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Autore: AlexSupertramp    04/07/2023    2 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17

Una maschera alla volta
 
«D’accordo Hayama, io adesso devo proprio andare.» disse Sana infilandosi il cellulare in tasca. Senza nemmeno rendersene conto però, con il dorso della mano si asciugò un’ultima lacrima dal viso.
«Ti accompagno.» replicò lui, senza aggiungere altro. Sana però aggrottò la fronte.
«Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Anzi, hai già fatto abbastanza.»
Ma Akito sembrò non ascoltarle nemmeno quelle parole, e si avviò verso le scale d’emergenza che conducevano ai piani superiori dell’ospedale. Non le rispose affatto, si limitò soltanto ad incamminarsi verso il reparto in cui lavorava Gomi.
«Sul serio, non c’è alcun bisogno che mi segui.» disse Sana con un tono deciso, ma allo stesso tempo ancora traballante. Lentamente, anche lei accompagnata dalla sua stampella, si stava avviando verso i piani superiori, facendo uno sforzo enorme per raggiungere e cercare di superare il passo di Akito. Quest’ultimo la guardò confuso.
«Kurata? Ma che stai facendo?»
«Vado da Gomi, Hayama. Non si vede?»
Akito però non le rispose, e Sana a quel punto si fermò nel bel mezzo delle scale antincendio e si voltò verso di lui.
«Vorrei andarci da sola.» gli disse, questa volta un po’ più decisa.
«Andiamo comunque nella stessa direzione.»
«Non mi importa Hayama.»
Akito a quel punto si sentì davvero frustrato, perché non riusciva proprio a comprendere quel cambio di umore così repentino. Sana per lui era sempre stata un mistero, una tavoletta incisa con una scrittura sconosciuta. Tuttavia, nonostante ricordasse bene quanto lei fosse sempre stata complicata da comprendere, quell’atteggiamento gli sembrava davvero troppo.
«Si può sapere che ti prende?» domandò lui, spazientito. 
«Niente, cosa vuoi dire?»
«Non ti sembra di esagerare?»
«Be’ non mi sembra ti stia chiedendo chissà cosa.» replicò lei, ma il suo tono duro tradiva qualsiasi parola. 
«Non è questo, Kurata.» disse lui, guardandola fissa negli occhi. Probabilmente stava cercando una chiave di lettura per quell’atteggiamento.
«E allora cosa?»
«Be’ mi sembravi… normale, fino a poco fa.» azzardò Akito, continuando a mantenere un tono deciso.
Sana aggrottò la fronte.
«Normale?» domandò, anche se le sembrò che quella domanda fosse improvvisamente evaporata, nell’esatto istante in cui quella parola era entrata a contatto con l’aria di quel posto.
«Più normale di così…» aggiunse in fine, in tono accigliato. Allora Akito le rivolse l’ennesima occhiata confusa.
«Non mi sembravi arrabbiata due minuti fa.» specificò lui, perché si era reso perfettamente conto dell’atteggiamento ostile che Sana aveva assunto all’improvviso.
«Non lo sono nemmeno ora.» insistette lei, appoggiandosi saldamente alla sua stampella. Le sembrò tutto ad un tratto di sentirsi indebolita.
«Non sono arrabbiata Hayama. Le persone si arrabbiano se gli altri le feriscono, quindi io perché dovrei sembrarti arrabbiata?» disse di getto, senza nemmeno pensare realmente al senso di quelle parole. E Hayama, infatti, un senso proprio non riusciva a trovarlo in quella stramba discussione nata dal nulla.
«Mi dispiace, ma io proprio non riesco a seguirti.» disse lui, arrendevole.
«Lascia perdere, non ha nessuna importanza. E ora, se vuoi scusarmi…» disse sbrigativa, voltandosi di scatto e dando le spalle ad Hayama. Il suo intento, quello di Sana, era scappare via da lì e raggiungere lo studio di Gomi dove, se non altro, avrebbe potuto rilassarsi e smettere di pensare a tutto quello che le stava succedendo in quel momento. Tuttavia, aveva fatto davvero male i conti con il circondario, perché si sentì afferrare per un braccio così forte che il punto focale del suo equilibrio già precario si perse per un istante. 
Sana si voltò trovandosi quasi addosso ad Akito, allora la sua testa entrò nel panico più totale.
«Kurata?»
«Lasciami andare Hayama. Gomi mi sta aspettando.» riuscì a dire, senza accorgersi che il suo corpo stava cercando in tutti i modi di divincolarsi dalla presa dell’altro. Tuttavia, le sembrò di non avere via di scampo, se non quella di supplicarlo involontariamente con lo sguardo, perché lei quella vicinanza non l’avrebbe retta a lungo. E si domandò come facesse invece lui a sostenerla con tale tranquillità. Poi, si rese conto che tutti quei tentativi di liberarsi dalla presa di Akito si erano susseguiti nella sua testa perché lei si trovava sempre nella stessa identica posizione.
«Ti vuoi calmare? Mi sembri impazzita.» replicò lui, sempre più confuso.
«Sono in ritardo, Hayama. Lasciami andare da Gomi... almeno lui non potrà dare il mio numero al primo che capita.» si lasciò sfuggire lei, senza nemmeno riflettere. Nonostante quel verbo, riflettere, l’aveva sempre appartenuta poco, negli ultimi anni della sua vita aveva fatto di tutto per evitare che certe cose uscissero nuovamente dalla sua mente senza controllo. Eppure, in quell’occasione, aveva commesso il suo primo fallimento dopo molto, molto tempo.
«Il tuo numero?» 
Hayama iniziava invece a perdere la pazienza, oltre a sentirsi sempre più confuso.
«Sì, il mio numero di telefono. Io non avrei mai…»
«Akito?»
Una voce fuori campo interruppe per sempre le parole di Sana. Nonostante nessuno dei due poteva vedere il punto esatto da cui proveniva quella voce, entrambi smisero quasi di respirare.
Poi Hayama lentamente lasciò andare la presa sul braccio di Sana e si voltò verso la sua ragazza ferma sull’ingresso del piano, accanto alle scale d’emergenza.
Sana si aggrappò velocemente alla ringhiera delle scale con una mano, mentre l’altra continuava a tenere salda la presa sulla stampella. Si sentì improvvisamente una sciocca e desiderò con tutte le sue forze di sparire da lì per sempre.
Eppure, continuava ad essere lì.
«Che sta succedendo qui?» domandò Fumiko con uno sguardo stranito. Allora Hayama fece qualche passo verso di lei, dando definitivamente le spalle a Sana.
«La stavo accompagnando da Gomi.» disse lui sbrigativo. 
«Già, ci siamo incontrati per caso. Poi io sono stata assalita da alcune fan un po’ strane, e nelle mie condizioni era veramente difficile riuscire a gestire la cosa da sola. Per fortuna Hayama mi ha dato una mano… ma adesso posso andare anche da sola. Grazie. Ciao.»
Sana fece quel monologo in un batter di ciglia, indossando la migliore delle sue maschere, tanto che nessuno dei suoi spettatori ebbe il tempo di capire, o replicare. 
Nonostante Fumiko le avesse chiesto se fosse sicura di riuscire a raggiungere lo studio di Gomi da sola, Sana si era congedata in fretta da entrambi, cercando di scalare due gradini alla volta senza rompersi l’osso del collo. Naturalmente non ci riuscì, ma si sentì sollevata quando capì che nessuno dei due alla fine l’aveva seguita.
 
Gomi, che l’aveva accolta nella grande sala che condivideva con gli altri medici specializzandi del suo corso, le aveva dato altre tre settimane di riposo. La sua gamba non era migliorata affatto, anzi a detta di Gomi sembrava essere addirittura peggiorata, il che lo aveva spinto a domandarle se non se ne fosse andata in giro a correre la maratona della città metropolitana di Tokyo.
Nei giorni successivi a quella visita – e all’incontro con Hayama – Sana aveva ripensato alle parole di Gomi più e più volte. 
Il fatto di dover restare in Giappone per almeno altre tre settimane non le sembrò affatto l’aspetto peggiore della vicenda visto che ormai a Seul non aveva più un lavoro, né nient’altro da fare. Almeno non nell’immediato. Inoltre, l’idea di tornare in Corea e dover affrontare Ji-won, Lee, i suoi ex colleghi e tutti i suoi fan la terrorizzava. Allo stesso tempo però pensare di restare lì a Tokyo le bloccava il flusso d’ossigeno in gola, nonostante in Giappone l’interesse per la sua vita privata era andato scemando giorno dopo giorno.  Tuttavia, a quel pensiero – restare in Giappone per almeno un altro mese - la sua mente tornò inevitabilmente a quello che era successo in ospedale con Akito, prima dell’arrivo tempestivo della sua fidanzata.
Aveva letto diverse volte il messaggio da parte di Jun Watanabe sul suo cellulare, e ogni volta si era domandata perché Hayama gli avesse dato il suo numero senza nemmeno chiederle il permesso. Insomma, lei nella situazione inversa non lo avrebbe mai fatto. Avrebbe sicuramente pensato a Fumiko e al fatto che Hayama era una persona impegnata. Poi si rese conto che la situazione inversa non era proprio paragonabile, ma comunque continuava a pensare che avrebbe dovuto chiederle il permesso prima di dare il suo contatto ad uno sconosciuto.
Si lasciò andare sul letto a peso morto, sentendo una leggera fitta alla gamba. Probabilmente Gomi aveva ragione e avrebbe dovuto riposarsi di più e prendersi cura di se stessa. Invece aveva passato tutto il suo tempo ad andare in giro con Ryu e sua madre. Di quel passo sarebbe rimasta a Tokyo almeno fino al nuovo anno. E quel pensiero la portò inevitabilmente indietro nel tempo, a moltissimi anni prima quando per lei e i suoi vecchi amici, festeggiare insieme il Natale era un evento che aspettavano davvero con gioia.
Sana sbuffò, si lasciò andare sul letto a baldacchino della sua vecchia stanza avvertendo una leggera fitta alla gamba.
«Ahi!» esclamò di riflesso, rendendosi conto che non stava affatto guarendo. Poi, distrattamente, ripescò il cellulare dalla tasca dei pantaloni, iniziando a far scivolare distrattamente l’indice sullo schermo del suo cellulare, finendo nuovamente tra le chat di line. Aprì la chat di gruppo in cui l’aveva invitata Tsuyoshi qualche giorno prima, finché non cliccò sul profilo di Akito. Continuava a non avere nessuna immagine del profilo e come messaggio personale ne aveva uno preimpostato dall’applicazione in cui diceva che ora anche lui stava utilizzando quell’app per inviare messaggi.
Rimase ferma sul profilo di Hayama, finché un rumore improvviso non la fece sobbalzare, ma solo in un secondo momento, quando capì che quel rumore non era altro che sua madre che bussava alla porta della sua stanza, realizzò di aver premuto per sbaglio il tasto di chiamata sul numero di Akito.
«Oddio!» esclamò in preda al terrore. A quel punto scattò in avanti, sedendosi sul letto senza nemmeno pensare alla sua gamba indolenzita, affrettandosi a terminare la chiamata partita per sbaglio. Poi, di getto, spense il cellulare e lo lanciò dall’altra parte del letto, proprio nel momento in cui comparve il viso di sua madre nella stanza.
«Mammina.» disse lei, con un sorriso nervoso.
«Tutto bene?» le domandò sua madre, titubante.
«Certo. Va tutto alla grande.»
«Oh… se lo dici tu. Comunque, hai una visita.» le disse, spalancando la porta della sua stanza. In quel momento il cuore di Sana, che stava già correndo abbastanza veloce, iniziò a scalpitare. Non riusciva a spiegarsi il motivo di quell’agitazione, ma era convinta che dietro quella porta poteva esserci veramente chiunque, pronto a sconvolgerle nuovamente l’esistenza.
Tuttavia, il viso sorridente di Tsuyoshi la fece calmare all’istante. 
«Ciao Sana, posso entrare?»  domandò lui, leggermente imbarazzato.
«Ma certo, entra pure.»
Sua madre invece fece un passo indietro, lasciando a Tsuyoshi il via libera per la camera di sua figlia.
«Scusatemi, ma mi è appena arrivato un nuovo copricapo e devo proprio correre giù a provarlo.» disse semplicemente, defilandosi. 
Tsuyoshi la guardò allontanarsi, poi rivolse il suo sguardo a Sana, sollevando le sopracciglia.
«È bello vedere che qualcuno tra noi non è cambiato affatto.» disse con un sorriso.
«Già, mia madre non cambierà mai.» disse, guardandolo poi con uno sguardo interrogativo.
«Mi trovavo da queste parti, e ho pensato di venire a trovarti. Non ci vediamo da quella volta in cui siamo usciti tutti insieme; quindi, mi sono detto che forse avrei potuto farti visita. Spero di non disturbare.»
«Ma figurati, nessun disturbo.» disse Sana, anche se in quel momento sentiva di avere davvero bisogno di un po’ di tregua per pensare lucidamente alla sua vita.
A quel punto Tsuyoshi si avvicinò a lei, che continuava a restare immobile sul suo letto. Poi si guardò intorno scorgendo uno sgabello, lo afferrò e le si sedette di fronte, accavallando le gambe.
«In realtà sono venuto perché ero un po’ preoccupato per te. La parte invece riguardo al fatto che mi trovassi nelle vicinanze… quella be’ è vera.» disse con un sorriso imbarazzato.
«Preoccupato?» domandò Sana, un po’ confusa.
«Be’ sì, ultimamente se ne leggono di tutti i colori sul tuo conto.»
«Ah, ti riferisci a quello?» disse poi lei, abbassando lo sguardo. Per un istante si domandò cosa avesse letto Tsuyoshi, e quale delle tante notizie su di lei lo avesse spinto a preoccuparsi in quel modo.
«Be’ sì. Ho pensato che non sia proprio piacevole essere su tutti i giornali di gossip. In più forse qui ti sentirai sola… insomma, ho pensato che forse avessi bisogno di una spalla su cui sfogarti e sono venuto ad offrirti la mia.»
«Ti ringrazio Tsu, sei carino. In effetti non è un gran momento…» disse lei, sinceramente, per la prima volta dopo tanto tempo. In fondo Tsuyoshi cosa avrebbe potuto pensare di lei, dopo quelle parole? Di certo se non l’aveva abbandonata anni prima, continuando a mostrarle la sua amicizia anche dopo quello che era successo in passato e il modo in cui lei era semplicemente sparita dalla vita di tutti, non l’avrebbe certo fatto ora. O almeno così credeva. Quindi pensò che per un attimo, un solo istante nella vita, poteva permettersi di lasciarsi andare e far scivolare dalle sue spalle tramortite un po’ di quel peso che sentiva ormai da un tempo davvero difficile da quantificare.
«Immaginavo. Però devi stare tranquilla, perché vedrai che il lavoro tornerà. Certo che i giornalisti non hanno proprio un minimo di etica. Mettersi in agguato fuori il tuo appartamento a Seul solo per fotografare il tuo ragazzo… non ci potevo credere quando l’ho letto. Ci credo che ti senta sola qui senza di lui.»
A quelle parole Sana sussultò, perché non si aspettava affatto di dover affrontare una conversazione del genere.
«Oh, be’ sai come sono fatti i giornalisti.» rispose, senza dare troppe spiegazioni. La verità era che il suo rapporto con Lee non se lo sapeva spiegare nemmeno lei, solo che nessuno fino a quel momento glielo aveva fatto notare e quindi, le era sempre andato bene.
«Comunque, non sapevo avessi un ragazzo.»
«In verità non è che sia proprio il mio ragazzo.»
«Ah no?» domandò lui, sorpreso.
«Be’, è una situazione un po’ difficile da spiegare», spiegò Sana velocemente, rannicchiandosi nelle sue stesse spalle. «Lee e io ci conosciamo da un po’, ed è l’unica persona che frequento a non essere parte del mondo dello spettacolo.» concluse lei, domandandosi in realtà cosa avrebbe pensato Tsuyoshi se fosse stata davvero sincera sulla presenza di quell’uomo nella sua vita.
«Oh, certo. Capisco. Ad ogni modo, credo sia davvero difficile vivere la propria vita sotto gli occhi di tutti, insomma è una cosa che penso da quando ti conosco.»
«A volte lo è. Altre volte invece è l’unica cosa che amo fare.»
«Sì, è naturale.»
«Invece tu come stai?» domandò lei. Le sembrò che parlare di sé fosse diventato improvvisamente abbastanza.
«Bene, sto abbastanza bene. Naturalmente non conduco una vita appassionante come la tua, d’altronde chi mai si apposterebbe sotto il mio appartamento? La cosa più eccitante che mi è successa nell’ultimo mese è stato uscire con una ragazza che fa le pulizie allo zoo.» raccontò lui, mantenendo in viso quel sorriso imbarazzato con cui era entrato nella camera di Sana. Quest’ultima sorrise di rimando, ricordando con nostalgia che il suo vecchio amico Tsuyoshi era ormai single e che quella che sembrava la relazione perfetta, destinata a durare per sempre, era invece un rapporto tra due ragazzi che, come tanti altri, era semplicemente finito.
«Be’ mi sembra comunque interessante.»
«Per un impiegato in un’azienda farmaceutica lo è eccome.»
«Chi lo avrebbe detto che sareste diventati tutti medici.» commentò quindi lei, senza considerare ad alta voce che in quel “tutti” aveva incluso anche una persona che in realtà non aveva mai fatto parte della loro infanzia.
«Ma io non sono un medico. Mi definirei più un segretario.» riferì Tsuyoshi divertito.
«Be’ ha comunque a che fare con i malati.» disse Sana, e Tsuyoshi sentendole fare quel commento pensò che in fondo anche l’ingenuità della sua vecchia amica era rimasta immutata nel tempo.
«Niente affatto. Non potrei mai lavorare in un ospedale. È per questo che scelsi la facoltà di economia all’università, nonostante i piani iniziali erano diversi.»
«Quali piani?»
«Be’ Aya voleva che entrambi frequentassimo medicina, ma come ti ho già detto non è un lavoro che mi si addice.»
«Ed è per questo che non state più insieme?» domandò Sana, aggrottando la fronte. Quell’argomento le stava particolarmente a cuore.
«No, almeno non credo. È stata lei a lasciarmi sai? Quasi due anni fa, durante il suo tirocinio ad Osaka. Diciamo che il fatto che ci sentissimo due volte alla settimana e che non parlassimo di nulla era già un chiaro segnale.»
«Mi dispiace molto Tsu. Eravate così felici.»
«Sono passati anni Sana. E poi ora lei vive lì e lavora all’ospedale di Osaka. Lei e Gomi avevano iniziato insieme, ma lui è diventato un medico, mentre Aya invece ha scelto di diventare un’infermiera pediatrica.»
Il breve racconto di Tsuyoshi suscitò in Sana una miriade di sentimenti contrastanti, perché improvvisamente si rese conto di non conoscere affatto quelle persone e che tutti quegli anni avevano immagazzinato nelle loro anime una serie di ricordi indelebili che li avevano resi le persone che erano: dei completi sconosciuti. D’altronde però, anche lei era diventata una persona diversa, e nessuno dei suoi amici, pensò, aveva la minima idea di quello che aveva dentro.
«Spero, comunque, che tu stia bene.»
«Ma certo. All’inizio è stata dura, lo ammetto. Poi per fortuna Akito e Shin mi sono stati vicino e grazie a loro ho capito che in realtà tra me e Aya ormai c’era solo affetto fraterno. In realtà devo dirti che mi sono proprio divertito con loro due: non facevamo altro che passare tutte le notti nei locali di Shinjuku.»
Sana si raddrizzò sul letto, senza nemmeno accorgersene.
«Con uno come Gomi non faccio fatica a crederti.» esclamò, anche se in realtà avrebbe voluto chiedergli qualcosa in più su Hayama. 
«Be’ non che Akito si annoiasse. A quel tempo non aveva impegni con nessuna.» disse lui, come se l’avesse letta nel pensiero. Sana lo guardò confuso.
«E Fumiko?»
«Oh, guarda che stanno insieme da pochissimo. È successo per caso una sera in cui io e Akito siamo andati ad una festa organizzata da Gomi e alcuni suoi colleghi. È lì che si sono rivisti.»
Per chissà quale ragione da quando Sana aveva scoperto della loro relazione aveva sempre pensato che durasse dai tempi delle superiori, quando lui le faceva ripetizioni di matematica. Evidentemente quella sua convinzione andava dritta ad aggiungersi a tutte quelle cose che sapeva sul conto dei suoi vecchi amici, ma che ormai non corrispondevano più alla verità.
«Capisco… mi sembrano carini insieme.» disse Sana, domandandosi poi subito dopo da quale antro remoto del suo cervello le fosse venuto in mente quel commento. In effetti ricordò solo in quel momento della chiamata ad Hayama partita per sbaglio e del suo cellulare spento.
«A proposito, questa sera c’è una specie di evento organizzato dall’azienda di Akito. Niente di formale, lui lavora per una piccola compagnia e saremo quattro gatti. Ora gli dico che ci sei anche tu.» disse lui senza nemmeno chiederle se ne avesse voglia o meno.
«Oh no, io questa sera non posso proprio.» replicò allarmata.
«Ma dai, non ci vediamo mai e mi hai appena confessato di sentirti sola e spaesata. Ci sarà anche Hisae, credo sia una buona occasione per voi due di parlare un po’.» disse, alzandosi dallo sgabello e avvicinandosi alla finestra. Si era messo il cellulare all’orecchio, senza più prestare attenzione alle proteste di Sana.
«Guarda che io proprio non posso, davvero. Poi è rischioso per me venire, sarà pieno di giornalisti in giro.»
Ma Tsuyoshi aveva smesso di ascoltarla. Per una volta aveva seguito il consiglio di Gomi, e dovette ammettere a se stesso che ignorare le persone funzionava alla grande perché ormai l’unica cosa che sentì furono le parole di Akito quando rispose dall’altra parte del telefono.
«Ti disturbo?»
«No, dimmi.» replicò Hayama, chiudendo ad icona la pagina internet che stava consultando. Si domandò cosa volesse nuovamente Tsuyoshi, visto che lo aveva chiamato meno di un’ora prima.
«Allora ci vediamo stasera?»
«Sì, di nuovo. Hai qualche problema?» gli domandò, riaprendo distrattamente la stessa pagina che stava consultando poco prima.
«No. Verrà anche Sana con noi, sono qui a casa sua e tra un po’ chiameremo un taxi.»
Akito non rispose, né si sorprese più di tanto visto che Tsuyoshi gli aveva già anticipato la sua volontà di farle visita. Si limitò a voltarsi verso la porta del suo studio, chiusa, cercando di capire se dalla cucina del suo appartamento provenisse qualche rumore.
Poi tornò alla sua pagina internet.
«Un taxi?»
«Già. È un po’ lontano, e Sana non può ancora camminare da sola.»
«D’accordo.»
«Allora ci vediamo dopo.» 
«Ok… ehi?» disse Akito, prima che Tsuyoshi riagganciasse. Era riuscito a fermarlo in tempo, ma poi fu lui a fermare anche le sue stesse parole.
«Dimmi.»
«Non prendere la tangenziale ovest, altrimenti non arrivate più.» rispose distrattamente, riagganciando la chiamata senza nemmeno attendere la risposta dell’altro.
Gli occhi di Akito rimasero fissi sull’elenco delle chiamate in uscita ed entrata. Poi, qualcuno bussò alla porta della stanza e di nuovo ridusse ad icona la pagina sullo schermo del suo computer.
«Disturbo?» domandò Fumiko, con solo metà del corpo visibile ad Akito.
«No, entra pure.»
«Come va il lavoro?»
«Più o meno. Ma penso di aver quasi finito.»
«Giusto in tempo per la festa.» commentò lei, con un sorriso nervoso. 
«Non che mi vada di andarci.»
«Spero ci sia almeno da bere.» disse lei, avvicinandosi alla scrivania a cui era seduto il suo ragazzo. Si appoggiò lì, senza indugiare oltre, passandosi poi una mano tra i capelli.
«Tu a che ora finisci? Vuoi che venga a prenderti?» disse lui, fermo sulla sedia. 
«Finisco tardi, alle tre. Però se a quell’ora sarai ancora in giro, accetto volentieri la tua offerta.» disse lei, con una strana sensazione nel petto. Per la prima volta da quando si era messa insieme ad Akito provò le stesse sensazioni che provava quando era circondata dai suoi amici, e non sapeva più dire nulla che non fosse stato ben ponderato qualche attimo prima che uscisse dalle sue labbra. Nei giorni precedenti aveva avvertito quella sensazione così tante volte che spesso si era recata a lavoro con più anticipo del solito, senza nemmeno capirne il motivo.
Dopo la scena a cui aveva assistito in ospedale, si era resa conto che la presenza di Sana Kurata, lì a Tokyo, la metteva a disagio e si era ritrovata a desiderare più e più volte che partisse il prima possibile per tornarsene in Corea.
«D’accordo, ti vengo a prendere.» aveva risposto Akito.
«E Sana come sta? Gomi mi ha detto che la sua gamba sembra essere peggiorata.» domandò di getto. 
«Non ne so nulla. Ma se lui dice così, evidentemente la sua gamba è peggiorata.»
Eppure, quella spiegazione non soddisfò nessuno dei due. Akito, che dopo l’accaduto dell’ospedale era tornato a casa sua insieme a Fumiko, non riusciva a capire perché continuava a domandarsi il motivo del cambio d’umore di Kurata. Aveva capito che c’entrava il suo numero di cellulare, ma proprio non riusciva a risolvere quell’enigma. Ci aveva pensato così spesso nei giorni successivi, senza trovare mai una soluzione a quell’enigma, che ad un tratto lavorare a quei codici complicati gli era sembrata la cosa più semplice del mondo. Tuttavia, però, nonostante gli sforzi, né i codici né il rompicapo Kurata gli tornavano in qualche modo.
«Mi dispiace per lei. Ad ogni modo pensò che mi riposerò un po’ prima di uscire.» gli disse lei, senza cambiare la sua posizione nemmeno di un centimetro. Akito però la guardò, annuendo con il capo.
«Faresti bene a dormire un po’, in effetti.» concluse, appoggiando una mano su quella di Fumiko per un istante, prima di recuperare il mouse del suo computer. 
Fumiko a quel punto gli sorrise, poi lentamente si avvicinò al suo viso per dargli un bacio, ma fu anticipata dalle mani di Akito che la attirarono a sé con una velocità maggiore di quanto lei avrebbe potuto. Tuttavia, quel gesto, in quel momento, fu sufficiente a farla sentire un po’ più leggera per affrontare quel nuovo, estenuante, turno di lavoro in ospedale.
Ma se Fumiko si era sentita sollevata, dopo quel bacio da parte di Akito, quest’ultimo invece continuava a provare uno strano sentimento che però non riusciva a definire. Aveva dato l’ennesima occhiata al suo cellulare ancora un paio di volte dopo che la sua ragazza aveva lasciato il suo appartamento per andare in ospedale, ma non sapeva nemmeno lui cosa aspettarsi da quello schermo.
Inoltre, si sentiva tremendamente frustrato perché continuava a non venire a capo del problema che aveva a lavoro ormai da diverse settimane, e quell’aspetto non faceva altro che complicargli l’umore.
«Dannati.» sussurrò con lo sguardo fisso sullo schermo del computer. Si sentiva improvvisamente intrappolato, in balia di due tecnologie che lo stavano mandando in tilt senza che lui riuscisse davvero a prenderne il controllo. Eppure, lui con quella roba ci lavorava, da anni, pensò.
Di colpo però si rese conto che si era fatto davvero tardi, e che quello stupido evento organizzato dalla sua azienda sarebbe iniziato da lì a breve. Pensò all’ultima telefonata di Tsuyoshi e al fatto che quell’invito era stato buttato in mezzo ad una conversazione, senza avere davvero il peso che l’amico gli aveva dato. Tuttavia, nonostante tutto, sentì improvvisamente la testa meno pesante a quel pensiero. Quindi, si decise a spegnere il computer e afferrando le chiavi della sua auto, si avviò verso il parcheggio sotterraneo del suo condominio.
Nonostante Akito avrebbe sicuramente tardato all’evento, Tsuyoshi aveva deciso di trascinare Sana in un taxi molto prima del previsto perché, a detta sua, Shinjuku a quell’era diventava una trappola per auto. Sana si era stretta nelle spalle e nella sua ormai fedele stampella, ma si era anche resa conto che il suo vecchio amico non avrebbe ammesso alcun rifiuto per cui si era ritrovata ad acconsentire ancora una volta ad un invito per un evento in cui ci sarebbero stati tutti i suoi vecchi compagni di classe. Di nuovo.
Ad un tratto allontanò lo sguardo dal finestrino del taxi e si voltò verso Tsuyoshi.
«Verrà anche Gomi?» gli domandò.
«Non credo. Gliel’ho detto, ma non mi ha nemmeno risposto e di solito quando fa così è perché deve lavorare.»
«Oh, capisco.» rispose lei, con una punta di delusione. Probabilmente era dovuto al fatto che Gomi era il suo medico, ma si era anche resa conto che in sua compagnia non si sentiva affatto a disagio e aveva sperato per un attimo che ci fosse anche lui, perché aveva avuto l’impressione che la sua presenza aveva spesso smorzato la tensione che invece percepiva quando era insieme agli altri.
«Senti, posso farti una domanda?» esordì Tsuyoshi improvvisamente.
«Una domanda?» ripeté Sana, leggermente allarmata. Guardò fuori dal finestrino e si rese conto che il taxi era fermo in mezzo ad una miriade di auto che non si muovevano di un centimetro. Improvvisamente si sentì intrappolata.
«Sì, è da quando ci siamo rivisti che volevo chiederti di Naozumi. Insomma, nonostante le notizie sui giornali, nessuno di noi ha idea di cosa sia successo davvero.»
A quelle parole Sana tirò un sospiro di sollievo, perché dal tono di Tsuyoshi si era preparata davvero al peggio. Sospirò abbassando appena lo sguardo.
«Be’ quello che hanno scritto i giornali all’epoca è vero. Almeno la maggior parte di quello che è stato detto… Naozumi ci ha messo davvero tanto a riprendersi e per i tre anni successivi al suo incidente abbiamo vissuto praticamente insieme. Poi lui, all’improvviso, si è stancato di me e mi ha lasciata. È stato poco prima che mi trasferissi a Seul.»
Tsuyoshi, a quel tempo, aveva letto della lenta ripresa di Naozumi Kamura e del suo parziale ritiro dalle scene. Aveva trascorso molti mesi in una clinica di riabilitazione di Kagoshima, ma di Sana Kurata si diceva poco o nulla; quindi, tutti loro avevano sempre immaginato che gli fosse rimasta accanto e che stessero ancora insieme. Fin quando non era stata Hisae, molti anni dopo, a leggere la notizia del ritorno alle scene di Kamura e del suo fidanzamento con una modella cinese. 
«Mi dispiace, deve essere stato un periodo difficile.» disse Tsuyoshi, sinceramente dispiaciuto.
«Già.» si limitò a dire Sana. Naturalmente c’era molto altro dietro quella storia raccontata a Tsuyoshi, nello stretto abitacolo di un taxi imbottigliato nel traffico serale di Shinjuku, ma Sana pensò che non avesse senso raccontarla. In verità erano sensazioni, sentimenti che aveva provato molti anni prima e che probabilmente non sarebbe nemmeno stata in grado di spiegare a parole. Eppure, aveva provato molte cose quando Naozumi l’aveva lasciata, dicendole che in quel modo lui non ce la faceva più a stare con lei.
«Sai, in un certo senso ti capisco.» continuò Tsuyoshi, «Quando Aya mi ha lasciata è stata dura, lo ammetto. Ma più che altro provavo una strana sensazione, come se avessi fallito in qualcosa di davvero importante…»
Sana ascoltò quelle parole, chiedendo a se stessa lei cosa avesse provato davvero e se fallimento era la definizione giusta anche per i suoi sentimenti. In fondo, non era mai riuscita a trovare un colpevole per quello che era successo a lei stessa in tutti quegli anni. Insomma, chi aveva fallito? E in cosa?
A quel punto però, il taxi iniziò a muoversi di nuovo, e in poco tempo li portò a destinazione. Giusto in tempo perché quella conversazione terminasse, pensò ironicamente Sana.
«Bene, ci siamo.» disse lui, pagando il tassista e uscendo velocemente dall’auto. Sana invece si guardò lentamente intorno, esplorando il grosso edificio che si alzava davanti a loro. 
«E’ qui che lavora Hayama?» domandò, indicando tutti quei piani sopra le loro teste. Si sentì poi una sciocca, perché nel momento in cui pronunciò quel nome, la sua mente tornò al giorno in cui si erano incontrati in ospedale, e si domandò se non fosse il caso di tornarsene a casa sua, pure a piedi. Insomma, quello tra lei e Hayama era stato un vero e proprio litigio, e lei cosa stava facendo? Si presentava ad una festa organizzata proprio dai suoi colleghi?
«Senti Tsu, forse è meglio che io…»
«Oh, ecco Akito.» la interruppe lui, agitando una mano davanti alla faccia di Sana. In verità lei ebbe la sensazione che le sue parole non erano nemmeno state ascoltate, e le venne un colpo al cuore quando Tsuyoshi pronunciò quel nome. Si voltò lentamente, ma si sorprese di quanto lui in realtà fosse già vicino a loro.
«Aspettate da molto?» domandò Hayama, infilandosi le chiavi dell’auto nella tasca dei pantaloni.
«In verità siamo appena arrivati. C’è un casino infernale per strada, come hai fatto a trovare il parcheggio per l’auto?»
«Ho il posto riservato ai dipendenti.» spiegò brevemente lui, poi fece segno all’amico di seguirlo verso l’ingresso dell’edificio. Tutti e tre si recarono agli ascensori al piano terra, e Sana si sentiva sempre più a disagio. Pregò che il piano di Hayama fosse uno dei più bassi, ma quando lo vide premere il pulsante con il numero venti sospirò desolata, in vista di quel viaggio lungo.
Si appoggiò contro la parete dell’ascensore, stringendo con entrambe le mani la sua stampella. Guardò poi le spalle di Hayama e si domandò quand’è che gli erano diventate così grosse. Era sicura che a sedici anni non le aveva così, nonostante gli allenamenti.
«Ora scrivo il piano anche ad Hisae. Mi ha appena mandato un messaggio per dirmi che ha finito ora di lavorare.» li informò Tsuyoshi, ma nessuno dei due proferì parola. 
«Poi lei prende la metro di solito, non ci metterà molto.» continuò, nonostante il silenzio dei due.
Quel viaggio sembrò a Sana davvero interminabile, e il silenzio in cui erano avvolti tutti e tre rese quel momento ancora più pesante. In un impeto di imbarazzante presa di posizione, pensò che forse sarebbe stato meglio dare una mano a Tsuyoshi a smorzare la tensione; quindi, aprì la bocca ma l’unica cosa che sentì uscire fu l’aria, che le andò pure di traverso. Allora iniziò a tossire, lasciando con una mano la presa sulla stampella.
«Ehi, tutto ok?» le domandò Tsuyoshi. Anche l’attenzione di Akito era stata catturata dalla sua gola capricciosa, perché si era voltato appena verso di lei.
«C’è polvere, probabilmente.» disse quest’ultimo, guardandosi intorno. Tsuyoshi lo guardò, leggermente sorpreso, poi finalmente l’ascensore si fermò e le porte si aprirono.
Sul pianerottolo del ventesimo piano c’era già qualcuno con in mano un bicchiere di qualcosa, intento a parlottare con qualcun altro e nessuno prestò attenzione a loro tre. Arrivati in quello che di solito era un normale ufficio, Tsuyoshi si voltò verso i due suoi amici.
«Scusate, devo scappare in bagno.» disse, guardandosi intorno alla ricerca del bagno per gli uomini. Allora Akito gli indicò un punto in fondo alla sala, prima di vedere il suo amico defilarsi.
Sana pensò che forse il bagno potesse essere un’ottima scusa per sparire a sua volta. Anche se l’aveva già usata molte volte in passato, pensò che Akito probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorto e fece per voltarsi, quando lui però le si avvicinò di qualche centimetro.
«Prendiamo da bere?» le domandò, cogliendo Sana alla sprovvista.
«Tu vuoi bere?» riuscì a dire, ma se ne pentì immediatamente. Che razza di domanda era?
«Vuoi fare altro?» rispose retorico. Poi senza pensarci troppo, spinse leggermente una mano contro la schiena di Sana indicandole un punto non troppo lontano da loro in cui avevano allestito un piccolo tavolo con delle cose da bere. Lei, di risposta, si lasciò condurre da lui, dimenticando improvvisamente il motivo dell’imbarazzo che stava provando da quando aveva messo il piede fuori da quel dannato taxi.
Akito diede una rapida occhiata a quello che c’era da bere sul tavolo, poi prese una birra per lui e ne offrì una a Sana.
«Oh, no grazie. Troppo amara.»
«Amara?»
«Già. Preferisco bere del vino.» replicò sotto lo sguardo tranquillo di Hayama. In effetti, pensò Sana, quella era una situazione tranquilla in cui lei si trovava ad una normalissima festa, in compagnia dei suoi vecchi amici che non vedeva da tempo. Si disse che doveva smetterla di ingigantire le cose e che, in un modo o nell’altro, poteva pure provare a divertirsi. Quindi, con una nuova filosofia che prendeva piede nei meandri reconditi della sua coscienza, si versò un bicchiere di vino bianco sentendosi di colpo più leggera. Poi lui le si avvicinò nuovamente.
«Mi hai chiamato, oggi pomeriggio?» esordì all’improvviso.
Quella domanda la mandò seriamente nel pallone e sentì tutto in un colpo la sua nuova filosofia di vita che volava via, lasciando il posto al frenetico desiderio di rifugiarsi nel bagno delle donne. 
«Io?»
«Sì. Ho trovato una tua chiamata persa.» disse lui, bevendo un sorso di birra.
«Oh? Davvero? Deve essere partita per sbaglio.» si giustificò lei, avvicinando il bicchiere di vino alle labbra.
«Ho pensato che volessi dirmi qualcosa.»
«No, no niente affatto.» si affrettò a precisare lei. Poi le venne in mente la loro discussione in ospedale, e di colpo le parole di Hayama acquistarono un senso. In fondo quella era l’ultima volta che si erano visti, e ripensò al fatto che lui aveva dato il suo numero ad uno sconosciuto e il senso di rabbia risalì a galla, come un panino al tonno andato a male.
«E poi, se c’era qualcuno che doveva chiamare qualcun altro, be’ non ero di certo io.»
«Ci risiamo con questa storia.»
«Non me la sono mica dimenticata, Hayama.»
«Mi spieghi a chi avrei dato il tuo numero se nemmeno ce l’avevo prima che mi chiamassi?» domandò Hayama, mentre sentiva l’ultimo briciolo di pazienza abbandonare il suo corpo. Insomma, perché non gli diceva esattamente le cose come stavano? Invece gli sembrò di avere tra le mani un cubo di rubik.
Sana però lo guardò confusa. 
«Be’, io pensavo che… visto che Tsuyoshi…» avrebbe voluto precisare che entrambi facevano parte di una chat di gruppo, che c’era anche il suo numero tra i partecipanti, ma le parole proprio non ne volevano sapere di uscire fuori dalla sua bocca formando qualcosa che avesse un senso. In effetti, che cosa si aspettava? Perché mai tutto ad un tratto, sentiva solo un enorme senso di delusione.
«Ehi state già bevendo?» li interruppe Tsuyoshi, tornato dalla sua spedizione in bagno. A quel punto Sana decise di approfittare di quel piccolo momento di confusione per dare le spalle ad entrambi e cercare una rapida via di fuga. Probabilmente la sua testa sarebbe esplosa molto presto.
Poi incrociò un viso familiare.
«Sana Kurata, il destino deve volermi davvero bene.» esclamò Jun Watanabe a voce talmente alta che lo sentirono tutte le persone che si trovavano nel raggio di qualche metro.
Sana strinse il bicchiere di vino ancora più forte, e pregò che quei calici fossero fatti di un vetro abbastanza resistente a quel tipo di situazione.
«Guarda un po’, ci siete proprio tutti.» aggiunse, avvicinandosi ai tre. Akito non rispose, limitandosi a bere la sua birra. Tsuyoshi invece gli sorrise. Si erano già visti in precedenza, ma si sorprese che quel tipo si ricordasse di lui.
L’attenzione di Jun poi si spostò interamente su Sana, e la guardò dritto negli occhi.
«Continuiamo ad incontrarci. Mi considero un tipo insistente, ma vedo che non c’è stato bisogno di mandarti un altro messaggio.» le disse, strizzandole un occhio.
In un altro momento della sua vita, in un’altra dimensione e in un’altra città, forse Sana si sarebbe lasciata anche andare a quelle avances. Se si fosse trovata a Seul, ad uno degli eventi a cui era solita partecipare, probabilmente con un tipo come Jun si sarebbe anche potuta divertire. Il punto era che si trovava a Tokyo, e le sembrava di indossare altri panni che non riusciva più a riconoscere, o a ricordare.
Poi si sentì afferrare una mano.
«Coraggio, andiamo a ballare.» le propose Jun.
«Aspetta, non posso…» cercò di dire lei, sollevando la sua stampella a mezz’aria. Ma Jun le sorrise divertito.
«Tranquilla, è la benvenuta.» concluse sorridendo, trascinandola al centro della sala.
Tsuyoshi invece, che aveva assistito a tutta la scena, rivolse una rapida occhiata al suo amico che di colpo si era scolato l’intero contenuto della bottiglia di birra.
«Tu lo sapevi che quel tipo ci sta provando con Sana?» gli domandò.
«Come facevo a saperlo?»
«Be’, siete colleghi… magari ti ha parlato di lei.»
«Io e Watanabe non parliamo.» lo seccò Hayama, afferrando un’altra bottiglia di birra.
«E non pensi che dovresti indagare? Sana è una nostra amica e…»
«E chi se ne importa.» concluse Akito, portando alle labbra la bottiglia di birra appena stappata. Tsuyoshi smise di parlare, concentrandosi soltanto su quel Jun che faceva fare a Sana dei lenti movimenti, stando attento a non perdere il suo terzo arto.
In effetti, lei si sentì alquanto tranquilla nonostante stesse ballando con una stampella e una gamba ridotta in quel modo. Ovviamente i suoi movimenti erano comunque cauti, ma stava ballando a tutti gli effetti.
«Vedi che ci muoviamo benissimo noi tre insieme?» le disse Jun, indicando la sua stampella. Lei in quel momento però ne approfittò e si voltò rapidamente verso il punto in cui c’era il tavolo con le bevande, ma sentì una punta di delusione quando scoprì che i suoi amici non c’erano più. Tornò quindi a voltarsi verso Jun.
«Scusa, posso chiederti una cosa?»
«Ma certo principessa.» le rispose con un sorriso. Sana pensò che quell’appellativo avesse tutto un altro significato in quella circostanza.
«Come hai fatto ad avere il mio numero?»
«Non posso certo rivelare i miei segreti, così su due piedi.»
«Immagino che violare la privacy della gente faccia parte dei tuoi segreti.» lo apostrofò lei. A quel punto Jun fece una leggera risata.
«Invece io sono uno molto attento alla privacy. È che morivo dalla voglia di chiamarti e invitarti da qualche parte.»
«Credo che abbiamo un concetto molto diverso di privacy.»
Jun continuò a sorriderle, mentre invece Sana cominciava a sentirsi davvero infastidita da quell’atteggiamento.
«Guarda che non c’è niente da ridere. Sono un personaggio pubblico, e la privacy per me è vitale.»
«Oh, non sto ridendo per te. Lo so bene che sei una donna molto conosciuta. In effetti ti trovo molto carina quando ti arrabbi.»
Sana spostò rapidamente lo sguardo. I modi di quel ragazzo la mettevano in imbarazzo, non sapeva come comportarsi perché si trovava in bilico tra quello che vedeva lui e quello che vedevano i suoi amici. Quel pensiero la trascinò in un vortice di sensazioni che iniziarono a ingigantirsi proprio all’interno del suo petto e pensò che ormai non avesse nemmeno più importanza sapere chi avesse dato il suo numero a Jun.
«Scusa, ma vorrei dell’altro vino.» esordì all’improvviso, cercando una via di fuga.
«Oh… d’accordo. Aspettami qui, arrivo tra un istante.» e così dicendo, Jun Watanabe si dileguò. Sana strinse le dita intorno al manico della sua stampella, restando in quel punto ancora per qualche secondo. Perché si sentiva così diversa dalla se stessa che abitava a Seul? Perché all’improvviso quel genere di feste a cui era così abituata le trasmettevano solo un senso di angoscia?
Non si rese affatto conto del tempo che passava, ma quando si guardò intorno notando la sala semi vuota realizzò che di Jun non c’era più alcuna traccia. 
Decise quindi di prendersi da bere lei stessa e si avviò verso il bancone delle bevande, finché non si sentì afferrare per un braccio. Si voltò, ma non si sarebbe mai aspettata di vedere quel volto.
«Ehi!» esclamò Hisae, sollevando le sopracciglia. 
«Oh, ciao.»
«Queste feste che organizza l’azienda di Hayama sono sempre le stesse. Dai, vieni fuori in terrazza… sono tutti lì.» le disse, accennando un sorriso. A quel punto, Sana si sentì leggermente meno sola e l’idea di seguire la sua vecchia amica le sembrò la cosa più giusta da fare e l’unica sensata da qualche settimana a quella parte. E ad aspettarle in terrazza c’erano Tsuyoshi e Akito appoggiati al muretto. A quel punto Sana sgranò gli occhi.
«Un tempo soffriva di vertigini. Deve essere guarito…» commentò mentre camminava accanto ad Hisae.
«Ma che guarito. Secondo me sta sudando freddo… solo che qui deve fare il superuomo.» disse lei sorridendo divertita. Sana la seguì di rimando, finché non raggiunsero i loro amici.
«Oh Sana, eccoti.» disse Tsuyoshi. Akito la guardò per qualche minuto, senza proferire parola.
«Ragazzi, che ne dite di andare via da qui? Queste feste sono sempre noiose.» propose Hisae, appoggiandosi con la schiena contro il muretto della terrazza.
«E dove proponi di andare?» chiese Tsuyoshi.
«Bo, magari a Kabukicho o dove vi pare.»
«Be’ c’è un posto in cui incendiano i cocktail. Potremmo andare lì… non è lontano, possiamo andarci a piedi.»
«Tsu, i cocktail li incendiano da trent’anni ormai.» lo prese in giro Hisae. Anche Sana sorrise, perché in effetti lo sapeva perfino lei che quella trovata non era affatto una novità.
«Sì, lo so. Non ho mica detto che sono i primi a farlo… ma a quanto pare hanno un sacco di cose buone.»
«D’accordo, d’accordo. Vada per il barbecue di cocktail. Tanto mi sembra di capire che non ci sono altre proposte.» terminò Hisae, che si allontanò dalla ringhiera per avviarsi verso l’uscita di quel posto, seguita anche dai suoi amici. Fu in quel momento che Sana si accorse della presenza di Jun sulla terrazza, intento ad intrattenere una conversazione piuttosto piacevole, a giudicare dalla quantità di sorrisi distribuiti, con una ragazza dai capelli a caschetto e la frangia che le copriva le sopracciglia. 
Pensò alla sua bibita mai arrivata e, inspiegabilmente, provò una spiacevole sensazione. Non si rese conto di essersi fermata fin quando si sentì tirare appena per un braccio. Akito, senza dire nulla, la stava esortando a seguirlo e raggiungere Hisae e Tsuyoshi che avevano ormai già lasciato la terrazza.
Prima di raggiungerli però, Akito fu fermato a sua volta da un uomo che Sana non aveva mai visto in vita sua.
«Hayama, dove stai andando?»
«E’ tardi e domani ho da fare.» replicò secco.
«Certo. Ti aspetto domani nel mio ufficio, e se non hai ancora risolto il problema fatti aiutare da Watanabe.» 
Da quelle parole, pronunciate con una sicurezza tangibile, Sana aveva capito che quell’uomo doveva essere qualcuno di importante lì dentro. Solo che Hayama aveva cambiato completamente espressione del viso. Sana osservò le sue mani strette a pugno e si domandò quale fosse il suo ruolo all’interno di quell’azienda e quando aveva preso la decisione di lasciar perdere il karate.
«Hayama?» sussurrò quasi, finché non spuntarono nuovamente i volti di Hisae e Tsuyoshi.
«Ehi, ma ci siete?» domandò lei.
«Avviatevi, tanto noi veniamo in macchina.» replicò Akito.
«Oh… d’accordo. In bocca al lupo per il parcheggio allora.» disse Hisae, trascinandosi via Tsuyoshi. Sana si voltò verso Akito, con uno sguardo interrogativo.
«Con quella gamba così conciata ci metteremmo un’eternità.» si giustificò, poggiando per la seconda volta in quella sera la sua mano dietro la schiena di Sana, con la sola differenza che quel contatto si prolungò finché non lasciarono la sala dell’evento.


*Note d'autrice*

Eccomi, sorprendentemente, dopo soli tre mesi. Ma che sta succedendo?? Bo, non lo so, sta di fatto che sono contenta di essere riuscita a pubblicare questo capitolo perché a breve ripartirò per l'Africa e se vedemo direttamente tra qualche mese.
Dunque, mi dispiace avervi lasciato così, co sti due che se ne vanno, mano su schiena, nel parcheggio dell'edificio per fare due metri di strada ahahah però ecco il capitolo è già più lungo del solito, quindi beccatevi sto cliffhanger <3
Spero comunque che vi piaccia e che troverete il tempo per farmi sapere cosa ne pensate, mentre sarò in mezzo ad un deserto a lottare con serpenti e scorpioni.
Vi ringrazio come al solito, non smetterò mai di dirlo.
Baci
Alex
 
   
 
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