la cosa a cui il suo padrone teneva di più e, dopo quello che gli aveva fatto, credeva che il semplice tocco potesse sporcarlo, come se non fosse stato meritevole abbastanza di quella persona.

Del resto se non avesse forzato il contratto, Elliot starebbe ancora suonando accanto a lui. Invece la dura verità era che, per quanto fosse colpevole del contratto, Elliot sarebbe morto comunque. Leo era destinato a rimanere solo, non importava il punto di vista.

Il dolore che lo aveva lasciato momentaneamente in uno stato di apatia ritornò più acuto di prima, facendo sì che anche le lacrime fossero più copiose. Un dolore che era rimasto rinchiuso per settimane, o forse mesi, addirittura anni.

«Perché Elliot?» gridò in preda alle lacrime «Perché mi hai lasciato? Sai quante cose sono cambiate dalla tua scomparsa?»

La tristezza aveva lasciato posto alla rabbia e all’amarezza. Sorrise impercettibilmente.

«Anche io sono cambiato. A quanto sembra sono destinato a diventare il nuovo capo del casato Baskerville.» mentre parlava, continuava a fare vagare lo sguardo dal centro della stanza allo strumento che aveva accanto, come se al suo posto ci fosse stato Elliot.

«Io volevo solo starti accanto e invece adesso racconto al tuo pianoforte ciò che un tempo raccontavo a te.1»

Cominciò a narrare, in seguito, tutti gli eventi accaduti dopo quella sera alla villa di Isla Yura, come se continuasse a negare a se stesso che in quella stanza quasi del tutto buia fosse da solo. Nessuno avrebbe ascoltato, né tantomeno risposto.

La sua mente era annebbiata, quasi fosse un semplice spettatore in quella vita, incapace di reagire a qualsivoglia stimolo. In parte era anche vero. Da qualche tempo infatti la presa di Oswald e Levi sulla sua coscienza si era fatta sempre più salda. Sarebbe bastato il minimo sforzo per annullarlo, per fargli perdere completamente la ragione.

Nei brevi attimi di lucidità rispose a quella domanda che si poneva già da quando era entrato nella camera del padrone. Non si trovava davvero a villa Nightray, già da qualche giorno infatti si erano spostati a Pandora, ma il suo stato psicologico era al collasso e non gli importava davvero di star immaginando tutto, aveva bisogno di sentirsi ancora a casa.



Quinta sequenza armonica – Re maggiore

Questa sequenza introduce un nuovo Accompagnamento, che suona note quasi identiche al preludio, ma varia utilizzando le Sospensioni, tecnica in cui la nota di basso cambia mentre l'intervallo sopra rimane costante prima di risolversi verso il basso per creare un accordo maggiore o minore.



Alla fine del racconto una fitta lancinante alla testa lo attanagliò. Era il segnale che il tempo che aveva ancora a disposizione si stava lentamente esaurendo.

«Ti sto lasciando prendere possesso di me, della mia vita. Esigo però che tu lo faccia quando sarò io a decidere così, Oswald. Mi avete sottratto tutto ciò che amavo, avete reso la mia esistenza un inferno, voglio almeno il tempo per commemorare una persona per me importante.»

Vendetta.

Un pensiero non suo, ma che nonostante questo continuava ad assillarlo. Era consapevole che dando tutto questo potere al suo predecessore avrebbe commesso un errore imperdonabile, ma da tempo ormai non aveva più le forze per combatterlo. La volontà ferrea che credeva di possedere era solo una mera illusione. Era riuscito a reggere per sedici anni perché sostenuto dalle persone che credevano in lui e lo stimavano.

Il dolore si attenuò e Leo poté così rimettersi in piedi. Si avvicinò alla libreria dove, proprio al centro tra le ragnatele, era raccolta la collezione di “Holy Knight”. Fece scorrere le dita sui dorsi delle copertine, che si susseguivano in una progressione crescente fino ad arrivare al suo volume preferito. Lo estrasse dalla libreria e tossì lievemente a causa del fitto strato di polvere racchiuso tra le pagine.

Aprì il volume proprio dove un elegante pezzo di carta rigida, posizionato lì da Elliot tempo addietro, quando ancora erano a Lutwidge, ne adornava le pagine. Serviva a segnare il punto preferito del giovane. Negli ultimi volumi la tensione si era fatta crescente e aveva raggiunto il suo apice proprio nel volume in cui faceva capolino il segnalibro.

Leo rise ricordando il volto estasiato e sconvolto di Elliot mentre leggeva per la prima volta quello scambio frenetico di battute, che in seguito aveva riletto tante di quelle volte da ricordarlo a memoria. Ovviamente, ogni volta sentiva la necessità di parlarne con Leo, che di conseguenza ormai conosceva quel passaggio perfettamente.

«Lo utilizzerò fino alla fine di Holy Knight, poi lo poserò.»

L’ennesimo ricordo del volto radioso del suo padrone lo trafisse. Non sarebbe mai arrivato a vedere la fine dell’opera, ma questo purtroppo non avrebbe potuto saperlo. Forse neanche il moro ci sarebbe mai riuscito. Per entrambi la serie non si sarebbe mai conclusa, sarebbe rimasta in sospeso la domanda: “E adesso cosa accadrà?”. La stessa che Leo ormai si poneva tutti i giorni da settimane, ma senza l’emozione che spinge a continuare in maniera spasmodica la lettura, quanto più con l’angoscia di ciò avrebbe seguitato a infliggergli quella sofferenza.

«Credevo che la nostra ultima conversazione, che speravo non sarebbe mai sopraggiunta tanto presto, sarebbe stata diversa. Dispiace profondamente anche a me.»

Leo era sicuro del fatto che, nonostante il suo carattere alle volte fin troppo deciso, Elliot sarebbe diventato un adulto splendido. Maturo e consapevole di sé, che avrebbe abbattuto le sue insicurezze e avrebbe portato avanti il suo lignaggio con fierezza, eppure cosciente che ciò non avrebbe dovuto offuscare il suo buon cuore.

«Anche io ti amo, Elliot.»

Con queste parole Leo diede il suo ultimo addio alla finestra sui suoi ricordi prima di chiudere la porta dello studio e perdersi nei corridoi della villa, verso l’uscita che avrebbe decretato la sua scomparsa.



Coda – La maggiore

Le battute di chiusura del canone funzionano come una liquidazione della linea melodica ai suoi elementi più semplici e si dirigono verso la cadenza finale.



L’amore muore di stanchezza e cecità, muore a causa di errori imperdonabili e tradimenti. Muore ogni volta che si diventa egoisti e bugiardi. Muore a causa di silenzi carichi di parole non dette, di sentimenti celati per il buon costume.

L’amore vero però non muore mai, non può morire. L’amore vero si mantiene vivo attraverso le memorie, i desideri, i sogni così come i rimpianti. L’amore, quello vero, quello che supera qualsiasi ostacolo, è in grado di sconfiggere la morte stessa finché le anime dei due amanti continuano a risuonare della stessa dolce melodia.





1 Semi-citazione di Fryderyc Chopin, compositore e pianista polacco del 1800.

 

 

 

 

Nota autrice:

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me. Amo profondamente questa coppia sin dalla mia prima lettura ed era d'obbligo che la mia prima storia fosse su di loro. Ho scelto di associare questo brano meraviglioso a questo racconto durante i miei studi in conservatorio sia per l'ispirazione che mi ha donato sia per la storia estremamente romantica dietro la sua composizione. Se avete ascoltato il brano durante la lettura mi auguro che abbia trasmesso a voi tutte le emozioni che volevo farvi provare, se non lo avete fatto, correte! Generalmente pubblicherò canzoni più moderne ma in questo caso volevo che la musica fosse antica per adattarla ai tempi di Pandora Hearts in modo che potesse essere "composta" da Elliot. Proprio per questo motivo trovate un'analisi del brano invece di un testo, un'analisi che spero di aver semplificato abbastanza per permettere a tutti di comprendere il messaggio.

Il Primo Violino rappresenta Elliot, il Secondo Leo e il Terzo Oswald, mentre i Motivi (Primario, Secondario e Accompagnamento) sono i momenti della loro vita. Leo all'inizio è un semplice servitore di Elliot, protagonista della sua storia, ma dopo la morte lascia spazio a Leo, che si ritrova a ricoprire una carica importantissima con il costante ricordo del suo amato che lo assilla e la presenza di Oswald che comincia a farsi spazio nella sua coscienza. Questa associazione dovrebbe rendere più chiaro quando è Elliot a condurre, quando Leo e quando invece Oswald cerca di insinuarsi. Nella terza sequenza armonica si trova un ricordo in cui i due ragazzi erano insieme senza ostacoli nel loro cammino e per questo motivo entrambi suonano la stessa melodia in maniera del tutto piacevole. Nelle restanti sequenze armoniche invece viene evidenziato che i due non possono coesistere se nessuno retrocede, una verità amarissima del manga purtroppo.

Grazie per aver letto fin qui. Al prossimo capitolo!

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pandora Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Aetheria_Nyx