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Autore: minimelania    20/07/2023    1 recensioni
Rigor Mortis, come il freddo ghiaccio della morte. Ad un Claude Frollo ormai disilluso viene annunciato che La Esmeralda, a due anni dal loro ultimo incontro, è morta in cella. E allora vecchi e nuovi fantasmi tornano a danzare a passo di quadriglia dentro al suo cuore, e una danza infernale accende vecchi e nuovi roghi. Tornare sulle ceneri di un amore ormai sopito per darle l’ultimo bacio della morte? Oppure tacere e fare finta che niente sia più di quel niente informe che ormai sono le sue giornate? Claude Frollo piange le sue amare lacrime, fredde come i ghiacci della morte. Solo un bacio di carne può sciogliere il suo segreto. Quell’ultimo bacio di carne che le sue labbra non hanno mai assaggiato, quell’ultimo fuoco che adesso sembra impossibile.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo cuore mancò un battito; poi un altro. Tutto intorno era diventato di gelo. Ricordava che da bambino la balia gli raccontava la storia di una fata che passa in silenzio e gela tutto quello che tocca. Gela villaggi e palazzi; gela bambini nella culla, sposi novelli, vecchi in agonia. Lui adesso si sentiva così. Quel momento sarebbe durato per sempre. Bastava trattenere il respiro e niente si sarebbe più mosso. Sarebbe rimasto così, nei secoli dei secoli. 
Ma no, invece qualcosa dentro il sacco si mosse. Si mosse appena, ma si mosse, indiscutibilmente. Era lei.
- Dove sono? – sussurrò. La mano dell’Arcidiacono finì di far scivolare la tela verso le spalle della donna per cui ora per ora, in tutti quegli anni, era morto nella carne e nello spirito; per cui le pene del suo inferno privato, reiterato giorno dopo giorno, non sarebbero state comunque abbastanza. La mano tremò, ma portò a termine il compito. E lei era lì, sotto di lui, a occhi chiusi.
“Menomale che non mi guarda” pensò lui, con un misto di dolore inumano e di tripudio. Lei era lì, sotto di lui, a occhi chiusi, ed era ancora bellissima. Il tempo e gli stenti avevano distrutto molto della sua freschezza, il luogo oscuro e mefitico in cui lui per anni l’aveva rinchiusa le aveva lasciato sul volto le tracce di un pallore incancellabile. Sembrava un giglio tenuto troppo a lungo schiacciato tra le pagine di un codice. Ma era lì. Le labbra, ora sottili e screpolate in più punti, erano ancora belle e dolcissime; le dita fini, ricoperte di piccole croste, erano ancora sufficienti a condannare chiunque alla dannazione; le unghie rosee, a forma di mandorla, erano spezzate e sporche, ma lui d’istinto le prese una mano e le baciò. Lei teneva gli occhi chiusi e respirava.
“I suoi capelli” pensò lui “sono ancora stupendi”. E subito voleva toccarli, quella massa ingarbugliata e sporchissima, quel nido di uccelli del paradiso, quel cuscino su cui avrebbe voluto addormentarsi e morire. Lei era lì. La sua adorata, unica bimba. Era lì e non era morta.
- Dove sono? – un altro colpo di tosse, e a quel punto aprì gli occhi.Erano ancora i suoi occhi, di una dolcezza ultraterrena; limpidi, seducenti – ma in qualche modo diversi. Lei sbatté le palpebre alla luce della lanterna che lui portava. Aveva freddo, sulle sue braccia correvano brividi che presto divennero un tremito continuo. Era coperta di sudiciume e sporcizia, era tremante, era indifesa, era più magra di uno spettro ma era la sua Esmeralda. Era viva.
- Tacete. Non vi affaticate – riuscì chissà come a dire lui, spremendosi queste parole dal petto che gli era diventato di ghiaccio ma in cui furiosamente si agitavano gli spettri che non avevano mai smesso di bruciarlo. Ora lei era lì, sotto di lui, viva e nuda. Era coperta di un sudario lercio e rabberciato alla meglio, dentro cui chissà quanti cadaveri erano finiti prima che la tela, impregnata di umori immondi e meschini, andasse a posarsi quella pelle dolcissima, bianca, irreale. Ora lei era lì, lui la teneva tra le braccia e tra un istante, quando gli occhi della Esmeralda si fossero abituati alla luce, lei avrebbe urlato e lo avrebbe respinto con le ultime, povere forze che aveva.L’Arcidiacono non poté, anche soltanto in quel brevissimo istante, reprimere un brivido al pensiero che avrebbe potuto stringerla a sé, che in qualche modo lo stava già facendo. Lui era un vecchio, ormai; lei una povera moribonda – ma non morta! – coperta di sporcizia; intorno a loro c’era una cella fetida e oscena… e lui l’aveva tra le braccia. Era lei, la sua bambina palpitante, la sua piccola rondine, l’amore della sua miserabile vita, che lui aveva cercato di distruggere in tutti modi, perché la sua ossessione si placasse. Non si era placata.
- Amore mio – non poté impedirsi di mormorare. E nell’attimo in cui pensava che lei lo avrebbe respinto con disgusto, che si sarebbe finalmente messa a urlare, che avrebbe cominciato a dibattersi, sentì un calore invadergli il petto e serpeggiargli per le viscere. Lei… il suo amore… la sua bambina dolcissima… una mano, la mano che era corsa fremente su per il polpaccio e la coscia… la mano si arrestò. Era dolcissimo quell’esatto momento in cui tutto era sospeso, in cui lui era soltanto un automa in cui scorreva ancora un poco di sangue e che stringeva tra le braccia un altro corpo, un corpo ultraterreno ancora vivo, il corpo celeste di lei.
- Chi sei? – sussurrò lei, i cui occhi ora restavano aperti, lo guardavano, vedevano persino alla luce, ma non sembravano riconoscerlo. Nel pallore spettrale del suo volto accennò persino a un sorriso. Era leggera, tanto leggera tra le sue braccia. Sembrava un piccolo fantasma spuntato dal nulla a tormentarlo ancora e ancora; ma non era un fantasma, era viva. Viva, e andava portata fuori di dì.
- Non mi riconosci, Esmeralda? – chiese lui con un tono che voleva essere neutro; era il tono che usava negli interrogatori ‘gentili’, quelli che ancora non necessitavano del ricorso alla tortura. Non subito. Ma la voce, quella voce che lui avrebbe voluto rassicurante e piana, gli uscì invece un sussurrò strozzato di ansia e desiderio – Non mi riconosci?Lei sorrise, un poco meno convinta. In quel momento lui si accorse che aveva un livido sulla mascella, che terminava alla base del collo. Era ormai solo un’ombra bluastra, ma doveva essere stato violento l’urto che l’aveva provocato. Forse il carceriere aveva provato ad abusare di lei, forse ci era anche riuscito. La sua creatura aveva lottato, la sua dolcissima stella. Ci avrebbe pensato lui a rimettere le cose a posto, avrebbe fatto uccidere il carceriere e l’avrebbe portata via da quell’orrore.
- Chi sei? – lo disse ancora una volta, e questa volta gli sorrise davvero. Lui restò senza fiato un secondo, un lunghissimo secondo in cui lei parve riscuotersi dal torpore e con le poche forze che aveva si puntellò sulle braccia. Lui aveva posato la lanterna in terra, a fianco a sé. Si accorse all’improvviso del freddo che faceva in quella segreta, si tolse il mantello e glie lo mise intorno alle spalle. Intorno al sacco da cui sbucava la sua pelle. Lei lo accolse con gratitudine; un altro sorriso calmo, smarrito. Un gemito leggero di piacere a sentire il calore di qualcosa che fosse asciutto e non viscido, che fosse caldo e non freddo, che fosse morbido e non urticante.
- Sono Claude. Amore mio, sono Claude – mormorò, pentendosi subito di quello che stava dicendo; ora lei si sarebbe ripresa, l’avrebbe ricordato e finalmente si sarebbe messa ad urlare. Ma non gli importava niente, voleva prenderla e portarla con sé. E invece lei lo fissava con occhi calmi, troppo calmi, calmissimi.
- Sei lo sposo che è venuto a salvarmi? Lui scosse la testa. Chissà da quanto era uscita di senno. Chissà da quanto pregava in cuor suo che qualcuno venisse a salvarla. Lui era quello che l’aveva precipitata in quell’abisso di dolore e di morte. Ma ora era lì, era lì con lei.
- Sono io. Sono il tuo sposo.
- Portami via. 


*****

Non aggiornavo da tanto tempo, ma la gentile mail di una lettrice mi ha raggiunto per dirmi che proprio voleva sapere come andava a finire, e allora... enjoy, proverò ad aggiornarla ancora nei prossimi giorni ;)
  
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